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martedì 5 agosto 2008

Perchè i managers non si uccidono tra loro?

Interessante domanda posta da Robin Hanson.

Un killer costa poco (intorno ai 7.000 dollari) e i guadagni possono essere immensi.

Tra i leader politici e i capi della criminalità organizzata la pratica dell' omicidio è molto più diffusa.

Possibili risposte:

Diversamente che in politica non esistono moventi ideologici. Il movente ideologico è il più adatto ad istillare odio. Inoltre è molto più semplice da celare.

I managers non sono criminali abituali, non sanno muoversi a loro agio in quell' ambito. Inoltre hanno molto da perdere rispetto ad un boss della mafia che è già implicato in azioni penali.

Anche il politico puo' avere relazioni nei servizi segreti. Tutte entrature che rendono per lui il crimine meno costoso.

L' attitudine allo scambio puo' rendere più appetibili delle vie alternative all' omicidio.

La risposta ideologicamente più intrigante potrebbe essere un altra: la lunga esposizione al mercato, attraverso vie che adesso non interessa indagare, rinforza il nostro senso etico. Cio' spiegherebbe perchè i managers, tra i personaggi di potere, sembrano i più pacifici.

venerdì 11 luglio 2008

Interventismi

La terza città più violenta degli USA dichiara guerra... alla vita bassa. Ho dei soprassalti libertari.



lunedì 7 luglio 2008

L' animalismo portatore di diseguaglianze

La cultura animalista soffre di un doppio blocco:

Da un lato non puo' affermare risolutamente che, in tema di diritti, le "differenze non contino". Infatti gli stessi animalisti, parlando di "diritti", rispettano molte differenze: un gorilla non è un topo, un topo non è una pulce, una pulce non è una pianta.

Dall' altro non possono nemmeno affermare che le "differenze contano", altrimenti sarebbe lecito introdurle anche tra gli uomini.

Il fatto è che il GAP vorrebbe dedurre i diritti etici di un soggetto dalle sue capacità. Questa procedura potrebbe sedurre qualcuno ma poi non manca di rivelare i suoi pericoli.

Non c' è dubbio che il gorilla abbia delle capacità, per esempio linguistiche, maggiori rispetto alla pulce. Ecco che allora, secondo il GAP, a lui spetterebbe una generosa manciata dei diritti.

Ma i diritti si conquistano davvero con le "capacità"?

Se fosse così bisognerebbe introdurre molte distinzioni anche tra gli uomini. Per esempio, in una democrazia, potremmo rendere ineleggibili le persone che a 18 anni abbiano l' IQ sotto una certa soglia.

Una conquista etica fondamentale, l' eguaglianza dei diritti, andrebbe così a farsi benedire.

Questi "pasticci" sono tipici di chi vorebbe dedurre dei "valori" da dei "fatti".

Certo, i fatti sono fondamentali per giudicare, ma i valori hanno un' origine differente. Derivano da un Principio.

Un uomo ha dei diritti in quanto "Uomo", non in quanto "essere capace di fare certe cose". Esiste qualcosa che chiamiamo "umanità", da lì dentro escono i nostri diritti.

Questa parola, "umanità", possiamo renderla con altre parole: "auto-coscienza", "imputabilità", "libertà", "responsabilità"...

Non sono i fatti a decidere se un essere è "responsabile", l' ultima parola spetta sempre a noi e alla nostra sensibilità nell' individuare un Principio.

Qualcuno dirà: "Ma come riconosco l' "Uomo"? Come riconosco il Principio?". Secondo me con la Ragione. Soccorre infatti la coerenza. Se l' uomo è "respnsabile" delle sue azioni e io tratto "quella" creatura "come se" fosse responsabile - per esempio processandola quando commette un omicidio o un furto - allora sono di fronte ad un Uomo.

Su questi temi è difficile trovare qualcosa in rete oltre a molta fuffa, specie sul fronte anti-animalista. Diversi filosofi si pronunciano sul tema ma c' è poco di "dedicato". Segnalo pertanto il blog di Waseley Smith. Magari si puo' iniziare da questo post.

mercoledì 18 giugno 2008

Roger Abravanel non affonda il bisturi: 400 pagine condite da buoni sentimenti

La lettura del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia si sta rivelando piuttosto deludente.

