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giovedì 7 gennaio 2016

Favole e numeri di Alberto Bisin - la crisi euro

Presentazione Favole e Numeri ( Prima Parte) - YouTube:



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Favole e numeri di Alberto Bisin - la crisi euro

  • bisin: pane al pane vino al vino. odiato dall'italiota.
  • krugman. il grande favolista
  • krugman: bernanke nn stampa abbastanza. prima favola.
  • favola: con la moneta si risolvono sempre problemi reali: svalutiamo, usciamo dall euro. così evitiamo di tagliare la spesa pubblica.
  • sia chiaro: il qe serve.
  • qe anche in europa? no: gli usa hanno molto più spazio di noi. noi subiamo attacchi speculativi. il ns debito non ci dà spazio.
  • perché da noi gli speculatori sono così pronti da noi?: manca fiducia nell'economia reale e nella politica reale. pressione fiscale già al massimo.
  • il problema da noi: troppe tasse troppa spesa
  • c'è chi denuncia: assurda l'austerity in recessione. giusto ma non c'è spazio. lo abbiamo fatto troppe volte, abbiamo accumulato troppo debito, abbiamo spee troppo alte.
  • da noi la crescita non c'è da 20 anni. il problema non è la recessione ma la mancata crescita
  • draghi ritarda le riforme con la sua disponibilità eccessiva?  forse ma il problema è sostanzialmente politico. draghi fa il suo.
  • uscire e svalutare? le imprese sono indebitate in euro (diversamente che in passato). e l'argentina? seee con il 57% della pop sotto la soglia di povertà
  • uscire dall'euro: conferma degli stereotipi italici
  • perchè nessuna riforma dopo l'entrata euro? la germania e francia hanno sgarrato e da lì è saltato tutto. si poteva prevedere?
  • le crisi le paga la classe se si risolve in inflazione. i ricchi portano via, i poveri nn hanno niente. ma è la classe media che investe nel paese.
  • vulnus euro: non è prevista una procedura di default per gli stati. per scaramanzia? sta di fatto che molti hanno pensato ad una garanzia implicita della germania, da qui la sopravvalutazione.
  • Punto cruciale delle favole: la gente le vuole sentire. al di là della scolarizzazione
  • altro inciampo: 1 mancanza di logica 2 ideologia: profitto egoismo...
continua







mercoledì 9 dicembre 2015

HL ITALIANO cap. 1 Foolproof di Greg ip

Foolproof di Greg ip cap1
  • 1907: crisi di panico nelle banche di ny. 1910: mega incendio nel montana. fino ad allora due eventi del genere erano considerati regolari...
  • il turning point
  • la fed era già stata istituita e smantellata due volte. l incendio doloso era pratica comune tra gli allevatori
  • pinchot e th roosvelt ingigantirono la prev sugli incendi. oggi sono ancora tra noi
  • tesi: sono i successi che fanno maturare i disastri
  • la riduzione degli incendi causò grandi accumuli di detriti nel sottobosco. x qs esistono gli incendi naturali che ripristinano un eq
  • possibili cause della crisi 2008:
  • 1 avidità
  • 2 programmi governativi: casa x tutti
  • 3 irrazionalità
  • 4 falso senso di sicurezza indotti dai successi precedenti
  • la paura ha un suo ruolo
  • due scuole di pensiero: 1 ingegneri 2 ecologisti
  • 1 il mondo è un meccanismo: impariamo a manovearlo
  • 2: il mondo è un organismo: i feedback sono imprevedibili x un intelligenza centrale
  • progressive era: 1 in charge. economia: alfred marshall theodore roosvelt wilson  walter bagehot
  • fed: successi fino agli anno 20. pensiero: mai più crisi
  • 1929. 2: troppo potere a 1… 1: troppo poco potere
  • vincono due ingegneri come hoover e roosvelt
  • keynes: l economia è sentimento e il governo può governarlo
  • roosvelt: tutti gli scapoli a spegnere incendi e costruire argini
  • argini sicuri. più costruzioni sotto l argine. meno alluvioni piú dannose. gilbert withe
  • meno incendi più boscaglia. incendi più rovinosi
  • chicago: la gente si adatta alle regole e le neutralizza. stigler peltzman lucas
  • 70: stagflazione. trionfo di friedman. 2 in charge
  • in 1 si salva solo il banchiere centrale. sará minsky a dichiararne l inutilitá
  • mm: il sistema fin sterilizza l azione della fed
  • mm: in un sistema stabile la finanza diventa sempre più speculativa. la stabilità destabilizza
  • imho: destabilizza un sistema stabile senza investimenti promettenti. ovvero un sistema stagnante iper regolamentato
  • mm: le crisi sono sempre diverse
  • il problema di mm: la sua teoria del ciclo nn è utile. in più era un catastrofista
  • volker: il sistema ha bisogno di paura. un bel fallimento bancario
  • Come c inganna il rischio? 1 abbiamo la memoria corta
  • 80 e 90: nessuna deregulation della finanza. Glass act ma anche capital requirement più stringenti
  • Rischi sopravvalutati: between 1971 and 2009, the use of nuclear power had prevented 1.84 million deaths by avoiding the burning of coal and natural gas and the resulting air pollution. (page 168) Nonetheless, the risk of nuclear power is more salient to the public than is the risk of burning coal
  • Critica kling: sembra che il falso senso di sicurezza spieghi tutto. Spesso, invece, è il seen/not seen che conta e come sia sfruttato da alcuni su altri
continua

