giovedì 11 marzo 2010

Early childhood education

Intervista a James Heckman.

Raccomando la sezione Early childhood education.

Riassunto: puntare sui big five nei 0-7 anni.

Traduzione a beneficio del Ministro della Pubblica Istruzione e dell' Università: concentrati sulla sostanza formativa, ovvero sugli asili. Del resto occupati nel tempo libero.



Qualcuno ha un' idea pratica di cosa significhi "puntare sulle abilità non-cognitive"?

Ipotesi: regole, motivazioni, tranquillità, concentrazione, devono essere anteposte alla capacità di risolvere problemi?

Sì, ma in concreto? Andare a letto alle 8,30 senza brontolare è più formativo di passare il terzo livello del giochetto elettronico luminescente o di fare l' ingegnere con il Lego, o di imparare presto a leggere e scrivere? Il bambino disciplinato che non si annoia facilmente (perchè sa motivarsi) ha davvero più speranze del genietto capriccioso?

Sembra incredibile ma la posizione modernista e tremendamente all' avanguardia di chi accetta un IQ rigido e in gran parte genetico, rivaluta poi taluni metodi educativi tradizionali.

Donne e asili

Ah, queste donne italiche che non lavorano e non fanno fligli. Come dare loro una mano? Magari con asili e altri servizi del genere!

Tutti d' accordo?

Macchè!

Basterebbe notare come filiano e lavorano sodo fuori casa donne di paesi dove questi servizi sono praticamente assenti.

Il problema è culturale e riguarda il modo in cui la coppia ripartisce i carichi di lavoro.

"... finché le donne italiane lavoreranno in totale 80 minuti in più degli uomini (sommando il lavoro casalingo a quello retribuito) e soprattutto finché saranno loro ad essere sempre "on duty" per la famiglia anche nei momenti in cui lavorano fuori casa, esse non potranno esprimere nel lavoro retribuito la stess energia e la stessa produttività degli uomini..."

A questo punto gli autori propongono di tassare il reddito degli uomini. Ok, ma c' è ancora qualcosa che non mi quadra.

Qualora si ritenga di aver dimostrato come una certa cosa non viene fatta, non tanto perchè onerosa, ma piuttosto per ragioni "culturali", allora non ha più molto senso impegnarsi affinchè si realizzi. Almeno fino a che siamo disposti ad accettare la spiegazione più semplice, lineare ed empiricamente comprovata: quella basata sulle preferenze.



http://www.pietroichino.it/?p=238

mercoledì 10 marzo 2010

Due vaccinazioni

Contro l' ateismo e la teologia dilettantesca.

Alister McGrath.

Kenneth Miller.

Francis Collins

Ve lo ricordate il "principio antropico"? Molti lo usano come novella prova cosmologica. La cosa non mi convince del tutto, ma da lì si puo' pur sempre partire.

Se pesco a caso delle carte dal mazzo posso sempre stabilire a posteriori una logica ed illudermi che la cosa sia "sorprendente" e richieda una spiegazione. Ma se pesco 10 carte realizzando una scala reale, allora la sorpresa è reale e una spiegazione s' impone.

Per molti l' universo è una scala reale. Non che ci siano grandi prove.

Certo che l' universo (così come tutti gli universi possibili) sembra rispondere ad un ordine. E' intelleggibile, è catturabile dalla logica e dalla matematica.

Ma mentre esistono mille forme di caos, mentre esiste una logica possibile.

In un certo senso il fatto che siamo di fronte ad una "scala reale" è testimoniato dai sorpendenti poteri della matematica più che dalla vita umana in sè.

Certo dobbiamo porre la Matematica come qualcosa a se stante rispetto alla materia, così come la nostra mente. Ma ci sono ottimi argomenti per farlo!

Non che l' intelligibilità dell' universo sia una realtà stabilita, ma di sicuro è l' atto di fede elementare che intraprendono gli scienziati nel momento in cui chinano la schiena sulla loro scrivania e si spremono le meningi.

Da qualche parte c' è sempre un Vasco Rossi

Leggendo le avventure stanziali del Giovane Holden ho notato che costui si esprime in perfetto italiano, perlomeno nella copia del mio libro Einaudi. Trovo la cosa inaudita visto che il caproccioso pupillo è progenie di famiglia americana doc e non si è mai avventurato al di fuori dell' asse Pensylvania-Manhattan. Se comunque devo dire... la cosa non mi disturba.

Leggendo le avventure di Renzo Tramaglino, rilevo il linguaggio insolitamente forbito di questo contadinotto lecchese in procinto di accasarsi. In verità me l' hanno fatto notare altri, poichè la cornice è talmente in armonia con il quadro da passare inosservata.

Il minuscolo protagonista del "Factum est" testoriano ansima, impetra, implora, urla, maledice, benedice, prega, guaisce e spira spappolandosi in modo che molti contestano ideologicamente.

Peccato per loro, si sono persi un pezzettino d' arte vera. Ok, in giro ce n' è tanta e recupereranno presto con il concerto di Vasco Rossi, ma resta pur sempre uno spreco.

