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lunedì 22 giugno 2009

L' anti-umanesimo di PPP

Ho abbordato per la prima volta gli Scritti Corsari di Pasolini. Mi riferisco a quella serie di editoriali sul Corriere in cui lo scrittore dispiega la propria analisi sociologica.

Siamo nel decennio degli anni settanta e le sensibili antenne del poeta colgono che un nuovo fascismo, molto peggiore di quello precedente, avanza e reprime: si tratta del "consumismo".

Il momento è decisivo. In nome della battaglia contro questo mostro tentacolare la Chiesa e i Comunisti dovrebbero allearsi per fare fronte comune, magari chiedendo una mano anche ai paleofascisti, così innoqui rispetto al nemico attuale. Perfino gli stragisti delle stragi si Stato potrebbero venir buoni, in fondo sono pur sempre gente del nostro stampo.

PPP non perde tempo e mette sull' avviso la Cristianità: una Chiesa disposta a compromessi con il Capitalismo si macchia segnando oltretutto il proprio declino. Dunque una macchia ben peggiore delle precedenti, una macchia irreparabile. Chi non vede in Satana le fattezze di un Borghese?

La tolleranza dell' ideologia edonistica costituirebbe la peggiore delle repressioni. Il fascismo di Comodità&Bnessere soffoca e atrofizza anche la Società più vitale. Dove si annidi poi questo despota, Pasolini ammette di non saperlo: "è un Potere senza Volto... non so in cosa consista nè chi lo rappresenti...". Sa però che è una forma Totale di Fascismo che attua un' omologazione repressiva.

Il Poeta è incontenibile, probabilmente secerne dentro di sè una quantità fissa di magniloquenza che si ritrova poi a dover espellere con regolarità mediante l' uso di iperboli, meglio se sostenute dalla parola "fascismo". I contenuti diventano del tutto secondari, l' ispirazione detta legge. Sorge l' inquietante dubbio che se la lontananza non contribuisse a mitizzare le performances del prestigioso letterato, saremmo dalle parti di Sgarbi o poco oltre.

La mia prospettiva è molto diversa: all' uomo piace consumare (soddisfare i propri desideri materiali) e il ribrezzo di Pasolini è il normale schifo che l' esteta prova quando guarda in faccia un uomo. Mi verrebbe voglia di dire: "caro Pasolini, ma non vedi: l' uomo che tanto ti ripugna è lo stesso a cui hai fatto la corte un attimo prima; lo stesso! Nessuna repressione lo opprime. Possibile che la tua sensibile vibrissa non colga questa elementare verità?".

P.S. Ironia della sorte ammetto che la mia convinzione si è rafforzata dopo recenti discussioni avute con dei sacerdoti: l' uomo è essenzialmente desiderio e voglia di soddisfarlo. Se l' uomo è questo, non sembra poi così strano o frutto di una "repressione" il fatto che sia ANCHE un consumatore.

giovedì 14 maggio 2009

Senza trucchetti il nostro Pianeta basta e avanza

L' amata/odiata fahre è sempre "sul pezzo" in modo eccitato, non manca un colpo.

E' ha le sue buone ragioni, il concetto di "impronta ecologica" è l' ultimo manganello che l' ecologismo irresponsabile si è messo a maneggiare, pensa già di inserirlo nei programmi scolastici di qualche scuola elementare: esiste un'opinione diffusa secondo cui stiamo sfruttando voracemente le risorse del pianeta e viviamo molto al di sopra dei mezzi che la Terra ci consentirebbe. Tra poco all' uomo serviranno 5 pianeti per mantenere il suo tenore di vita. Calcoli complicati lo confermano.



Ma altri calcoli molto più semplici lo smentiscono. Li fa per noi Bjorn Lomborg. Diversamente dagli eco-catastrofisti, il Nostro considera il fatto che esiste una "tecnologia", qualcosa che l' eco-indottrinato riesce a dimenticare con grande disinvoltura.



Il vero elemento di cui ci dobbiamo preoccupare sono le emissioni di anidride carbonica (che effettivamente sono in continua crescita). Andrebbero ridotte del 50% nel medio periodo. Come?



L' ecologista vede come unico rimedio il piantar foreste "assorbenti". E foresta dopo foresta lo credo bene che arrivi a misurare 5 pianeti. Basterebbe invece dedicare alla produzione di energie rinnovabili l'1% dello spazio che gli ambientalisti vorrebbero utilizzare per piantare nuove foreste; il trucchetto si sgonfia e con lui i titoloni dei giornali. Il nostro pianeta basta e avanza.

lunedì 17 novembre 2008

Il mio cervello senza di me

Sarebbe proprio bello se sapessimo cos' è la "libertà". Così come sarebbe bello sapere di cosa parliamo quando parliamo di "scelta". Si, sarebbe fantastico perchè sapremmo dare un senso all' espressione "libertà di scelta".



Adesso, lasciamo perdere la "libertà", che tanto non caviamo un ragno dal buco. Ma la "scelta", la "scelta" per dindirindina... possibile che annaspiamo anche su questa banale definizione?



La Teoria delle Decisioni ce la descrive come un marziano che, forse esiste, ma nessuno di noi lo ha mai incontrato.



Uno si aspetta di giungere fischiettando al canonico bivio e DECIDERE se prendere a destra o a sinistra. Ma, probabilmente, questa visione è solo un' illusione ottica, seguirla ci lascia presto in ambasce.







Faccio un esempio terra terra, il più banale-neutrale possibile.



In 0.35 secondi una palla da baseball passa dalla mano del lanciatore al guantone del ricevitore. Per attivare e coordinare la sua muscolatura il battitore impiega 0.30 secondi. In 0.05 secondi è impossibile prendere decisioni. Nessuno però è disposto ad ammettere che il battitore colpisca a casaccio. Sono quattro dati oggettivi che messi insieme esplodono. Questo libro cerca di esplorare l' arcano raccontando come i cervelli lavorano di brutto anche in nostra assenza.