Secondo lui una società è meritocratica quando fa uso massiccio dei test. Punto, passiamo oltre.

Nonostante il titolo non perde molto tempo a spiegarci cosa sia la meritocrazia. Dà per scontato che meritocrazia = test + mercato.

Nemmeno ci si sofferma sulle molte difficoltà che sorgono nel tentativo di isolare l'intelligenza. E dire che il libro conta quasi 400 pagine, lo spazio non manca.

Se qualcosa fa difficoltà, RA lo liquida in quattro e quattr' otto.

Sono contento di tanta sicumera perchè in fondo anch' io sono dalla sua parte, ma avrei sperato che mi fornisse qualche arma letale con cui difendere le postazioni. Invece niente (per ora). Purtroppo RA non è d' aiuto visto che il suo testo è praticamente privo di fatti, dati e note che rinviino a fatti e dati.

Come posso sapere se sia stato premiato veramente chi merita? RA la fa facile: chi merita è colui che ha superato il test.

RA sembra uomo di sinistra in adorazione del mercato (va così di moda). Secondo lui la meritocrazia ha uno scopo: innescare la mobilità sociale.

Ma se ci si ferma lì, anche i dadi innescano mobilità sociale.

Perchè dovremmo affidarci ai test? RA non lo dice, chiede un affidamento cieco affinchè questi intralci da cacadubbi vengano aggirati e si passi alla fase implementativa. Io mi fido abbastanza ma mi sarebbe piaciuto qualche argomento.

RA ha sempre in bocca l' espressione "pari opportunità". I test sono l' arma per fornirle.

Di solito uno non parla molto volentieri dei suoi spauracchi. Forse lo spauracchio di RA riguarda la validità a tutto campo dei test.

Un altro spauracchio di RA è la genetica. Se l' intelligenza dipende dalla genetica, addio pari opportunità.

Non potendo eludere del tutto l' argomento "genetico", RA ne parla in modo piuttosto vago: Michael Young, l' inventore della meritocrazia che concluse i suoi studi dichiarando fallito il progetto a causa delle inevitabili derive genetiche, viene liquidato come "personalità ambigua" invecchiata male.

Ma oltre alle vaghezze c' è di peggio, ci sono gli svarioni veri e propri, come quando si dice: "... The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life di Herrnstein e Murray sostiene che alla fine conta solo la genetica...".

Ma questa è la cazzata madornale di chi non vuole vedere in faccia i problemi e storpia cio' che dà fastidio quando proprio non riesce a rimuoverlo del tutto.

H/M non hanno affatto sostenuto cio' che viene fatto loro dire. Il fatto che RA si accodi ad una lunga schiera, aggrava la topica visto che viene commessa dopo mille precisazioni già fornite sul tema.

H/M si limitavano a considerare che se vogliamo conoscere il reddito futuro di un americano, l' informazione più preziosa che dobbiamo richiedere è il suo IQ misurato dai 15 ai 23 anni. Altre informazioni, come per esempio le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza, ci dicono molto meno.

H/M non facevano dipendere l' IQ dalla genetica, lasciavano in sospeso la questione disinteressandosene.

Certo, visto che SEF (condizioni socio economiche familiari) contano poco, evidentemente i fattori a monte dell' IQ, qualora non siano genetici, riguardano la cultura profonda. E azzerare una cultura è molto costoso per una policy.

Anche per questo H/M invitavano ad evitare aiuti alle "culture" che producevano povertà (es. i sussidi alle ragazze madri).

Poichè TBC è forse il libro più dibattuto del ventennio, H/M hanno avuto modo di puntualizzare ripetutamente alle critiche mai veramente serie ricevute. Peccato che ad RA il dibattito sia sfuggita e abbia tutta l' aria di volerlo ricominciare riproponendo le prime fasi.

Ma ipotizziamo la situazione ideale: tutte le culture vengono spazzate via (o compensate con l' affirmative action), i bimbi crescono in una campana di vetro che per tutti è la stessa, poi subiscono la selezione in base ai test. La mobilità sociale sarebbe garantita, ma se questo è il valore ultimo siamo sicuri che l' esito sia eticamente diverso rispetto al semplice impiego dei dadi? Siamo sicuri che tolte di mezzo le culture la genetica non finisca per contare ancora di più? Siamo sicuri di non assistere ad una lotteria dei talenti?