Quella minuscola ed espressiva agitazione, nel testo si giustifica così: bisogna scuotere la futura non-madre affinchè resista alla proposta di raschiamento avanzata dal futuro non-padre. Oltretutto, il perfetto non-Padre sta perdendo la pazienza e tra un po' mi sa che mena pure.

Cederà! Cosicchè un cristo in miniatura soffocherà nel suo sangue attaccato alla placenta come l' eretico al palo prima che il fuoco gli arricci la pelle.

Chi mette l' ideologia nell' attico e l' arte in cantina, lo riconosci subito: il patetico monologo dell' inerme Presenza lo ispira al punto che non puo' trattenersi dal declamare su cellule neuronali ancora da farsi ed altre amenità varie. Il sipario deve ancora scendere ma lui ha già intrapreso il suo personale trip bioeticista.

Lo sappiamo che in fondo basta un pianeta spento e minuscolo per oscurare un sole enorme ed infuocato. Allo stesso modo nel cervello di taluni basta l' eco del giornalista lunare Massarenti per eclissare il Poeta solare Testori.

Devo ammettere che l' obiezione del Caulfield italofono ha una pregnanza e una capacità spiazzante più meritevole di approfondimento.

Mai come qui si coglie la distanza tra scienza ed arte, la dimestichezza con l' ipotesi contorta che la prima richiede e la seconda disdegna.

Sarà per questo che l' artista è chiamato a depositare il suo particolare occhio cieco/vggente sulla superficie del Reale, sarà perchè si sente chiamato all' ubbidienza verso il santo comandamento della Poetica aristotelica: "molto meglio inscenare un impossibile verosimile che un possibile inverosimile"

martedì 9 marzo 2010

Ridatemi le mie vacanze!

E' un' ingiustizia! Rivoglio le vacanze che mi spettano. Rivoglio i miei 15 giorni in Grecia a 500 euro.

La Grecia è un paese fallito, dovrebbe uscire dall' euro, svalutare drammaticamente la sua moneta e, dietro qualche centinaio di euro, consentirmi una lunga e beata vacanza su una delle tante perle del mediterraneo che annovera.

Non nego che qualcuno pagherebbe il fio.

I greci, per esempio. Le loro vacanze le vedo male, d' altronde i loro governi spendaccioni se li sono eletti, quindi...

Anche chi ha prestato ai greci, trema. Pazienza, faranno meglio i loro conti la prossima volta.

Suvvia, non facciamola troppo lunga, fallire non è una tragedia.



Ricapitoliamo, visto come sono andate le cose un elementare principio di giustizia mi consentirebbe di passare all' incasso.

Invece no, mi tocca sì passare alla cassa ma per pagare poichè sembra ci si orienti verso una soluzione differente: salvataggio a spese del contribuente europeo.

Ah... le tortuose vie della solidarietà. E ci credo poi che il liberal è più "intelligente": la soluzione più semplice e lineare non gli va mai bene! Occorre un bel capoccione per uscire dai labirinti dove puntualmente va a ficcarsi.

Solidarietà? Qualche politico ci crede, qualcun altro è stato perfettamente partorito dall' evoluzione per vendere quel genere di merce, e l' ultimo, più consapevole e rispettabile, fiuta l' affare e il monumento.

Chi non capisce la logica che ci sta sotto, non capisce l' 1+1 della politica: in caso di fallimento il pagatore è consapevole (e recalcitra... e non ti vota più), in caso di "salvataggio" il pagatore è un allocco con nella testa tanti bias.

Non ci credete?

Come no? Ma pensate davvero che i defraudati della meritata vacanza a prezzi stracciati organizzino vociferanti cortei? Ma quella vacanza è solo una mera possibilità che ancora non si è concretizzata e non si concretizzerà mai, un puro spettro che i nostri bias ci impediscono di vedere chiaramente. Se la possibilità di un corteo vi sembra assurda, meditatene i motivi e vi sarete risposti da soli. Avrete anche capito perchè al politico conviene sempre il sabotaggio strisciante del mercato.

Ma anche chi conosce come si fanno le sommatorie politiche di cui sopra, dati gli sviluppi, sarà in altre faccende affaccendato: sarà d' uopo infatti consigliare al Ministro Tremonti di rilassarsi e lasciar ammonticchiare un bel deficit, in caso di difficoltà basterà un fischio al neonato Fondo Monetario Europeo. Così, se i greci ci hanno fregato, noi fregheremo i tedeschi quanto prima. Tiè!

E poi, quando tutto salterà in aria, considerando che il "sabotaggio" è stato solo "strisciante" anzichè sotto l' occhio vigile dell' allocco, c' è sempre l' arma di riserva: grideremo in coro contro le ingiustizie del mercato selvaggio! Scommettete che l' allocco griderà più forte di tutti?

lunedì 8 marzo 2010

L' ha detto la scienza

Nell' anno del Signore 2010 non c' è chi rinuncerebbe ad un avallo tanto impressionante.