In 0.05 secondi accade dunque qualcosa che non rinuncio a chiamare "scelta". Eppure fisicamente una scelta non puo' darsi. A meno che non venga presa in "nostra assenza".



L' esempio che ho fatto è paradossale: un caso in cui tutti concordano nel parlare di "scelta" per quanto non esista nemmeno il tempo fisico affinchè una scelta si realizzi. Eppure a molti puoi dare tutto il "tempo fisico" che vuoi, sempre scelte "in assenza di se stessi" compiranno.



L' unico modo per aggirare l' ostacolo consiste nel ricorrere alla teoria del Capitale Umano: nel corso della mia vita investo consapevolmente delle risorse al fine di delegare molte scelte future ad un pilota automatico molto particolare. Tra le farine con cui amalgamo il mio CM, quella ideologica è forse la principale.







Tutto cio' ha delle implicazioni: oggi, qui, parlando, discutendo, confrontandoci sul forum, schierandoci, percorrendo questo rettifilo che sembra non implicare vere scelte... stiamo già prendendo decisioni concrete riguardo a bivi futuri che ora non riusciamo neanche ad intravvedere. Ci stiamo insomma coltivando affinchè il nostro cervello possa decidere anche senza di noi. Noi non ci saremo pur restando pienamente responsabili, una responsabilità che deriva da cio' che diciamo e facciamo oggi.



Ah, un' ultima cosa... le foto sono di Luigi Ghirri, mica paglia...

lunedì 15 settembre 2008

Perchè i vostri figli saranno migliori di voi

Nonostante il brutto titolo ho comprato il libro di Steve Johnson (2005), era disponibile a metà prezzo. L' avevo già sfogliato in passato e conoscevo la sua tesi: la cultura di massa negli ultimi 30 anni è diventata, in media, più complessa e intellettualmente più impegnativa. SJ si concentra su videogiochi, film, TV e internet. A quanto pare la cultura popolare diventa via via più sofisticata pretendendo un impegno cognitivo crescente.

Lui chiama questa tendenza "La Curva del Dormiglione" rifacendosi ad una sequenza del famoso film in cui un' equipe di scienziati del 2173 rimane sconvolta dal fatto che la società del XX secolo non fosse riuscita a comprendere i benefici nutrizionali di torte alla crema e merendine. Mi sa che diana me ne aveva già accennato (woody, che è ipocondriaco, non esce quasi mai di casa senza diana).

Prima di bacajare si tenga perlomeno conto di un paio di precisazioni. Innanzitutto, il fatto che la cultura di massa richieda e stimoli un costante miglioramento nell' intelligenza dei nostri figli non significa che veicoli un edificante messaggio morale. Probabilmente è vero il contrario anche se si spera che l' intelligenza e la scelta morale abbiano una qualche attinenza. In secondo luogo, la tesi non implica che taluni telefilm siano valutati in futuro alla pari di "Cuore di Tenebra" o che l' assiduità con certi videogiochi sia formativa quanto la lettura di "Moby Dick". Probabilmente la cultura popolare impallidisce di fronte all' arte e alle sue immense ricchezze estetiche e intellettuali.

La curva del Dormiglione mette in discussione qualcos' altro: il fatto che le cose stiano andando peggio e che la cultura di massa sia impegnata in una corsa verso il basso di cui non si vede la fine. Serve insomma come replica alla strenua lamentela per cui violenza e nudità abbiano ormai invaso la TV, che l' inanità dei reality show intorpidisce le menti o che la play station rende vacuo lo sguardo dei fanatici: sappiate che dietro queste ed altre storture la Curva del Dormiglione sale costantemente contribuendo in modo decisivo a rendere i vostri figli più perspicaci di voi.

Mi piacerebbe che le tesi di SJ fossero confermate, io ne sono abbastanza convinto. Cio' significherebbe che il "popolo" puo' migliorarsi con le sue forze spontanee affidandosi anche all' industria dell' intrattenimento senza che si renda necessaria l' istituzione di un paternalistico Educatore imposto dall' alto.

venerdì 12 settembre 2008

Sempre più in forma con Wal-Mart

"We estimate the impacts of Wal-Mart and warehouse club retailers on height-adjusted body weight and overweight and obesity status, finding robust evidence that non-grocery selling Wal-Marts reduce weight while grocery-selling Wal-Marts and warehouse clubs either reduce weight or have no effect. The effects appear strongest for women, minorities, urban residents, and the poor. We then examine the effects of these retailers on exercise, food and alcohol consumption, smoking, and eating out at restaurants in order to explain the results for weight. Most notably, the evidence suggests that all three types of stores increase consumption of fruits and vegetables while reducing consumption of foods high in fat. This is consistent with the thesis that Wal-Mart increases real incomes through its policy of "Every Day Low Prices," making healthy food more affordable, as opposed to the thesis that cheap food prices make us eat more"

Se lo dicono degli indipendenti come loro, io ci credo... Chissà se a fhare il Cimatti ci fa sopra un puntatone?... mi sa di no.

giovedì 11 settembre 2008

Il dramma dei bimbi senza TV

La TV non sembra faccia poi così male ai bambini, perlomeno stando all' ultimo studio sistematico sul tema...

"... children who lived in cities that gave them more exposure to television in early childhood performed better on the tests than those with less exposure..."

I benefici sono particolarmente rilevanti per i bimbi che vivono in condizioni disagiate... La logica è semplice: la TV fa bene o male a seconda delle alternative. Se le considerazioni di cui sopra sono contro-intuitive per qualcuno è perchè molti genitori si sopravvalutano nel pensarsi come alternativa.

martedì 13 maggio 2008

Libera scelta... purchè illusoria.

DG dedica un intero capitolo battendo in continuazione sul fatto che la felicità è un sentimento soggettivo. Il titolo del capitolo, tanto per non lasciare dubbi, è SOGGETTIVISMO.

