giovedì 19 dicembre 2019

GRAZIE, GESU' BAMBINO.

GRAZIE, GESU' BAMBINO.
La parte più odiosa del Natale è la mattina quando i bambini eccitati e con la bava alla bocca si fiondano su dei regali che, sotto l'albero, assumono un'aria terrorizzata. Frammenti di carta multicolore che volano verso il cielo come coriandoli a Carnevale e ricadono invadendo il soggiorno. Cinque minuti dopo, i pacchetti sono tutti sventrati, i bambini siedono ansimando sul divano e gli astanti si chiedono che cavolo fare per le prossime 10/11 ore. Se devo figurarmi l'orgia consumistica non penso alle strade del centro o ai furgoni delle consegne Amazon parcheggiati sul marciapiede, penso alla fregola nel disimballaggio della mattina di Natale.
Ecco, mi piacerebbe che questo incubo non si ripetesse. Ma come fare? Potrei schedulare i regali: il regalo delle 8.00, quello delle 12.00, quello delle 17.00, eccetera. Chi rispetta gli orari avrà un regalo supplementare il ventisei. Oppure una regola del tipo: non puoi scartare il prossimo regalo finché non avrai scritto un biglietto di ringraziamento per quello che hai appena scartato. Niente più dell'idea di "ringraziare" è lontana dalla mente di un bambino che si aggira per casa famelico la mattina di Natale. La mia speranza è che espedienti del genere ci costringano a rallentare, a guardare seriamente ogni dono e magari - miracolo! - a riflettere un nano-secondo sul donatore. Non so se la gratitudine come conteggio forzato delle benedizioni funzioni, la mia speranza è che sia meglio di niente, che sia una forma di introduzione ad un sentimento ingiustamente obsoleto.
Le gratitudini sono di tanti tipi, c'è quella consapevole che fa caso a quanto c'è di buono al mondo. La considero completamente estranea alla nostra dimensione. Pura formalità da relegare nelle preghiere recitate senza ascoltarsi. C'è poi la gratitudine come cortesia, a cui la mia prole - con mio grande scandalo - oppone una strisciante resistenza nonostante le mie urla sottovoce e a mezza bocca: "contatto-visivo, contatto-visivo". Tanta sensibilità da parte mia su questo tema è dovuta probabilmente al fatto che un eventuale cattivo pensiero dell'adulto umiliato ricada sul genitore. C'è poi la gratitudine come reciprocità: da Adam Smith a Seneca in tanti hanno sottolineato l'idea di gratitudine come rimborso parziale di un debito. Qui i bambini sono solo leggerissimamente più sensibili ("cos'è quella roba Vichi?", "un regalo per la Miriam che mi ha regalato gli orecchini della Barbie...").
Eppure, la gratitudine di stare al mondo dovrebbe abbondare presso le nuove generazioni, ereditano un mondo fantastico: la violenza e le malattie sono più rare; siamo straricchi, siamo stra-istruiti. Rispetto solo a 100 fa andiamo che è una favola, perché allora la gratitudine è tanto difficile? Faccio un po' il finto tonto, in realtà lo so bene perché: sono i problemi che ci chiedono di agire, i "non problemi" no. Perché mai dovrei spendere energie per i "non problemi"? Gli psicologi chiamano questo fenomeno "l'asimmetria del vento": i ciclisti si accorgono che c'è vento solo quando spira contro, mai quando ce l'hanno alle spalle.
Eppure leggo che la gratitudine è un sentimento potente, difficile da far scattare ma quando la esprimi a qualcuno in modo diretto e inaspettato, ti puo' riscaldare il cuore per settimane. Se c'è una persona che a queste cose ci crede è A. J. Jacobs, un tale che ha cercato di ringraziare chiunque abbia contribuito alle sue gioie. Si è accorto così della moltitudine che ha al suo servizio. Prima di bere il caffé diceva una breve preghiera per il barista. Ma non si è fermato lì: ha persino telefonato all'esperto del controllo di qualità della sua marca preferita per ringraziarlo personalmente. Lo stesso ha fatto con gli agricoltori che producevano i magici chicchi e con i lavoratori che spargevano regolarmente gli anti-parassitari nei magazzini di deposito. Non la finiva più di telefonare, e più telefonava più si sentiva meglio. Da qualche parte sulla rete potete trovare il libro dove racconta bene la sua storia.
Ecco, se il buon Jacobs ha fatto più di 1.000 telefonate per quella tazzina di caffè, noi potremmo benissimo scrivere un biglietto di ringraziamento alla nonna o a Gesù Bambino prima di aprire il prossimo regalo. O no?

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Polemiche negli USA: gli studenti americani sembrano indietro nei test PISA.

O forse no? O forse è vero il contrario?

In fondo gli asiatici americani fanno abbastanza bene rispetto agli asiatici di altri paesi, i bianchi americani fanno abbastanza bene rispetto ai bianchi di altri paesi, e così via. Se intendi spiegare le differenze tra i vari paesi, la razza sembra essere una variabile potente. Naturalmente, ciò è coerente con l'ipotesi nulla, secondo cui le differenze nei sistemi educativi non contano granché.