A qualsiasi conclusione si giunga, si lascia ad intendere che... "l' ha detto la scienza", che la Scienza conferma. Quindi...

Invece, il più delle volte... "l' ha detto una semplice statistica".

Si accende una lampadina e subito crediamo di essere al cospetto del mitico Lume. Poi ci accorgiamo che quella lampadina ha sotto delle svelte gambine con cui se la svigna altrove. E noi ci ritroviamo al buio.

Delusione? Non poi così tanta visto che non è così immediato percepire la differenza tra Scienza e Statistica, ovvero, non si coglie che la prima pur essendo "fatta" da statistiche non puo' essere ridotta ad una statistica isolata.

Vlad: "... la teoria del Kanazawa dice che gli atei e progressisti sono più intelligenti degli altri..."

Una teoria? Una teoria scientifica? No, è solo una conclusione statistica, una semplice descrizione del reale.

"Descrivere" il reale è più semplice che "teoriazzare" sul reale, ma la conclusione di una descrizione non è una conclusione scientifica: affinchè si abbia scienza la teoria è essenziale.

Altrimenti anche la parodia di Diana e della banda-spaghetti diventerebbe seria: la pirateria e il cambiamento climatico sono fenomeni correlati! A dirlo è la Scienza!

In realtà trattasi solo di "descrizioni del reale", non di conclusioni scientifiche.

Per capirci meglio, facciamo il caso di tre "descrizioni statistiche" della realtà che ricaviamo dopo test somministrati in modo accurato ma con una loro intrinseca affidabilità limitata:

1. gli atei sono più intelligenti (affidabilità 90%);
2. pirateria e cambiamento climatico sono collegati (affidabilità 60%);
3. io ho l' AIDS (affidabilità 99%).

Anche se i test che ho usato sono accuratissimi dal punto di vista scientifico e conosco in modo scientifico il loro grado di affidabilità, la conclusione che segue non puo' ancora dirsi scientifica. Manca la teoria! Manca il modello!

Prendiamo il caso 3 tanto per capirci meglio.

Il test a cui mi sono sottoposto e che registra la mia malattia ha un' affidabilità del 99%. Inserisco questo dato in una "vera teoria scientifica", una teoria che contempla, tra le altre, anche questa ipotesi: l' 1% della popolazione è affetta dall' AIDS.

Di colpo mi accorgo che la probabilità che io abbia l' AIDS è "solo" del 9%! Questa sì è una conclusione scientifica, magari sballata (se la teoria è sballata) ma perlomeno frutto di una teoria.

Notata la leggera differenza tra 9% e 99%? Ebbene, è la differenza che rischia di sfuggire a chi confonde una "conclusione statistica" con una "conclusione scientifica".

Non scambiamo dunque la descrizione statistica (99% di affidabilità dell' affermazione "io ho l' AIDS") con la teoria sceintifica (9% di affidabilità dell' affermazione "io ho l' AIDS").

Entrambe le conclusioni sono corrette ma vanno valutate per quello che sono: una descrive cio' che osservo, l' altra teorizza complessivamente sulla realtà. Entrambe sono rilevanti e interagiscono tra loro restando pur sempre concetti ben differenziati. In altri termini, una teoria scientifica puo' subire importanti revisioni dopo alcuni rilievi statistici ma cio' non significa che la singola statistica si trasformi in "scienza".

Inutile aggiungere che se l' affermazione pastafariana ("pirateria ed effetto serra sono collegati") venisse inserita in una teoria scientifica minimamente credibile, la sua affidabilità collasserebbe praticamente a zero.

Nei modelli economici si postula l' agente razionale, eppure la psicologia sperimentale ci dice ogni giorno quanti e quali bias affliggano il povero decisore. Ma quando questi "difetti" statisticamente tanto appariscenti vengono inseriti nel modello diventano immediatamente trascurabili.

Una probabilità ci informa veramente quando viene fatta reagire con le altre e questo puo' realizzarsi solo se abbiamo una "teoria". In altri termini: quando si ha a che fare con l' incertezza solo l' impostazione bayesiana puo' dirsi razionale e quindi scientifica.



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causa e statistica

Crescita e democrazia

Barro rules.

Ma la democrazia è più flessibile.

Con nemici così!

Vi ricordate il prof. Cipolla e le sue leggi sulla stupidità umana?

Stupido è colui che con la sua dabbenaggine riesce, diversamente dal bandito comune e dal masochista, a danneggiare tutti gli attori in gioco. Non è un' impresa così facile, eppure molti "geni" ci riescono.

Per chi è allergico alla teoria parolaia, urge un trasparente caso pratico in grado d' illuminare.

A caccia del "coglione" per antonomasia, mi sono rivolto d' istinto alla conaca politica che offre un vasto assortimento, ma mai caso fu tanto preclaro quanto quello dell' esimio fu-ministro Padoa-Schioppa quando ebbe a dire: "... le tasse sono bellissime..."