Se richiesto indico il mio attuale stato di felicità su una scala da uno a dieci, non è detto che tu abbia ricevuto informazioni rilevanti poichè anche la "scala" è soggettiva: il mio 10 puo' corrispondere al tuo 3.

Tutto cio' fa la gioia dell' economista, lui dispone di teorie compatibili con il soggettivismo anche più radicale. Lo psicologo invece resta nelle canne.

Ma la gioia dura poco: a quanto pare molte nostre scelte sono infarcite di errori che non si correggono granchè nè con l' esperienza, nè prestando particolare attenzione all' insegnamento dei saggi. Costoro molto spesso sono il veicolo di "false credenze".

La ricerca della felicità rischia di fallire se intrapresa per conto nostro, e inoltre noi non abbiamo nessuna voglia di attendere i tempi dell' evoluzione biologica che migliorerà i nostri cervelli. Non ci resta che affidarci agli altri, a qualcuno che si prenda cura di noi. D' altro canto, poichè sentiamo fortemente la nostra unicità e la nostra autonomia, non ha nessuna possibilità di successo nemmeno chi ci instrada attraverso un' imposizione dall' esterno.

Sembra strano ma, se così stanno le cose, alla fine il mondo migliore è quello in cui la libera scelta venga tutelata, purchè, almeno in parte, sia illusoria. Tipo società dei consumi?

giovedì 24 aprile 2008

Più consumisti, più generosi

Non mi sorprende certo il fatto che la nazione più consumista (USA) sia anche quella in cui le persone sono più ricche mediamente.


Non mi sorprende neanche che sia felice. Ho potuto constatare ripetutamente come i beni materiali aiutino ad essere felici.

Mi sorprende che sia la più generosa.

O meglio, che ospiti persone mediamente più generose che altrove.

"...No developed country approaches American giving. For example, in 1995 (the most recent year for which data are available), Americans gave, per capita, three and a half times as much to causes and charities as the French, seven times as much as the Germans, and 14 times as much as the Italians. Similarly, in 1998, Americans were 15 percent more likely to volunteer their time than the Dutch, 21 percent more likely than the Swiss, and 32 percent more likely than the Germans. These differences are not attributable to demographic characteristics such as education, income, age, sex, or marital status. On the contrary, if we look at two people who are identical in all these ways except that one is European and the other American, the probability is still far lower that the European will volunteer than the American..."

Mi sorprende che sia un Paese a religiosità diffusa e, si sa, le persone religiose sono anche le più generose.

"...in the year 2000, “religious” people (the 33 percent of the population who attend their houses of worship at least once per week) were 25 percentage points more likely to give charitably than “secularists”..."

E' anche un Paese con forti diseguaglianze. Ma questo non frena la generosità. Anzi, i più poveri sono anche, in percentuale, i più generosi.

"...Low-income working families are the most generous group in America, giving away about 4.5 percent of their income on average..."

Stiano parlando della Right Nation. E i "conservatori" sono mediamente più generosi dei "liberal". Facendo 2+2...

"...the fact is that self-described “conservatives” in America are more likely to give—and give more money—than self-described “liberals.” In the year 2000, households headed by a conservative gave, on average, 30 percent more dollars to charity than households headed by a liberal..."

Un Paese pragmatico, in cui l' investimento deve avere un ritorno. E infatti la generosità ha una buona resa sociale.

"...In America, $1 given privately tends to increase GDP by about $15—an excellent rate of return by any standard..."
***
Ma come mai?

Forse tutto cio' dipende dalla presenza di ampie libertà economiche.

Il consumismo è una implicazione evidente.

Ma l' ambiente rischioso nel quale ci si muove, puo' darsi che funga da stimolo ad una maggiore religiosirà e ad una maggiore generosità. In situazioni di rischio diventa importante costruire attorno a sè una rete sociale che funaga da assicurazione.



ADD1. Oggi 27.4.2008 il sole 24 ore dedica la pagina del supplemento vultura all' articolo oggetto di questo post. Titolo: e vissero ricchi e contenti. Le reazioni delle vittime più illustri confutate: Kahneman: "molto stimolante". Easterline: "apprezzo, anche se l' analisi dei dati è ancora in una fase preliminare...".

giovedì 17 aprile 2008

Consumista e felice

In uno dei precedenti post segnalavo come dal fatto che i beni materiali non ci garantiscano la felicità non consegua che siano inutili per raggiungerla.



Ora, visto questo nuovo studio, possiamo andare anche oltre: la ricchezza è uno degli elementi più importanti per essere felici. E così il paradosso di Easterlin riceve un altro brutto colpo.


add1 Justin Wolfers, in una serie di eleganti post, divulga i suoi risultati su freakonomics

mercoledì 16 aprile 2008

I non sequitur di Saviano

Nel post precedente mi sono servito del mitico Saviano come epitome della mentalità anti-economica.

Mi piacerebbe illustrare un' ulteriore via attraverso cui gli antimaterialisti/anticonsumisti/antiavidi, pronunciano le loro condanne.

Innanzitutto viene posta una premessa: i beni materiali non fanno la felicità; sono le relazioni umane a costruirla con saldezza; è la nostra crescita spirituale a consolidarla.

E voglio ben vedere chi oserebbe contestare. In genere una persona già si sente migliore anche solo aderendo in via di principio a simili verità.

Seconda premessa: nei suoi uffici, nei suoi laboratori, nelle sue fabbriche, la scoetà capitalista (SC) produce, produce, produce.

bè sì,in effetti produce un casino.

Ma se produce tanto dovrà pur vendere?

Ecco allora la condizione imprescindibile che consente a SC di durare nel tempo: vendere. Se non vende i suoi beni materiali collassa. in qualche modo dovrà piazzare la mercanzia.

Se questo è vero, qual è il bene più prezioso per SC, qual è il bene che deve assolutamente procurarsi per prolungare la propria esistenza e accelerare la sua crescita? Semplice, un "uomo" ben formato, un "uomo" in grado di assorbire la produzione, un uomo che desideri ardentemente i beni prodotti. Un materialista.

