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mercoledì 5 settembre 2018

LA RIVOLUZIONE DIGITALE PER IL “CINOTTIMISTA”

LA RIVOLUZIONE DIGITALE PER IL “CINOTTIMISTA”
Nei giudizi su questa nostra epoca della “connessione perenne” circola molto ottimismo ingenuo ma anche molto cinismo deprimente. Personalmente, sono sia cinico che ottimista, mi definirei un "cinottimista" .
Da un lato sono cinico: l'epoca di internet ha messo in circolazione tanta di quella "merda" come mai ne avevamo vista prima. Grazie a internet, la "merda" è cresciuta ovunque e in tutti i sensi, sia in assoluto che in percentuale rispetto alla "crema".
Poi però ci ripenso e mi consolo: perché mai questa spiacevole constatazione dovrebbe in qualche modo scoraggiarmi? Non essendo interessato alla “merda” mi è del tutto indifferente al fatto che sia tano ubiqua, l'unica cosa che conta realmente per me è la quantità di "crema" ora a mia disposizione. Ebbene, nell'epoca digitale che stiamo vedendo la "crema" a cui posso accedere è cresciuta anch'essa tremendamente rispetto a ieri, da qui il mio ottimismo senza riserve.
Riassumendo: cinismo + ottimismo = "cinottimismo".
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Riccardo Mariani Facciamo un caso concreto parlando di musica. Anche se io amo la musica moderna, non riesco davvero a capire come un “passatista” possa lamentarsi della nostra epoca. Per quanto costui pensi che la musica composta nel XX e XXI secolo sia “robaccia” – affermazione decisamente esagerata – dovrebbe comunque considerarsi MOLTO FORTUNATO di vivere in un’epoca dove puo’ stare tutti i giorni e tutti i momenti in compagnia dei suoi amati Bach e Wagner! Ieri, per esempio ai tempi di Bach e Wagner, non era certo così facile.
Gestire
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venerdì 20 luglio 2018

Blockchains and the Opportunity of the Commons Alex Tabarrok

Blockchains and the Opportunity of the Commons
Alex Tabarrok
Citation (APA): Tabarrok, A. (2018). Blockchains and the Opportunity of the Commons [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com

Parte introduttiva
Evidenzia ( giallo) - Posizione 2
Blockchains and the Opportunity of the Commons By Alex Tabarrok
Evidenzia ( giallo) - Posizione 6
which goods and services are most likely to be bought and sold on a blockchain
Nota - Posizione 6
INTERROGATIVO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 10
Blockchains and tokenization are a way to incentivize the creation of a commons.
Nota - Posizione 10
TESI
Evidenzia ( giallo) - Posizione 10
protocol that helps people to meet,
Nota - Posizione 11
DEF DI COMMON
Evidenzia ( giallo) - Posizione 11
the English language.
Nota - Posizione 11
ESEMPIO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 12
they are free, ubiquitous and, like air, taken for granted.
Nota - Posizione 12
PER QS NN SI NOTANO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 12
Airbnb, Uber and the NYSE
Nota - Posizione 13
RIMPIAZZABILI DAL BLOCK
Evidenzia ( giallo) - Posizione 13
OkCupid, Twitter, Facebook and YouTube.
Nota - Posizione 13
Cccccccccc
Evidenzia ( giallo) - Posizione 15
it’s possible for private firms to create platforms
Nota - Posizione 15
ESEMPIO DI FACEBOOK YOU TUBE AIRBNP
Evidenzia ( giallo) - Posizione 18
The platform dilemma
Nota - Posizione 18
IL PROBLEMA DELLA GESTIONE PRIVATA
Evidenzia ( giallo) - Posizione 19
Company value and social value are correlated but they are not the same.
Nota - Posizione 20
Ccccccccc
Evidenzia ( giallo) - Posizione 23
for example, Facebook and YouTube profit from advertising that reduces social value.
Nota - Posizione 23
ESEMPIO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 24
companies come to control and access more data than may be ideal.
Nota - Posizione 25
ALTRO ESEMPIO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 27
The creator of a blockchain need not control the blockchain
Nota - Posizione 28
LA DIFFERENZA
Evidenzia ( giallo) - Posizione 30
The blockchain creator, however, can be rewarded through token issuance.
Nota - Posizione 30
COMPENSO
Evidenzia ( giallo) - Posizione 32
To give an example, LBRY– one of the blockchain firms that I advise– is
Nota - Posizione 32
CONCORRENTE D YOUH TUBE
Evidenzia ( giallo) - Posizione 36
Decentralized institutions are much more difficult to design
Nota - Posizione 36
IL PROBLEMA
Evidenzia ( giallo) - Posizione 39
All of this explains why in the history of the world almost all decentralized institutions, such as markets and language, were not designed but arose through evolutionary forces.
Nota - Posizione 40
Cccccc
Evidenzia ( giallo) - Posizione 40
Hayek called decentralized institutions spontaneous
Nota - Posizione 41
PER DEFINIZIONE
Evidenzia ( giallo) - Posizione 43
planned but not controlled.
Nota - Posizione 43
NOVITÀ RECENTE...QUALCOSA A MEZZA STRADA