Da allora per la banda-Berlusconi non fu più necessario abbassare le tasse al fine di vincere le elezioni; bastò far capire che per loro "le tasse fanno schifo" badando bene a non muovere un dito. Incamerare il voto fu un gioco da ragazzi, poichè per l' elettore medio fu quasi impossibile a quel punto indirizzarlo altrove.

Il provvedimento non si rendeva più necessario e ad andarci di mezzo fu l' intero paese: Padoa Schioppa risultò essere non un Tafazzi qualsiasi ma una vera calamità per tutti. Non nego che lui alzò il martello avendo di mira solo i propri "coglioni" - pratica comune a sinistra -, sta di fatto che con la sua uscita sconsiderata pestò bruscamente sui "coglioni" dell' intera nazione assecondando la nozione cipollesca di "stupidità umana".

L' aneddotto mi serviva in realtà per strizzare al massimo la mia analisi degli ultimi 10 anni di politica italiana.

E' con felice stupore che, scrutando dall' altra parte della barricata, ritrovo molto di cio' che pensavo in una magistrale lettera aperta a Bersani inviata dal Prof. Bisin:

... qual è la vostra analisi degli ultimi 15 anni di politica in Italia? Io non l'ho sentita, o quantomeno non ho sentito nulla di coerente. Mi permetto di suggerirle io un'analisi, chiedendole di smentirla, di argomentare che ho torto. L'analisi è molto semplice, persino (volutamente) semplicistica: il centro sinistra in Italia ha sviluppato la reputazione di essere il partito delle tasse (la reputazione è peraltro ben riposta). La destra, di conseguenza, riesce ad ottenere il voto di coloro che pagano troppe tasse e di coloro che non le pagano per niente (cioé di tutti i cittadini per cui le tasse hanno un posto rilevante tra le motivazioni di voto), senza fare assolutamente nulla, semplicemente dichiarando che faranno di tutto per abbassarle. Lei dirà che voi le tasse le volete solo far pagare agli evasori. E lo dirà con quel tono poco originale, un po' triste addirittura, che aveva usato da Mentana. Come se fosse ovvio. E lo è ovvio, se non fosse che se gli evasori pagassero le tasse, e quelli che le pagano adesso continuassero a pagarle, il paese sarebbe enormemente più asfissiato di quanto già non sia. Le parlo anche da economista, mi permetta...

Vale davvero la pena di leggerla tutta.

venerdì 5 marzo 2010

IQ and the Economic Way of Thinking

Legame stretto.

Aste sospette alla NYU

... partecipare è facile, fatevi sotto...

La vita è bella!

La vita è dura... ma vale la pena viverla.

Anche solo la gioventù (il periodo più terribile), vale sempre la pena di essere vissuto. La gioia di certe guance arrossate vale l' angoscia della precarietà sentimentale.



C' è solo una coppia di persone che non sottoscriverebbe: l' incoerente e chi sta approntando il proprio suicidio.

Se è così allora ogni vita, per quanto travagliata, apporta un saldo positivo di felicità.

Ne tengano conto gli economisti del benessere, per aumentare la felicità su questa terra possiamo incrementare la felicità delle vite esistenti oppure - in alternativa - incrementare il numero delle vite esistenti.

La cosa sconcertante è che la seconda via è molto più semplice da perseguire della prima!

Eppure per molti è una via logica ma "ripugnante".

Per altri ancora è avventato applicare le logiche utilitaristiche alla società umana: si applichino piuttosto agli animali, in modo da nobilitare la loro condizione e avvicinarla alla nostra.

Ma così facendo le conseguenze sconcertanti anzichè lasciarci raddoppiano: qual è infatti il primo motivo per cui la popolazione di vacche è tanto numerosa in rapporto a molte altre specie animali?

Indovina un po'... ma è ovvio, sono tante perchè l' uomo è carnivoro. E' la domanda di carne che spinge il numero, e il numero, secondo la logica di cui sopra, incrementa la felicità complessiva delle vacche.

E' sensato parlare di "felicità" quando l' oggetto di discussione sono... le "vacche"? Boh, di sicuro lo è di più per un animalista, quanto dico è dunque rivolto a lui in prima istanza.

Ma torniamo a noi e al nostro sconcerto: quanti più macellai, tanta più felicità per i macellati. Il vegetariano si trasforma nel nemico giurato della felicità bovina e la sua difesa etica si presenta ora molto problematica.



N.B. per togliersi dall' impiccio, il problema filosofico da risolvere non è semplicissimo e una mano è sempre benvenuta.

giovedì 4 marzo 2010

Buoni e test

Quantitative evidence

Al di là di ogni ragionevole Ragione

All'art. 533 codice penale: «se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli, il giudice pronuncia sentenza di condanna auando la colpevolezza è provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza»

Non così per la giustizia civile, qui per la condanna basta la "preponderante evidenza": non è, dunque, necessario raggiungere la certezza "oltre ogni ragionevole dubbio", ma è sufficiente affidarsi alla regola "più probabile che non" (insomma più del 50%).

Motivi di scetticismo verso il principio garantista sono già emersi, ora vorrei solo segnalare la sua incoerenza.