giovedì 3 dicembre 2015

The redistribution recession di Casey Mulligan - terzi

The redistribution recession di Casey Mulligan - terzi
  • Tesi: durante la crisi gli aiuti dati a chi soffre nn fanno che prolungarla
  • L idea: pagare i poveri accresce i poveri. Pagare i disoccupati aumenta i disoccupati
  • Gli imputati: sussidi e minimum wage
  • Interventi: gli aiuti sono stati estesi a tempo indefinito e nn più a scalare
  • Interventi: i mutuatari sono stati agevolati: tempi più estesi e importi ridotti
  • Interventi: lo stato si fa carico del piano sanitario dei licenziati. I datori licenziano di più (e assumono meno)
  • Primo effetto: disincentivo a cercare lavoro
  • Secondo effetto aumento della tassazione
  • Terzo effetto: salari più rigidi e aggiustamento ostacolato
  • L aliq marg aumenta del 40 48/
  • La catena dei sussidi: chi li riceve spesso tira un pò la cinghia e rinuncia a lavorate. Chi li finanzia spesso smette di lavorare p assumere. Non è un mistero se i sussidi spesso comprimono la spesa complessiva. Questa diminuzione porta ad ulteriore disoccupazione in un circolo. L aliquota marginale più elevata sospinge proprio qs processo
  • Dal 2007 gli interventi distorsivi usa sono stati molti
  • Precisaz: la redistribuz ha solo amplificato la recessione da 2 a 4 volte. E nemmeno l ha innescata
  • Il mess finanziario ha destabilizzato il mercato del lavoro ma come? Innanzitutto attraverso i sussidi a pioggia che subito sono partiti
  • E il matching? Conta eccome ma i sussidi lo aggravano deprezzando lavoro e imprese
  • Le aspettative di rinegoziazione dei mutui hanno compresso i profitti attesi
  • Il fallimento dell austerità europea nn depone contro ls tesi? No. Austerità nn è il contrario di redistribuzione. Si può tagliare anche ai ceti bassi lasciando immune il ceto medio. In europa sono specialisti nel salvaguardare la classe media che vota specie l ompiego pubblici.
  • La quantità di disoccupati tra gli unskilled nn è giustificata dalla recessione. Solo l impennata dell aliq marg la spiega
  • Gli effetti di un aumento dell al marg sono conosciuti e studiati. Il mio libro è solo un applicazione al caso specifico un caso dove i programmi di welfare nn sono mai stati tanto numerosi. È un libro quantitativo.
  • Per alcuni gruppi l aliq marg è balzata al 100/
  • Il contributo del libro: mostrare che le leggi domanda/offerta agisce anche durante la crisi
  • Intervista al recruiter: difficile assumere: la gente fa la prova solo x dimostrare che cerca ma nn accetta x nn xdere il sussidio
  • Contributo: analisi dei dati stagionali
  • Contributo: calcolo sistematico aliq marg
  • Soluzione: meno welfare e i salari saranno meno rigidi
  • Caplan: nn ci credo. Abbassare i salari è come colpire i lavoratori. Nessuno lo farebbe. I salari sono rigidi x qs psico nn x il welfare. Qs nn significa che il welf nn aggravi la situazione
  • Critica: sottostimati gli effetti di composizione
  • Critica: sottostimato il crollo della domanda che nn inplica necessariamente salari rigidi
  • Alternativa: nn è la recessione che causa la redistribuzione
continua

venerdì 13 novembre 2015

My macroeconomic framework di Tyler Cowen

#cowen

My macroeconomic framework di Tyler Cowen

  • il 99% dei cicli è reale
  • il ciclo nominale è dovuto a strette monetarie inopportune
  • salari rigidi: due spieghe: 1) psicologica (usa) 2) sindacale (eu)
  • politica monetaria: ndgp. anche se l'ignoranza è tanta e i prediction market ancora lontani
  • politica monetaria: subito, dopo è troppo tardi
  • depressione: un problema di matching. puo' risolversi prima o dopo, la flessibilità è sempre un valore
  • i modelli con domanda e offerta indipendenti confondono
  • politiche fiscali: dove e come spendere conta più di quanto spendere. la domanda è solo un fattore. rischio e struttura dell'offerta sono glia altri
  • l analisi non perda tempo a caccia dell interesse reale. troppa confusione per rintracciarlo
continua

martedì 4 agosto 2015

Analisi della crisi europea

Per l' Europa l'unica "riforma" promettente è l'americanizzazione.