giovedì 8 marzo 2018

Contrordine: Facebook ci rende meno estremisti

Contrordine compagni: stare su Facebook ci espone alle opinioni altrui e stempera il nostro estremismo. https://www.tandfonline.com/…/10.1080/1369118X.2018.1444783…&
(2018). Facebook news and (de)polarization: reinforcing spirals in the 2016 US election. Information, Communication & Society. Ahead of Print.
TANDFONLINE.COM

martedì 6 marzo 2018

Più Cartesio sui social

Senza la capacità di dividere i problemi e affrontarli separatamente ci si ritrova di continuo nella palude di fronte a un super-mega-blob dall'aspetto inquietante.
È chiaro che di fronte a un simile "mostro" ognuno può dire quello che gli pare, per questo la lacuna di cui sopra più che un errore a volte mi sembra una strategia.

lunedì 5 marzo 2018

Tipi da rete


TIPI DA RETE

A volte in rete discuti con strani soggetti e ti accrgi quanto sia diffusa una spaventosa “mentalità legalistica”. E' più un riflesso pavloviano che una mentalità, provo a spiegarmi meglio: qualsiasi questione venga sollevata la loro prima mossa (ma anche la seconda) consiste semplicemente nel “descrivere cosa dice la legge” in merito. Spesso nemmeno tentano di difenderne la saggezza, la cosa non sembra loro di rilievo, semplicemente te la espongono quasi fossi capitato lì perché bisognoso di una consulenza giuridica. E’ come se ti esortassero ad uniformarti o a cambiarla. Insomma, se vuoi aver ragione devi cambiare un certo decreto legge che loro hanno scovato. Per loro affrontare un problema qualsiasi (logico, etico, scientifico...) si riduce a capire quali siano gli ordini legittimi a cui uniformarsi, l'unica autorità a cui danno credito è quella politica così come interpretata dalla magistratura. Ho come l'impressione che con costoro la scuola di stato in questo senso abbia funzionato fin troppo bene.

