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lunedì 4 gennaio 2016

One economics many receips di Dani Rodrik

One economics many receips di Dani Rodrik
  • Tesi: la cultura conta
  • Tra cultura e istituzioni troppi feedback x nn prediligere approcci differenziati
  • Informazione credibilità certezza: lo stato ha un ruolo
  • 2 argomenti pro globalizz: 1 la povertà è diminuita 2 è diminuita di più in chi ha globalizzato di più
  • Ma cina e india hanno globalizzato in modo selettivo cominciando dai servizi
  • 1 l approccio neoclassico basta 2 il contesto è decisivo 3 le priorità sono decisove 4 localizzare l analisi
  • Due problemi differenti: 1 innescare 2 sostenere
  • Coordinamento: il caso delle auto senza strade
  • Esternalità: copyright x l innovatore
  • Democrazia e sviluppo. Nesso debole ma meno rischi e più tempo
  • Cina: 2 zone franche e la fortuna del commercio al margine sempre ampliabile. La fortuna di avere un gradualismo bell e pronto
  • Difetto del gradualismo: più tempo anche x le caste
  • Cina e russia sui diritti di proprietà: certezza batte formalismo
  • Il colonialismo benefico. Base di una tradizione
  • L importanza di una solida politica
  • L apertura è un esito nn un presupposto. Prima irrobustirsi
  • Trilemma: 1 cambi 2 politica monetaria 3 movimenti di capitale
conclusione

martedì 11 dicembre 2012

C' è un modo per coniugare diseguaglianze e stagnazione produttiva?

Sì, basta passare attraverso l' offshoring, ovvero la globalizzazione.

Risparmio sui costi del lavoro e innovazione tecnologica sono concorrenti.

In questi anni la delocalizzazione ha spinto tutti a puntare sul primo elemento.

Questo fatto ha 1. compresso i salari nel primo mondo, 2. spinto i PIL del terzo mondo, 3. alzato i compensi dei managers e 4. fatto ristagnare l' innovazione.

La logica sottostante è abbastanza semplice: 1. globalizzando è possibile spostare quantitativi enormi di ricchezza realizzando grandi profitti. Da qui gli alti compensi dei managers. 2. la globalizzazione giova i paesi del terzo mondo, da qui l' innalzamento del pil 3. la globalizzazione richiede alle economie più avanzate di ricollocarsi, da qui le crisi industriali 4. puntare sull'' offshore consente di non puntare sull' innovazione.

Che facciamo, ci mettiamo le mani nei capelli? No, tutt' altro. Il secondo stadio dei processi di delocalizzazione prevede un riequilibrio. Gli investimenti in tecnologia diverranno presto ancora convenienti e cio' alzerà produttività e salari nel primo mondo.


Daron Acemoglu -  Gino Gancia -  Fabrizio Zilibotti

http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2012/12/offshoring-and-directed-technical-change.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+marginalrevolution%2Ffeed+%28Marginal+Revolution%29





mercoledì 9 dicembre 2009

La comunità scientifica litiga per stabilire se è pacifica

Sempre global warming... sempre scienza politicizzata...

In un recente editoriale sul WSJ il climatologo Richard Lindzen dice che in ambito scientifico i conti sul global warming non quadrano...

... ed è subito bagarre.

Cosa inferire?

Un modello di rigore e di sintesi viene dalla lettera spedita da un lettore:

If a respected MIT scientist like Mr. Lindzen argues that “the science isn’t settled,” and other scientists disagree, then doesn’t the very dispute itself prove that the science isn’t settled?

La cosa ricorda il filosofo relativista Richard Rorty, il quale affermava:

“La Verità è cio' che i vostri contemporanei vi lasciano dire senza opinare"

Naturalmente molti opinavano su questa stessa affermazione, il che ci consente di buttarla nel cesso.