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widespread structural barriers make job creation in these countries far more arduous than in many other advanced economies, and even more arduous than in some key emerging economies and formerly planned economies. Structural barriers to private sector development are particularly widespread in the areas of labor market functioning, goods market functioning, and government regulation. Evidence from the World Economic Forum’s Global Competitiveness Index and the World Bank’s “Doing Business” dataset confirms the immense size and persistence of these barriers, despite improvements in some countries in recent years

sabato 14 febbraio 2015

Regole o discrezione?

Dopo la crisi una cosa è chiara: la democrazia pretende che quando s' intacca un rischio sistemico le regole del mercato vengano sospese per consegnare i poteri ad un' autorità che li eserciterà in modo discrezionale. La teoria procede da una considerazione: ci sono soggetti too big to fail. Naturalmente in questo modo i soggetti di mercato metteranno in campo tutti i loro agganci politici per entrare nel novero dei salvati. A questo punto non è meglio una regola di "capital requirement" che limiti la libertà di rischio a priori evitando di affidarsi ad una discrezionalità politica a posteriori? L' autore che più di altri sponsorizza questa alternativa è John Cochrane.

venerdì 11 aprile 2014

Macromemoir

Arnold Kling dice la sua sulla crisi.

Origini: il capitalismo crea innovazione e l' innovazione richiede aggiustamenti e distruzione del vecchio. In questa fase le crisi mordono, specie nei paesi poco dinamici.

Rimedi.

Politica fiscale: porta sollievo temporaneo ma non aiuta al raggiungimento dei nuovi modelli strutturali. Anzi, acuisce le distorsioni della sruttura e trascina le crisi indefinitivamente.

Politica monetaria: la Fed puo' poco. I mercati, oggi molto più grandi, neutralizzano la sua politica espansiva. PY=MV. Se l' aumento di M si traduce in una diminuzione di V, allora è tutto vano. Le aspettative inflazionistiche sono quindi indeterminate. L' inflazione non è una funzione continua nelle aspettative ma discontinua: iperinflazione, business as usual, stagflazione...

Sintesi: la politica fiscale prolunga le crisi, quella monetaria puo' alleviare ma non risolve.

Cosa serve?

Dinamismo dell' economia: legislazione pro business e flessibilità del mercato del lavoro.

Il nume tutelare di questa visione?: Schumpeter.

lunedì 12 dicembre 2011

Avidità & Ignoranza

Un fenomeno complesso puo’ essere compreso ricorrendo al “C’ era una volta”. Le narrazioni incantano e soprattutto consentono di sorvolare allegramente sulle incongruenze.
Altri preferiscono unire i puntini. Anche in questo caso la fantasia non soffre frustrazioni: ci sono infinite linee in grado di unire i medesimi puntini.
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Personalmente prediligo il metodo del “great divide”.
Sentire “accusa” e “difesa” illumina persino un comprendonio lento quale è il mio. Mi rendo conto del rischio “curva sud”, ma riguarda per lo più i disinteressati e che si corre quando l’ opposizione non è ben posta.
Dunque, per penetrare un fenomeno complesso come quello della crisi finanziaria occorre innanzitutto un adeguato “great divide”:
… il nostro libro non è progettato unicamente per chi è interessato alle cause della crisi finanziaria, ma a cosa queste cause indicano circa il capitalismo e i governi…
… noi critichiamo la tendenza a sorvolare su un fenomeno sempre sminuito: l’ ignoranza umana per concentrarsi su un fenomeno sempre enfatizzato: il ruolo degli incentivi…
… se prendiamo in considerazione le cause della crisi rese comuni dalla vulgata, ci accorgiamo che hanno a che fare con una denuncia (a posteriori) di incentivi mal posti…
… l’ abbassamento degli standard nel concedere i mutui immobiliari, i bonus ai manager, il “too big to fail”, il tasso d’ interesse troppo basso… se ci fate case sono tutte spiegazioni che puntano tutto sulla distorsione degli incentivi: incentivi mal posti hanno messo in moto alcuni avidi “volponi” perfettamente consapevoli che ne hanno approfittato lasciando gli altri nei guai…
… parlare di “irrationality exuberance”, poi, è una rinuncia a comprendere… “irrazionale” in fondo è un modo per dire “inesplicabile”…
… per quanto ci riguarda la crisi è stata causata invece da un’ ignoranza diffusa un po’ ovunque, presso i banchieri come presso i regolatori del mercato…
… perché mai i banchieri avrebbero dovuto intraprendere azioni volte a distruggere le loro banche?… perché mai i regolatori avrebbero adottato scelte votate alla distruzione del sistema?… a queste domande non mancano delle risposte ma sono risposte populiste non sorrette da evidenza degna di questo nome…
… l’ ignoranza è presa in considerazione poco volentieri nel mondo accademico che invece ama concentrarsi sull’ incentivo… una caricatura non poi così deformante degli economisti, li vede come coloro che pensano a ogni evento come previsto e prevedibile dagli agenti economici… che hanno una comprensione adeguata del mondo… e quindi sono in grado di dominare le conseguenze ultime delle loro azioni…
Ecco allora il great divide che cercavamo, la dialettica da cui far partire ogni riflessione: ignoranza vs. avidità.
Ma la competizione tra i due fronti non è alla pari, questo perché:
… il politico delle moderne democrazie ha bisogno di teorie che rispondano retrospettivamente alla domanda: “cosa avrebbe potuto prevenire la crisi?”… ma gli studiosi dell’ economia dovrebbero essere chiamati a capire il passato e il presente anziché a predire il futuro… visto che lo stato futuro dei sistemi complessi è per sua essenza imprevedibile…
… il dibattito orientato al futuro incoraggia la razionalizzazione e l’ analisi prescrittivo in assenza di diagnosi… la moderna democrazia scoraggia l’ analisi delle cause che guidano un sistema sociale complesso… poiché il suo pensiero si arresta non appena la diagnosi a posteriori individua la regola o la legge che avrebbe impedito il disastro se adottata trascurando l’ essenziale, ovvero il fatto di quanto improbabile sia realizzare a priori cio’ che si realizza comodamente dopo adagiati in una lussuosa retrospettiva…
… “se solo i nostri predecessori avessero saputo quel che sappiamo noi!”… la politica sorvola proprio questo particolare e prende le sue decisioni ignara del fato che domani qualcuno è destinato a ripetere qualcosa del genere… meglio sarebbe pensare alla propria ricetta come a qualcosa che precede i problemi e non che li segue… cosa impossibile al politico contemporaneo… intrappolato nella tensione che lega inestricabilmente future-oriented policy e hindsight bias
… questa trappola ci induce a giudicare – retrospettivamente! - delle semplici persone che ignorano il futuro… come persone incentivate a tenere certe condotte… il semplice errore umano si trasforma ora in avidità, ora in complotto…
Wladimir Kraus Jeffrey Friedman – Engeneering the financial crisis



