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giovedì 19 aprile 2018

LA NATURA TRASGRESSIVA DELL'ARTE


LA NATURA TRASGRESSIVA DELL'ARTE
Da perfetto animale sociale, l'uomo è specialista nella produzione di: 1) norme chiare che rendano la sua comunità più solida e prospera, 2) espedienti che consentano di evadere quelle norme senza svalutarle pubblicamente. La seconda funzione è affinata grazie all'utilizzo di un linguaggi paralleli, più sottili, più ambigui, più difficili da interpretare, linguaggi in cui l'ambivalenza non è un difetto ma una caratteristica. Mi spiego meglio: se annuncio urbi et orbi che sono la persona più importante in questa stanza violerei le convenzioni del quieto vivere e probabilmente mi farei dei nemici ingenerando invidie e maldicenze, se invece mi “stravacco” sul divano con nonchalance guardando fisso negli occhi le persona con cui parlo di volta in volta faccio intendere la stessa cosa senza riscaldare l'atmosfera oltre il dovuto; se dicessi alla barista: "tu mi piaci da impazzire" i rapporti con mia moglie si farebbero subito tesi, se invece la guardo in un certo modo, le sorrido e con un pretesto le tocco un polso o la spalla, ovvero se uso il cosiddetto “body language”, posso procedere in condizioni di relativa sicurezza. Il linguaggio ambiguo ha infatti il vantaggio di lasciare sempre aperta una via di fuga: una volta che sarò messo all'angolo sarà facile per me uscirne negando sia arroganza che infedeltà, potrei per esempio dire che chi mi accusa ha interpretato male la situazione; arrivo a dire che nemmeno io potrei essere ben conscio di ciò che sto facendo e questo non puo' che rendere ancora più efficace la mia difesa (chi crede in ciò che dice risulta sempre più attendibile). Inoltre, le parole chiare sono prove certe ma un buffetto è solo un indizio labile e difficile da descrivere come malizioso senza operare delle forzature: il linguaggio ambiguo non lascia traccia e ci consente di perseguire la nostra agenda illecita al riparo da troppi fastidi. Questa è la ragione strategica per cui ai nostri bimbi dall'asilo all'università insegniamo solo linguaggi espliciti anche se la nostra comunicazione è costituita all' 80% da linguaggio non verbali: che senso ha insegnare qualcosa che funziona solo se inconscio? Acquisire troppe competenze in merito toglie a questo linguaggio il suo valore sociale. Del resto, chi usa questi mezzi in modo premeditato ci risulta subito sospetto, penso alla diffidenza che ispira il sorriso del venditore di auto usate.
Ma forse, a pensarci bene, non è nemmeno del tutto vero che noi evitiamo con cura di pubblicizzare e diffondere i linguaggi “ambigui”, pensiamo per esempio al linguaggio dell'arte: cosa rappresenta un certo quadro? A cosa rinvia un certo motivo musicale? A cosa si riferisce un certo passo di danza? Difficile rispondere, del resto cosa c'è di più vago del linguaggio artistico? Ebbene, la sensibilità nei confronti dell'arte è anche capacità di cogliere taluni segni allusivi contenuti nell'opera, una qualità che, come abbiamo appena visto, aumenta la nostra potenzialità trasgressiva. Dando all'arte un posto prestigioso nell'ambito della cultura noi indirettamente incoraggiamo i giovani a coltivare questa sensibilità.
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Human beings are primates, and primates are political animals. Our brains, therefore, are designed not just to hunt and gather, but also to help us get ahead socially, often via deception and self-deception. But while we may be self-interested schemers, we benefit by pretending otherwise. The les...

martedì 17 aprile 2018

ODORE D'UOMO

ODORE D'UOMO
L'odore ha un ruolo nella attrazione sessuale? Negli animali questo è certo, i feromoni sono alla base della seduzione in cani, formiche, api e non solo, tanto è vero che per aumentare i ritmi dell' accoppiamento il fattore ne compra in quantità industriali in modo da disinibire i maiali. Anche tra gli uomini la risposta sembrerebbe affermativa: se fate annusare delle t-shirt sudate ad un gruppo di donne di solito le preferenze vanno a quella indossata da un uomo con un sistema immunitario complementare (Claus Wedekind, Thomas Seebeck, Florence Bettens: “MHC-Dependent Mate Preferences in Humans.” Proceedings of the Royal Society of London B: Biological Sciences 260 (1359): 245–49), anche i gay preferiscono il sudore dei gay (Ivanka Savic, Hans Berglund e Per Lindström. 2005. “Brain Response to Putative Pheromones in Homosexual Men.” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 102 (20): 7356–61).
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L'ONESTA' DELL' HOMO HYPOCRITUS