Allo stesso modo butterei nel cesso quella (pseudo) scienza che risponde: "la comunità scientifica su questo punto è pacifica...". Vale per l' evoluzionismo come per il global warming.

giovedì 30 aprile 2009

A 100 all' ora verso la povertà

Perchè un nepalese intelligente, ingegnoso, attivo, di grande talento, disposto a lavorare duro e a darsi da fare, che si applica con successo in mille campi e riesce a tirare fuori il meglio di sè qualsiasi sia l' opera a cui si accinga... ma perchè un tipo del genere guadagna infinitamente meno di un americano?

Robert Russel nel suo libro per bambini risponde in mezzo rigo: perchè l' auto-sufficienza è la via verso la povertà.

sabato 1 novembre 2008

Il punto sulla globalizzazione

C' erano una volta la "globalizzazione" e tutti i suoi nemici...



C' era una volta... ma se qualcuno non lo ricorda, quasi ce ne scordavamo.



Il movimento no-global è stato colpito da non poche sfortune mediatiche, l' eco delle sue imprese è stato oscurato da parecchi eventi che ci hanno aggredito proprio in questo cavallo di secolo in cui la Storia doveva finire: da Ground Zero, fino al Crack finanziario il mondo ha saputo come distrarsi disinteressandosi di loro. In più arriva Tremonti a rubare il mestiere.



Nel frattempo la "globalizzazione" è proseguita. E oggi qualche somma la si puo' pure tirare, concentriamoci sulla povertà nel mondo.



statua vivente di povero cristo (altre statue)





I critici fanno notare come per molti paesi poveri questi anni siano stati tutt' altro che una manna.



I paesi dell' Africa Sub-Sahariana non vedevano l' ora di mettersi alle spalle la maledetta decade dei novanta. Molti di loro hanno addirittura sperimentato il passo del gambero. E il cocktail di medicine che gli "occidentali" hanno fatto ingollare loro ha prodotto solo malaugurati effetti collaterali lasciando il paziente in uno stato catatonico.



I Paesi Sudamericani restano indecifrabili... bravo chi li capisce! lo psico-dramma in cui sembrano sempre immersi si è risolto in una serie di picchi e risalite. Nel complesso, comunque, predomina la delusione con poche eccezioni.



Le ex tigri asiatiche (Sud Corea, Thailandia, Malaysia...) sono state investite dalle turbolenze finanziarie del 1997, meglio non chiedere loro un' opinione su quel periodo.



Gli ex paesi comunisti, uscendo dal frigorifero sovietico, hanno tentato di sgranchirsi con ginnastiche tra le più varie. Accanto ai non pochi successi abbiamo registrato però il fallimento della Russia. Russia! E non dico poco, dico "quasi" tutto.



Rispondono gli apologeti scagliando le loro due frecce, poche ma buone:



- la povertà nel mondo è chiaramente diminuita.



- la povertà nel mondo è diminuita proprio in quei paesi che più degli altri si sono aperti alla globalizzazione.



Una diminuzione che ha interessato quasi solo Cina ed India. Ma se un numero esorbitanti di poveri era collocato lì, che colpa abbiamo noi?



Facciamola breve e corriamo a schierarci: la mia impressione è che gli argomenti degli apologeti siano vincenti, a me almeno convincono.



Solo un' avvertenza prima del punto finale: non si creda che la Cina, paese che fa pendere la bilancia verso i pro-global, sia poi così "globalizzata" come si ama pensare. Le sue trasformazioni sono state lente e spesso fedeli ad un ricettario molto diverso da quello previsto dietro i palazzi di vetro dei mega-consulenti occidentali.



Nell' ultimo rigo creco di spremere il sugo della storia: la globalizzazione fa bene ai poveri, ma i paesi che l' accettano sono solo all' inizio della loro avventura, poichè non esiste un' unica via sulla quale incamminarsi. La storia conta e l' autorità locale, che ne è l' espressione, non deve mai dileguarsi per lasciare campo libero agli "esperti". Loro sono portatrici di fredde ortodossie, e all' ortodossia non si addice l' esportazione. Occorre quindi stemperarla con i misteri della cultura che ciascun popolo ha saputo produrre.

venerdì 6 giugno 2008

Beati gli ultimi

Gregory Clark ha obiettivi elevati da colpire: tramite un diagramma sferra il suo attacco sotto la cintura ad Hobbes, dopodichè, molto più avanti nel libro, non si perita di aggredire Marx e Dickens. Il primo per il nocciolo del suo messaggio, il secondo per le atmosfere surrettizie sontuosamente ricostruite nei suoi libri e che di fatto svierebbero il giudizio dell' ingenuo lettore moderno su quell' epoca storica.