Immaginiamo una società in cui la Giustizia sia retta, tra gli altri, anche da questi tre principi.

Principio prudenziale: per il quale si accoglie il dettato del nostro art. 533 codice penale.

Principio proporzionale: la pena è proporzionale all' offesa (esempio, l' assassinio è punito con la morte).

Principio libertario: le violazioni procedurali, diversamente da quelle sostanziali, sono punite in via amministrativa (multa, ammenda...).

Non mi sembrano ipotesi particolarmente forti. Adesso faccio un caso concreto e mostro come un sistema del genere sia insostenibile.

1. Giovanni ha assistito ad una scena terribile: la sua figlioletta stuprata e uccisa da Giulio. Tra i due non è mai corso buon sangue.

2. Ora Giulio è sotto processo e Giovanni testimonia contro di lui.

3. Nel processo vengono presentate una serie di prove a carico e a discarico dell' imputato.

4. Il giudice assolve Giulio applicando il primo principio: non è possibile provare la sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, per quanto l' evidenza a suo carico sia "preponderante".

5. Alla lettura della sentenza Giovanni si alza, estrae una pistola e stende Giulio.

6. Giovanni viene prontamente bloccato e consegnato alla Giustizia. Anzi, si consegna lui stesso considerato che basterà pagare una multa per tornare a casina.

Eh sì, non vedo alternative, infatti...

... 1) se Giulio non è un assassino, allora lo è Giovanni e... altro che multa; 2) se invece Giulio è un efferato assassino di minorenni, allora Giovanni - pur violando le procedure - nella sostanza si è limitato a fare giustizia e non puo' essere considerato a sua volta un assassino.

Chi giudica Giovanni, vincolato dalla sentenza emessa nel processo a Giulio, dovrà necessariamente scagionarlo limitandosi, al limite, ad infliggere un' ammenda.

Da notare che neanche se giudicassimo Giovanni adottando il criterio della "preponderante evidenza" potremmo mai condannarlo per assassinio, per quanto abbia ucciso un innocente!

Questa conclusione è decisamente insoddisfacente ma segue dall' applicazione dei tre principi cardine.

A quale principio rinunciare per ricondurre tutto al buon senso? Per un libertario la scelta è obbligata, rinuncerà al primo, quello che più rompe le balle, cosicchè il principio anti-garantista della "preponderante evidenza" troverà applicazione universale in un sistema coerente di regole.

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N.B. ai sensibili faccio notare che l' ipotesi specifica della "pena di morte" non è un fattore necessario per costruire il paradosso. Se l' ho inserita nella storiella è solo per renderla più vivida.

Gli incontentabili

"... le musiche atonali e seriali sono ulteriori segnali della divisione del lavoro produttivo presente in tutte le società avanzate. Il mondo è divenuto così ricco e differenziato che alcuni compositori creano della musica che piaccia solo a persone con un senso molto particolare e raffinato. Un gruppo talmente sparuto ed elitario che prima non poteva essere "radunato" e soddisfatto senza costi iperbolici. Questo è il modo migliore di pensare a molte forme artistiche che magari detestate..."

Tyler Cowen

martedì 2 marzo 2010

La strana coppia: il Pigro e il Ciarlatano

Sapevamo già che la schiatta degli intellettuali pencola vistosamente a "sinistra". Eccezion fatta per gli economisti.

[...Forse lo studio dell' economia è raccomandabile per avere cura e proteggere i valori della destra conservatrice e libertaria...].

In realtà per spiegare quanto sopra le teorie fioccano, non ci sono problemi.

Ma ora c' è di più.

A quanto pare i progressisti sono più intelligenti. Così come lo sono gli atei.

Dimenticavo, anche la fedeltà del marito è correttamente predetta dal suo QI.

A dirlo è Satoshi Kanazawa. Un' autorità nel campo. Con garanzie del genere a Maria Laura Rodotà sembra di sognare e corre a riprendere tutto sul Corriere.

Spiegazioni in merito?

Boh, forse la Tradizione è un ombrello sotto il quale credono di trovar protezione i meno dotati.

Direi comunque di non scervellarsi troppo poichè ci sarebbe una spiegazione ancora più semplice: gli studi "dell' Autorità" sono semplicemente inaffidabili.

Poichè la liquidazione è fatta, calcolatrice alla mano, da "compagni di cordata" empatici con l' "Autorità", vale proprio la pena di prenderla sul serio.

E dire che qualcuno se la prende quando s' imbatte in idee "corredate" da numeri! Vedo in questo atteggiamento la difesa preventiva del pigro.

Magari tutti i ciarlatani ricorressero a questo espediente! Con un po' di pazienza sarebbe facile smontare per benino le loro avventate conclusioni.

Forse questo genere di "ciarlatani" confida nel pigro, cerca di avvalersi della sua presenza per costruire un connubio parassitario.