IL LATO ONESTO DELL’HOMO HYPOCRITUS
Se dico che sono calmo ma mi sudano le mani voi credete al mio corpo o alle mie parole? Al corpo ovviamente: il linguaggio serve la nostra natura ipocrita, il body language la nostra natura onesta. La parola è un simbolo arbitrario, l’atteggiamento un segnale funzionale molto più difficile da falsificare: se mi preparo a colpirvi sono teso e contraggo i miei muscoli, non posso attaccare efficacemente con un volto rilassato mentre posso farlo appena dopo avervi blandito con parole dolci. Con il linguaggio stendiamo un velo sulle cose, con il body language lo alziamo. Per questo nell’80% della nostra comunicazione usiamo il secondo ma dall’asilo all’università insegniamo solo il primo, e quando qualcuno approfondisce il secondo, come il venditore o la signorina buonasera, diffidiamo dei suoi sorrisi. Il linguaggio del corpo funziona solo se non lo si insegna e non lo si impara: se Tizio mi è antipatico, mi è antipatico e non so perché, me l’ha detto con il suo atteggiamento e io l’ho capito, il linguaggio del corpo ha funzionato senza che nessuno sapesse di “dire” o di “ascoltare”. Gli unici autorizzati alla decodifica sono i pokeristi e i commissari di polizia addetti all’interrogatorio.
(*) Per linguaggio del corpo si intende il gesticolare, la postura, l’espressione facciale, la direzionalità dello sguardo, il posizionamento della palpebra, il tono, il timbro, il volume della voce, lo stile linguistico…

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sabato 3 febbraio 2018

Trionfo dell'ipocrisia

Per lo psicologo evoluzionista abbiamo solo un obbiettivo: esercitare il “sesso da riproduzione”. Poiché dedichiamo solo pochi minuti all’anno a queste pratiche, tutto il resto si deve spiegare solo in termini di ipocrisia. Vasto programma.
L’arte è ipocrisia, la scienza è ipocrisia, la scuola è ipocrisia, la politica è ipocrisia, l’economia è ipocrisia… è il trionfo dell’ Homo Hypocritus.
E’ un tipo strano lo psicologo evoluzionista, però, devo ammetterlo, ci aiuta a capire meglio le stranezze di arte, scienza, scuola, politica, economia, eccetera.
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sabato 23 dicembre 2017

La ricerca accademica

È incredibile quanto spesso la ricerca trascuri le questioni importanti per dedicarsi a quelle meno importanti. Robert Trivers

Perché fai ricerca? Perché la ricerca migliora la nostra comprensione del mondo.

I benefici della ricerca probabilmente sono sopravvalutati. Macilwaine

L'accademia è è zeppa di persone che esibiscono le loro capacità per impressionare gli altri. Il loro scopo è quello di acquisire prestigio accademico. Di ottenere e mantenere relazioni con prestigiose istituzioni.

Gli scienziati competono per tenere conferenze, non per ascoltarle. Miller 2000

E la domanda di ricerca accademica? Anche qui la preferenza per il prestigio domina.

Gli studenti sono disposti a pagare di più per frequentare quelle scuole dove i professori sono famosi per le loro ricerche. Si tratta di ricerche che quegli stessi studenti raramente hanno letto. Inoltre la cosa ha ben poco a che vedere con l'abilità nell'insegnamento.

La ricerca accademica si concentra su pochi soggetti che hanno una grande rilevanza mediatica.

L'affidabilità delle ricerche decresce quanto più cresce la popolarità della materia in cui sono tenute. Pfeiffer 2009

Le citazioni diminuiscono se il soggetto della ricerca non è alla moda.

Perché gli sponsor della ricerca non istituiscono dei premi anziché dei finanziamenti?

Il premio comporta che devi consegnare dei soldi al vincitore indipendentemente dalla sua identità. In questo modo non c'è l'opportunità per lo sponsor e il ricercatore di sviluppare una relazione reciproca. Con il mecenatismo al contrario il Mecenate può guadagnarsi prestigio associandosi in modo stabile con lo scienziato.

I referenti delle riviste scientifiche sono i veri guardiani del prestigio accademico.

In genere riconoscono i favoriscono gli articoli di chi è già prestigioso.

Il 90% degli articoli scientifici pubblicati su riviste prestigiose vengono rifiutati se presentati sotto falso nome ad altre riviste prestigiose.

I referenti fanno grande attenzione ai dettagli e alla pulizia degli articoli a cui danno l'okay, la sostanza viene molto dopo. Favoriscono gli articoli in cui si adottano metodi particolarmente complicati. L'economista è praticamente impossibilitato a pubblicare se il suo articolo non contiene dei passaggi matematici.

Un rimedio? Mantenere cieca la conclusione dell'articolo.