L'immagine può contenere: 1 persona, spazio all'aperto

sabato 17 febbraio 2018

La maledizione del finto bar

La maledizione del finto bar

Il guaio di Facebook è di essere considerato un bar senza esserlo.
Se spiegassi a un marziano autistico cos’è Facebook, quello alla fine lo penserebbe come il mezzo ideale per discutere e approfondire: la scrittura facilità l’analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, la possibilità di interagire mantiene una fresca dialettica, ovvero la presenza di più voci che si stimolano a vicenda. Una specie di epistolario plurale dove si ha modo di accedere, ordinare e soppesare le ragioni reciproche.
Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l’interlocutore di fronte alle sue parole (di cui magari si è già dimenticato), puoi verificare le tue ribadendo dei concetto o facendo le dovute precisazioni…
Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di predisporre una replica facendola decantare qualche ora – se non qualche giorno – affinché affiorino le imperfezioni, di ricalibrarla ulteriormente e poi, solo dopo, di postarla? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza. Non siamo al bar ma ci comportiamo come se lo fossimo.
Per chiarire ulteriormente la tesi descrivo la tipica esperienza frustrante in cui mi imbatto gironzolando per i social.
La stragrande maggioranza delle “persone social”, come dicevamo, si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla nell’illusione che gli altri restino bloccati dove li lasciamo a delibare la nostra genialità; il bar, in effetti, consente e facilita una simile illusione, se uno avesse contezza di come commenta la cassiera quando hai chiuso la porta per andartene tutto tronfio, probabilmente faresti marcia indietro e anche i bar diventerebbero un ring sfibrante anziché catartico. Tuttavia, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmente diversa dal bar, il lanciatore di battute puo’ sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola (quel rompicoglioni!) voglioso di vagliare quanto affermato con tanta sicumera. Qui scatta un momento delicato poiché il battutista da bar – per questioni che pertengono il carattere umano – in genere non è disposto a credersi tale, in genere va orgoglioso della sua “brillante” battuta, che non ritiene affatto priva di sostanza, e spesso nemmeno priva di punti deboli o soggetta ad eccezioni. Da un lato, quindi, non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare immantinente, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle meglio a fuoco ne tantomeno di difenderle analiticamente. Il nervosismo cresce e non resta che rifugiarsi nell’aggressività, che diventa subito reciproca; ecco allora che la potenziale discussione viene abortita e rimpiazzata da una sequela di stucchevoli stratagemmi retorici, quelli tipici della lite da cortile, tanto per intenderci: la proiezione, l’allusione, l’equivoco posticcio, la vaghezza ad hoc, le alleanze strumentali in cui ci si dà manforte…
***
Ma c’è un di più che spiega il ricorrente scazzo facebookiano. Qualcuno ha detto che senza un buon “cattivo” non puo’ nascere una storia interessante, e per me questa è una sacrosanta verità.
Analogia: senza un disaccordo non puo’ nascere una discussione, e chi ama le discussioni è attirato dai disaccordi. Ma poi, trascinato da questo pericoloso amore, capita che ti ritrovi spesso a cavalcare una tigre.
Nelle discussioni tradizionali buona norma vuole che, prima di infliggere il colpo, si ripetano con cura gli argomenti dell’interlocutore evidenziando le concordanze con i nostri, si elogino con sussiego l’espressiva esposizione che l’altro ne ha fatto enfatizzando quanto ci ritroviamo nelle sue parole. Poi, finalmente, tranquillizzato il nostro “avversario” si isola con delicatezza il punto di frizione e su quello si innesca una rispettosa discussione sempre intervallata con riconoscimenti reciproci.
Ma su Facebook, come su qualsiasi social, è difficile riprodurre la noiosa ma salutare manfrina del preambolo più o meno ipocritamente omaggiante, cosicché si parte in quarta con la sostanza, ovvero con i disaccordi e l’accidentata discussione che ne segue.
Concentrandosi solo sul disaccordo e parlando sempre e solo di quelli, le parti, potenzialmente vicine, cominciano a sentirsi estranee l’una all’altra, il che puo’ facilmente degenerare in aperto conflitto, basta una parolina sbagliata e l’equivoco esplode.
Risultati immagini per art picture logo facebook

Il bar che non era un bar

Fa rabbia soprattutto il fatto che il mezzo sarebbe l'ideale per discutere e approfondire. La scrittura facilità l'analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, mantiene la dialettica, ovvero l'interazione con altre voci.

Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l'interlocutore di fronte alle sue parole (di cui si è già dimenticato), puoi verificare le tue.

Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di farlo decantare affinché affiorino le imperfezioni, di calibrarlo ulteriormente e poi, solo dopo, di postarlo? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza.

Descrivo la mia tipica esperienza spiacevole. Su Facebook la stragrande maggioranza delle persone si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla, il bar consente e facilita una simile strategia. Ma, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmene diversa dal bar, il lanciatore di battute puo' sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola e vuole approfondire quanto ha detto. Qui scatta un momento delicato poichè il battutista da bar - per questioni che pertengono il carattere umano - non è disposto a considerarsi tale, da un lato non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle a fuoco e difenderle. A questo punto non resta che rifugiarsi nell'aggressività reciproca, e allora lo scazzo e gli equivoci da inconveniente diventano un'arma.

lunedì 6 novembre 2017

Trinet

http://www.arnoldkling.com/blog/the-oreilly-cycle/

Ieri c'era internet, oggi c'è Trinet: Google+Amazon+Facebook

I ciclo: 1) entra una nuova piattaforma.