martedì 1 novembre 2011

Floris, Report, Napoleoni: hasta la propaganda siempre

Pare che questa canzoncina del “default controllato” e dell’Islanda “che ne è uscita meglio di altri” stia contagiando la nostra intellighenzia di sinistra. In ordine cronologico, dopo Report di domenica, dopoGiovanni Floris ieri sera dalla Gruber, ecco l’iperventilante Loretta Napoleoni, che ribadisce i soliti sinistri luoghi comuni. Ripetete con noi: non esiste alcun “default controllato“, e l’Islanda non ne è uscita meglio di altri, ma con pesantissimi costi ed il ricorso all’ortodossia del Fondo Monetario Internazionale. Hasta la propaganda, siempre.

venerdì 9 settembre 2011

Sfogo post crisi

Agosto di passione per il risparmiatore. Le Borse crollano e, dopo temporanei puntelli, tornano a crollare come niente fosse. La situazione è talmente grave che anche la ricerca del colpevole appare come tempo perso che alimenta la frustrazione. Viene il dubbio che chi “agisce male” non possa che agire così, che chi sbaglia, se operasse correttamente, otterrebbe solo un rinvio insignificante del redde rationem. La rabbia si placa nell’ impotenza che a sua volta cede a una sorta di malinconica lucidità.

Lasciatemi sfogare! Lasciatemi buttare giù di getto alcune riflessioni così come vengono, senza link, senza note, senza nomi, senza dati. Vi racconto la crisi come la vedo io, vi fornisco la mia “narrazione”. Si tratta forse solo di sensazioni, le declasso così per non apparire intento a decifrare la forma delle nuvole.

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Non è facile districarsi nel dedalo della finanza, siamo sommersi da dati, indici dal segno mutevole che ci franano addosso da ogni dove, siamo assediati da cangianti interpretazioni autorevoli revocate in dubbio da quanto accade il giorno dopo, da cronisti che urlano la notizia mischiandola con gossip&omicidi, spuntano a ogni angolo esperti che commentano nel dettaglio nuove poi smentite. In casi come questi bisogna avere la forza di arretrare di un passo prendendo le distanze in modo da osservare le cose da lontano.

Sorvolo poi sulle distorsioni ideologiche che viziano buona parte dei resoconti, chi puo’ dirsene al riparo quando ci si impegna su un soggetto del genere? Quando gira e rigira, con infinite precauzioni, alla fin fine sei pur sempre chiamato a puntare i fari sull’ untore e a stabilire chi paga?

Eppure di roba ormai ne ho vagliata, alcune convinzioni le ho maturate e il barlume di una visione ha preso forma. Non rivendico la paternità di idee originali, molto più semplicemente alcuni commentatori mi hanno convinto più di altri e qui vorrei assemblare il meglio con coerenza, nel modo più semplice a rischio di banalizzare. Vorrei dire – prima di tutto a me stesso – qualcosa che rasenti l’ approssimativo pur di fissarsi nella mente anche quando sotto il bombardamento mediatico e piazzaiolo sarà facile smarrire qualsiasi bussola.