venerdì 22 dicembre 2017

Io, la mia Colt e il mio giornale



Io, la mia Colt e il mio giornale


Chi non legge assolutamente nulla è comunque più istruito e preparato di chi non legge assolutamente nulla… tranne i giornali
Thomas Jefferson
Sono appena stato al bar, ho consumato il mio solito cappuccino+brioche+giornale e fatto un po’ diconversazione.
Conversazione da bar, intendiamoci. Ci si misura sui vari temi mantenendosi sulle generali: se dici una parola in più passi per pedante.
Tuttavia, anche in queste rachitiche conversazionic’è sempre quello più brillante, quello più informato, quello che dopo pochi secondi comincia a prevalere riducendo ad un umiliante silenzio tutti gli altri: lui ne sa di più su quella cosa, ha più esperienza, ha viaggiato, era caporeparto a “losailcazzo SRL”, articola meglio il suo pensiero, è ironico, allude, cita, punzecchia, replica, fa incisi, rinvii, litoti, metonimie… è il migliore, è vincente.
E’ anche diventato il cocco della cassiera che guarda dall’angolo con i suoi occhioni da lupa. Ovvio.
Il fegato mi rode sempre quando esco da quel bar. Ho come l’impressione che qualcuno mi abbia trapassato l’addome, ho come l’impressione che tra i cruenti duelli all’arma bianca di ieri e quelli parolai di oggi, non corra grande differenza.
Insieme al cappuccino leggo il giornale.
Non so bene se lo leggo per approfondire le conversazioni o per reggere meglio la prossima (e incastrare una volta tanto il sapientone). Non so se sono le conversazioni a condurmi dai giornali o viceversa.
Non devo essere l’unico in queste condizioni poiché un po’ tutti sembrano ossessionati dalle notizie. Dalla notizia del giorno, in particolare.
Domani morirà un personaggio di nicchia e vorrei mettere in bacheca qualcosa di più del solitosquallido R.I.P., non è meglio che mi prepari  fin d’ora? Mi aggiro per le geriatrie di tutti i continenti come un impresario di pompe funebri.
Paolo Conte potrebbe crepare da un momento all’altro e devo assolutamente far capire al mondo quanto siamo stati intimi noi due.
Il mio adorato Jimmy Connors – ho studiato il suo rovescio per anni fotogramma per fotogramma nel tentativo di imitarlo – ha un piede nella fossa e vuoi vedere che quando il Signore lo chiamerà a sé a parlarne alla cassiera sarà quel figlio di puttana che delle imprese di Jimmy ha letto distrattamente giusto qualche trafiletto del Tuttonotizie della Gazza? 
E’ l’anniversario della rivoluzione di ottobre e io non ho niente da dire! Ti rendi conto? Decenni di anti-comunismo viscerale gettati nel cesso.
Oggi avrei scritto volentieri un post sui  robot intelligenti che costruiscono robot più intelligente di loro in modo da far esplodere l’intelligenza sul nostro pianeta. Ma il giornale non ne parla, d’altronde è un caso che – per quanto interessante – esiste solo nella mia testa, nessuno mi seguirebbe, che ne scrivo a fare? Meglio scrivere dei giornali. Se scrivi dei giornali non sbagli mai.
Ma l’ossessione per le notizie non è una mia prerogativa, è vecchia come il cucco. A chi non ne fosse convinto consiglio la lettura di Mitchell Stephens (Storia della notizia). Ma anche di Demostene, specie quando ritrae gli ateniesi sempre a caccia di info per reggere al meglio la guerra della conversazione.
***
Se rifletto sul perché leggo il giornale, il mio portavoce ufficiale risponde: “perché voglio conoscere le cose importanti e allargare i miei orizzonti. Contenti?”.
In realtà mi sa che voglio più che altro essereall’altezza delle conversazioni da bar che conduco.
Bernard Berelson è un sociologo che ha cercato di capire perché leggiamo i giornali. Secondo lui lo facciamo 1) per motivi pragmatici, tipo per sapere che tempo fa, 2) per seguire le storie di persone (conosciute leggendo il giornale) e 3) per reggere la conversazione.
Oggi le esigenze pragmatiche si sono dissolte nel nulla cosmico, basta googolare.
Per le fiabe le alternative sono molte. Anche per quelle vere: certo, gli ultimi sviluppi del caso Macchi li apprendo sui giornali, ma se voglio una cronaca nera con tutti i crismi leggo “L’avversario”, mica il giornale.
Non resta che il terzo desolante motivo.
Da un lato faccio dire al mio portavoce che leggere il giornale mi fa votare meglio, dall’altro, neanche tanto di nascosto, salto le uniche e noiosissime pagine che un elettore scrupoloso dovrebbe leggere.
Ma è ovvio, per me, in fondo, le elezioni sono poco più di un derby, mi coinvolgono perché il tifo mi coinvolge: voglio esultare per il mio beniamino impresentabile, voglio vedere la faccia di quel tale quando perde. Voglio ascoltare i commenti dei giornalisti spiazzati dagli esiti. Per me le elezioni sono funzionali ai commenti, non viceversa. Ma non vi eravate accorti? Un po’ come il calcio: ecchissenefrega delle partite. Cio’ non toglie che nella conversazione, poi, voglia talvolta apparire come un saggio “terzista” moderato e dedito al buon senso (è una forma di tifo anche quella). Le elezioni sono – in piccolo – un palcoscenico anche per me, e leggendo il giornale ripasso il mio copione.
Anche per questo non me ne frega un cazzo che quanto riporti il mio giornale sia particolarmenteaccurato. La sua funzione è un’altra.
Se mi fregasse qualcosa consulterei il registro delle scommesse per verificare quante volte Panebianco o Galli della Loggia c’hanno imbroccato.
Ma Panebianco e Galli della Loggia non offrono ai loro lettori alcun record track, basta il loro prestigio. Sanno che i lettori come me – nel corso della discussione – hanno bisogno di un rinvio a fonti prestigiose, non a fonti attendibili, altrimenti, affrontando i temi di politica estera, non si sarebbero rivolti a Polito o Olimpio ma, per esempio, all’emerito sconosciuto Bill Flack, ovvero all’uomo con il margine di scommesse vinte più elevato in materia di politica mediorientale.
***
E’ un paio di giorni che giù al bar imperversa la discussioni sul Bitcoin, e lì, devo ammettere, ho conosciuto il mio piccolo momento di gloria. Domino il gergo delle valute e l’ho sfoderato senza ritegno (non so nemmeno quanto a proposito). La mia spiega del perché secondo me l’ asset sia in bolla sembra aver impressionato l’uditorio (cassiera compresa). Perfino il “sapientone” si è ammutolito fingendo disinteresse.
E’ chiaro che se fossi convinto delle mie “teorie”andrei di corsa  in banca chiedendo di convertire metà dei miei averi in future al ribasso sulla borsa di Chicago.
Eppure non lo faccio, non lo farei mai.
Forse che disdegno l’arricchimento?
Più probabilmente non sono poi così convinto delle mie tesi.
Ancora più probabilmente non me ne frega un cazzo di verificare se le mie tesi siano vere, quel che mi interessava veramente l’ho già conseguito: zittire l’odioso sapientone e avere su di me gli occhioni ammirati della cassiera/lupa.
Se mi faccio l’esame di coscienza – e sotto Natale la pratica è consigliata – devo ammettere di leggere il giornale per rifornire il mio arsenale, per procurarmi le munizioni utili a combattere quella particolare guerra nota sotto il nome di “conversazione”.
Il giornale è la mia Colt, e spunta dalla tasca della mia giacca come se dicesse a tutta la gente che mi incrocia: “cazzo guardi tu che nemmeno sai costruire un modello per le criptovalute?… occhi bassi e fila…”.
Non devo più cedere l’ultima parola al sapientone, non devo farmi confondere da lui, devo impressionare la cassiera con l’appello ad autorità prestigiose, con citazioni brillanti e inattaccabili. Devo affiliarmi ad un club rispettato, solido, influente. Per fare tutte queste cose non posso perdere tempo con scuole e libri: mi serve un giornale! Voglio un giornale!
***
Ma in tutto questo bailamme di duelli, assalti e parate, la Verità che fine fa? Beh, punto tutto sulle magiche virtù dell’effetto collaterale. Magari senza volerlo si fa viva, magari scocca per un attimo nel cozzo delle sciabole in forma di scintilla. Teniamo comunque gli occhi aperti, non si sa mai!
dscn0392

