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mercoledì 6 agosto 2008

Un uomo generoso

John esce da Messa come tutte le Domeniche, non ne perde una ormai da anni. Esce da lì con tutta la sua famiglia. Ha cinque figli e oggi, come d' abitudine, anche i due sposati raggiungono il padre e la madre per pranzare con le loro consorti tutti insieme nel giorno della festa. Si fanno quattro chiacchere sul sagrato, sempre le stesse. Nel mirino ci sta stanno, come al solito, il governo e i politici, la lamentela sulle tasse è un "must".
***
Ecco in queste poche righe il ritrattino sociologico di un uomo generoso. Di un uomo propenso a donare tempo e denaro agli altri.

Sono le conclusioni a cui giunge Arthur Brooks, forse lo studioso che più sa trattare i numeri relativi al volontariato, alla filantropia e alle donazioni private.

Sto leggendo il suo libro, vedi sul "comodino" del blog. Certo, lui si occupa degli USA. Ma consideriamo che gli USA sono il paese di gran lunga più generoso dell' Occidente, e faccio tutte le proporzioni del caso.

Secondo la sua indagine, tre sono i fattori che meglio predicono la generosità di una persona:

- lo spirito religioso;

- la vocazione famigliare;

- l' atteggiamento scettico verso ogni redistribuzione governativa.

mercoledì 9 luglio 2008

Nuove aristocrazie

La meritocrazia sembra sia un' invezione del socialismo europeo, in particolare fu partorita all' interno del labour party dall' eminenza grigia Michael Young.

L' intento era quello rendere tollerabili anche forti diseguaglianze in presenza di una forte mobilità sociale. Una vera rivoluzione che oggi potremmo chiamare anti-sessantottina.

I risultati non furono molto soddisfacenti poichè i ragazzi migliori selezionati nei test provenivano tutti da famiglie ad alto reddito.

I nostalgici del buon vecchio egalitarismo alzarono subito la voce.

Ma altre minacce incombevano sul progetto.

Dopo un periodo di riflessione Young prese le distanze dalla sua creatura: era partito con l' intento di abbattere i provilegi ma si accorgeva che stava creando una nuova aristocrazia fondata sul talento e probabilmente sulla genetica (aristocrazia dello sperma fortunato). Era infatti molto probabile che i "migliori" conducendo vita simile si sposassero tra loro.

Forse la meritocrazia non era concetto molto idoneo a conciliarsi con l' ideale socialista.

Il libro di Young è piuttosto visionario, si conclude con la rivoluzione dei QI bassi, il proletariato del futuro.

In una società come quella USA, poco "socialista" e poco amante delle paturnie filosofiche - alle visioni di Young avrebbe potuto interessarsi giusto Hollywood - ci si preoccupo' poco di questi sviluppi inquietanti.

In fondo la selezione meritocratica sarebbe andata a vantaggio di tutti. Anche perchè l' élite avrebbe pur sempre agito in un quadro liberale, vera garanzia di tutta l' operazione.

Gli eredi di Young non abbandonano il progetto e si dimostrano più fiduciosi del maestro. Cercano d' insistere sulle pari opportunità a partire dall' inizio, dall' ambiente famigliare di partenza e dalla possibilità di uniformarlo.

Forse, in termini di efficientismo, una simile variante è saggia. Ma non mi sembra certo in grado di tranquillizzare granchè chi nutra preoccupazioni vicine a quelle di Young.





***




Cosa ostacola l' introduzione di meritocrazia:



  1. L' invidia. L' egalitarismo meritocratico non allevia le pene dell' invidioso.

  2. La funzionalità. I test sono un valido strumento di selezione? Ovviamente non sempre, spesso ci sono dei dubbi, spesso richiedono un' integrazione sostanziosa. Con queste premesse è facile sostenere che non siano MAI validi. Chiediamoci: meglio una diseguaglianza ingiusta o una eguaglianza ingiusta? Coloro i quali reputano che un' ingiustizia valga l' altra (pochi), sono più disponibili a lavorare con i test e a migliorarli.