Ecco allora SC impegnata nella costruzione dell' uomo materialista, dell' uomo desiderante, dell' uomo avido di beni materiali.

Affinchè SC possa durare e perpetuarsi deve inculcare valori materialistici nella popolazione, magari mettendosi all' opera sin da subito sulla coscienza malleabile dei bambini.

Saviano va oltre: il desiderio materiale generato nel modo che abbiamo visto per coltivare interessi ben specifici, finisce per produrre i mostri tipici della delinquenza e della malavita che lui riesce a descrivere con tanta vividezza. Gli eroi del crimine non sono altro che "uomini avidi" sfuggiti alle regole. Se sfuggisse alle regole un Budda non farebbe tanto danno.

Che dire? La vividezza del racconto c' è ma la logica un po' meno.

Il buco logico si produce grazie al modo equivoco con cui si maneggia un termine come "materialismo".

Attenzione.

Nel tentativo di coltivare le mie relazioni umane, invito la mia fidanzata al cinema. Ho fatto proprio bene, ci siamo parlati con parole sincere e mi sono arricchito. Oserei addirittura dire che ho sentito una felicità che ancora si prolunga qui ed ora. Eppure il cinema l' ho dovuto pagare e non c' era neanche la riduzione (maledetti). Ma non mi pento.

L' altro giorno ho buttato giù le riflessioni ispiratemi dal libro di Walcott. E' stato un bel momento, ho fatto delle scoperte che ora fanno parte della mia persona e mi inorgogliscono. Il libro veniva 32 euro, ladri!



Nel tentativo di allargare i miei orizzonti e toccare con mano vite, popoli e usanze differenti dalle mie, ho intrapreso un viaggio in giro per il mondo. Ora mi sento un uomo diverso e più adulto e appagato. Anche il mio conto in banca sembra aver cambiato aspetto.

Volete sapere quanto costa un corso Yoga completo e di qualità? Meglio che non ve lo dica. Vi invito invece ad iscrivervi e a frequentare. I benefici e la crescita interiore sono notevole e ne vale senz' altro la pena.

Insomma, ormai si sarà capito: il materialista è colui che vede un bene materiale come fine in cui si esaurire il proprio desiderio. Il non-materialista è colui che lo vede come un mezzo.

SC fa i suoi più grossi affari con il non-materialista.

Basterebbe dare un occhio alla pubblicità per accorgersene. Beni materialmente di scarsa consistenza raggiungono valori elevati per l' aura esclusiva e la promessa identitaria che offrono. Chi li desidera non è in cerca solo di beni materiali ma di quell' aurea. Se no non spendevo tutti quei soldi per una Smemoranda.

Per concludere, il ragionamento che condanna SC come produttrice di materialismo è lacunoso.

Lacune del genere si perdonano facilmente in scrittori talentuosi come Saviano, Scrittori che non sono tenuti a ragionare con rigore ma piuttosto ad intrattenerci prima di prendere sonno.

Si perdonano un po' meno quegli scienziati sociali che inciampano nel medesimo sasso. Ecco ben illustrato l' esempio di Kasser.


giovedì 3 aprile 2008

"Targeting" contro "Bisogni Indotti". Il venitore accerchiato.

A più riprese Fahre si è prestata a denunciare i pericoli della pubblicità e dei bisogni indotti. L' avido venditore presenta un prodotto al quale il consumatore non pensava minimamente ma a cui, una volta conosciutane l' esistenza, non puo' rinunciare. Il pubblicitario vellica i punti deboli della sua controparte indirizzandone i comportamenti. Eccoci allora tutti vittime di un controllo sociale esterno. E' naturale che sia così, conosciamo bene il peso della scuola di Francoforte nell' impostazione fahrenettiana.

Dal punto di vista psicologico l' ideologia dei "bisogni indotti" ha senz' altro dei fondamenti, Cionondimeno possiamo benissimo evitare di farne il fulcro dell' agire sociale. Ci sono diverse argomentazioni in grado di contrapporsi. Alcune di queste le ho già esposte in precedenza (per es. qui - qui - qui - qui e soprattutto qui).

Nella puntata di oggi viene presentata invece l' ideologia del "tageting". Il "venditore" non cessa di costituire il pericolo principale che dobbiamo fronteggiare, solo che, a sorpresa, l' accusa che gli viene rivolta è esattamente quella opposta. Costui studierebbe scientificamente le voglie e i desideri del consumatore al fine di soddisfarlo senza tentare minimamente di agire per mutarle o per guidarlo su percorsi prestabiliti. Sarà il venditore a farsi tappetino. Ma anche questa passività del venditore, inutile dire, sarà causa di molti danni e di un degrado sociale crescente.

Se nessuno avesse tentato di mutare i gusti e le idee altrui, se nessuno avesse mai usato pressioni per convincere il prossimo probabilmente saremmo ancora fermi ai miti della caverna platonica.

Un esempio in particolare sconcerta intervistato e intervistatore: se lo studio di targeting rivela una diffusa simpatia per la pena di morte, probabilmente ci si sentirà autorizzati ad appoggiarla come proposta politica (non è che stanno scoprendo ora la democrazia con tutti i suoi pericoli?). Peggio, se uno studio capta diffuse simpatie neo naziste...

Davvero inquietante. Fanno benone i RELATIVISTI di Fahre ad agitarsi.

giovedì 27 marzo 2008

Vinile o CD? (2)

Mi è giunta la seguente obiezione:


...e la copertina più bella vale i graffi e la polvere che rovinano il suono?


Ma il suono (su cd o vinile) non esiste più per essere "ascoltato". Quell' attività verrà per lo più svolta in mille altre maniere e con altri supporti. L' offerta è talmente ipertrofica che dobbiamo immaginarci un mercato in concorrenza perfetta con prezzi bassissimi o azzerati.

Dobbiamo quindi riferirci a beni che prescindano dal suono pulito del pezzo (ovvero da qualcosa reperibile ovunque senza troppo sforzo).