martedì 19 dicembre 2017

Perché andiamo a scuola? SAGGIO


Perché andiamo a scuola?


Non ho mai permesso alla scuola di interferire con la mia educazione
Mark Twain
1. LA TEORIA DEL CAPITALE UMANO
Che domanda facile, quella del titolo! La risposta sembra ovvia: si va a scuola per imparare, per acquisire nuove competenze da sfruttare nel corso della vita futura.
Nessuno di noi si lascerebbe curare da un medico che non abbia studiato medicina in una buona scuola.
Gli studenti vanno a scuola per migliorarsi con un occhio al loro futuro.
I datori di lavoro, d’altro canto, sono disponibile a pagare un surplus se una persona ha investito su se stessa andando a scuola.
Questa semplice spiegazione è nota come teoria del capitale umano.
Si tratta di una teoria corretta?
Solo in parte, in minima parte. Se dovessi semplificare limitandomi ad un monosillabo direi “no”. Approssimando direi che è scorretta. La scuola è fondamentalmente altro.
Più che altro la storia di cui sopra è quella che genitori e insegnanti amano raccontare nei discorsi ufficiali.
Fuori onda, alle feste, al bar, in camera caritatis, le verità sussurrate sono altre e ben più attendibili.
Funzioni meno nobili sembrano prevalere, anche se la pressione sociale ci impedisce di parlarne a chiare lettere, almeno nella sfera pubblica.
2. ALCUNE COSE CHE NON QUADRANO
Alcuni indizi sono utili per comprendere le debolezze della spiegazione convenzionale.
Stanford è un’università prestigiosa, ammette ai suoi corsi solo il 5% di chi si presenta ai test di ammissione e la retta si aggira intorno ai 35/40.000 euro annuali. Solo la retta, poi c’ è il resto.
Eppure è possibile frequentare gratuitamente (costo zero) i corsi di questa università. Non sto parlando delle borse di studio, alludo al fatto che basterebbe entrare in aula, sedersi educatamente e partecipare alla lezione, oltre che alle discussioni seguenti. Si possono anche fare le esercitazioni se si desidera, nessuno lo vieta. Si possono anche fare i compiti. I professori saranno lieti di trattarvi come uno studente qualsiasi.
Ma se questa istruzione esclusiva ha un valore tanto elevato, perché è così facile “rubarla”?
Ma soprattutto: perché nessuno la ruba? E’ come se su un marciapiede affollato ci fossero in terra migliaia di euro che nessuno raccoglie. Questa è l’immagine che abbiamo se teniamo buona la teoria del capitale umano.
Un caso del genere lascia il forte dubbio che il valore trasmesso non sia quello formativo.
Altro indizio: sapete cosa succede tra gli studenti (in attesa di imparare) a cui viene comunicata l’ora buca? In genere giubilo, ne sono testimone diretto.
Paragonate questa reazione a quella dei viaggiatori a cui viene comunicato la soppressione del treno che attendono. Ad entrambi salta un servizio, ma non si direbbe.
Altro indizio: tra gli studenti è pratica comune iscriversi a quei corsi facoltativi in cui è più facile spuntare un voto elevato che alzi la media. Come mai si sacrifica un apprendimento utile alla media? Forse quell’utile apprendimento è meno utile della media.
D’altronde, preferireste presentarvi sul mercato del lavoro con una laurea a pieni voti (senza aver frequentato alcun corso) o privi di laurea (avendo frequentato tutti i corsi)? Io non ho dubbi, e con me la maggior parte degli studenti. Per loro è abbastanza ovvio che i voti valgano di più delle presunte competenze acquisite.
Una versione alternativa del concetto precedente: preferireste buttarvi nel mondo del lavoro con una laurea 110/110 alla Bocconi avendo una preparazione da 90/110 acquisita adUrbino, oppure con una laurea 90/110 conseguita a Urbino avendo una preparazione da 110/110 acquisita alla Bocconi?
Perché se possiamo prendere 30 (o 9) studiando meno finisce sempre che studiamo meno?
Altro indizio: perché gli studenti si preoccupano delle lorolacune prima dell’esame mentre trascurano la questione dopo l’esame? Ad anni di distanza, poi, ci è abbastanza indifferente constatare che ci siamo dimenticati alcune nozioni apprese a suo tempo sui banchi di scuola. Ci ridiamo sopra!
Altro indizio: perché l’ affaire Giannino non è emerso prima? Perché nessuno si è accorto che non era laureato? Giannino non millantava lauree estranee alla sua attività. Non millantava titoli per attirare qualche vecchietta sprovveduta (come fanno certi falsi dentisti): millantava titoli inerenti alla sua opera quotidiana che svolgeva in pubblico e fianco a fianco con esperti riconosciuti del settore. Millantava la forma esibendo la sostanza. D’accordo, aveva mentito. M a quanto pare si trattava di bugie irrilevanti. Perché farle pesare tanto?
E come vi spiegate il caso di Donnarumma, ovvero il caso di un giovanotto miliardario che rinuncia a conseguire la maturità e per questo viene criticato nonostante chiunque riconosca quell’ esame come completamente inutile per la sua carriera futura? Come si coniuga questa reazione indignata con la teoria del capitale umano?