Il fatto che si tratti pur sempre di una "lotteria", rende la cosa eticamente sospetta.

Il fatto che riguardi i talenti la rende utilitaristicamente rilevante, ma allora devono essere considerati anche i costi sociali che comporta l' azzeramento di una cultura, proprio come segnalavano H/M.

RA non sembra interessato a questi nodi (le sue vaghezze e i suoi svarioni lo confermano).

Peccato che io invece lo sia e il promettente libro invece non mi aiuta molto a sbrogliare la matassa.

A volte ho il sospetto che libri del genere abbiano una funzione propagandistica. I lettori in Italia sono prevalentemente di sinistra, è l' unico popolo che richiede "spiegazioni". Spiegazioni per ricominciare, dopo il 68, ad accettare una società in cui ci siano "classifiche", "perdenti" e "diseguaglianza". Ma cosa ha effetto per il popolo progressista dalle lenti spesse? Abravanel offre 400 pagine e tanti buoni sentimenti. Forse puo' bastare.

giovedì 12 giugno 2008

Abile e arruolato

Clint Eastwood esterna:

"I don't pay attention to either side," he claims. "I mean, I've always been a libertarian. Leave everybody alone. Let everybody else do what they want. Just stay out of everybody else's hair. So I believe in that value of smaller government. Give politicians power and all of a sudden they'll misuse it on ya."

martedì 10 giugno 2008

Imbarazzi libertari

Siamo più liberi oggi o lo eravamo di più ieri?

Naturalmente conta cosa intendiamo con la parola "libertà".

Il libertario tende ad essere nostalgico. Guarda a come cresce nel tempo la spesa pubblica degli Stati e si immalinconisce fino a raggiungere prostrazioni da cui non lo tira su più nessuno.

Una posizione paradigmatica in questo senso puo' essere fatta risalire a Bertrand de Jouvenel (Sorbona, Oxford, Cambridge, Yale, Chicago, Berkeley) e al suo libro "Il Potere. Storia della sua crescita." (Sugarco).

Lui la risposta alla domandina del primo rigo l' aveva già formulata negli anni 70, dopo una lunga maturazione condotta parallelamente ad una guerra che lo segnò parecchio.

Per Potere intende quella forza coercitiva in grado di ottenere la sottomissione (schiavitù) del prossimo anche solo con la minaccia.

BdJ nota e descrive come nel corso della storia il Potere sia sempre più cresciuto. Le guerre dell' ultimo secolo hanno mobilitato e richiesto l' obbedienza di una moltitudine impensabile solo qualche secolo prima.

Però c' è un altro insegnamento che viene dalla storia: per trarre i migliori frutti da una persona sottomessa, specie sul lungo periodo, è necessario che venga "trattato bene", è necessario concedere a costui dei privilegi.

Il Potere ha imparato e impara sempre più questa lezione.

La risultante di queste due forze si riassume in una formula storicistica di questo tipo: nella storia la condizione di schiavutù è andata estendendosi, così come sempre più estesa è stata la consapevolezza di quanto convenga rispettare lo schiavo assicurandogli un trattamento sempre migliore.

Certo le concessioni che fa il Potere riservandosi il diritto di revocarle quando desidera (cosiddetta libertà repubblicana) sono certamente un bene prezioso, ma sono ancora libertà?

Una volta la libertà era un concetto radicale, aveva natura aristocratica, era il dominio che il Potere non era ancora riuscito ad invadere.

Oggi le barriere sono travolte, il Sovrano straborda e la libertà ha assunto una dimensione artificiale: è cio' che il Potere onnipresente ci concede graziosamente dall' alto finchè non ci ripensa.

Forse non diversa, ma giocata su un' inontonazione ottimistica è la posizione di Tylor Cowen che puo' essere così riassunta:

"...he made a cogent case for the idea that we (in the developed world, at least) are freer now than we were in the past, and that it’s unwise for libertarians to look back on any particular era as some sort of libertarian elysium. If government was small way back when, in large part it was because everything was small. There is a tendency among some libertarians to argue for the future by going back to a past that did not exist; Cowen exposed this tendency very effectively..."



Il privato non ha mai dominato tanta ricchezza quanta ne domina oggi. Certo, ma in proporzione puo' darsi che la sua fetta sia diminuita. E come è spesa la ricchezza maneggiata dai governi? Forse è spesa anche per dare sicurezza alla proprietà privata. Tutti interrogativi che sospendono la sentenza finale.