2) si compete per affermarsi a tutto vantaggio dei clienti

3) si cannibalizza il mercato con condizioni più stringenti

4) si cominciano a studiare nuove piattaforme

venerdì 20 ottobre 2017

Tipi da rete

A volte in rete discuti con strani soggetti dalla spaventosa "mentalità legalistica". Qualsiasi questione venga sollevata la loro prima mossa (ma anche la seconda) consiste semplicemente nel “descrivere cosa dice la legge” in merito. Spesso nemmeno tentano di difenderne la saggezza o la giustizia, semplicemente te la espongono quasi fossi capitato lì perché bisognoso di una consulenza legale. E’ come se ti esortassero ad uniformarti o a cambiarla. Per loro affrontare un problema si riduce a capire quali siano gli ordini legittimi a cui obbedire.

venerdì 21 aprile 2017

Parlare di politica

Una considerazione andrebbe riservata alla retorica del dibattito politico.
Non parlo di quello in cui si cimentano i “politici” di professione ma quello in cui si impegnano i semplici appassionati al bar o nei social network.
Ci sono due o tre cose che ho imparato e che vorrei puntualizzare qui, anche se forse non è la sede ideale.
Parlare di politica è molto difficile, dopo pochi scambi partono diatribe infuocate quanto sterili.
Escludo dall’ analisi chi ha interessi diretti in gioco nella materia in cui discute, in questi casi immedicabili le orecchie si tappano con il cemento; tuttavia, lo avrete constatato ripetutamente, anche la pura e semplice passione ideologica, per tacere della vanità narcisistica, puo’ trasformare una piacevole discussione in un rabbioso dialogo tra sordi.
Un modo per evitare esiti tanto deprimenti consisterebbe nel mettersi nei panni del prossimo e scoprire quanto costui sia molto meno ottuso di quel che crediamo: semplicemente vede le cose da un’ ottica differente rispetto a noi!
L’ operazione è piuttosto semplice poiché, a guardar bene, in queste materie la moltitudine dei protagonisti puo’ essere agevolmente incasellata in tre sole tipologie:
LIBERALE: privilegia l’ asse libertà/coercizione;
PROGRESSISTA: privilegia l’ asse forza/debolezza;
CONSERVATORE: privilegia l’ asse civiltà/barbarie.
Ora, i tre hanno obbiettivi differenti:
1) il LIBERALE vorrebbe tutelare le libertà di scelta,
2) il PROGRESSISTA vorrebbe tutelare il debole e
3) il CONSERVATORE vorrebbe tutelare la civiltà.
Semplice, no? Eppure di solito si discute dando per scontato che la meta a cui tendere è comune (di solito la nostra) e che l’ altro prende semplicemente una strada sbagliata poiché privo di senso dell’ orientamento.
Partendo dalla premessa che nessuna di queste tre prospettive è “indegna”, proviamo allora ad adottare per un attimo l’ “asse” del nostro interlocutore, ci accorgeremmo ben presto che le sue soluzioni sono tutt’ altro che peregrine.
In altri termini, quel che ci differenzia da lui è quasi sempre la prospettiva da cui partire, non l’ intelligenza o l’ ottusità nel giudicare il reale.
Ammettiamolo, un riconoscimento del genere non è tutto ma è già molto.
Proviamo a fare un esempio. Si discute di quote rosa.
Il liberale sarà contrario: implicano una coercizione.
Il progressista sarà favorevole: implicano un aiuto ai più deboli.
Il conservatore sarà contrario: implica un sovvertimento delle tradizioni.
I tre tipi possono dissentire sui valori senza considerarsi stupidi per la strategia che privilegiano.
Altro esempio: l’utero in affitto.
Il liberale sarà favorevole poiché non c’è coercizione.
Il conservatore sarà contrario poiché si tratta di un’innovazione radicale.
Il progressista è a metà strada: da un lato la categoria debole degli omosessuali potrebbe beneficiarne, dall’altra la categoria debole delle donne potrebbe subire uno sfruttamento. Lasciamo perdere la categoria debole dei bambini, che politicamente conta poco.
Anche qui: strategie differenti per mete differenti. Se rispettiamo le mete potremmo disprezzare un po’ meno le strategie.
***
The Three Languages of Politics Arnold Kling