Anche l’introspezione inocula dubbi: se penso al sapere che utilizzo oggi, quello che mi deriva dalla scuola frequentata non supera il 2/3%. Arrotonderei a 0%.
Perché paghiamo volentieri per chiudere un buon affare ma troviamo seccante far fronte alla retta scolastico-universitaria?
Perché gli insegnanti prendono laboriose contromisure per ostacolare la copiatura dei compiti mentre la cosa non sembra preoccupare molto gli interessati (che anzi si dedicano in modo massiccio a questa attività appena se la possono permettere)?
Perché lo studente che non copia è considerato “onesto” anziché un semplice “egoista” impegnato a coltivare il proprio orticello?
Perché i genitori preferiscono mandare i loro figli nelle scuole dove vanno “i migliori” anziché nelle scuole “migliori?
A questo punto il mistero si sposta sui datori di lavoro: perché danno tanto peso ai voti dei candidati al posto?
I salari dei laureati sono molto maggiori di quelli pagati ai drop out. Se contasse l’apprendimento questa differenza sarebbe proporzionale agli anni frequentati, invece l’ultimo anno, l’ultimo semestre, il superamento dell’ ultimo esame (poco più che un formalismo) ha un valore spropositato.
Si chiama “effetto pergamena”. Ogni anno di istruzione in più ci fa guadagnare il 4% in più ogni anno di lavoro, ma, chissà perché, il completamento dell’anno finale di un corso ci fa guadagnare il 30% in più!
L’ “effetto pergamena” vale anche nei lavori che non richiedono una formazione specifica: i baristi laureati in storia guadagnano molto di più dei baristi che hanno abbandonato la facoltà di storia. Lo stesso dicasi per camerieri e guardie giurate.
Perché poi gli studenti si presentano in massa alladiscussione della tesi? In fondo si tratta di una formalità che non incide sul capitale umano, la formazione che si doveva acquisire è già stata messa in cascina. Evidentemente anche loro riconoscono che l’ “effetto pergamena” conta parecchio.
Inoltre, la gran parte di cio’ che insegna la scuola è di scarsa utilità per la nostra attività futura: arte, lingue, italiano, storia, ginnastica, scienze naturali ecc. Chi di noi farà un uso proficuo di queste conoscenze? Si tratta di meri sprechi, tranne che per un’esigua minoranza.
Personalmente ricordo di aver avuto problemi con l’esame di francese, ho rischiato di impiantarmi. Se mi fossi impiantato non avrei mai fatto il commercialista, ovvero un mestiere in cui il francese ha utilità pari a zero. Di certo il francese come lo si fa a scuola.
Forse la matematica trova maggiori applicazioni, ma anche qui la maggior parte di noi non andrà mai oltre l’aritmetica elementare. A che serve aver passato tanto tempo sulle disequazioni, la geometria o il calcolo differenziale?
Anche le facoltà più pratiche – ho in mente ingegneria – se vai a vedere è zeppa di conoscenze inutili.
Mi rendo conto che la produttività non è tutto, che una persona deve “allargare i propri orizzonti”. Ma a me questi enfatici messaggi suonano come una scusa bell’ e buona.
Stare legati alla sedia per sei/otto ore al giorno non mi sembra il modo migliore per “allargare i propri orizzonti”. Non a caso una persona normale finisce per odiare cio’ che la scuola gli propina. A scuola si legge la Divina Commedia? Se ti va bene la riprendi in mano dopo 20 anni, tanto dura mediamente l’allergia. A scuola si leggono i Promessi Sposi? Ho rischiato di non leggerli mai sul serio solo perché l’inquinamento scolastico ha avvizzito anche un capolavoro del genere. Altro che “allargare gli orizzonti”! 
Ad ogni modo, quel che insegna la scuola – utile o non utile –, viene presto dimenticato. Una volta passato l’esame tutto finisce senza rimpianti nel dimenticatoio.
Se tentassi di rifare ora qualche mio esame universitariosarei irrimediabilmente cannato. Non solo: ci rido sopra! La cosa non mi preoccupa affatto, anzi, mi diverte e la trova ovvia. Penso valga più o meno per tutti: la colpa non è mia, è della scuola.
Ma anche se la scuola trasmettesse saperi utili che noi ricordiamo, la nostra capacità di applicare queste conoscenze alla realtà è minima tendente al nullo. Pochi di noi sanno riconoscere che un certo problema incontrato nella realtà di tutti i giorni è in qualche modo analogo a un problema a suo tempo affrontato a scuola.
Di fronte a questi sospetti i difensori della teoria convenzionale dicono che la scuola, in realtà, insegna ad imparare, a pensare criticamente, a formare un buon cervello: è meglio una testa ben fatta che una testa piena.
Questa affermazione è confortante ma non regge un serio scrutinio. Approfondendo emerge la sua matura meramente poetica.
La psicologia educativa la testa da un secolo ed è giunta alla conclusione che il sapere è estremamente specifico. Gli studenti imparano cio’ che insegni loro, non imparano a pensare. Se  insegni loro la geografia non saranno per questo facilitati ad apprendere la storia, anzi. Ogni apprendimento ricomincia da zero, e una certa presunzione – magari perché si conoscono altre materie – puo’ addirittura ostacolare.