GC: la Rivoluzione industriale fu essenzialmente un' espansione della conoscenza. Tuttavia, a sorpresa, fu il basso proletariato a trarre i maggiori benefici materiali da queste novità. Nessun gruppo sociale guadagnò quanto il proletariato da questo terremoto, nemmeno i grandi "innovatori".

Sul destino della bassa manovalanza mai nessun falso profeta fu tanto falso quanto lo furono Marx ed Engels.

Dal 1815 i salari reali degli "ultimi" cominciarono a salire inesorabilmente creando ricchezza per tutti. Un' impennata che superava di molto quella della produttività.

Una crescita di cui non godettero di certo nè i capitalisti, nè i proprietari terrieri e nemmeno i lavoratori specializzati.

La diseguaglianza sociale in Inghilterra andò riducendosi, i benefici si concentrarono su chi nell' era pre-industriale era più svantaggiato. Cio' rinforzò l' armonia sociale del Paese. La cosa non si coglie immediatamente leggendo l' amabile Dickens, tantomeno ascoltando deferenti il terribile Marx. In questo senso nessun frutto sortirebbe nemmeno dall' approfondimento dell' analitico Ricardo.

Per far passare questo messaggio non occorrono a GM argomenti logici sofisticati. Basta ricostruire i fatti di un secolo (il diciannovesimo). Il noioso compito viene espletato al cap. 14.

Gli argomenti riguardano semmai il perchè di una simile piacevole sorpresa. GM è prodigo di congetture ma a questo punto è indispensabile la lettura.

I temi affrontati da GM ricorrono anche oggi, la prima globalizzazione non si differenzia poi così tanto dalla seconda, nemmeno per le preoccupazioni che desta.

Dopo alcuni anni in cui l' opinione pubblica si dimostrava apprensiva per gli "ultimi" e per la loro triste sorte all' epoca del mercato esteso, ora le cose si fanno più chiare e, se possibile, la preoccupazione ancora più acuta. Ma riguarda i primi, riguarda il mondo ricco, riguarda noi e la possibilità di essere scalzati da chi, compiacendoci, ci incuteva pietà e facevamo a gara per aiutare con elemosine.

giovedì 1 maggio 2008

Mercati alienanti e autosfruttamento

Il mercato produce alienazione, soprattutto in chi lo giudica.

Il metodo della concorrenza ha delle pretese e spesso fallisce non cavando un ragno dal buco. Ecco allora che partono le copiose critiche di chi non aspettava altro. Ma spesso per i motivi sbagliati. Non dico che non facciano centro, ma su un bersaglio diverso da quello mirato.

Esempio: si sente dire che la concorrenza è sempre al ribasso, che produce ineluttabilmente una sorta di "sfruttamento" del lavoratore.

Ora, nella nostra Italia dei piccoli e micro-imprenditori, questa storia dello "sfruttamento" suonava un po' comica. Così qualcuno ha pensato di pigiare sul pedale ed è arrivato, con la comica finale, un battutone a sigillo del cabaret: "auto-sfruttamento".

Giretto in bici per le strade del primo maggio nordista. Rapporto: tutti i negozi aperti, si lavora alacremente, lo sfruttamento e l' auto-sfruttamento non danno tragua nè speranza.

Con tutti 'sti ponti non mi posso allontanare, siamo aperti e mi devo auto-sfruttare: il mercato ha fallito consegnandomi ad un destino cinico e baro.

No, una conclusione del genere non riesco a digerirla, preferisco la stoppa. Il mercato fallisce quando sfrutta il consumatore, non il produttore. Altrimenti, molto semplicemente, si giudica senza aver minimamente capito di cosa si parla.