sabato 15 aprile 2017

Facebook e la qualità della vita

Perché su Facebook ci si insulta tanto?
C’è quello che insulta perché semplicemente “pensa a voce alta” sentendosi protetto da isolamento e anonimato, un fenomeno già noto dopo l’avvento dell’automobile.
C’è poi l’insultatore narciso che si inserisce in una catena di improperi credendo di possedere l’insulto più brillante, più creativo. Quello definitivo che metterà fine ad una spirale incivile che nessuno ormai sa più da dove sia partita.
C’è poi l’insultatore vitalistico, quello che insulta perché vuole “esserci”, perché vuol far parte di qualcosa, vuole dare il suo contributo, vuole iscriversi ad una fazione e vivere la sua vita.
C’è poi il meta-insultatore che, sapendo di essere bigotto, non vede l’ora di dare del “bigotto” a chi non è d’accordo con lui; chi sa di essere cervellotico griderà a chi lo contraddice che è un sofista; il dogmatico correrà a denunciare per primo il dogmatismo altrui. Per il meta-insultatore Facebook serve ad esorcizzare le sue paure.
Ma qui vorrei parlare di una quinta tipologia, si tratta dell’insultatore più sottile e forse più umano. Anche i suoi insulti sono più sottili e più umani, forse non potremmo neanche definirli “insulti”.
Qui non si parla di cavernicoli, qui si parla di insultatori con grande apertura mentale.
***
Partiamo da una realtà che dobbiamo accettare: quando esprimiamo una nostra idea sentiamo quasi un dolore fisico nell’essere contraddetti. Anche se l’operazione è fatta con tutte le cautele del caso.
Magari su quell’idea abbiamo investito molto ed essere contradetti per noi ha un costo emotivo non indifferente.
Il dolore è esacerbato dalla dimensione  pubblica, e di solito Facebook dà l’illusione di agire in pubblico (anche se di fatto è quasi sempre un luogo privato, anzi, intimo).
L’insultatore “con grande apertura mentale” invoca la necessità di uno scambio di opinioni ma presto anche lui si accorge di quanto sia innaturale accogliere nel proprio seno il “diverso”.
Ebbene, come reagisce la persona dotata di grande “apertura mentale” di fronte ad un “dolore” che gli viene procurato senza che ci siano veri colpevoli? Come puo’ farlo cessare?
Di solito con una replica costellata di allusioni ambigue che lascino trapelare un’offesa. Ma si tratta di offese che devono apparire “en passant”, quasi delle sviste, dei lapsus, roba “dal sen sfuggita”. Non si tratta di insulti ma di segnali che introducano l’incertezza che un insulto è stato pensato e non detto. Un elaborato retorico talmente sofisticato da giustificare le dimensioni del nostro cervello di homo sapiens.
Di fatto questa replica è uno stop intimato al critico. Un invito criptato all’altro a non proseguire nella sua critica perché troppo dolorosa per noi.
Ci sono due canali attraverso cui l’insulto latente appesantisce il compito del critico.
Innanzitutto, chi ci insulta mostra di non considerarci, il che frustra e appesantisce gli sforzi del critico, i quali verranno intrapresi con la zavorra cognitiva del retropensiero di non essere considerati a dovere.
Poi, essendo umani, sentiamo a nostra volta l’esigenza di abbellire la  contro-replica con un contro-insulto, ma che sia altrettanto creativo e velato in modo che la discussione a cui teniamo possa essere salvata e continuare. Un’operazione, questa, che sottrae ulteriori energie cognitive altrimenti destinate al merito della critica, e che rischia di assottigliarlo al punto da vanificare l’intera operazione, da farla deragliare.
Ecco, questa doppia zavorra viene aggiunta al già gravoso compito di chi ha “osato” criticare. Il “criticato” lo sa e ce la mette volentieri affinché il critico desista e non tormenti la sua piaga.
***
Secondo Derek Powazek Facebook ci rende più cattivi, ma si puo’  evitarlo.
Qualche dritta la elargisce nel suo saggio  “How Can Communication Technology Encourage Civility?”.
Molti internauti incontrano buone letture sulla rete ma lo fanno ripetendo a se stessi un mantra protettivo
… Don’t Read The Comments…
Entrare nei commenti potrebbe precipitarti in una bolgia infernale.
Tesi:
… My central argument is that good people can behave poorly in online situations, but civil behavior can be encouraged by design…
Una legge ben nota agli psicologi dice: “è il male che resta”. In internet sembra trovare parecchi riscontri…
… It’s a fact that bad experiences resonate louder and longer than good ones. That’s why you can read an inbox full of pleasant emails, but two hours later you’ll still be thinking about the single insulting one…