Ma altri sospetti minano la teoria convenzionale: perché la scuola non adotta i metodi migliori di apprendimento.
Qualcosa in fondo sappiamo. Per esempio: sappiamo che senza voti si impara di più. Sappiamo che i compiti – esercizi di matematica a parte – servono a poco o a niente. Sappiamo che la conoscenza somministrata in pillole in modalità variata e alternata si trattiene molto meglio rispetto a quella impartita in lunghe e uniformi ore di lezione. Gli adolescenti imparano meglio quando la scuola inizia tardi.
C’è poi un altro elemento sospetto: perché se l’istruzione influenza gli stipendi futuri dei singoli, non influenza la ricchezza di una nazione.
Ogni anno di studio in più aumenta dell’ 8-12% il salario del singolo. Il beneficio della nazione in un caso di media equivalente è – ad essere generosi – intorno all’1-3%.
3. UNA SPIEGAZIONE ALTERNATIVA
Una tesi alternativa considera la scuola una gigantesca agenzia pubblicitaria. Gli studenti vanno a scuola per far conoscere le loro capacità, più che per acquisirle.
La scuola non ti forma, ti accredita. La scuola è un ente di certificazione.
Ogni studente ha qualità nascoste e chiede alla scuola di renderle pubbliche al fine di massimizzare il suo valore sul mercato del lavoro.
Queste qualità non possono essere facilmente accertabili – come per esempio l’ IQ – altrimenti alle aziende basterebbe somministrare un test.
Si tratta di qualcosa per cui il rendimento certificato dai voti sia una buona approssimazione.
I voti scolastici, in effetti, predicono bene la carriera degli studenti.
Le persone intelligenti e pigre, per esempio, non hanno buoni voti, e nemmeno fanno carriera.
Per avere buoni voti occorre essere intelligenti ma anchescrupolosi, avere cura dei dettagli, nutrire passione per il lavoro e senso del dovere. Bisogna anche essere affidabili, essere all’altezza degli impegni, avere la capacità di concludere la propria missione alla scadenza e non dopo.
Queste qualità valgono sia per i colletti blu che per i colletti bianchi, ma soprattutto non sono misurabili con un test di mezz’ora, la maggior parte di queste qualità è correlata in modo robusto con il profitto scolastico di lungo periodo.
Se sono un datore di lavoro e constato che l’intervistato aveva otto in biologia, cosa penso?
Penso che questa persona abbia l’abilità di padroneggiare una conoscenza complessa, che è stato all’altezza del suo carico di lavoro, che ha sopportato bene pressioni non banali, che ha rispettato le scadenze nella consegna dei compiti, che ha brillantemente portato a termine i suoi impegni.
Insomma, non penso e non mi interessa che conosca la biologia – d’altronde qui facciamo altro –, non mi interessa se ricorda o meno quel che gli è stato insegnato. Mi interessa che sia un tipo affidabile, e i voti di scuola mi sono utili in questa ricerca di affidabilità.
In sintesi: le persone istruite in genere sono lavoratori migliori, ma non perché abbiano ricevuto un’istruzione dalla scuola. La scuola si limita a rendere pubbliche delle virtù nascoste che loro posseggono a priori.
Chiariamo con un’analogia: supponete di possedere un diamante grezzo ereditato dalla nonna. Cosa fate per venderlo al meglio?
Probabilmente apporterete qualche miglioramento: la foggia così com’è ora risulta antiquata. Necessita una ripulitura e un nuovo taglio.
Probabilmente lo farete esaminare da un esperto in modo che ne venga periziato il valore.
Tutte queste operazioni alzano enormemente il valore del vostro diamante poiché presentato in questo modo è chiaramente visibile a tutti quanto sia bello e prezioso.
Ebbene, tutte queste operazioni di contorno volte ad alzare il valore del diamante della nonna, sono simili a quelle compiute dalla scuola con lo studente. L’istruzione alza il valore dello studente attraverso un’accurata certificazione.
Nessuno pretende che la scuola sia solo un’agenzia pubblicitaria (nelle scuole tecniche la fuzione segnaletica è meno presente). Tuttavia, se devo dare una percentuale, direi che spiega per l’ 80% l’esistenza delle scuole così come sono.
4. IMPLICAZIONI
La scuola/agenzia pubblicitaria fa quadrare tutto quel che non quadrava.
Spiega perché la gente non è interessata alla conoscenza di per sé, perché non frequenta Stanford pur potendolo fare, perché non si preoccupa dei saperi inutili, perché dimentica subito quanto ha imparato, perché nessuno rinuncia a discutere la sua tesi, eccetera.
Spiega anche altre cose: spiega perché la scuola è così noiosae difficile. E’ chiaro che se vogliamo selezionare i “coscienziosi” le cose non potrebbero essere altrimenti. Se fosse divertente e facile non ci sarebbe alcun filtro.