D' altronde la logica che la produzione sia un mezzo e il consuno (godimento) un fine, mi sembra che fili, mi sembra destinata ad entrare in tutti i cervelli senza turbare le armonie celesti che regnano nella comune mente filosofica.

Sono contento di simpatizzare con un' idea che rispetta questa logica elementare. Peccato che molti giudici severi invece preferiscano invertirla.

Alienazione = invertire i fini con i mezzi. Ecco perchè il mercato produce alienazione... tra i suoi giudici. Perchè costoro hanno proceduto proprio con l' operazione di cui sopra.

Rettifica del bici-rapporto: tutti i negozi aperti, si lavora alacremente, lo sfruttamento e l' auto-sfruttamento non dà tragua nè speranza. Miriadi di consumatori piacevolmente sorpresi delle ricche opportunità!

Il produttore produce (lavora), il consumatore consuma (gode). Il fallimento dove sta?

La concorrenza è al ribasso quando il consumatore chiede un ribasso. Magari non arriva a fine mese, oppure preferisce investire altrove e allora chiede un ribasso, lo desidera, lo agogna... e spesso, per fortuna, lo ottiene.

Ma se il consumatore esprime diverso orientamento, la concorrenza sarà al rialzo.

Facciamo il caso dei Mcdonald's nel mondo. Hanno arricchito parecchio la concorrenza nel mondo non occidentale. Quasi sempre al rialzo. Adrian E. Tschoegl ci ha dato dentro per dimostrarlo.

Una delle cose esportate con McDonald's, per esempio, è stata l' igiene nei locali pubblici. Successone:

"...McDonald’s emphasis on cleanliness, including or especially in restrooms, has led its competitors to upgrade their facilities. Before the first McDonald’s opened up in 1975, restrooms in Hong Kong’s restaurants were notoriously dirty (Watson 1997). Over time, competitors felt compelled to meet McDonald’s cleanliness standards. The same thing appears to be occurring in China (Watson 2000). In Korea, McDonald’s introduced the practice of lining up in an orderly fashion to order food; traditional practice was simply to crowd the counter, with success in ordering accruing to the most aggressive (Watson 2000). In the Philippines, Jollibee mimics McDonald's clean and well-lighted look..."

Evidentemente i consumatori volevano più igiene, sentivano di potersela permettere. E qualcuno gliel' ha fornita. Tutto cio' non è affatto scontato, il consumatore potrebbe anelare ad un maggior sudiciume se il compenso che ne ricava è adeguato.

Il consumatore come fine, nel mercato come nella vita. Tutto fila. Lasciamo i giudici alienati alle loro elucubrazioni e occupiamoci dei mille casi in cui la concorrenza s' impantana per seri intoppi. Quelli sì che sono fallimenti.

giovedì 10 aprile 2008

Due sassolini nella scarpa dei Tremonti

Tutto ormai è made in China, i dati confermano. I timori tremontiani prendono corpo e si diffondono. Le ragioni del guru appaiono solide.

Qualsiasi prodotto si prenda in considerazione, i cinesi hanno fatto irruzione giocando sui mercati la parte del leone. Il messaggio tremontiano acquista in autorevolezza.

Eppure la Germania, tanto per fare un nome, non perde poi granchè delle sue quote di mercato estero? Tremonti aggrotta le ciglia.

Se poi quardiamo da vicino, la Germania non si è nemmeno sottoposta a ristrutturazioni che l' abbiano rivoltata come un calzino. Tremonti tace.

Ma sì, è la vecchia teoria del consumatore. Bastano piccole variazioni qualitative (al limite, se si dispone di un buon messaggio pubblicitario, anche nessuna), per "creare un nuovo prodotto" e differenziarsi dagli onnipresenti cinesi. E la differenziAzione paga un casino con mercati tanto allargati e in crescita.

L' innovazione semi instantanea è una speranza che forse Tremonti non aveva considerato in tutta la sua portata. Qui la medesima tesi meglio articolata.


***

E già che ci siamo fatemi smussare un altro corno al demonio della globalizzazione. Fatemelo fare ora che siamo nel mezzo di turbolenze finanziarie: le recessioni sono meno acute e più brevi in epoche caratterizzate da forte "globalizzazione".