  3. L' effetto valanga. Una valutazione ne trascina con sè altre. Se posso stimare quantitativamente la preparazione di un allievo, posso stimare anche il contributo dell' insegnante e strutturare meritocraticamente anche quel settore. Cio' rende sospetta tanta opposizione ai test: anche chi si dimostrerebbe disponibile, consapevole delle conseguenze, alza un muro.

  4. Avversione al rischio. Una società stagnante (magari egalitaria e assistenziale) favorisce, seleziona e sviluppa l' avversione al rischio. Cio' spiega perchè spesso al merito si oppone anche il soggetto che, in termini di neutralità del rischio, migliorerebbe la sua condizione con le riforme.


  5. ...

lunedì 7 luglio 2008

Forme di welfare: microcredito ed evasione fiscale

Questo articolo sembra fare il punto in maniera credibile sulla pratica del microcredito.

Per alcuni, per esempio gli assegnatari del Nobel a Yanus, l' idea appariva forse come epocale.

Anche per questo alcune conclusioni meritano di essere evidenziate.

Non ci si aspetti che il microcredito risolva o allievi in modo significativo il problema della povertà. In genere è una boccata d' ossigeno, ma poche persone escono dalla loro condizione grazie a queste pratiche.

Il microcredito è sempre esistito, lo si sappia. Coloro che prendono i soldi dalle banche del microcredito, li prendevano senza molte difficoltà anche ieri. Ogni villaggio ha infatti sempre avuto il suo "prestatore" che agiva al di fuori del circuito bancario. Solo che le banche di oggi chiedono tassi intorno al 50-100%, il "prestatore" era invece più esoso, nonchè scrupoloso nel riscuotere. E' un miglioramento, certo, non una soluzione rivoluzionaria.

Il microcredito generalmente non aiuta lo start-up di nuove aziende. I denari ottenuti così vengono consumati in seno alla famiglia o risparmiati con l' acquisto di una mucca o di una capra (non si creda che la mucca sia un investimento! E' un risparmio: nessun povero risparmia in contanti, verrebbero subito parenti ed amici a chiedere favori non rifiutabili; la mucca invece non puo' essere fatta a pezzi). Al massimo si investe in beni da usare promiscuamente sia nell' azienda che in famiglia (per esempio il cellulare).

Non si creda nemmeno che il microcredito sia esente dall' incorporazione in titoli collaterali. Visto che siamo nel mezzo di una crisi subprime, ovvero di titoli minati da mutui concessi ai meno abbienti, la cosa non puo' che preoccupare.

Conclusione: quasi sempre il microcredito si risolve in una specie di elemosina con un lato positivo: consente al povero di mantenere un' attività che lo impegna durante la giornata e, quindi, una propria dignità personale. E' un' assistenza anche psicologica. Dall' altro canto cancrenizza le cose come stanno mantenendo in vita una miriade di imprese non produttive.

In un certo senso il microcredito ha effetti simili all' evasione fiscale tollerata a lungo specie nel sud Italia. Mancando di un vero welfare, si sorvola sull'evasione diffusa dei piccoli: costoro possono stare a galla conducendo la loro aziendina senza costituire un problema sociale: sbarcano il lunario e sono alle prese con un' attività che li impegna fattivamente e dà loro qualche soddisfazione illusoria. I pregi e i difetti sono i medesimi del microcredito: si campa ma ci si immobilizza con una produttività deprimente.

La struttura polverizzata del nostro sistema produttivo forse è dovuta anche a questo: 1) evasione fiscale tollerata che consente al micro imprenditore di portare avanti la sua impresa improduttiva (in fondo è meglio comandare che essere comandati) 2 e regolamentazione del lavoro dipendente oppressiva.



http://www.wilsoncenter.org/index.cfm?fuseaction=wq.essay&essay_id=361250

giovedì 26 giugno 2008

Se a 7 anni è già tardi

Certo che le ormai stagionate provocazioni di The Bell Curve continuano ad irradiare conseguenze a decenni di distanza.

I provvidenziali provocatori ci fanno notare come l' IQ misurato a 15 anni è l' arma migliore che abbiamo nelle mani per predire il successo materiale socio-economico di una persona nel corso della sua vita.

Quello che accadrà dopo non è statisticamente molto rilevante. Su quello che è accaduto prima ne sappiamo ben poco.