Quand’anche fosse inventata la “pillola della conoscenza” le scuole continuerebbero ad esistere.
Spiega anche perché gli esami finali siano una formalità.
Uno si aspetterebbe che l’esame finale di una scuola seria sia su tutte le materie di tutti gli anni pregressi, magari con un tasso di promozioni non superiori al 10%. Ma se l’obbiettivo non è testare la conoscenza – cosa che non interessa al mondo del lavoro – bensì le altre qualità di cui sopra, arrivati alla fine è sufficiente una formalità: il percorso di guerra dello studente è alle sue spalle ed è stato superato.
La teoria spiega anche perché l’istruzione giovi al singolo ma non alla comunità: la scuola serve essenzialmente a distinguerti dagli altri.
La scuola è più una competizione che una cooperazione con benefici reciproci. Il mio sapere non oscurerebbe il tuo, ma la mia pubblicità deve oscurare la tua per essere efficiente. Mentre si puo’ essere tutti molto colti, non si puo’ essere tutti “i più popolari”. I ragazzi al top godono di privilegi perché hanno sconfitto la concorrenza degli altri.
Se “segnali” un po’ di più starai meglio tu senza che il mondo stia meglio. Di conseguenza, le persone tendono ad esagerare nel pubblicizzare se stessi, realizzando così uno spreco sociale non indifferente.
Questi semplici fatti ci spingono a riconsiderare i finanziamenti alla scuola. Certo, certificare le qualità di una persona è una funzione utile ma si tratta pur sempre di benefici che impallidiscono di fronte all’enormità delle risorse riversate oggi nel settore. E non parlo solo di risorse monetarie ma anche psichiche (stress, angoscia, frustrazioni…).
5. OLTRE IL SEGNALE
Un giovane intraprendente potrebbe lasciare la scuola, trovarsi un lavoro, farsi largo in quel mondo, ricevere un’istruzione sul posto di lavoro, farsi pubblicità e una reputazione da lì, e nel frattempo incassare un buon salario. Perché nessuno sceglie questa via alternativa?
Perché andare a scuola è la regola.
Se devo pubblicizzare il mio conformismo come posso farlo tenendo comportamenti anti-conformisti? In questo senso la scuola è una trappola.
Certo, alcuni talenti come Bill Gates o Steve Jobs lo hanno fatto, si sono ritirati dall’università per buttarsi nel mondo degli affari, ma si trattava di eccezioni. E poi, chi assumerebbe un tizio del genere che non dà nessuna delle garanzie di cui abbiamo parlato nella sezione precedente?
Alcune alternative allo spreco sono state tentate: le università online. Oppure il progetto del miliardario Peter Thiel: pagare i migliori talenti affinché abbandonassero le loro università per collaborare a progetti specifici.
Tuttavia, molti di noi continuano ostinatamente ad accettarela scuola così com’è.
Questo perché la scuola – teoria del capitale umano e del segnale a parte – ha anche altre funzioni.
Innanzitutto è un parcheggio efficiente per i propri figli: ce ne si accorge in quei 15 giorni di sfasamento tra la fine della scuola e l’inizio delle ferie. Panico!
In secondo luogo, la scuola favorisce la socializzazione. Una volta si andava a messa o all’oratorio, oggi si va a scuola.
La scuola è anche un posto dove sviluppare un’utile rete di contatti utili successivamente. Mi è spesso capitato per ragioni di lavoro di dover contattare vecchi compagni universitari. Avere rapporti con loro è tutta un altra musica.
La scuola è anche un’eccellente agenzia matrimoniale, specialmente oggi che ci si sposa tra simili e non più tra complementari.
La scuola è anche un consumo di lusso. Nella guerra per lo status esibire la frequenza dei propri figli in una scuola dalla retta esorbitante puo’ costituire una carta vincente.
La scuola è anche un divertimento: la vita del college può essere fichissima. Party, feste, ritrovi, droghe e alcol a volontà. Chi non rimpiange quegli anni? Qualcuno poi si divertiva persino a studiare!
Nel discorso pubblico queste funzioni sono accantonate ma tutti ne conoscono la rilevanza, anche se ciascuno di noi preferisce ostentare le motivazioni sociali per non apparire egoisti e competitivi.
Infine, ci sono altre due funzioni importanti che considererò nelle ultime due sezioni.
6. PROPAGANDA
La prima risulta evidente guardando alle origini della scuola moderna, ovvero della scuola obbligatoria e gratuita per tutti.
Il modello nasce negli stati militari, in particolare nella Prussia tra il XVIII e il XIX secolo.
Bisognava produrre “carne da cannone”, occorreva un cittadino patriottico e disponibile alla guerra. Una specie di kamikaze.
Il sistema prussiano aveva anche altre qualità attraenti, per esempio la formazione di una numerosa classe di insegnanti statali sindacalizzata che sostenesse il potere.
Il modello prussiano ebbe un tale successo da essere presto esportato presto e gradualmente in tutta Europa e in America.
Bisognava “fare i prussiani”, “fare gli inglesi”, “fare gli italiani”. Bisognava “fare la carne da cannone”. Occorreva un cittadino ubbidiente pronto a morire in trincea senza pretendere spiegazioni del perché dovesse farlo.