A quanto pare la confusione sotto il cielo è accresciuta dal fatto che molti nodi sembrano venuti al pettine tutti insieme. Non è semplicemente un temporale a strapazzarci ma un tornado che al suo interno ne contiene molteplici. Se il malato di morbillo soffre anche di calcoli e la nefrite non lo risparmia, il dottore, statene certi, non ci capisce più niente.

Comincio col dire che i cicli economici, croce e delizia degli economisti, hanno sempre tormentato il capitalismo senza mai trovare una spiegazione convincente. Sono dei vecchi amici che alimentano il dibattito accademico in tutte le salse; sono delle presenze misteriose che non gettano la maschera neanche dopo che decine di Nobel sono stati distribuiti per consacrare l’ opera di presunti smascheratori. Un serio consenso in materia latita dando l’ inquietante sensazione che non si farà mai vivo.

A questo punto la cosa migliore è rassegnarsi al fatto che l’ uomo (economico) agisce in modo bizzarro allorché incappa nell’ “innovazione”. Quando ha per le mani un “oggetto nuovo” regredisce all’ infanzia, comincia a giocarci, si esalta e diventa imprevedibile. Il fatto è che in un economia di mercato l’ innovazione ricorre spesso, e guai se non fosse così.

Di fronte alle novità prorompenti il sistema economico capitalistico tende a generare quei fenomeni particolari che chiamiamo “bolle”.

Se a irrompere è la “novità-internet”, per esempio, ecco che tutti si buttano a capofitto su internet. Fuffa e promettenti progetti si avvinghiano in un abbraccio inestricabile.

Opera altresì una sorta di mimetismo ingannevole: anche chi è lontano mille miglia dalla sostanza delle pratiche innovative sente di doversi dare una “verniciatina internettiana” per ricevere attenzione e finanziamenti.

Ma, oltre alla subdola mimesi che fa scendere una penombra in cui tutte le vacche si fanno grigie, quando il fattore “novità” entra in scena, nel fondo di molti cuori lavora sempre anche una “grande speranza”; un sentimento forse irrazionale ma più che comprensibile; la speranza ci serve per procedere nell’ ignoto. Se per lei non c’ è spazio nella teoria delle scelte razionali, se la razionalità cartesiana non ci illumina circa il ruolo di questa inclinazione, lo farà la logica evolutiva. Sta di fatto che “novità” e “speranza” procedono appaiate, inutile voler separare queste due amiche che si danno appuntamento nell’ animo umano quando scruta il futuro e salpa alla conquista di nuovi pianeti.

Senonché, la verità viene presto a galla, le “bolle” scoppiano e la crisi riporta i valori alle giuste proporzioni. Le speranze eccessive si sgonfiano e restiamo con in mano quelle “novità” che un tempo credevamo miracolose e che ora, per quanto ridimensionate, sono comunque utili.

Esempio (facile). Le “novità” più recenti hanno riguardato la contrattualistica finanziaria. Ricordate la vicenda dei subprime e dei CDS? Se ne sono inventati di tutti i tipi, molti in buona fede hanno sperato che in questo modo fosse possibile dare una casa anche a chi prima non poteva permettersela, sta di fatto che le “bolle” relative si sono gonfiate per bene e hanno fatto un bel botto quando sono esplose, come da manuale. Ora, chissà mai che quella sofisticata strumentazione non torni utile all’ umanità grazie a un uso più oculato.

Tutto qui? No, questa di cui ho parlato è la “crisi da manuale”, la “crisi da bolla”, la “crisi da ciclo”, la “crisi da novità”. La solita crisi. Stavolta, forse, c’ è di più.

Per descrivere questo “di più” non saprei da dove partire. Forse l’ unica è partire da un dato: è dagli anni settanta che i paesi sviluppati non conoscono una vera crescita economica.

Sorpresi?

E adesso non precipitatevi sulle serie storiche dei vari pil OCSE. Sebbene anch’ esse segnalino un certo rallentamento, restano comunque ingannevoli. I motivi sono tecnici e per non appesantire li tralascio. Delusi? Fidatevi, sono motivi solidi, dimenticate i sofismi sulle misurazioni alternative al PIL, anche se mi rendo conto che amputare qui un discorso sostanziale ne sacrifica l’ eleganza.

Per impressionare meglio lasciatemi ancora ripetere che l’ economia Occidentale è praticamente ferma da quarant’ anni. Persino i “dinamici USA” non si sono mossi poi granché. Il nostro benessere sostanziale non cresce. Lo ripeto perché secondo me molti non l’ hanno ancora ben realizzato.

E’ un’ affermazione un po’ forte, nemmeno del tutto vera se presa alla lettera (diciamo che la crescita economica è rallentata parecchio rispetto a prima) ma mi sembra che colga un punto sostanziale.