Se la differenzizione diventa essenziale, cosa offre in più il prodotto in Vinile? Faccio delle congetture.
  1. La dimensione. Anche quella conta. Il vinile ne offre una naturale più idonea per la pruzione di un oggetto creativo.
  2. Una tradizione in cui inserirsi. Da tempo esistono mostre d’ arte relative all’ oggetto o alle copertine dei dischi in vinile. Non mi risulta che nulla del genere accada con il cd.
  3. L’ illusione data al consumatore di inserirsi in un club ristretto di collezionisti. Infatti, per molto tempo, i pochi resistenti del vinile hanno finito per formare un' elite.
  4. Il vinile si presta meglio alla “funzione tamagotchi” tanto amata dai feticisti: solo il vinile ti consente di dimostrare la perfetta cura che hai dell’ oggetto oppure come l’ oggetto interagisce con te (ti consente per esempio di dimostrare che non l’ hai mai ascoltato, oppure che l’ hai ascoltato in continuazione e che fa parte della tua formazione).
  5. La trasformazione della traccia su vinile in mp3, in effetti, è un pochino più “costosa”.
  6. Il vinile trascina con sè tutta un’ oggettistica di “arredamento”. Sia arredamento moderno che arredamento di modernariato.
  7. ...



Forse da questo potrebbe emergere che, per “ascoltare” meglio l’ i-pod e simili, per “inscenare” meglio il vinile.



Insomma, per chiudere con un paradosso circa il trade-off che denunciavi tra copertine&polvere, non prendermi alla lettera ma ci siamo quasi: ok, Il vinile s' impolvera e si graffia. Ma prima, polvere&graffi erano un rischio, oggi stanno diventando un' opportunità

mercoledì 26 marzo 2008

Vinile o CD?

Il CD surclassa il Vinile per praticità d' uso. Lo porti ovunque, anche in auto, in spiaggia, lo ascolti random, reperisci immediatamente le tracce, isoli gli intervalli, disponi le sequenze...

Ma questa qualità che lo rendeva vincente, oggi viene ridimensionata visto che i files viaggiano benissimo in rete e in rete sono reperibili e duttili al pari di come te li metteva a disposizione il CD.

Esempio. L' altra settimana ho ascoltato a San Remo una canzone piacevole. Dopo due minuti passati sul pc era già nelle mie mani pronta per essere inserita nelle raccolte personali in combinazioni variegate che neanche il kamasutra... Ecco allora che viene rivalutato il vinile poichè, visto che la traccia musicale è ormai facilmente disponibile, aumenta il valore del package e di ogni altro elemento che differenzi il prodotto.

In conclusione, secondo me, il vinile fornisce più opportunità di differenziare il prodotto. E la differenziazione diventa cruciale una volta che il nucleo del prodotto perde di valore per l' offerta ipertrofica.

In passato il fenomeno era di nicchia e riguardava solo i collezionisti, costoro, per motivi precauzionali, acquistavano senza ascoltare. L' ascolta avveniva su altre fonti. E secondo voi se uno acquista senza ascoltare opta per il vinile o per il cd? In questi casi il vinile surclassa il cd per la ricchezza e creatività del package che consente.

Oggi tutti hanno la possibilità di ascoltare da fonti alternative e se acquistano...Insomma, tutti sono nelle condizioni in cui erano i collezionisti una quindicine di anni fa.

Riproducibilità del vinile? Fatemi chiudere offrendo questo Vladimir Visotsky registrato proprio da vinile. Bello per i nostalgici che amano la "frittura" da graffi & polvere che si mischia con altre sporcizie legate alla vocalità. Ma questa è un' altra storia.

martedì 25 marzo 2008

Teoria dei bisogni indotti

La teoria dei bisogni indotti (TBI) punta il dito contro la pubblicità: le informazioni pubblicitarie, facendoci pensare a cio’ di cui non conoscevamo l’ esistenza, alzano i nostri costi-opportunità rendendoci più infelici. Affinchè cio’ sia vero sarà anche necessario rilassare un’ ipotesi come quella del “consumatore perfettamente informato”. Nulla di più facile vista l’ inverosimiglianza di una simile ipotesi.

E poi questo fenomeno lo sperimentiamo tutti i giorni sulla nostra pelle ed è difficile negarlo!

Eppure quanto detto non descrive il fenomeno nella sua interezza.
Il pubblicitario ci appalesa un nostro bisogno ma ci consegna anche i mezzi per soddisfarlo.

Probabilmente il consumatore, una volta placato il “bisogno indotto”, non avrà implementato il grado di felicità iniziale, cio’ nonostante la “cassetta degli attrezzi” a disposizione della comunità si sarà ampliata. L’ intero processo quindi produrrà delle esternalità positive e non avrà molto senso ostacolarlo, specie laddove la difesa delle idee innovative è meno arcigna.

I sarà notato che sto tralasciando tutti gli effetti distributivi legati al fenomeno.
In conclusione, porre dei freni al “consumismo” in nome della TBI puo’ ripercuotersi sulla capacità innovativa del sistema.

Ma esistono ben altri argomenti che ci fanno vedere con preoccupazioni comportamenti “consumistici”.

La TBI, riformulata in modo meno ingenuo, puo’ essere ricondotta alla teoria dei bias cognitivi (TBC).

TBS ipotizza che il consumatore (più in generale il decisore) commetta degli errori sistematici nel realizzare le sue opzioni. Questa ipotesi è da prendere sul serio per il semplice fatto che si fonda sui fatti (test sperimentali).

Cosa succede, dunque. Il pubblicitario sfrutterebbe a suo favore i bias cognitivi sistematici del consumatore guidando le sue scelte senza per questo doversi compromettere in azioni fraudolente.

Se tutto cio’ è verosimile, ecco che un’ autorità benevola potrebbe, attraverso misure paternalistiche, massimizzare l’ utilità dei consumatori regolamentando la libera contrattazione.