Chissà poi a cosa sarà dovuto il fatto che gli ultimi 5 anni sono anche quelli in cui è cresciuto di più il reddito pro-capite mondiale prendendo a base gli ultimi trenta.

Tremonti, grazie lo stesso, continua pure la campagna elettorale.

mercoledì 9 aprile 2008

Nuovi marketing particolarmente insidiosi

Riserve sul commercio equo e solidale.

L' ONU? No, Wal-Mart

Sembra che Wal-Mart stia approntando un incontro con i suoi fornitori cinesi per discutere una messa a punto delle procedure per ridurre l' impatto ambientale.

Viste le grandezze (...Wal-Mart alone is responsible for about 30 percent of foreign purchases in China and close to 10 percent of all US imports from there..) direi che decisioni del genere valgono una risoluzione ONU.

Mi chiedo anche, con affari di questa entità, chi meglio di Wal-Mart possa garantire la pace tra due super potenze come Cina e USA.

giovedì 13 marzo 2008

Regole contro Mercato. Rodrik contro De Soto?

La fama che circonda personaggi come Rodrik e De Soto spinge a riflettere.

Si tratta di due grandi economisti che si sono spinti a fondo nella ricerca inaugurata da Adam Smith: rinvenire il segreto che rende ricca una Nazione e povera l' altra.

Il primo si è spesso mostrato critico verso le ricette comunemente utilizzate per gestire la globalizzazione.

Poichè queste ricette, cucinate dall' FMI e dalla Banca Mondiale, vengono con faciloneria etichettate come neo-liberiste, va da sè che l' economista di Harvard venga ritenuto poco più che un social-democratico.

Mi è capitato di sentire parecchi no-global citarlo attingendo alla ricchissima messe di esempi che l' Illustre ha con dovizia sciorinato nelle sue preziose pubblicazioni.

Al contrario, De Soto, si è spinto a difendere le economie illegali di cui ribolle la suburbia dei paesi poveri. I suoi libri presentano nella controcopertina i giudizi sperticati di Coase e della Thatcher. Chiude ogni suo paragrafo con una perorazione del diritto di proprietà. Ha appena vinto il premio Friedman...Insomma, appare a molti come un mastino del mercato spinto.

Eppure, quando poi vai a guardare, non c' è una grande differenza nell' approccio dei due.

Entrambi, sulla scia dell' insegnamento neoclassico, vedono nella qualità istituzionale la chiave di volta delle questioni legate allo sviluppo. Entrambi predicano forme di decentramento nell' azione volta a costruire dette istituzioni.

Rodrik giudica questo decentramento come garanzia di un approccio molteplice da contrapporre al Modello Unico (e Neoclassico) degli organismi internazionali.

De Soto si spinge ancora oltre e invita a rintracciare l' esistente embrione di regole condivise che già è presente - spesso in forma illegale - nella vita quotidiana dei diseredati. Una volta rintracciato quello scheletro, la formalizzazione del diritto dovrà tenerne conto.

In fondo dicono qualcosa di molto simile.

C' è però un elemento meramente retorico che li differenzia e che forse crea un' ingiustificata frattura negli schieramenti in cui vengono poi collocati.

Nella prosa di Rodrik si tende a sottolineare l' importanza delle Istituzioni Non di Mercato. Viene usata esattamente questa locuzione in modo che il lettore resti colpito da quanto il fondamento di tutto non sia affatto il mercato. Rodrik ci appare subito come un non-fondamentalista, per lui contano le Regole. Il mercato viene dopo.

Altra storia per De Soto. Invitandoci a formalizzare dette Regole sulla base delle consuetudini, il peruviano non puo' enfatizzare l' estraneità di quelle Regole rispetto ad un fenomeno contrattualistico. La consuetudine infatti emerge hayekianamente da una miriade di interazioni umane, ovvero da qualcosa che assomiglia molto ad un mercato.

Personalmente attribuisco a Rodrik un' imprecisione retorica. Per i fini che si propone lo studioso è praticamente irrilevante ma per il giudizio ideologico che a me interessa ora, no.