Nel pigro abbonda l' insulto ma scarseggia l' impazienza. Il pigro corre a suonare la campana dell' allarme ma la sua è una campana fessa, fatta di risentimento e rancore. E' chiaro chi esce vincente dal confronto.

Si tratta però di una vittoria di Pirro se nei paraggi, lo speriamo vivamente, c' è invece un sereno "smontatore" che si è sottratto alle infuocate prediche del Pigro.

I veri ciarlatani purtroppo sanno bene che la via maestra è un' altra ed è lastricata di "paroloni", "vaghezza" e tanta "Storia".

Chi ha scelto la via dei numeri tace ora in silenzio (ha trovato un calcolatore paziente), ma chi ha scelto la via corretta dei "paroloni" puo' invece strombazzare impunito vita natural durante.

lunedì 1 marzo 2010

Checklist (reprise)

Le considerazioni sulla checklist hanno dato vita ad una ridda di puntualizzazioni. Non c' è accordo su cosa sia una verità relativa e secondo Davide la checklist non serve a nulla poichè sulle "verità assolute" non si discute e non si pensa.

Mi dissocio con veemenza da una simile visione che confonde il non-relativismo con l' infallibilismo. Cerco di facilitare la comprensione di cio' che intendo attraverso una storiella da sgranarsi in 10 punti:

1."X" e "Y" sono due verità, la prima di carattere assoluto, la seconda relativo.

2.Giovanni e Giacomo credono che sia X che Y siano verità assolute.

3.Giorgio la pensa come Giovanni e Giacomo. Diversamente da loro, però, si crede infallibile.

4.Giulio, un relativista, crede che entrambe le verità siano relative.

5.Un bel giorno diventa chiaro a tutti (il "come" è irrilevante) che "Y" ha una natura relativa.

6.Giovanni prende atto del suo errore: ora crede che Y sia una verità relativa e X una verità assoluta.

7.Giacomo prende atto del suo errore ed entra in crisi. Sfiduciato decide di diventare un relativista. Ora per lui tutte le verità sono relative, anche "X".

8. Giorgio, pur di non mettere in discussione la propria infallibilità, è costretto a vivere negando cio' che è evidente a tutti, e in fondo anche a lui.

9.Giulio si compiace di sé e spera che presto tutte le verità mostrino di essere relative.

10.Conclusione: ora solo Giovanni è nel giusto.

Se leggendo a mente sgombra la favoletta vi sembrerà semplice e comprensibile, allora probabilmente c' intenderemo. Se capite quanto è successo, ci sono le premesse per capirci anche tra noi. Se invece non capite un' acca, se vi apparirà come un ginepraio zeppo di sofismi, allora c' è qualcosa che non va e che dobbiamo chiarire.

sabato 27 febbraio 2010

Onitsuka Tiger e guance di riserva

Ogni volta che rivede Kill Bill la Sara va in visibilio, nei suo occhi compare la stessa spirale che si crea nell' occhio del leprotto anabagliato. Risuonano invano i richiami alla realtà (tipo il fischio della pentola a pressione).

Spenta la TV, come i bambini, corre ad indossare le amate Onitsuka Tiger gialle. Poi scalcia in tutte le direzioni senza costrutto emettendo strani gemiti. Io fungo da riluttante "sacco".

Sull' altro angolo del divano intanto la Cristina fa smorfie perplesse: il film non le piace. Esalta la vendetta e lei è per il perdono.

Anche Sara è, in teoria, per il perdono.

E pure io simpatizzo per il perdono per quanto, senza gli eccessi di cui sopra, gradisca il film.

In qualcuno di noi tre c' è qualcosa che non va.

Possiamo apprezzare un' opera d' arte che veicola valori in cui non crediamo e che, anzi, crediamo nocivi?

Sara: Sììììì!!!.
Cristina: No
Riccardo: No

Giù il cappello alla Cristina, ma che fortuna per la Sara: potrà godersi Madame Bovary, capolavoro di certo interdetto a Cristina.

E io? Come concilio il mio "godimento" con il "no"? Boh, forse Kill Bill non veicola affatto il valore della vendetta.

Sospendo la storiella su Kill Bill per una digressione più generale.

Capita tutti i giorni d' interpretare un' opera in modo difforme dall' autore. Veri capolavori sembrano uscire da menti che reputo perverse quando si cimentano nella decodificazione del reale quotidiano.

Spiegazione?

Forse il talento artistico è la capacità di traslare il reale in un' altra dimensione facendo appello ad un miracoloso principio di conservazione. Qualcosa di essenziale si mantiene.

Cio' spiegherebbe strani fenomeni: quanto più la traslazione è riuscita, tanto più il giudizio artistico è positivo senza riserve; tanto più la traslazione è riuscita, quanto più l' interpretazione dell' opera è divergente. Esattamente perchè lo era già quella primigenia avente per oggetto la realtà.

Ora concludo su Kill Bill.

Quando da piccolo giocavo a soldatini m' inventavo mille avventure e le simulavo con i miei eroini di plastica petroleosa.