Murray è percepito come un cattivone, molti sospettano che voglia andare a parare sulla genetica.

Poichè Murray è un libertario il passaggio che pregusta forse è questo: quanto più la genetica "conta", tanto più inutili sono le politiche di "pari opportunità".

Molti "glielo hanno fatto dire", ma in realtà nel libro ci sono solo dei puntini di sospensione.

Per intanto sappiamo quanto poco servano politiche di pari opportunità implementate tardivamente. E su questo anche i liberal cominciano a convenire.

La premessa rilevante è che, persino in italia, la sinistra sembra oggi disposta ad accettare una nozione di eguaglianza incentrata sulla parità di partenza anzichè sulla parificazione a posteriori. Deve quindi ora fare i conti con Murray, non puo' più eluderlo.

La posizione di James Heckman sembra la più cristallina in merito: parificare l' ambiente partendo dalla scuola dell' obbligo puo' essere tardi. Figuriamoci dopo: le politiche di pari opportunità incentrate sull' adulto sono una perdita secca, così come quelle implementate nei college e nei licei.

Il momento in cui si decidono gran parte delle sorti è la prima infanzia e la risorsa scarsa è la qualità delle relazioni familiari. Lì bisogna investire per una vera politica contro le diseguaglianze.

I gap cognitivi ed emotivi che si registrano a 18 anni, compaiono già a cinque.

Devo dire che anche le conclusioni di JH lasciano un pochino con il brivido. Anche se l' autore mette le mani avanti dicendo che tutto deve svolgersi rispettando la "family sanctity", l' incentvo al "sequestro" dell' infanzia e all' allevamento in batterie permane.

Sarà questo il vicolo cieco delle "pari opportunità"? Anche senza arrivare alla genetica il malefico Murray avrebbe colpito.

P.S. del resto le interazioni ambiente/geni sembrano esistere e magari i "pari opportunisti" vedrebbero con favore lo sviluppo di un gene che immunizza dall' ambiente (fantascienza? No). Magari da regolare in modo che si ampli l' influenza dell' ambiente e si possa tornare spensierati a politiche sui trantenni riferendole alle "pari opportunità".

giovedì 19 giugno 2008

I poveri come nuovi parassiti

Negli Stati Uniti comincia a serpeggiare il credo che i veri parassiti siano i poveri e non i ricchi.

Lo ribadisce Kenneth Arrow constatando, tra l' altro, da dove provengano le contestazioni più aspre alle varie "affirmative action": dai giovani bianchi figli dei colletti blu.

Ci sono poi le ore lavorate: aumentano vertiginosamente con l' aumentare del reddito.

mercoledì 11 giugno 2008

Quel libertario di nome Gesù

Ma Gesù era un libertario?

Invitava il ricco a "dare" del suo, considerava tutto cio' un buon investimento. Non lo invitava a prendere con la forza da altri per dare.

Come dice il senatore Tom Coburn:

"... show that true giving and compassion require sacrifice by the giver. This is why Jesus told the rich young ruler to sell his possessions, not his neighbor's possessions. Spending other people's money is not compassionate..."

Le condizioni necessarie per arruolarlo tra i libertari ci sono. Mancano quelle sufficienti.

Questa lacuna ha portato ad un' evoluzione un po' forzata del messaggio evangelico.

Oggi si ritiene che il governo debba intervenire in aiuto dei più bisognosi laddove la società civile non ce la faccia.

E' il principio di sussidiarietà.

Diventa chiara una cosa: se la società civile è in grado di cavarsela, allora Gesù resta un libertario.

Non è poi così impossibile dimostrare che la filantropia privata, laddove lasciata libera di agire, sopravanza i programmi pubblici.

E lo fa sia in termini di efficienza che in termini quantitativi.

Vuoi vedere che anche il Gesù riveduto e corretto resta un libertario/liberista?

Se non è l' Emilia Romagna è la Svezia

Alcune battaglie internettiane tornano sempre. I cripto-socialisti, sempre a corto di concretezza, vivono abbarbicati al mito della Svezia e dei paesi scandinavi. Ecco un buon articolo per respingere gli ultimi assalti velleitari su questo fronte.