Come distinguere infatti chi assume le Regole come fondamento contrapponendole al mercato, operazione che traspare dalla retorica di Rodrik?

In genere costoro prediligono soluzioni centraliste: esistono delle Regole e vanno poste a fondamento. Tutto deve girare intorno ad esse.

La soluzione "localista" in fondo cos'è se non un "mercato delle regole": esistono dei set istituzionali differenziati, che competano visto che sono entrambi legittimi. Ma optare per un "mercato delle regole" è un modo per asserire la superiorità del Mercato sulle Regole.

Poichè abbiamo visto che sia De Soto che Rodrik propendono per la soluzione istituzionale localista, allora entrambi, nella diatriba Regole contro Mercato, appartengono di diritto allo stesso schieramento.



ADD1. A chi si infervora nel proclamare in astratto la necessità di un' imprescindibile gabbie di regole a fondamento della vita civile e a barriera di un mercato pervasivo e corruttivo, fate pure presente che sono in molti a ritenere la Costituzione come un contratto su cui gli italiani fondano la loro convivenza. Poi fate anche presente che "il contratto" costituisce l' atto di mercato per eccellenza. Dopodichè attendete risposta.

giovedì 7 febbraio 2008

Globalizzazione e diseguaglianza

Le osservazioni di Becker.

Attenzione a considerare sia la diseguaglianza nei paesi coinvolti che quella tra i Paesi coinvolti.

Attenzione a sceverare la diseguaglianza dovuta all' apertura commerciale da quella dovuta allo spread tecnologico.

martedì 29 gennaio 2008

Economia canaglia

Presentato a fahrenheit il libro di Loretta Napoleoni: Economia canaglia, Il Saggiatore.

Non che io abbia letto il libro, nè che per il momento abbia intenzione di farlo. Nonostante questo, alcune sollecitazioni mi provocano anche solo ascoltando la presentazione fatta in studio.

Devo subito dire che il concetto stesso di "economia canaglia" mi arriva sfocato, non riesco ad afferrarlo con sufficiente chiarezza.

  1. L' economia canaglia...quando la raccomandazione e i comportamenti egoistici dilagano. Veramente la raccomandazione "dilaga" quando i comportamenti egoistici latitano, ovvero quando il profitto passa in secondo piano, quando ci si puo' permettere di anteporre un favore ai propri interessi immediati.


  2. L' economia canaglia...quando mancano le regole...quando la corruzione imperversa. Ma la corruzione si realizza proprio in presenza di regole al fine di aggirarle. la presenza di una regolamentazione pletorica la favorisce in ogni senso. Oltretutto, tanto più le regole sono inefficienti, quanto più la corruzione attecchisce.


  3. Un antidoto all' economia canaglia potrà essere la finanza islamica. Cosa? Non mi sembra che a distanza di anni la finanza islamica abbia mai dimostrato una particolare vitalità. Probabilmente nemmeno esisterebbe se non per l' immensa ricchezza accumulata grazie allo sfruttamento delle risorse petrolifere e alle dinamiche demografiche. Di sicuro non trae la sua importanza dalle particolari regole a cui si assoggetta. Anzi, semmai è penalizzata da quei vincoli soffocanti.


  4. Contro l' economia canaglia affidiamoci all' etica. Un sistema in grado di produrre ricchezza si alimenta sia di comportamenti altruistici (accettazione delle regole), sia di comportamenti egoistici (ricerca del profitto). I primi però non sono centrali per almeno due motivi: 1) le regole sono poche, 2) le regole procurano un vantaggio materiale a tutti quindi, si potrebbe dire, la loro accettazione richiede una forma "lungimirante" di egoismo piuttosto che un vero e proprio altruismo disinteressato. Quando l' etica viene richiesta in dosi tanto minimali, invocarla è rischioso poichè la sua istituzionalizzazione soffoca l' etica stessa e il sistema a cui viene imposta. La Sharia applicata alla finanza mi sembra un esempio lampante che non necessita commenti. Non che con questo abbia provato granchè visto che, colpo di scena, l' Autrice sembra proprio invocare per la finanza un' arcaica precettistica di origine coranica!