In effetti, limitandosi all' economia, potremmo concentrarci nel valutare i parametri presi in considerazione da indici quali quello dell' Heritage Foundation o quello del Fraser Institute. Anzichè nello spazio si potrebbero stilare graduatorie nel tempo. Ho l' impressione che, nonostante le alte tassazioni, le società di oggi risulterebbero, nei fatti, molto più libere.

Cowen è concentrato sui "fatti", mentre Jouvenel sulle "minacce potenziali". Povero de Jouvenel, lo capisco visto che gli è toccato salvare la pelle in un periodo in cui quelle minacce si sono scatenate al massimo grado.

La posizione di Cowen è imbarazzante per un libertario, implica che, forse si poteva far meglio, ad ogni modo l' istituzione statale ha giovato alla causa libertaria. Vaglielo a raccontare a un misesiano.

L' essenza statale non sarebbe quindi quella espressa da De Jasay (quello che, anzichè chiedersi "cosa posso fare per lo Stato", trovava più proficuo chiedersi "cosa farei se fossi lo Stato). La libertà arricchisce e, prima o poi, tra mille resistenze anche lo Stato si piega a queste ragioni, specie se messo in concorrenza con altre istituzioni.

Mi sento abbastanza vicino a Cowen e penso che oggi, prima ancora che battersi affinchè lo Stato si estranei dalla vita sociale e di mercato, convenga "difendersi" offendendo, ovvero spingendo l' adozione di procedure di mercato all' interno delle istituzioni statali. Qualcuno chiamerà tutto questo "ingegneria" e sospetterà, a me pare una via promettente.

venerdì 23 maggio 2008

L' utilitarista all' angolo

Steven Landsburg è un utilitarista, per lui la gran parte dei nostri problemi potrebbe essere risolta con un' analisi costi-benefici.

Essendo pure un liberista alcune cose lo imbarazzano, l' utilitarismo non va sempre d' accordo con la libertà economica. Il mercato fallisce. Per esempio, imporre per legge la RC auto sembra che produca un beneficio universale, la teoria lo spiega e la pratica lo comprova.

Ma questo non è poi così inquietante, in fondo prosperità e libertà economica vanno volentieri a braccetto. E' un colpo di fortuna per chi le ama entrambe. Le classifiche annuali del Fraser Instituite o della Heritage Fondaution ce lo confermano.

Se solo provassimo a sostituire le libertà economiche con quelle politiche (democrazia, libertà di parola, di religione ecc...), ogni legame si perderebbe. Non sembra che "beni" di tal fatta giovino granchè alla prosperità di un paese. Il "democratico" non puo' dunque dare molta corda all' "utilitarista", in molti casi è costretto a stringergli il bavaglio e a chiuderlo in cantina.

Ma anche l' utilitarista ha le sue gatte da pelare. Un suo motivo di imbarazzo risiede nella natura dei costi da mettere sul bilancino. Vanno considerati i "costi psichici"? Nulla osta a che lo siano, per quanto sia problematico isolarli. Ci si deve affidare a compromessi.

Queste difficoltà sono in parte superate grazie all' invenzione del denaro. Il denaro favorisce sia la misurazione che i compromessi: l' entità del denaro offerto terrà conto del costo psichico dell' offerente.

Ma allora i ricchi sarebbero avvantaggiati? Se i loro diritti debbono acquistarli, i loro vantaggi si attenuano di molto. Se la mia quercia ostruisce il panorama a Bill Gates, lui potrebbe costringermi a tagliarla ma questo diritto potrebbe costargli 500.000 euro. Procederei così entusiasta all' abbattimento.

Se il ricco paga i suoi privilegi, l' obiezione si indebolisce. Le preoccupazioni etiche riguardano essenzialmente la distribuzione iniziale dei diritti. In molti casi l' utilitarista è indifferente alla questione. Coase docet.

Altra riserva: pesare i costi e i benefici è molto pratico. Ma i costi e i benefici di chi? Dei feti? Dei morti? Degli agonizzanti con elettrocardiogramma piatto? Delle Mucche? Delle generazioni future ancora da concepire?