Un sintomo dell’ imprevisto stop è il ruolo assunto dalla finanza: la finanza ha lentamente guadagnato il centro della scena; ma stressare la finanza è un modo per non perdere velocità anche quando l’ auto ormai viaggia a tre cilindri. Aumentando il ritmo delle frustate anche il ronzino viaggia alla pari con il purosangue. Solo che prima si spella e poi collassa. La pratica di operare a debito si è molto diffusa sia presso i privati che presso gli Stati. Notare che in sé la cosa non sarebbe deprecabile; se avete un buon lavoro e guadagnate bene è perfettamente logico indebitarsi anche parecchio per comprare una casa all’ altezza del vostro status. Non è sintomo di “avidità” agire in questo modo! Ebbene, cio’ che ho chiamato “stipendio” a livello globale chiamatelo pure “crescita”: sapendo che si crescerà ai sostenuti ritmi del passato è perfettamente logico indebitarsi.

Ma se il “mondo sviluppato”, chi più chi meno, non cresce praticamente più dagli anni ‘70, la logica dell’ indebitamento è destinata a incartarsi prima o poi. E’ come se vi avessero licenziato e voi continuate a caricarvi mutui sul groppone.

A quanto pare ci siamo.

Ecco allora che una normale crisi da bolla come quella dei subprime viene a coincidere con il fatto che il mondo comincia a subodorare una crisi epocale da eccesso di fiducia. L’ errata valutazione che ho descritto si chiama status quo bias: prendevamo decisioni pensando che le cose continuassero ad andare come prima. Per “prima” intendo il periodo che va dalla rivoluzione industriale a oggi, un lasso di tempo in grado di giustificare l’ abbaglio.

I metodi di misurazione del PIL non hanno certo favorito il disincanto, ma qui torniamo alla pedante parte tecnica, che non si addice certo alla retorica dello sfogo, il genere che ho scelto e che qui mi voglio concedere. Quindi… transeat.

Se questo è vero, alcune osservazioni s’ impongono. Io mi limito a tre, proprio perché anche i lunghi elenchi sono pedanti.

Innanzitutto considero illusorio cercare di capire la madre di tutte le crisi focalizzandosi sul “caso Grecia” o sul “caso Italia”. Certo, alcuni sono messi peggio di altri e per loro il countdown è più vicino, i secondi sono nelle condizioni di salvare temporaneamente i primi (magari con gli eurobond) ma la dinamica di fondo riguarda tutti perché più o meno tutti si sono incamminati su quel sentiero.

Secondo, non possiamo definire la crisi in corso semplicemente come una “crisi da debito” ma piuttosto come una “crisi di crescita”. I guai non derivano tanto dai mutui stipulati, quanto dal fatto che ci hanno licenziato. Ci hanno licenziato e nemmeno ce ne siamo accorti! Ma il bello (o il brutto) è che anche il nostro creditore è sembrato all’ oscuro del particolare continuando a farci credito.

Terzo, cio’ che ci minaccia non è qualche perverso meccanismo della Finanza o qualche oscuro gnomo della Speculazione, quanto il pervasivo status quo bias che ci induce a non vedere che siamo più poveri di quanto crediamo, che ci induce all’ indebitamento perché ci fa credere che possiamo permettercelo, che ci fa credere che torneremo a crescere quando di fatto siamo fermi da quarant’ anni.

Adesso sarebbe il momento delle “soluzioni”, e capite bene il mio imbarazzo.

Ricorrendo all’ espansione monetaria, bene o male abbiamo imparato a fronteggiare le “crisi da bolla”, tanto è vero che la Grande Depressione rimane negli annali della storia mentre le crisi di fine anni ottanta, di entità analoga, non ce le ricordiamo neanche. Ma “la madre di tutte le crisi”, quella generata da “illusione di ricchezza”, come diavolo si affronta?

Boh.

O ci si rassegna alla stagnazione ridimensionando il nostro tenore di vita o ci si cerca di capire quali sono le cause della prolungata stagnazione.

Quando si parla troppo di economia è sempre meglio ricordare un concetto fondamentale: la ricchezza, quella vera, arriva con l’ innovazione. Quando un tale scopre un seme che, a parità di cure richieste, dà una spiga con venti chicchi di grano anziché dieci, la ricchezza raddoppia.

Ma bisogna scoprirlo.

La Rivoluzione Industriale ci ha regalato una raffica di innovazioni che ci ha lasciato senza fiato per secoli. Le abbiamo sfruttate a dovere e ora stiamo raschiando il barile. Come mantenere quel ritmo?

A voi la risposta, io mi limito ad alcune suggestioni.

Forse internet cesserà di essere solo un ansiolitico e inciderà realmente fugando le delusioni che per ora sta dando, almeno sul piano del potenziale sviluppo economico che avrebbe dovuto supportare.

Forse è un fatto culturale, forse dobbiamo dare maggiore dignità sociale alla figura dell’ innovatore. D’ altronde la rivoluzione industriale si produsse anche perché l’ imprenditore borghese era un individuo dal prestigio sociale notevole.