Da grande non gioco più con i soldatini ma la passione si conserva sotto mentite spoglie. Si è solo trasformata assumendo le sembianze del collezionismo: cerco il pezzo pregiato, con l' anatomia curata, dipinto a mano, raro, costoso. Per quanto questa passione sia piuttosto necrofila, non dubito che siano in molti a capirmi.

Mi sa tanto che Tarantino gira i suoi film con la mentalità del collezionista: vuole prolungare con modalità "adulte" la piacevole compagnia di manufatti che tanto lo sedussero da spettatore imberbe (film di Kung-fu, poliziotteschi italiani...).

A Sara, molto più semplicemente, piace ancora "giocare" a soldatini, è immune dalla necrofilia collezionistica, a lei piace proprio identificarsi con dei pezzettini di plastica. Cio' fa sì che senta l' esigenza di giustificarsi avanzando quel suo scandaloso "sì".

Io posso permettermi un "no" visto che non sto affatto giocando a soldatini, che non sto affatto scegliendomi un eroe, procedura che ormai mi annoia profondamente. Sto solo apprezzando dei bei colori, delle belle musiche che esplodono al punto giustio... e l' igegnosità inattesa della mossa letale con cui Uma conficcherà il chiodo nel cranio del cattivone. Ingegnosità apprezzabile a prescindere dal possessore del cranio offeso.

venerdì 26 febbraio 2010

Dopo il "se", il "come"

Dovrebbe funzionare così:

Punto primo: decido in coscienza di agire e procedo.

Punto secondo: il mio cervello si appronta quindi per dare istruzioni alla "periferia".

Punto terzo: la periferia del mio corpo riceve l' odine e si mette in moto.

Punto quarto: l' azione è compiuta, l' ho voluta io e ne sono responsabile.

Poichè sono libero, le cose dovrebbero andare all' incirca come le ho descritte.

Purtroppo però le cose non stanno così.

Per averne contezza basta procurarsi un registratore con il microscopio, ascoltare e guardare. Ci si accorgerà che nei fatti il secondo punto precede il primo.

Io decido dunque quando il mio cervello è già in azione da mo' (ben 200 millesimi di secondo, un' eternità).

L' inconveniente non rimette in discussione il "se" sono libero, ma il "come" lo sono.

Sul "se" ognuno resta della sua idea. Ma sul "come" ora ne so di più.

So che la mia libertà opera in forma di veto. So che non dà inizio ad un' azione, si limita ad autorizzarla o ad inibirla.

Conseguenze per l' etica: è più appropriato che il comando etico si esprima nella forma del "non fare" piuttosto che nella forma del "fare". I divieti sono più consoni degli obblighi.

Pensiamoci due volte prima di stigmatizzare l' inazione. Pensiamoci tre volte prima di stigmatizzare l' omissione. Forse cio' non siamo responsabili di cio' che non abbiamo fatto.

E se non intervengo per salvare chi muore? Lasciate che trascuri questa domanda fastidiosa.

"Non rubare", "non uccidere"... sono i miei comandamenti preferiti. E adesso capisco meglio anche il perchè.

"Non fare agli altri cio' che non vuoi venga fatto a te stesso" mi è sempre suonato meglio rispetto al "fai agli altri cio' che vuoi...". E adesso capisco il perchè.

Qualcuno ci vede persino una giustificazione fisiologica del peccato originale.

La tentazione è propria di tutti, è propria anche del Santo. Ma molti rinvengono qualcosa di "peccaminoso" nell' indugiare sull' immaginazione tentatrice, eppure, per quanto detto, non possiamo definire tutto cio' "peccato". Definiamolo allora "peccato originale", un peccato che appartiene a tutti ma da cui siamo stati mondati.

Speculare sulle conseguenze etiche potrebbe apparire spericolato. Basterebbero quelle civili: tutto cio' che non è vietato è consentito. Un inizio promettente per la scarsa ambizione dei libertari.

In lode del microsuffragio

Sei un politico corrotto più volte pescato con le mani nella marmellata?

Rilassati, se ti sottoponi a libere elezioni hai buone possibilità di rinnovare le tue imprese.

Sei un politico onesto ed incapace? Rilassati due volte: la democrazia è il tuo paradiso e la rielezione quasi certa.

Se in giro per il mondo c' è una politica idiota (esempio: blocco totale della circolazione per combattere l' inquinamento) quasi certamente è adottata da un governo democraticamente eletto. Puoi giurarci.

D' altronde lo sappiamo tutti, la democrazia è qualcosa di pessimo, ma non troviamo niente di meglio.

Però ci sono due però: 1) ormai sappiamo a memoria perchè la democrazia è un sistema "pessimo" 2) ci sono un miliardo di varianti democratiche.

PUNTO UNO (diagnosi). Le democrazie non funzionano perchè gli elettori sono dei "pessimi" soggetti: quando non sono del tutto disinteressati, sono ignoranti; quando non sono del tutto ignoranti, sono ideologizzati.

Perlomeno non sono stupidi, poichè hanno un valido motivo per essere come sono: il voto di ogni singolo elettore vale meno di zero.