La scuola di stampo prussiano era l’ideale per indottrinare e coltivare il fervore patriottico.
La scuola come agenzia di propaganda valoriale.
Ci sono molti dati che supportano questa ipotesi. Innanzitutto, si nota come gli investimenti nella scuola primaria crescano quando il paese è minacciato dai vicini.
In secondo luogo, si nota che gli stati più propensi a controllare i media (giornali, TV, radio, internet) sono anche quelli con la scuola pubblica più estesa.
In terzo luogo, gli stati che realizzano ampie redistribuzionidel reddito, hanno anche una potente scuola di stato.
La gente è restia a morire in guerra, la gente vorrebbe dire la sua liberamente, la gente non vuole essere tartassata. Chi manda il proprio popolo in guerra ogni tre per due, chi lo imbavaglia e chi lo tartassa deve necessariamente prima indottrinarlo. Al compito assolve la scuola obbligatoria e gratuita.
Ecco quindi spiegato perché lo stato non affronta il gigantesco spreco di risorse insito nel settore educativo così com’è ora: la scuola serve anche i suoi obbiettivi.
7. ADDOMESTICAMENTO
La scuola crea decisamente un ambiente innaturale per l’essere umnano.
La scuola non piace ai bambini per il semplice fatto che a nessuno di noi piace la schiavitù.
Stare fissi in un banco facendo le stesse cose ora dopo ora, giorno dopo giorno, puo’ non essere bello.
Ma è quello che aspetta il bimbo anche fuori dalla scuola. Stare fissi e ripetere le cose è tipico della civiltà umana da 10.000 anni. da quando l’uomo è passato dalla caccia, all’agricoltura e poi all’industria.
A questo, i bambini – considerata la loro natura inadatta – devono essere domati.
La scuola rappresenta la doma dei giovani.
Tutti devono alzarsi prestopresentarsi in orario, e ubbidire agli ordini. Tutti devono essere addomesticati e acquisire una seconda natura. I renitenti saranno puniti.
Per noi la disubbidienza è la condizione di default. Allo stato di natura il nostro egalitarismo è sorprendente, non sopportiamo chi vuole comandarci. La fierezza è il nostro atteggiamento spontaneo.
Questo atteggiamento va spezzato affinché l’individuo sia reso idoneo alla civiltà. La scuola ha lo scopo di compiere questa operazione legandoci al banco per ore. Proprio come ai cavalli selvaggi catturati nella prateria si lega la sella finché sono domi.
L’insegnante premia il bambino docile e punisce quello riottoso che fa sempre casino. Il bambino che agisce ad imitazione dell’insegnante che ha di fronte riceve un’afflizione.
La disciplina conta, conta anche più del profitto. Ad ogni modo il profitto richiesto deve connettersi alla disciplina più che alla creatività. Un caso?
La creatività del discente va “ordinata”, ovvero repressa. Se abbiamo letto un libro a scuola ci viene naturale odiarlo per sempre, o quasi. Un caso? No, una necessaria conseguenza.
La scuola è un esercizio di addomesticamento sistematico, di irreggimentazione, si gerarchizzazione. Se non fosse così cesserebbe la ragion d’essere della scuola così com’è.
D’altronde, queste caratteristiche sono tipiche di qualsiasi struttura lavorativa, per cui la scuola diventa solo un preludio necessario per istillare conformismo e accettazione.
La nostra natura rigetta l’assoggettamento, almeno finché non è calata in una cultura che lo accetta. La scuola deve produrre questa cultura e acclimatarci.
I lavoratori poco istruiti non ubbidiscono, è un fatto ben accertato. Quando i compiti sono elementari e uguali per tutti, i meno istruiti rifiutano più frequentemente gli ordini ricevuti e si presentano al lavoro in costante ritardo.
Ricordo uno psicologo che confessava le sue difficoltà a sperimentare. Il suo campo d’indagine era la correlazione tra carattere e ideologia, le “cavie” umane venivano compensate per collaborare: “quelli di destra – di solito con livelli inferiori di scolarità -incassavano il loro compenso ma poi trovano assurdo eseguire con perizia certe istruzioni sensate solo per noi sperimentatori… i più istruiti, al contrario, si affidavano agli sperimentatori in modo docile… alla fine, per l’omogeneità del campione, è diventata assolutamente imprescindibile la pari istruzione…”.
La scuola moderna sembra incidere anche sul nostro senso di correttezza.
Il non istruito è egalitario, l’istruito meritocratico. Il non istruito è più violento e maleducato.
La scuola ha così anche la funzione di civilizzare il selvaggio, di dissipare in noi lo spirito del cacciatore e di farci accettare la sottomissione al potere riconosciuto.
La prima vittima di questo approccio è la conoscenza. Albert Einstein:
… è per me un miracolo inspiegabile e meraviglioso che i moderni metodi di istruzione scolastica non abbiano ancora del tutto estinto la sete di conoscenza che risiede nell’animo umano… 
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