Che la Svezia abbia recentemente registrate delle performances relativamente buone non significa granchè.

Quel che conta è sapere se il suo welfare esteso ne sia la causa e non piuttosto un freno rilevante e un produttore di inefficienze.

La forte disoccupazione effettiva del Paese smbrerebbe avallare la seconda ipotesi.

Un dato interessante è l' alto assenteismo sul lavoro: in uno dei popopli più sani della terra si registra il record OCSE di malattie e congedi sul lavoro. La rigida etica protestante è un vantaggio buttato alle ortiche dai cattivi incentivi dell' assistenzialismo.

Senza contare che queste inefficienze altrove sarebbero amplificate poichè la Svezia è favorita da contingenze quali il fatto di avere una popolazione omigenea.

Spesso si citano alcuni settori particolarmente virtuosi come quello della scuola, quello pensionistico o la libertà sui mercati in genere. Ci si dimentica di dire che sono proprio i settori dove sono intervenute profonde riforme in controtendenza da parte dei governi conservatori.

"... in other words, Swedish social democracy, and its concomitant hostility to entrepreneurship and overly generous network of financial benefits for immigrants and asylum seekers, is a significant contributor to high unemployment rates..."

"... one final point. Amazingly, Geier revels that "the Swedish economy is competitive, the school system offers choice, and pensions are partially privatized" but fails to note—or is simply unaware—that almost all of these policies were either implemented or introduced by the conservative government of Carl Bildt, against the strenuous objections of the Swedish left, after the economy sunk into a deep recession in the 1990s..."

"... Sweden does have the highest rate of workers on sick leave in Europe, despite being consistently ranked by the OECD as Europe's healthiest country..."

"... Geier argues that it is absurd to claim that Sweden's welfare "success" (cough) has benefited from a "homogeneous population" and cites "blogger and political science professor Lane Kenworthy... Geier, debunker of myths about Sweden and Swedish socialism, surely knows that the plurality of the foreign-born in Sweden are Finns and Finlandsvensk—Swedish-speaking Finns—who are very much a part of the Nordic welfare tradition. This will soon change, with the influx of asylum-seekers from the Middle East, and we'll soon see how much stress this puts on the "Swedish model." That said, and as Geier seems to concede but not comprehend, the remaining 87 percent are native-born Swedes with, for the most part, a common cultural, religious/irreligious, social, and political heritage. This is, obviously, not the case with native-born Americans, a patchwork of ethnicities and religious affiliations. (Incidentally, I am an American-born permanent resident of Sweden.)..."


ADD1 altri links sul tema.

giovedì 5 giugno 2008

Strumentalizzare male la felicità

Recenti studi di cui ho parlato anch' io, confermano un solido legame tra possesso di beni materiali e felicità.

Chissà perchè una conclusione del genere mette di malumore chi vorrebbe porre un freno al turbo-capitalismo.

Ma se davvero una reazione del genere esistesse, sarebbe infiondata. A meno che il nemico fosse il fantasma del "consumismo" inteso come mera astrazione filosofica.

In realtà se il legame di cui sopra non esistesse per niente non avrebbero nemmeno senso politiche redistributive in favore dei meno abbienti. Inutile dire che proprio queste sono le politiche preferite da chi poi assiste turbato alla confutazione dell' Easterline paradox.

E' la stessa co-autrice dello studio che lo conferma a Rob Lever:

",,, although backers of the Easterlin theory say it argues against unbridled pro-growth capitalism, Stevenson said the new research could also be used to promote more distribution of wealth.

"A 10 percent increase in income for a poor person will give you the same gain (in happiness) as a 10 percent gain for a rich person but it would cost a lot less," she said.

Accordingly, she said redistributing income from the rich to the poor could increase a country's overall happiness quotient..."

mercoledì 4 giugno 2008

Ragioni esoteriche e ragioni essoteriche

Ci sono almeno un paio di ragioni per cui una società organizzata intorno ad istituzioni di mercato abbia buone possibilità di evolvere e raggiungere uno status invidiabile di prosperità

Solo della prima di queste ragioni è lecito parlare con un certo orgoglio, quindi sparo subito tutte le mie cartucce.