In altre parole, il decisore non è razionale, ovvero, gli assiomi della teoria della scelta razionale vengono violati. In particolare viene violato l’ assioma di “invarianza” secondo il quale un problema, anche se formulato in termini differenti, avrà sempre la stessa soluzione.

L’ ipotesi legata alla razionalità degli operatori non è l’ ipotesi di “perfetta informazione”. Allentarla potrebbe essere problematico e, forse, in merito, qualcosa si può opinare.

Infatti la nuova teoria del consumatore (NTC) ha opinato (sul punto vedi i lavori di Stigler e Becker, in particolare il loro storico articolo: De Gustibus).

Secondo NTC il consumatore è da figurarsi, alla stregua di un’ impresa, come un soggetto impegnato a produrre la propria felicità. Si confronta quindi con una funzione produttiva in cui intervengono beni diversi, ognuno con suo prezzo.
Facciamo un esempio.

Se il consumatore apprezza le arance ne consumerà in abbondanza, sempre facendo attenzione al prezzo relativo del prodotto. Ma se verrà a conoscenza del fatto che le arance contengono vitamina C e sono quindi benefiche per la sua salute, probabilmente alzerà i suoi consumi. Gli alzerà anche se, nei fatti, nulla è cambiato rispetto a prima. Questo comportamento è tutt’ altro che irrazionale. La nuova informazione ha alzato il valore del prodotto trasformandolo in qualcosa di differente.

La funzione della pubblicità risiede proprio in questa differenziazione dei prodotti e questa differenziazione puo’ avvenire anche in modi molto più sottili rispetto a quelli che compaiono nell’ esempio, ovvero creando un’ “immagine” appropriata da legare al prodotto.

Riassumendo, secondo TBC la pubblicità impedisce al consumatore di massimizzare le sue funzioni di utilità distorcendole in maniera illusoria. Secondo NTC, per contro, la pubblicità differenzia i prodotti in modo che il consumatore consideri delle funzioni di utilità alternative ma non per questo meno reali.

NTC si applica bene a molti fenomeni in cui si è indotti a considerare irrazionale il comportamento del decisore: moda, pubblicità, dipendenza, tradizioni…

Trincee per difendersi dallo "psicologismo"

Chi guarda al mondo con il cannocchiale messo a disposizione dagli economisti, non puo' fare a meno di adottare l' assunzione relativa all' Homo Economicus, ovvero, non puo' che adottare il postulato della razionalità: l' agente economico compie le sue scelte seguendo criteri razionali.

Ma questo assunto è stato spesso contestato, soprattutto dagli psicologi, i quali rilevano come, nella realtà dei fatti, esso sia inconsistente. Possiamo ricondurre la contestazione più circostanziata all' opera di Daniel Kahneman, recente premio Nobel. Già in passato, ricordiamo i paradossi di Allais e Ellsberg, un attacco era stato tentato. Il filone della cosiddetta "economia comportamentale" è oggi abbastanza seguito.

Una premessa essenziale per confutare sperimentalmente l' assunto consiste nel sostanziarlo, cioè nello specificare in che cosa si esplica la razionalità dell' operatore. Kahneman chiede una definizione ristretta e sostanziale di razionalità, una volta fornita potrà confutarne l' esistenza attraverso i suoi esperimenti.

Molti libertari temono l' attacco "psicologista2 poichè è fuoriero di "paternalismo": se l' individuo ha comportamenti irrazionali sarà possibile correggerlo per il suo stesso bene.

Come si è reagito a questo attacco contro i paradigmi neoclassici e non solo? Vediamo alcune risposte.

Mises. La razionalità è un assunto formale e quindi di per sè inconfutabile. Eventuali debolezze possono essere neutralizzate mediante l' assunto parallelo del soggettivismo radicale. Esempio: domando a Tizio se preferisce A o B, lui mi risponde A. Poi ripeto la domanda invertendo l' ordine, lui mi risponde B. Anzichè concludere che le preferenze di Tizio sono incoerenti posso sempre dire che le ha cambiate nel frattempo, oppure che esiste una preferenza dominante consistente nello scegliere il primo termine di un dilemma.

Hayek. Si adottano posizioni razionali solo attraverso processi evolutivi. Al cambiare della realtà si cambiano le proprie posizioni sperimentalmente fino a che si viene condotti su posizioni razionali di equilibrio. Chi nega la razionalità degli operatori, in realtà, sopravvaluta i residui dovuti al transito da una posizione all' altra, considera errore cio' che in realtà è adattamento. Ecco un caso.

Friedman. Poichè l' economia è una scienza convenzionale non ha rilevanza confutarne le ipotesi quando il modello funzioni bene. Ha invece rilevanza confutarne gli effetti. A proposito dobbiamo notare che gli effetti di base della teoria del consumatore sono confermati nel lavoro di un economista sperimentale premiato con il Nobel assieme a Kahnamen, parlo di Vernon Smith.

Stigler/Becker. La razionalità va sostanziata diversamente rispetto a quanto fa Kahnamen. Due punti fermi devono essere mantenuti: la stabilità dei gusti e la loro omogeneità nel tempo e nello spazio. L' omogeneità significa che statisticamente siamo abbastanza simili nelle preferenze. Se una popolazione presenta differenze, queste non sono imputabili ai gusti, bensì a differenze nei prezzi relativi prodotti dall' ambiente in cui vive. Il consumatore è visto come un produttore di utilità, in quanto tale ha una sua funzione di produzione e un costo da minimizzare e in questo processo non rientrano solo considerazioni intorno al prodotto specifico oggetto di scelta ma anche intorno al capitale umano e ad altre variabili. S/B applicano la loro nuova teoria del consumatore a casi tipici in cui il consumatore sembra agire in modo irrazionale: moda, dipendenza, pubblicità, rischio, tradizione.

lunedì 17 marzo 2008

No...la teoria dei bisogni indotti no...(...battendo i forum anti-liberali)

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 20/09/2006 19:19

Se preciso a me stesso la nozione di "consumo" molte cose che ho in testa si dispongono in modo imprevisto.