Si capisce che, per un inquadramento minimo, si debba ricorrere ad uno sfondo etico, non si sfugge. Ma la cosa è meno decisiva di quanto si creda, basterebbe passare alla trattazione concreta delle questioni per accorgersene.

Conclusione: l' utilitarismo è prezioso ma necessita di limiti. Il limite proposto da SL riguarda il bigottismo. Il bigottismo non deve mai essere tollerato, al di là dei calcoli utilitaristici.

Ma cosa deve intendersi per "bigottismo"?

Un esempio ce lo dà il "paradosso Posner": a te piace avvolgermi nel filo spinato e punzecchiarmi con una spada affilata. Purtroppo io non amo subire questo trattamento. Forzarmi sarebbe controproducente. Ma con un offerta di 100.000 euro potrei rivedere le mie posizioni. Entrambi potremmo essere accontentati e uscire felici da questa esperienza. Anche l' utilitarista è contento, meglio di così non poteva finire.

Ma facciamo un passo ulteriore: a te piace torturarmi solo se puoi farlo senza il mio consenso. Ecco il limite, siamo di fronte ad un "bigotto". Lo abbiamo superato e in questo caso per decidere non interpelleremo l' utilitarista bensì il moralista.

Il bigotto è colui che vuole forzare i nostri comportamenti senza pagarne un prezzo.

Io non voglio fare una cosa e non voglio che la faccia nemmeno tu. Michael Schiavo si rifiutava di tenere in vita Terry ma si opponeva anche a che lo facessero i genitori di Terry. In questa seconda risoluzione c' è un elemento di bigottismo.

Per saperne di più SL p. 283

lunedì 12 maggio 2008

Migrazioni ideologiche

La recente conversione ideologica di una figura di culto del mondo liberal e sessantottino, David Mamet, veniva comunicata al mondo con queste parole:

"... I realized that the time had come for me to avow my participation in that America in which I chose to live, and that that country was not a schoolroom teaching values, but a marketplace..."Aha," you will say, and you are right. I began reading not only the economics of Thomas Sowell (our greatest contemporary philosopher) but Milton Friedman, Paul Johnson, and Shelby Steele, and a host of conservative writers, and found that I agreed with them: a free-market understanding of the world meshes more perfectly with my experience than that idealistic vision I called liberalism..."

Thomas Sowell (TS)... "our greatest contemporary philosopher"!?

La cosa mi ha messo voglia di rileggere un suo libro che posseggo e che folgorò anche me. E' un po' vecchiotto ma sempre attuale: "Ever wonder why". Vedrò se è il caso di unirmi al giudizio lusinghiero.

Una cosa intanto puo' ben dirsi intorno all' arte di "convertire": pochi numeri, poche note a piè di pagina, semplicità e l' arte di arrivare a conclusioni anche estreme ma sempre attraverso passaggi che, presi isolatamente, sprigionano grande buon senso.

giovedì 17 aprile 2008

Chi ha paura delle neuroscienze? La libertà scannerizzata (2)

L' ottimo Uomo del Monte ha fatto notare come la possibilità futura di "leggere" oggettivamente nel cervello umano potrebbe indebolire il concetto di "intenzionalità".

Questo è vero, una "naturalizzazione" dell' uomo non lascia spazio a concetti metafisici come quello di "intenzione".

Come potrebbe adeguarsi il diritto in un' evenienza di questo tipo?

Dal punto di vista dell' imputazione, la cosa non rappresenterebbe un grave problema. Come già anticipato assumerebbe sempre maggior peso il concetto di "responsabilità oggettiva".

Se Tizio danneggerà Caio, sarà tenuto a risarcirlo indipendentemente dalle sue intenzioni di danneggiarlo.

La libertà individuale non viene colpita da una simile soluzione, al limite si presentano inconvenienti relativi alla concentrazione dei rischi che per ora accantono.

Il vero problema riguarda la deterrenza delle pene. Alcuni soggetti potrebbero rispondere in maniera differente all' unica pena prevista per un certo illecito.

L' unica soluzione consiste nel differenziare le pene. Dopo aver sottoposto la popolazione ad un esame standardizzato si procederà a classificarla in individui di tipo A, B e C. Per ciascuna tipologia l' entità delle pene previste dal codice dovrebbe variare a seconda della sensibilità all' incentivo deterrente.