Una società informata ai principi borghesi fornisce i "giusti" incentivi affinchè si operi alacremente al servizio del prossimo.

Sebbene in essa la fortuna resti elemento ineliminabile, il merito e il talento vengono spesso premiati quando non esaltati.

Cio' fa sì che merito e talento fioriscano e diano slancio alla costruzione di un bene comune.

Quando parlo di "giusti incentivi" mi riferisco ad incentivi corretti per un soggetto dotato di una natura che non puo' escludere un certo egoismo. Siamo dunque distanti da deleterie farneticazioni utopistiche.

Ma veniamo alle note dolenti.

La seconada ragione è infatti piuttosto infamante e da almeno un secolo ad essa non si puo' più nemmeno accennare. Parlo del darwnismo sociale, un processo che si coniuga bene con le strutture del capitalismo.

Come avviene questo connubio? Semplice: le istituzioni capitalistiche e il successo economico creano disparità di dotazioni tra i componenti della società. Cio' fa sì che nella "lotta per la sopravvivenza" esistano individui più attrezzati di altri e destinati a prevalere.

Se così è, nel tempo, la selezione formerà gruppi sociali sempre più idonei al fine di perseguire ricchezza e sviluppo. Le generazioni successive saranno spurgate della parte più "difettosa" del corpo sociale, della parte più aliena dal successo economico, della parte meno adatta a produrre ricchezza.

Oggi questo non è più vero in quanto la nostra sensibilità non ci consente di accettare questi processi un tempo abituali ed esemplificabili in molte forme.

Esempio, tanto per capirsi: su cinque concepimenti il ricco aveva tre nascite e mezzo, il povero neanche due. Evidentemente cio' era implicato alla disparità nelle dotazioni sanitarie e nell' alimentazione. E' evidente che imponendo una "sanità universale" il processo darwiniano venga smorzato: tutti avranno 2 nascite e mezzo.
Il campione nonchè propalatore del darwinismo sociale fu Herbert Spencer. Con i suoi ululati fece di tutto per farsi notare in Europa ma il suo acre messaggio non riuscì a varcare le alpi: la barriera della nascente cultura idealistica si dimostrò invalicabile. Bobbio, nella sua storia della cultura italiana, vede nella neutralizzazione di queste spiacevolezze l' inizio dei rapporti difficile che da lì in poi il nostro paese instaurò con la cultura di stampo scientifico.

Il ruolo che il darwinismo sociale ha giocato nel creare le strabilianti condizioni dell' umanità contemporanea è sottaciuto per pudore ma secondo Gregory Clark è stato di gran lunga superiore rispetto al ruolo delle "giuste istituzioni". Queste ultime hanno cominciato a far sentire il loro influsso solo negli ultimi due secoli e hanno potuto farlo grazie al fatto di agire nei confronti di un' umanità "selezionata".

Il darwinismo sociale opera ovunque ma è particolarmente efficiente nelle società con un germe istituzionale capitalista.

Guardando alla storia dell' uomo questo germe è sviluppato più nelle società agricole rispetto a quelle dei cacciatori e raccoglitori. In particolare dalle società agricole europee e asiatiche. Contano poi anche una serie di fattori legati ai costumi e alle contingenze. Ma qui le cose si complicano e bisogna cedere la parola all' esperto. A GM, per esempio.

Il lavoro di GM, con la mole e la passione dirompente di chi scrive "il libro della vita", si prodiga per sostenere che il darwinismo sociale si è fatto sentire in Europa molto più che altrove. E proprio a cio' l' Europa deve le fortune che l' hanno condotta a conquistare il mondo fino all' imposizione ovunque del suo modello democratico e liberale.

giovedì 22 maggio 2008

La fabbrica degli autistici

Come se non bastasse si scopre che Thomas Sowell è anche l' anima di una fondazione a supporto dei bambini late-speaking.

Nel raccontare la sua esperienza focalizza il punto centrale dei suoi sforzi: raschiare via dalla fronte di questi bambini l' etichetta di "autistici".

Ci sono almeno due cause che motivano il suo zelo: la prima è perchè spesso non si tratta affatto di bambini autistici. La seconda è inerente ai danni che procura un simile merchio: deprime i genitori, incanala i bambini in cicli terapeutici estranei a loro reali bisogni.