Un libro per approfondire la questione: “Bad Is Stronger Than Good”, di Beaumeister a altri.
Inoltre, nell’ ambiguità noi siamo più inclini a vedere il male.
… the human propensity for paying attention to negative input at the expense of positive input shows what a tall order increasing civility online really is…
Il male è anche contagioso e le mele marce difficilmente isolabili…
… In his 2009 study published in Research in Organizational Behavior, Will Felps found that one bad participant can have a negative effect on an entire group. His research was about real-life, in-person meetings, but it’s entirely relevant to online community…
Su internet esistono tre tipi di “mele marce”: il cattivo (insulta),  il pigro (liquida) e il pessimista (scoraggia).
… The Jerk insults others, the Slacker displays disinterest, and the Depressive Pessimist complains and says it’s all pointless…
Il contagio è sempre in agguato:
… The conventional wisdom said that groups are more powerful than any one individual, so one bad apple should not have much of an impact. Felps found the opposite. Groups with the bad actor performed 30 to 40 percent worse than groups without. In addition, the bad actors caused team members to emulate their behavior. When the actor was a slacker, others would slack. In short, our behavior is like a virus…
Nelle discussioni tra internauti un moderatore è essenziale:
… What this means online is that moderators should be in place to guard against negative participation, especially early in the conversation… I’ve found that the first comment effectively sets the tone for all that come after, so I recommend holding all comments in a queue until there’s a good standout comment, and then ensuring that comment appears first…
Più che castigare i cattivi paga premiare i buoni e stimolare la valutazione tra pari…
… rewarding good behavior is just as important as punishing bad behavior, and may be a more productive community management technique in the long run. These rewards can take many forms. Positive behavior can be rewarded with special attention… I encourage companies to create a featured area, where the best contributions are highlighted…  The seminal example of a peer-reputation system is eBay, where buyers can rate their sellers (and, originally, vice versa), but explicit ratings systems are easily manipulated…
Su internet siamo più cattivi anche perché manca lo sguardo umano
… internet discussions… many can participate but each is relatively unseen. We can be together virtually and alone in reality. Online conversation lacks the human gaze… I believe the lack of it is one of the contributors to the lack of civility online. In a study published in Biology Letters in 2006, Melissa Bateson et al showed that the cues of being watched can enhance cooperation…
Lo sguardo umano ci rende più cooperativi…
… Imagine a refrigerator in a common room in a workplace. Inside are unsecured beverages and an “honesty box,” where people who take drinks are supposed to put in money. Contributions are anonymous and voluntary, but expected. Now imagine an experiment where the honesty box had one of two photographs on it. One group saw a photo of flowers, the other saw a photo of a pair of human eyes. After 10 weeks, the results were calculated. The people who saw a pair of human eyes paid 2.76 times more on average…
In questo senso meglio che gli avatar riproducano il volto dell’utente…
Anche la grafica che ospita la discussione condiziona l’umore: gli angoli arrotondati o il colore dello sfondo incide non poco…
… The visual design of conversational spaces online can have a huge impact on the tone of the conversation… Using rounded corners in online design can go a long way toward making technology feel more approachable… My favorite study in this area is Ravi Mehta’s investigation published in the journal Science in 2009. In the experiment, participants were given the same tasks to complete on a computer. The only difference was that one group had a red background and the other had a blue background. The study showed that the red group did better at tasks that required attention to detail, while the blue group did better at tasks that required creativity and emotion…