Ma perchè votano, allora? O per inerzia o perchè piace loro. Professare un' ideologia è piacevole oltrechè rassicurante. E il voto, essendo una scelta irresponsabile, è il momento ideale per la professione ideologica.

PUNTO DUE (terapia). Fare in modo che il voto conti. Per esempio facendo votare lo 0.001% della popolazione.

Restringete a piacimento fino ad ottenere il suffragio desiderato.

Diciamo che in Lombardia voterebbero 100 persone. Va bene?

Sarebbero scelte una settimana prima dello scrutinio in modo che su di loro sia impossibile esercitare pressioni serie.

Sarebbero scelte in modo casuale. Regola semplice, brogli ridotti. Il baro è sempre in cerca di regole, senza regole dietro cui nascondersi dispera.

Sarebbero scelte rispettando pochi vincoli di rappresentanza del corpo elettorale (sesso, età e...).

Sarebbero segregati in compagnia di esperti e candidati in una casa di vetro dando vita ad un Grande Fratello a reti unificate. E lì... incontri, dibattiti, conferenze a go go. Dopodichè, il voto.

Fine del discorso. Manca solo la domanda clou.

Perchè non si cambia se praticamente tutti gli esperti concordano nel ritenere che un sistema simile produrrebbe esiti migliori?

Boh, probabilmente, come per molte idiozie, bisognerebbe tirare fuori la questione dei "simboli". Proprio come per il "blocco totale del traffico".

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giovedì 25 febbraio 2010

Principio di conservazione

Ogni volta che rivede Kill Bill la Sara va in visibilio, nei suo occhi compare la stessa spirale che si crea nell' occhio del leprotto anabagliato. Risuonano invano i richiami alla realtà (tipo il fischio della pentola a pressione).

Spenta la TV, come i bambini, corre ad indossare le amate Onitsuka Tiger gialle. Poi scalcia in tutte le direzioni senza costrutto emettendo strani gemiti. Io fungo da riluttante "sacco".

Sull' altro angolo del divano intanto la Cristina fa smorfie perplesse: il film non le piace. Esalta la vendetta e lei è per il perdono.

Anche Sara è, in teoria, per il perdono.

E pure io simpatizzo per il perdono per quanto, senza gli eccessi di cui sopra, gradisca il film.

In qualcuno di noi tre c' è qualcosa che non va.

Possiamo apprezzare un' opera d' arte che che veicola valori in cui non crediamo e che, anzi, crediamo nocivi?

Sara: Sììììì!!!.
Cristina: No
Riccardo: No

Giù il cappello alla Cristina, ma che fortuna per la Sara: potrà godersi Madame Bovary, capolavoro di certo interdetto a Cristina.

E io? Come concilio il mio "godimento" con il "no"? Boh, forse Kill Bill non veicola affatto il valore della vendetta.

Sospendo la storiella su Kill Bill per una digressione più generale.

Capita tutti i giorni d' interpretare un' opera in modo difforme dall' autore. Veri capolavori sembrano uscire da menti che reputo perverse quando si cimentano nella decodificazione del reale quotidiano.

Spiegazione?

Forse il talento artistico è la capacità di traslare il reale in un' altra dimensione facendo appello ad un miracoloso principio di conservazione. Qualcosa di essenziale si mantiene.

Cio' spiegherebbe strani fenomeni: quanto più la traslazione è riuscita, tanto più il giudizio artistico è positivo senza riserve; tanto più la traslazione è riuscita, quanto più l' interpretazione è divergente. Esattamente perchè lo era già quella primigenia avente per oggetto la realtà.

Ora concludo su Kill Bill.

Quando da piccolo giocavo a soldatini m' inventavo mille avventure e le simulavo con i miei eroini di plastica petroleosa.

Da grande non gioco più con i soldatini ma la passione è rimasta sotto mentite spoglie. Si è solo trasformata assumendo le sembianze del collezionismo: cerco il pezzo pregiato, con l' anatomia curata, dipinto a mano, raro, costoso. Per quanto questa passione sia piuttosto necrofila, non dubito che siano in molti a capirmi.

Mi sa tanto che Tarantino gira i suoi film con la mentalità del collezionista: vuole prolungare con modalità "adulte" la piacevole compagnia di manufatti che tanto lo sedussero da spettatore imberbe (film di Kung-fu, poliziotteschi italiani...).

A Sara, molto più semplicemente, piace ancora giocare a soldatini, piace identificarsi con dei pezzettini di plastica. Cio' fa sì che senta l' esigenza di giustificarsi avanzando quel suo scandaloso "sì".

Io posso permettermi un "no" visto che non sto affatto giocando a soldatini, che non sto affatto scegliendomi un eroe, procedura che ormai mi annoia profondamente. Sto solo apprezzando dei bei colori, delle belle musiche che esplodono al punto giustio... e l' igegnosità inattesa della mossa letale con cui Uma conficcherà il chiodo nel cranio del cattivone. Ingegnosità apprezzabile a prescindere dal possessore del cranio offeso.