Eppure sono in molti i professionisti affezionati alla parolina e desiderosi di affibbiarla a quanta più gente possibile senza star lì tanto a sottilizzare. Anche per questo hanno tirato fuori dal cilindro il classico illusionismo linguistico: "autism spectrum". Lo "spettro", manco a dirlo, è vago e tende all' infinito, un po' come se i miopi fossero nel "blindness spectrum".

La possibilità di essere tratti in inganno nella diagnosi non sembra toccare a fondo la gran parte dei professionisti. Eppure questo rischio c' è. Tanto per fare un esempio, alcuni studiosi hanno notato comportamenti pseudo-autistici tra i bambini molto dotati. Un nome? Ellen Winner: spesso giocano soli, amano la solitudine, hanno interessi ossessivi e una memoria prodigiosa.

TS si rattrista parecchio quando nota che molti genitori insistono affinchè i loro bambini vengano considerati autistici contro ogni evidenza. Ma li capisce, è un peccato perdersi gli aiuti governativi. Che si debba anche a questo il poderoso incremento della sindrome? Anche così opera la fabbrica degli autistici in USA. Con questa amara considerazione, TS torna per un attimo economista.

A p. 288 di EWW, TS racconta la storia di Billy (un playboy dodicenne al quale era stata diagnosticata una vita grama e senza matrimonio).

martedì 22 aprile 2008

Un welfare fertile

Figli, donne e lavoro.

Questo libro è molto aggiornato per chi è interessato a come si legano le variabili di cui sopra.

Tra fertilità e lavoro c' è sempre stato un legame negativo. La tendenza è stata invertita da Svezia e Francia. Come? Attraverso due vie: 1) sussidi 2) flessibilità sul mercato del lavoro.

Pensando al nostro Paese ci si pongono alcune domande.

  1. E' auspicabile incentivare la fertilità? Ci sono problemi più urgenti?
  2. Siamo disposti ad accettare crescenti flessibilità nel mondo del lavoro? Non mi sembra che da noi riforme di questo tipo riscuotano molte simpatie.
  3. La copertura dei sussidi si ottiene con maggiori tasse. La Svezia ha una elevata pressione fiscale. Siamo disposti a sopportare qualcosa di questo genere?
  4. Il nostro welfare è imperniato sulle pensioni. In Svezia le pensioni sono private. Ciò non significa molto semplicemente che abbiamo fatto scelte diverse e dobbiamo sopportarne le conseguenze?
  5. Oltre agli incentivi potrebbe influire un fattore culturale. Le medesime tendenze si osservano negli USA dove il gruppo etnito mediterraneo e quello nordico sono sottoposti agli stessi incentivi.

Per una sintesi vedi sole p.39 20.4.2008

mercoledì 9 aprile 2008

Il primato della politica


La politica conta eccome nella distribuzione dei redditi. La figura illustra come i redditi più bassi (i primi decili) sperimentino incrementi sostanziosi sotto amministrazioni democratiche. Al contrario, i cittadini più ricchi godono con le amministrazioni repubblicane. [dal libro in uscita di Larry Bartels]. Insomma, l' economia non è tutto, stipido!

Unica riserva. In genere le politiche democratiche sono di tipo redistributivo: i benefici per i redditi bassi sono dunque immediati. Le politiche repubblicane puntano di più sullo sviluppo e soffrono, per quanto riguarda eventuali benefici ai meno abbienti, di una dilazione temporale più consistente. Oltre a cio' le politiche per lo sviluppo dovrebbero, almeno in teoria, produrre maggiore mobilità sociale, una forma di compensazione per chi sta sotto che la statistica di Bartel non puo' cogliere.


Ad alcuni dubbi bartel risponde qui.

Nuovi marketing particolarmente insidiosi

Riserve sul commercio equo e solidale.

venerdì 21 marzo 2008

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

E la "classe" non c' è più

In un puntata di Fahre che riprende un articolo sulla Stampa che riprende un articolo sul Time, si parla di classi sociali. Le classi come le intendeva Marx non esisterebbero più. Ci si aggragherebbe ormai per gusto ed educazione personale, elementi interclassisti. Mi è venuta voglia di opinare sul punto.