C’è poi un fenomeno estremamente importante: internet ci espone a pareri avversi, ci bombarda di informazioni disorientandoci, ci fa perdere il controllo ci toglie sicurezze. Noi cerchiamo di reagire il più velocemente possibile per riprendercele, cerchiamo cioè di ricostruire i nostri schemi senza un’adeguata base informativa cercando di compensare le carenze di questo rimedio improvvisato con l’urlo.
Avere degli schemi è fondamentale nel gioco evolutivo…
… Evolution favors the ones that don’t get eaten, so seeing the grass move and assuming it’s a lion is a good thing…
Avere schemi ci consentano di fiutare il pericolo in assenza di informazioni ci guadagna la sopravvivenza. Forse viene da lì un certo istinto complottista: ipotizzare complotti e lobby consente di ripristinare schemi contraddetti all’apparenza dai fatti…
… Online, where we have much less social information (no physical gestures, no direct gaze), our brains work much harder to intuit meaning, and as a result, we see patterns where there are none. And we tend to see danger even when there isn’t any… we’re predisposed to make assumptions based on limited information, and respond in a “fight or flight” manner….
Chi perde il controllo (perché posto di fronte a fatti o notizie che fanno traballare i suoi schemi) è più avventato e più incivile nei giudizi…
… Jennifer Whitson did a fascinating set of experiments, published in Science in 2008, on patternicity and feelings of control. One experiment involved showing volunteers pictures of random static and asking them if they saw an image in it. Some of the volunteers were put into a “out of control” state. They were quizzed about subjects they couldn’t have known anything about or asked to recall a time in their lives when they felt out of control. The other volunteers were put into an “in control” state. Their knowledge was rewarded or they were asked to recall a moment where they were in control. The people in the “out of control” state were more likely to engage in patternicity– to see patterns where there were none… we frequently feel out of control when we’re online– applications freeze, networks lag, computers crash. Is it any wonder, then, that we perceive personal slights where there are none?…
Soluzione? Contare fino a 10. Avete un commento pepato o liquidatorio da postare? Fatelo decantare per un giorno. In questo non aiutano di certo i ritmi congestionati dei social che tendono ad escludere chi non coglie l’attimo.
Un altro rimedio è parlare dell’argomento parlando di sé: quando parliamo di noi abbiamo sempre il controllo, ci sentiamo più sicuri e quindi anche più calmi e civili.
***  
Ma la lezione non è facile da assimilate, tantoché più usiamo Facebook, peggio ci sentiamo.
Sembra ormai un fatto assodato.
Forse lo studio più completo in materia è quello condotto di recente da Holly Shakya e Nicholas Christakis
Cose che sappiamo già:
  • L'utente medio sta un'ora al giorno su Facebook.
  • Controllare l'utenza Facebook è la prima cosa che fanno al mattino.
  • Usare Facebook diminuisce i rapporti reali con le altre persone (anche se li aumenta in senso assoluto).
  • Usare Facebook riduce il tempo investito in attività reali che consideriamo “significative”.
  • Usare Facebook aumenta l'attività sedentaria.
  • Usare Facebook diminuisce la nostra autostima (poiché la gente mostra il meglio di sé, noi ne usciamo distrutti).
  • Migliaia di studi ci dicono che l'uomo prospera grazie alle sue relazioni sociali.
Dubbio: forse non è Facebook che ci rende infelici ma sono le persone infelici che utilizzano Facebook più spesso.
Alcuni sostengono che Facebook ci rende più felici quando rafforza le relazioni reali.
L’uomo prospera grazie alle relazioni sociali, lo sappiamo. Ma si tratta di studi condotti nel mondo reale, con relazioni faccia a faccia. Cosa pensare delle relazioni intermediate da uno schermo elettronico? Sono succedanee delle relazioni reali?
La risposta è no. L'uso di Facebook tende a peggiorare la nostra salute mentale e il benessere in generale della persona. Non solo, l’effetto negativo è legato alla quantità. Un effetto che la qualità non riesce a correggere.
Trenta giorni senza Facebook e la vita è più bella:
1) meno confronti e l’autostima cresce,
2) meno distrazioni e migliora il focus sui temi di reale interesse,
3) meno stimoli: meno esausti a fine giornata,
4) meno esausti: più energia per impegni imprevisti (che ci sono sempre), soprattutto nelle relazioni reali,
5) meno controlli occhiuti, ovvero più vita senza giudizio incorporato,
6) meno preoccupazioni di “aver fatto abbastanza”.
faceboo