1. Distinguere il movimento dal regime, gli atti dalle promesse. Mentre il fascismo viene spesso giudicato solo sui primi, il comunismo viene spesso giudicato solo sulle seconde.
2. Considerare il fascismo come espressione dei ceti emergenti, delle forze fresche della società: gente che fino a poco prima contava zero, col fascismo comincia a trovare voce in capitolo. Non quindi dei ceti medi in crisi, non degli “spostati e falliti”. In questo senso il fascismo era “dalla parte della storia”, aveva il futuro dalla sua parte.
3. Considerare il fascismo un fenomeno rivoluzionario, un portato della Rivoluzione francese. Il suo intento pedagogico era di natura democratica, rintracciabile nel pensiero illuministico e di Rousseau, rimandava chiaramente a quel radicalismo di sinistra in cui era cresciuto il Benito. La volontà del popolo era al centro di questo progetto di democrazia totalitaria.
4. Considerare il fascismo come totalitarismo di sinistra, in questo ben distinto dal nazismo, che guardava al passato, che costruiva su elementi eterni e immutabili come la razza. Al contrario il fascismo metteva al centro l’idea di progresso, l’ottimismo vitalistico e lo sguardo al futuro.
5. Considerare che tra il 29 e il 36 il regime godette di un vasto consenso realizzando anche nei fatti quella democrazia totalitaria che aveva promesso.
6. Considerare che le politiche dirigiste in economia erano più pragmatiche rispetto a quelle socialiste, tanto è vero che le partecipazioni statali esistevano fino a ieri e oggi c’è ancora chi le rimpiange. E oggi, nel XXI secolo, voglio vedere chi osa dire che la politica economica sia una parte marginale del governo di uno stato. Oggi, infatti, è il 90% della politica governativa ma anche all’epoca aveva un suo peso.
Eccetera (proseguo domani... forse :-)
7. L’idea di corporazione. Il corporativismo ha un suo valore ideologico e culturale, si puo’ accettare o meno (io non lo accetto) ma non puo’ essere preso sotto gamba e squalificato a priori.
8. La protezione assicurata alle classi produttive dalla minaccia della violenza proletaria ma anche il temperamento di certi slanci irrazionali lascito della guerra (il caso d’Annunzio è esemplare).
9. Codice Rocco. A lungo conservato anche nell’Italia democratica, evidentemente qualcosa di buono conteneva.
10. Riforma Gentile. Nella scuola gentiliana si è formata la gioventù democratica per mezzo secolo dopo il fascismo. E persino oggi c’è chi la rimpiange.
Su questi 10 punti imposterei il mio test di Turing ideologico. Ora però, Gianluca, sottoponiti anche tu al test, elenca i tuoi 10 punti positivi. Ai miei occhi chi fallisce il test perde ogni diritto alla critica.
Un’ultima cosa: se sugli aspetti positivi del fascismo si possono avere dubbi, sul principale aspetto negativo certamente no: una certa perniciosa mentalità lasciata in eredità agli italiani, specie agli anti-fascisti.
Ora rispondo brevemente all’obiezione da te avanzata, almeno quella che ho compreso: “Non si può essere keynesiani, marxiani, marshalliani e smithiani senza creare un cortocircuito”.
Quel che tu vedi come una contraddizione molti lo considerano “ecclettismo” e lo apprezzano (io l’ho chiamato pragmatismo). Segnala il mancato assoggettamento a un dogma, attitudine preziosa in materia economica, dove la prima legge è: “a volte le cose vanno in un modo, altre volte in un altro”. Lo sanno bene i socialisti che ai dogmi economici hanno impiccato il loro sogno.
Ad ogni modo la cosa fu apprezzata soprattutto dai pragmatisti per eccellenza: gli americani. Nella sinistra liberal in genere, e nell’amministrazione Roosvelt in particolare il fascismo italiano era un punto di riferimento.
Appendice a "il buono del fascismo"
Farei attenzione ai ministri Grandi e Bottai, estero e cultura. Non sono stati così male.
E non dimentichiamo l'architettura!!!