In fondo noi viviamo per consumare, chi puo' negarlo?

Sì, in effetti qualcuno vive anche per salvarsi l' anima. In questi casi tutto viene valutato in relazione ad una realtà soprannaturale.

Ma chi ama la vita vive anche e soprattutto per consumare.

Per "consumo", sia chiaro, intendo tutte le attività distinte da quella produttiva.

Qualcuno ha detto correttamente che chi non vive per il consumo è un alienato. Per costui l' attività produttiva avrebbe la precednza rovesciando l' ordine naturale del ciclo. Costui mangia per lavorare anzichè viceversa. Inverte i fini con i mezzi.

Ora, per non scadere in un gretto materialismo, veniamo a dei consumi particolari che, di primo acchito, non sembrerebbero classificabili come tali.

Mi fermo a meditare l' infinito di Leopardi e ne traggo grande giovamento.

Ecco una tipica attività attraverso la quale molti consumano (il proprio tempo).

Se leggo un sonetto di Shakespeare coltivo il mio spirito e la cosa puo' venirmi buona anche quando sono in ufficio.

Ma non è certo questa la funzione principale di quella lettura.

Innanzitutto io miro ad un godimento estetico e ad una realizzazione interiore immediata.

Il sonetto è dunque un bene di consumo e non di investimento.

Questa distinzione (consumo/investimento) io la manterrei, la trovo ancora ragionevole.

I tentativi di sopprimerla sono ingegnosi ma quasi mai riusciti.

Del resto i più impegnati nel sopprimerla sono i letterati, e i letterati falliscono spesso nel dar conto della società in cui vivono.

Quest' ultimo è un giudizio un po' pepato. Ma se non azzardiamo qua...

Quando consumo, come dice Michela, esprimo anche il mio voto. Tramite il pagamento rendo più potente chi soddisfa i miei bisogni.

Non piovendo dal cielo, questo voto sarà più responsabile ed esprimerà al meglio la mia personalità.

C' è un' eccezione: colui che ama il proprio lavoro.

In questo caso saremmo di fronte ad un "godimento produttivo". Che fortunato questo signore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 14:57 Produci, consuma, crepa.

Non è poi così male rispetto all' alternativa, ovvero: produci e crepa.

Non capisco poi l' opposizione tra "bisogni" e "consumi". Come se fossero in competizione. Il consumo è l' attività mediante la quale si soddisfa un bisogno.

Qualcuno ha sollevato il problema dell' aria e di come stia diventando un bene prezioso. E' vero! Di aria pulita ce n' è poca poichè non la si può vendere.

Bisognerebbe ovviare a questo inconveniente. Ma come fare a renderla negoziabile? Le idee ci sarebbero. Una fra tante: i pedaggi stradali telematici. Purtroppo gli interessi in ballo sono consistenti e la fattibilità di progetti ragionevoli è scarsa.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 18:56 La teoria dei bisogni indotti non mi ha mai convinto.

Comincio con il dire che la domanda "di cosa ho bisogno?" ha senso. I can get no satisfaction. E' forse un sentimento inventato? Direi di no visto che è stato il sentimento di un' intera generazione.

Se altri, nel loro interesse, senza frodi o inganni, ci aiutano a rispondere, significa forse che un bisogno viene creato dal nulla?

No, molto più semplice considerare questo movimento come una scoperta: un mio bisogno viene scoperto. Meglio l' ignoranza?

Vista così tutta la fattispecie mi sembra inquadrata in modo più ragionevole, alla teoria dei bisogni indotti non resterebbe che uno spazio residuale.

Inoltre non si dilapida quel bene prezioso che per me è l' architrave della società: la responsabilità personale.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 21.08

Dicono che sulla questione ambientale il consumatore venga posto di fronte a due strade.

Combattere le cause dell' inquinamento consumando beni ecologici (es. auto a idrogeno).

Combattere gli effetti dell' inquinamento consumando beni resilienti (es. condizionatore).

Per vari motivi sia etici che utilitaristici trovo che la seconda strada sia più ragionevole.

Ad Antonio vorrei dire, in effetti per alcuni beni si realizza un marketing più pressante.

Ma questo si spiega con il fatto che alcuni produttori subiscono una maggiore concorrenza e anche una maggiore attenzione da parte del consumatore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 10:44 Viene prodotta troppa merce? siamo soggetti ad una iper produzione?

E' una domanda troppo complessa a cui rispondere.

Per farlo non posso certo basarmi sul fatto che altri utilizzano merce che io non utilizzerei mai!

Starei più tranquillo se si riuscisse a fare in modo che i costi dell' eventuale iperproduzione vengano sopportati da chi l' ha realizzata.

Siccome in una società libera la merce in eccesso coincide con quella che nessuno vuole, tale merce resterà invenduta e graverà sul groppone di chi l' ha prodotta sbagliando i suoi calcoli.

In questo senso siamo garantiti.

Michela dice "i bisogni indotti esistono, lo sanno bene i grandi strateghi del marketing...".

Ma la funzione degli strateghi del marketing è perfettamente coerente con la teoria dei bisogni NON indotti (vedi sopra).

Michela, tu dici che perdi il tuo tempo nel forum a discapito dell' azienda per cui lavori. Se entri in rete per un tuo piacere personale allora stai "consumando".

La cosa torna utile in modo rilevante all' azienda? Anche qui un bel problema.

Ma c' è una buona e ragionevole soluzione, basta vedere se l' azienda ti paga per passare così il tuo tempo.

Naturalmente devi considerare che alla tua azienda torna utile (in modo decisivo) anche se tu ti nutri come si deve.

Come potresti recarti al lavoro se non mangiassi? Ma per questo non ti paga. Sa benissimo che sulla questione il tuo interesse di consumatrice prevale su quello del produttore

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 19:36 In effetti qualcosa non torna con Michela.