  5. L' economia canaglia...trova terreno fertile nei momenti di transizione. Quando non esistono regole bisogna crearne. Qual è il modo pià efficace? Una ricetta non c' è. Nonostante questa sconsolata osservazione, lasciare che regole emergano affidandosi al libero gioco delle forze in campo (economia canaglia), almeno per desumerne un orientamento, puo' essere la soluzione migliore. D' altronde, l' alternativa sarebbe quella per cui delle regole vengano imposte a tutti dall' alto con l' uso di una forza superiore. Come si vede l' economia canaglia, in questi casi, non solo trova il suo spazio nei mommenti di transizione, ma è addirittura auspicabile.


  6. L' economia canaglia è inevitabile e spesso fornisce anche dei buoni servigi. Devo ammettere che nel resoconto ascoltato questo messaggio era pure presente. Naturalmente non riesco a conciliarlo con il resto, disinnescare la contraddizione mi sembra arduo.

venerdì 18 gennaio 2008

McDonald's fa bene al mondo

Interessante articolo sull' argomento.

"Critics have excoriated the US fast-food industry in general, and McDonald's most particularly, both per se and as a symbol of the United States. However, examining McDonald's internationalization and development abroad suggests that McDonald's and the others of its ilk are sources of development for mid-range countries. McDonald's brings training in management, encourages entrepreneurship directly through franchises and indirectly through demonstration effects, creates backward linkages that develop local suppliers, fosters exports by their suppliers, and has positive external effects on productivity and standards of service, cleanliness, and quality in the host economies"

martedì 8 gennaio 2008

Gaffe sintomatiche alla radio pubblica. Felice Cimatti in quel di Fahrenheit prende a pretesto l' ambiente per rialzare il pugno

In una delle trasmissioni più ideologizzate della nostra radio, parlo di Fahrenheit - che naturalmente mette in scena le sue faziosità rivoltanti dalle frequenze destinate al servizio pubblico - ascolto questa trasmissione (vai al minuto 27.34).

Il rosario degli argomenti messo in campo è collaudato quanto bolso.

Intervistando un sociologo che mai ne ha azzeccata una in tutta la sua carriera - Gallino, ospite fisso da decenni -, il conduttore Felice Cimatti - uno che come molti fa la spola tra Manifesto e Radio 3 - sta come al solito lanciando i suoi strali contro ogni forma di lavoro flessibile.

Dopo poco si passa stancamente alla condanna dell' outsourcing e della globalizzazione.

Il carattere trito e macilento di questa solfa sembra far aleggiare una qualche consapevolezza se è vero che il Cimatti ogni tanto sospira scoraggiato, ormai nemmeno lui riesce più a farsi convincere da affermazioni che la comunità scientifica si è lasciata alle spalle da decenni. In fondo lo sa bene, le soluzioni da lui sognate (le solite cretinate comunisteggianti) sono inapplicabili nel mondo d' oggi.

Poi un' illuminazione che riaccende la verve: "...ma non è che le questioni ambientali possano arginare i fenomeni di globalizzazione e di liberismo selvaggio?" - minuto 27.34 -

Risposta pronta del sociologo che fino ad allora aveva denunciato chiare lacune nei riflessi: "Certo-certo-lì c' è una speranza...".

Chiaro adesso a cosa servono le questioni ambientali al signor Cimatti che parla a nome di tutti, dalla radio di tutti, pagata da tutti?

La gaffe è rivelatrice. Al solo citare la "questione ambientale" nella testa del Felice Cimatti è partita l' Internazionale e il Sol dell' Avvenire ha preso a sorgere.

C' è da scommettere che presto la genia qui impersonata dal Cimatti si metterà al lavoro per proporre soluzioni ambientali, nonstante che costoro, la gaffe lo denuncia, desiderino un ambiente sostenibile almeno quanto pescare il due di picche a briscola e trattino la questione ambientale in modo meramente strumentale.

Ma quando la si vende questa Rai?

lunedì 7 gennaio 2008