Inoltre, poichè sappiamo che a volte la pena ex ante è la più efficiente di quella ex-post, non si puo' escludere che si arrivi ad interdire a certi individui (esempio "A") l' accesso a certi ambienti.

Tutto cio' è abbastanza preoccupante anche in termini di pacifica convivenza. Infatti le classificazioni di cui sopra potrebbero corrispondere alle etnie. Qualcuno finirebbe per parlare di razzismo.

In conclusione, per quanto visto, il crescente successo delle neuroscienze, facendo guadagnare efficienza alle pene ex ante, potrebbe anche incidere sulle nostre libertà.


P.S. viste le obiezioni ricevute vorrei solo aggiungere che svolgo queste considerazioni escludendo una naturalizzazione completa dell' uomo. In quel caso non avrebbe a priori più senso parlare di libertà. Mi interesso solo ad un crescente peso delle neuroscienze sempre mantenendomi entro una visione relativa.

Appello al cielo

Chi lo ha proclamato e difeso con sistematicità.


Henry David Thoreau
Lev Tolstoj
Ghandi
Martin Luther King
Confucio
Mencio
Lao-Tse
monarcomachi calvinisti
Joan de la Mariana
Francisco Suarez
Tommaso d' Aquino
Johannes Althesius
John Locke
Benjamin Constant
Thomas Jefferson
Etienne de la Boetie
Guglielmo Ferrero
Gianfranco Miglio


...


Il diritto a resistere contro il potere politico è stato teorizzato da moltissimi studiosi, a cominciare dagli antichi. E' un concetto cardine che ha come sua premessa l' esistenza di un diritto naturale. Sarebbe bene sia posto al centro del programma di educazione civica affinchè la persona prevalga sul cittadino.

lunedì 14 aprile 2008

Chi ha paura delle neuroscienze? La libertà scannerizzata

La scienza avanza... e ci guarda nel cervello con strani aggeggi.

Piacere, dolore, felicità, sofferenza presto potrebbero avere una definizione oggettiva, almeno in gran parte.

Il nostro "come stai?" cesserà di presentarsi come una domanda per trasformarsi in un' osservazione.

Il grado di felicità non lo chiederemo più all' intervistato ma lo osserveremo su uno schermo.

Un cambiamento del genere è destinato a ripercuotersi in molti ambiti. Pensiamo solo alla neuroetica. Mi domando se per gli amanti della libertà le prospettive siano più rosee o comincino invece tempi duri.

Alcuni motivi per sperare ci sono.

Uno dei concetti destinati a subire cambiamenti è quello di "violenza".

Quando un atto puo' definirsi violento e meritevole di interdizione?

Il libertario risponde prontamente che è necessario un contatto fisico. Per lui chi dà inizio ad un' aggressione fisica è censurabile. Il libertario opta per una soglia molto bassa che ha il pregio di essere facilmente individuabile.

Bisogna ammettere che la maggior parte delle persone non sopporta soglie tanto basse. Attraverso una convenzione individua perciò gli atti da considerare violenti e da proibire.

L' assunto è che esista una nozione forte di violenza, una nozione che ha senso estendere a tutti senza gravi inconvenienti.

Domani le cose potrebbero cambiare. La retorica della violenza universale potrebbe indebolirsi.

Poniamo il caso che una macchina sia in grado di stabilire oggettivamente il nostro dolore.

Alla convenzione sociale resterà il compito residuo di fissare una soglia oltre la quale si sconfina nella "violenza".

Ed eccoci armoniosamente approdati ad una versione personalizzata di "violenza". Esempio: taluni atti esercitati contro di me saranno considerati violenti, tu invece sarai tenuto a sopportarli.

Passare da un concetto universalistico di violenza ad un concetto pluralistico consente di valorizzare meglio quel particolare bene che è il "confine", la "barriera".

Meglio isolati dietro opportune barriere, individui simili potranno coltivare fruttuosamente la loro felicità preservando il prossimo.

Un concetto pluralista della violenza costruisce ragioni sempre più forti per frazionare la comunità. In fondo è l' ideale libertario.

Rendere più evidenti le nostre diversità esalterà l' esigenza di differenziarci e di veder garantito questo diritto.