Secondo te sono indotti tutti i bisogni che non siano primari.

Ma questo non è cio' che si intende comunemente.

Indotto è il bisogno che in realtà non esiste.

Mentre i bisogni non primari esistono eccome (ammesso e non concesso che abbia senso l' espressione "bisogno primario"!!).

Per avere bisogni indotti è necessario postulare che il consumatore non sia in grado di intendere e di volere. Oppure che subisca un inganno.

Così correttamente definito per me è facile dimostrare che si tratta di una falsa nozione da abbandonare quanto prima per un corretto sviluppo del ragionamento.

Anche perchè, una volta accettata la teoria, le conseguenze potrebbero essere spiacevoli. L' alternativa sarebbe che una autorità tirannica stabilisca quali siano i tuoi "reali" bisogni.

Questa alternativa mi è antipatica di brutto.

No, no, meglio prendere la nozione di "bisogno indotto" e buttarla nello sciacquone (insieme ai tiranni che porta con sè).

Abbiamo già visto come un bene come l' aria sia minacciato dal fatto di non essere negoziabile. Quelle dinamiche perverse potrebbero essere estese al nostro dialogo, cara michela.

Nel dialogo, infatti, ci facciamo dono reciproco delle nostre idee. Io ti regalo le mie.

Probabilmente non hanno molto valore poichè le regalo a destra e a manca.

Ma se avessi un' idea particolarmente brillante la coprirei con il diritto d' autore (o con il brevetto) al fine di farmela pagare limitandone la circolazione.

Se non potessi fare tutto cio' eviterei fin dal principio ogni sforzo e ogni investimento per produrre idee innovative.

Non è un caso che le società in cui esiste l' istituto del brevetto siano anche più innovative (con più idee originali prodotte).

mercoledì 27 febbraio 2008

Consumare rende felici

E' abbastanza ovvio a livello locale. Ora sembra ribadito anche da confronti internazionali.

"...For those skeptical of the claim that people tend to be happier, healthier, better-educated and longer-lived in countries that consume the most, please see the UN Human Development Index. The top of the list is basically the group of wealthy, liberal, capitalist societies. The Nordic countries, please note, are extremely wealthy market societies with very high levels of consumption. Also note that an ethos of consumerism is different from the level of consumption, although there is no good evidence that consumerism is in any sense harmful..."

martedì 26 febbraio 2008

Per scegliere bene occorre una società libera

Non esiste una ricetta pre-confezionata per scegliere bene, esiste però la possibilità di sviluppare un' euristica funzionale attraverso una robusta pratica sulle questioni concrete che ci toccano ogni giorno.

In tema di aborto si conviene sul fatto che sia controproducente criminalizzarlo, molto meglio affidarsi alla "buona scelta" costruendo un ambiente idoneo. Senonchè, molti scettici, arrivati a questo punto della discussione, tirano fuori un bersaglio per loro naturale: il consumismo.

Il consumismo, con i suoi bisogni indotti, avrebbe scardinato la nostra capacità di scegliere. Detto questo, però, siamo punto e a capo visto che è un po' difficile rinunciare al "consumismo" se si considera il fenomeno come l' inevitabile portato di un modello organizzativo che ha assicurato lo strepitoso aumento del nostro standard di vita negli ultimi due secoli.

Per nostra fortuna non è affatto detto che le cose stiano come vengono dipinte dai teorici del "consumatore zombie". Molto probabilmente le persone sono ancora in grado di sviluppare una capacità di scelta, quel che a loro manca per esprimerla è una pratica attraverso la quale metterla a punto affinandola di continuo.

Sempre più, nelle comunità moderne, il soggetto è stato espropriato, spesso attraverso il suo consenso e con suo sollievo, dalle scelte decisive che lo coinvolgono e segnano la sua vita. Forse, più meno consciamente, si è ritenuto che non fosse in grado di affrontarle. I dilemmi (che aiutano a crescere anche e soprattutto i già cresciuti) sono stati espulsi dal nostro quotidiano. Parlo delle questioni relative alla nostra salute, alla nostra istruzione, alla nostra vecchiaia, ai nostri risparmi. Su questi terreni fondamentali non ci si ferma più a chiedersi "che fare?", la nostra via è segnata, le reti comunitarie di scarsa utilità e lo sforzo per tesserle subisce forti demotivazioni. Le "riunioni di famiglia" non hanno più senso e ormai, se ancora si tengono, è giusto per decidere dove andare in vacanza.

Il soggetto di cui parlo puo' continuare invece ad esercitarsi in una miriade di scelte molto meno "cruciali", dove il lusso di un "caproccio" puo' benissimo essere tollerato poichè non lo si paga certo caro, puo' esercitarsi in scelte politiche dove la deresponsabilizzazione è la regola. Poi, in questo contesto, ecco che - chi fino a quel punto ha dovuto "deliberare" solo sul colore dell' auto, sul film con cui riempire la seratina, su dove mettere la crocetta in cabina elettorale - si ritrova a decide se abortire o meno. E' difficile che a quel punto si trasformi in un' altra persona, che sappia lucidamente valutare i pro e i contro, molto probabilmente gli istinti capricciosi interferiranno sulla sua scelta così come sono sempre stati abituati a fare potendoselo permettere.

Quindi, la soluzione contro il consumismo più deleterio, secondo me, consiste proprio nel riconsegnare all' individuo le scelte decisive che lo riguardano e che lo educano evitando che si ritrovi inerme e inesperto quando sarà chiamato ad affrontarne una isolata. L' alternativa sarebbe quella di toglierle tutte: magari ricoprendolo di sussidi per veicolarlo, come un topolino, verso quei comportamenti che altri hanno scelto per lui.



Ecco allora due risoluzioni per spingere verso la buona scelta in tema di aborto:

  1. diffondere una cultura della vita;


  2. creare un ambiente in cui si sviluppi al meglio la confidenza del singolo con le scelte cruciali che lo riguardano.