Innanzitutto un chiarimento. La classe marxista non era concepita per "stare in compagnia e andare al cinema tutti insieme appassionatamente". Era concepita per il conflitto materiale in una visione per cui "io posso arrichirmi solo impoverendoti". Rivelatosi un pensiero logicamente incoerente e storicamente fallimentare, il pensiero del conflitto è stato sostituito dal pensiero dell' accordo pacifico (di mercato). Ma questo cambio della guardia è avvenuto decenni fa. Anche se da noi lo strascico è stato insopportabilmente lungo, le classi in senso marxista sono sparite da tempo.



Quanto alle più generiche "stratificazioni sociali" individuo due elementi che possono minarle attraverso un rimescolamento.



  1. Elevata mobilità sociale. Il povero che spera con fondamento di potersi elevare con le sue forze, potrebbe anche sentirsi più affine a colui che ce l' ha fatta piuttosto che al barbone rassegnato che si trascina ovunque spettacolarizzando il suo piagnisteo.


  2. L' inutilmente colto. Colui che, aiutato dalle distorsioni di un apparato formativo autoreferenziale, si è caricato di saperi utili solo a titillare la propria sensibile anima, rinunciando a sacrificare anche solo una minima parte delle sue ispirazioni e voglie (e capricci) in favore di una preparazione più idonea allo scambio sociale (leggi: ha fatto scienze delle comunicazioni o lettere o giurisprudenza anzichè chimica). Costui presumibilmente stagnerà in condizioni economiche di basso cabotaggio. Eppure avrà i mezzi e le competenze per interloquire anche con le classi dirigenti del Paese. Anzi, sarà più attratto da un dialogo con loro che con il suo collega di decile reddituale alienato da un lavoro massificante e in perenne attesa di sfogarsi con 15 giorni a Gardaland.



Direi che il punto 1 intercetta un fattore salutare di rimescolamento mentre il punto 2 ne individua uno patologico. E infatti da noi, se una qualche forma di mantecato sociale affiora qua e là, lo dobbiamo esclusivamente al secondo.

venerdì 14 marzo 2008

Il bazar del welfare. Giocare con le tre carte per mantenere l' incentivo

Salario minimo, reddito minimo, sussidi di disoccupazione, negative income tax, crediti d' imposta...e un meccanismo d' incentivazione che va messo a punto se non si vuole cadere dalla padella nella brace.

E alla fine vince ancora il vecchio Friedman con la sua NIT (praticamente un reddito minimo con l' incentivo a non sedersi).

Geniale l' applicazione della NIT sotto il vincolo costituzionale libertario per cui nessun cittadino puo' ricevere aiuti in misura differente dai suoi concittadini. Sul punto si è prodotto Charles Murray dell' American Entreprise Institute.



A che serve un salaraio minimo se c' è un reddito minimo? A nulla. A che serve un sussidio di disoccupazione se c' è un reddito minimo? Serve come anticipazione visto che la NIT è calcolabile solo a posteriori.



Il problema decisivo resta comunque la transizione dal welfare deforme all' opera qui ed ora.

mercoledì 5 marzo 2008

Tenere insieme ambientalismo e lotta alla povertà

Certo, certo...le contaddizioni che si sviluppano all' interno delle coalizioni sono interessanti...la Binetti con Pannella, Di Pietro con quell' altro. Vuoi mettere.

Eppure, se restiamo nell' alveo degli schieramenti progressisti, esistono trade off epocali che mi stimolano in maniera leggermente superiore. Per esempio quello che contrappone ambientalismo e lotta alla povertà.

Per andare sul concreto: come giudicare l' addensamento di capitali e fuliggine causato dal boom cinese e indiano?

mercoledì 27 febbraio 2008

Iper liberisti con welfare estesi

L' Islanda.

"...Iceland, much like Denmark, is more or less Hong Kong with a huge welfare state

Perhaps the greatest unheralded discovery of the late 20th/early 21st century is that relatively unfettered capitalism is a much better complement to the comprehensive welfare state than is dirigisme..."