Forse, molto più prosaicamente, dobbiamo trovare un sistema per pagarli un po’ meglio, questi “innovatori”. Il sistema dei brevetti non funziona, d’ accordo, ma chiunque faccia quattro conti vede che un vero innovatore non riceve che una minima frazione della ricchezza che contribuisce a produrre.

Forse l’ innovazione che rompe sul serio è un evento casuale nella storia e dobbiamo solo sperare prendendo tempo, in questo caso tornerebbero utili euro bond (e anche mondial bond) che dilazionino la resa dei conti spostando in là la frontiera.

Fin qui mi sembra di aver parlato libero da ogni condizionamento ideologico, concedete infine a un fazioso liberista di accennare al ruolo dello Stato nelle economie moderne. Sento già il monito di chi ci ricorda che viviamo nell’ era del “turbocapitalismo”. Faccio solo notare che il timone della barca italiana è affidato a un tale che ha scritto “La paura e la speranza”. Ma lo avete letto? E a chi si ritiene immerso nella centrifuga del “turbocapitalismo” chiedo se, secondo lui, il ruolo fattivo dello Stato, al netto della retorica, è aumentato o diminuito nell’ ultimo mezzo secolo. I saldi del suo bilancio, che misurano la ricchezza intermediata nel paese, sono saliti o sono scesi? Magari questo sempre più ingombrante protagonista non è del tutto innocente. Magari facendo quattro conti scopriamo a sorpresa che Interferenza Statale e Grande Rallentamento sono vecchi amici e si sentono regolarmente al telefono. E chissà che prima o poi non saltino fuori imbarazzanti intercettazioni.

E adesso, in uno scrupolo di coscienza finale elenco alcuni dei nomi più evidenti da cui mi sono lasciato influenzare nel corso di questa riflessione.

Scott Sumner

Tyler Cowen

Michele Boldrin

Robin Hanson

Oscar Giannino

Eric Falkenstein

venerdì 22 luglio 2011

Scott Sumner: i colpevoli e gli eroi della crisi economica

La crisi economica contrassegna i nostri anni, se ne parla sui blog, sui giornali, in treno, al bar. Adesso poi che vengono giù anche gli stati come birilli, l’ affare s’ ingrossa.

Sia chi ama “capire”, sia chi ama stare al centro dell’ attenzione dovrebbe fare un minimo sforzo di approfondimento.

In questi Scott Sumner è il vostro uomo e questo suo post andrebbe recitato nelle università come un’ orazione laica.

Io mi limito a segnalare una quadripletta di passaggi eludendo la parte più tecnica.

Innanzitutto Scott ci ricorda come per le grandi crisi del passato le spiegazioni politicizzate affondarono quelle scientifiche nel tentativo disperato di connettere crisi finanziaria e crisi economica. Questa maledetta mania di dare tutte le colpe alla finanza!

In the history books it says the 1929 stock market crash triggered the Depression.  After an nearly identical crash in 1987 had zero effect on GDP, we learned that was false.  But it’s hard to blame historians for connecting a high profile financial collapse, with an economic collapse that was barely underway, and suddenly got much worse.   Economists should know better.

La confusione maggiore, poi, deriva poi dal fatto che viviamo più crisi contemporaneamente. Ma soprattutto – sorpresa! – che non riusciamo a cogliere l’ indipendenza di queste crisi multiple.

Unfortunately, not everyone is talking about the same crisis.  Some are talking about the housing bubble/crash, some are talking about the late 2008 financial crisis, and I believe both groups have the 2011 unemployment crisis in the backs of their minds (otherwise why is the debate seen as being so important?)

But the link between the housing bubble and the severe financial panic is much weaker than people realize.  And the link between the severe financial panic and high unemployment in 2011 is almost nonexistent.

Sarebbe stupido negare che i privati abbiano commesso molti errori. Più istruttivo è risalire alle cause.

The errors of the private banking system were due to both misjudgment (they did lose money after all) and bad incentives (moral hazard due to various government backstops.)

E adesso fuori i nomi dei colpevoli e degli eroi:

As far as the high unemployment crisis, the proximate cause is low NGDP, which means the Fed is to blame.  Then we can apportion some blame to Obama for not putting more of his people on the Fed, and not doing it sooner.  But ultimately we macroeconomists are to blame, as both the Fed and Obama take their lead from us.  We were mostly silent on the need for vigorous monetary stimulus in the last half of 2008, and many have remained silent ever since. The hero is the Efficient Market Hipotesys (EMH), as markets warned the Fed that money was way too tight in September 2008.

Adesso ditemi, c’ è in circolazione un resoconto migliore? Una storia più coerente al suo interno e con i fatti? Una storia che, al pari di questa, fosse formulata prima degli eventi?

Certo, la si puo’ affinare (qui e qui i miei ritocchi preferiti), ma per me la narrazione di Sumner resta insuperata, anche per questo gli consegno senza indugio la palma di cicerone ufficiale della crisi economica.

venerdì 20 agosto 2010

Tre moltitudini

Molti affermano che "il mercato ha bisogno di regole".

Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.

Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.

Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.

Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.

***

A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.

Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.

Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.

Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.

Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.

Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.

In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.

Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.

Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.

Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.

Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".

E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.

giovedì 12 agosto 2010

Dopo due anni...

E finalmente, dopo oltre un paio d' anni, approda anche in Italia sulla prima pagina di un giornale importante il racconto della crisi finanziaria come volevamo sentirlo da subito.

L a crisi finanziaria, di cui si compie un triennio, ha avuto una radice comune sia negli Stati Uniti che in Europa: la corruzione della politica. Oltre Atlantico si consentì che Wall Street diventasse il maggior finanziatore delle campagne elettorali americane e così acquisisse il potere di dettare le proprie regole al Congresso. Nel contempo i governi premevano sulle banche perché concedessero mutui a tutti, inclusi molti immigrati recenti. Consentire a queste famiglie di acquistare una casa e realizzare in pochi anni il loro «sogno americano» fu una priorità sia delle amministrazioni di Bill Clinton che di George W. Bush. Poco male se questo incrinava la solidità delle banche: bastava blandire i banchieri consentendo loro di attribuirsi compensi favolosi. In Germania i presidenti dei Länder spingevano le casse di risparmio, di cui sono i maggiori azionisti, a concedere prestiti a condizioni di favore alle aziende della loro regione. Poiché alla fine dell' anno gli stessi politici esigevano anche ricchi dividendi, i banchieri facevano tornare i conti investendo in titoli molto rischiosi: obbligazioni greche e mutui americani. Non è un caso che le poche banche che non hanno superato i test di solidità patrimoniale effettuati dalla Bce sono tutte pubbliche. La proprietà pubblica impedisce l' apertura al mercato e rende difficile rafforzare il patrimonio quando ciò si rende necessario: è la situazione del Monte dei Paschi di Siena, che pur avendo superato il test, rimane pericolosamente vicino alla soglia di capitale minima richiesta. Pensare che la crisi sia stata prodotta da un eccesso di mercato, dalla finanza, o dalla globalizzazione, è una sciocchezza, sostenuta da chi ha interesse a evitare che si sottolineino le responsabilità della politica

Non è che l' unica somiglianza con il 1929 consiste nella mitologia che ha circondato l' evento?

venerdì 8 gennaio 2010

Come pensare dopo la crisi

Cosa ha insegnato la crisi finanziaria?

Purtroppo cose diverse a ciascuno di noi, almeno credo. Ogni catastrofe, anche la più dirompente, dà modo di salvare la propria ideologia. Eppur qualcosa si muove (anche nei cervelli più imperturbabili).

Sintetizzo quel che porto a casa.

Cause: le novità regalano instabilità. Siccome alle prime non possiamo rinunciare, rassegnamoci. Qualcuno ha parlato di "distruzione creatrice". Alla fine degli anni 90 fu internet, ora sono piombati tra noi avvenieristici strumenti finanziari. Quando una novità irrompe, bisogna "ricalcolare". Cio' non è privo di effetti.

Rimedi: politica monetaria. Serve sia a prevenire che a combattere. Per me poteva e doveva bastare, al diavolo Keynes e lo "stimolo", al diavolo anche la sfiducia di stampo austriaco nell' EMH; sul punto mi convince il buon Scott Summer.

Mi vieto di andare oltre per non annacquare l' essenziale.

martedì 29 dicembre 2009

Chi ha preso la bastonata?

Ma quali sono stati i gruppi sociali maggiormente colpiti dalla crisi economica in atto? I cittadini del Mezzogiorno o quelli del Nord? I lavoratori dipendenti o quelli indipendenti? Gli stranieri o gli italiani?

Risposta: Nord, indipendenti, italiani.

Secondo voi, ascoltando radio e tv, fahre in particolare, tutto cio' risultava palese?

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mercoledì 28 ottobre 2009

Zingales contro il Glass-Steagall Act

Motivi:

1) alza il costo del credito;

2) la crisi viene dalle banche d' investimento, non da quelle commerciali;

La distinzione che conta non è quella tra banche d' affari e banche commerciali, ma tra banche "too big to fail" e le altre.

(24 ore 20.10.2009 "C' era una volta il senatore Glass)

lunedì 12 ottobre 2009

Salvati dalla "fine del mondo"

Scrivo le righe seguenti pensando ancora a quanto dicevo pochi giorni fa.

***

Solidi valori religiosi in senso tradizionale, rendono più stabile il comportamento economico di un operatore.

Credere alla fine del mondo, per esempio, ci fa mantenere i nervi saldi di fronte alla catastrofe e all' eccitazione generale.

Sarà per questo che le comunità statunitensi dove più si concentra la presenza evangelica hanno attraversato indenni la crisi finanziaria: per loro nessun boom immobiliare.

Se cio' fosse vero, una credenza del genere diverrebbe "bene comune" e andrebbe sussidiata e diffusa. Argomenti contrari?

Ricordo per inciso che il 70% degli evangelici crede alla "fine del mondo" (per i protestanti si scende al 28% e per i Cattolici al 18%).

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