Esistono poi problematiche più complesse: posso soffrire anche solo perchè esisti e fai certe cose, posso soffrire d' invidia, poichè le soglie di sensibilità sono variabili, posso voler sottopormi a variazioni...

lunedì 7 aprile 2008

Diritto & Possibilità

Molte delle controversie sui diritti rischiano di avvitarsi qualora i due concetti di cui sopra vengano confusi. Parecchie discussioni si infilano in un vicolo cieco allorchè trascurano questo punto. Sperimento di continuo spiacevolezze del genere.

Io posso aver diritto a fare una certa cosa. Cio' non toglie che non ne abbia le possibilità.

Esempio, io ho tutto il diritto a conseguire una laurea in Ingegneria. Senonchè i miei scarsi talenti matematici mi privano di questa possibilità. Non avrò mai la mia laurea senza che nessun diritto sia stato infranto.

Esiste un diritto alla libera espressione. Questo diritto puo' convivere con l' impossibilità di far sentire la propria voce a tutti. Per esempio, potrei non avere la possibilità di scrivere su un giornale a larga diffusione. Il mio inviolabile e inviolato diritto rimarebbe intatto nella sua inutilità pratica.

Diritto e Possibilità coincidono solo quando esiste qualcuno a cui è imposto il dovere di dare sostanza ai diritti.

Chi contesterebbe il mio diritto al lavoro? Eppure non esiste nessuno con il dovere di assumermi. Ecco allora un caso in cui Diritto e Possibilità divergono.

Penso che molte diatribe non s' innescherebbero nemmeno se, con un riflesso mentale automatico, ci venisse da associare alla parolina "Diritto" la parolina "Possibilità" evitando con cura di sovrapporne il senso.

lunedì 10 marzo 2008

Libertari nei mondi virtuali

E' sorprendente quanto la gente sia disposta ad accettare disparità di condizioni anche pesanti quando i punti di partenza sono i medesimi. Un esperimento di massa in proposito è fornito dai "mondi virtuali" che proliferano su internet. Ne parla Castronova.

martedì 19 febbraio 2008

L' etica puo' dire ancora la sua

Mai sbandierata nelle conversazioni con gli altri, non dovrebbe però cessare di fornirci un orientamento.


"...We see the behavior of free people, and appreciate it as being a just and moral system, not to mention a vastly successful one. Yet many still forgo individual liberty in preference to allowing state control over aspects of life. As Whittaker Chambers stated later in his memoir, "Men have never been so educated, but wisdom, even as an idea, has conspicuously vanished from the world." Ethical behavior not only has a role in the framework of freedom, it is in its very nature. And it’s because of this wisdom that we must always remember the things that are just, moral, and successful in their ideas and consequence- free markets and free men..."

Quando è il mercato a renderci più buoni

Stroncando Hobbes.

"...contrary to widespread belief, free markets do not substitute self-interest for morality. Free markets enable moral action by channeling existing self-interest into conduct benefiting both the individual and those around him. Free markets harmonize self-interest..."

giovedì 7 febbraio 2008

Per l' economista esistono sia il Peccato Originale che la Coscienza

Mica è vero alla lettera..eh? Tuttavia:

"...in general, the results point to a few interesting aspects of human nature. One is that most of us, when tempted, are willing to be a little dishonest, regardless of the risks. Another is that even when we have no chance of getting caught, we still don’t become wild liars-our conscience imposes some limits. Finally (and what I find most disturbing), it’s clear that we have an incredible ability to rationalize our dishonesty and that justifying it becomes substantially easier when cheating is one step removed from cash. Nonmonetary exchanges allow people greater psychological latitude to cheat-leading to crimes that go well beyond pilfered pens to backdated stock options, falsified financial reports, and crony deals. Such latitude is the force behind the Enrons of the world..."


martedì 29 gennaio 2008

Cristiani & Libertari

Olanski all' insegna del classico "small government requires social conservatism", analizza i punti di frizione e il miglior modo di aggirarli.

lunedì 28 gennaio 2008

I libertari sono razzisti?

Dopo le classiche posizioni di Hoppe in tema di immigrazione, diamo il benvenuto a delle correzioni di rotta che si spera stornino le infamanti accuse a cui il movimento è andato soggetto. A formularle ci pensano Blok e Gregory.

"...the coerrcive and socialistic nature of immigration controls..."

Anarchici e Miniarchici. Bollettino di guerra

Roba fresca.