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mercoledì 18 dicembre 2019

TABELLA DEL RISCHIO ESISTENZIALE

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CAPITALE E MERITO

CAPITALE E MERITO

Venticinque anni fa pensavo che Internet avrebbe eroso i vantaggi delle grandi corporation, creando un campo da gioco più paritario in cui le imprese meno dimensionate avrebbero potuto confrontarsi alla pari. Credevo che la rivoluzione telematica fosse un'innovazione a vantaggio dei "piccoli" e delle persone comuni. Credevo francamente che la diseguaglianza economica si sarebbe ridotta.
Come al solito mi sbagliavo. Ma perché?
Mi basavo su quanto avevo imparato a scuola, ovvero su un pensiero economico superato che metteva al centro della crescita il capitale. Internet stava rendendo il capitale relativamente marginale livellando grandi e piccoli. Ciò, pensavo, avrebbe rafforzato il potere dell'individuo senza capitale parificandolo al potere relativo delle grandi società piene di soldi da investire.
Ma l'economia del XXIesimo secolo non è come quella del XXesimo, è dominata da fattori immateriali, tra cui competenze tecniche e il talento manageriale. Questo cambia tutto: la risorsa scarsa ora è il merito, non il capitale. L'ascesa dei computer e di Internet ha aumentato notevolmente il potere economico delle élite in vari campi, non tutti tecnici. L'amara verità è che talento e merito concentrano la ricchezza ancora di più rispetto alla disponibilità di capitale.
La nuova economia del talento produce diversi effetti. Innanzitutto, piccoli team possono fare meglio di grandi masse di lavoratori. In un impianto automobilistico degli anni '70, introdurre un nuovo lavoratore nella catena di montaggio era facile. Far sì che il lavoratore fosse produttivo richiedeva una supervisione gestionale molto ridotta e solo un breve affiancamento con altri lavoratori. Ampliare la squadra era del tutto naturale per ampliare la produzione e i ricavi. Ma la programmazione del computer è diversa. Il problema della quantità non esiste: il prodotto finito è replicabile all'infinito a costo zero. D'altro canto, ogni nuova persona immessa nel progetto aumenta significativamente l'onere della gestione e della comunicazione inter-personale. Il team resta quindi piccolo per mantenere un'elevata qualità media. Pochi ma buoni vele molto di più che molti e di medio valore.
Un'altra caratteristica dell'economia postindustriale è che le persone più talentuose tendono a migliorarsi esponenzialmente. Piove sempre sul bagnato. Pensa al ciclo virtuoso di una stella del cinema. Per il suo talento e la sua reputazione, le vengono offerti ruoli sempre migliori. Chi ha già molto, avrà sempre di più. Le vittorie sono come un domino. Questo circolo virtuoso genera enormi barriere all'ingresso e crea un imperativo: "work with the best and forget the rest".
Le élite di oggi si riproducono per endogamia. Si dice che una tribù in cui i membri possono accoppiarsi solo con altri membri, si riproduca per endogamia. Oggi i dirigenti altamente qualificati tendono a sposarsi tra loro. Molto più di ieri. Non si cerca il complemento ma l'affine. Non si cerca qualcuno con cui dividere il lavoro da fare ma si cerca qualcuno con cui condividere i medesimi interessi. Un alto dirigente laureato del marketing di un importante ditta software non si unirà mai in matrimonio con un quadro diplomato di un'azienda di minuterie metalliche. Le élite si sposano per endogamia e questo è un fattore scatenante della diseguaglianza sociale.
Ci sono poi considerazioni organizzative da fare. Le start up o muoiono o esplodono. In questa fase di forte crescita devono evolversi molto rapidamente passando da una condizione di piccoli, semplici e informali a una condizione di grandi, complessi e sistematici. Il ritmo del cambiamento è sbalorditivo. Una società in forte crescita può diventare un'organizzazione completamente nuova ogni sei mesi fino a quando non raggiunge la maturità. Questo è un ambiente unico, insolito sia per chi è abituato alle piccole start-up sia per chi è abituato a lavorare in grandi aziende mature. Di conseguenza, le imprese ad alta crescita tendono ad avere bisogno di dirigenti che hanno avuto successo in altre imprese ad alta crescita. Solo loro possono vantare esperienza nel gestire questa fase "unica". Alla fine si cercano smpre gli stessi e la ricchezza si accumula sempre nelle stesse mani.
Morale: quando il merito soppianta il capitale le diseguaglianze esplodono.

martedì 17 dicembre 2019

IL MIO PROBLEMA CON IL SOVRANISMO

IL MIO PROBLEMA CON IL SOVRANISMO
Il mio principale problema con il "sovranismo" è che non credo nemmeno alla "sovranità". Non credo cioè che esista un' "obbligazione politica".

Si sarà già capito che questo è un post filosofico e non politico, anche perché di politica non ci capisco nulla. Non parla né di sardine né di finanziaria. Non parla neanche di "sovranismo", poiché è un termine il cui significato si sta formando in questi tempi e non mi è quindi ben chiaro. Il titolo, insomma, era solo un patetico tentativo di attirare l'attenzione.
Torniamo dunque a quel fantasma che cammina che è l' "obbligazione politica". Noto con un certo sgomento che, contrariamente a me, la maggioranza ci crede. Anzi, la dà per scontata. Gli argomenti più semplici per giustificarla sono quelli cosiddetti "consequenzialisti": se ubbidiamo al governo staremo meglio tutti. Il giudizio etico del "conseguenzialista" dipende dalle conseguenze. Il suo argomento ha due step: in primo luogo, si sostiene che il governo fa del bene a tutti noi. In secondo luogo, si sostiene che questo solo fatto ci impone dei doveri morali, in particolar modo quello di ubbidire.
Facciamo qualche esempio. Un primo effetto benefico attribuito al governo è quello della protezione dai crimini commessi da terzi. Chi è pessimista sulla natura umana - magari ispirato dal filosofo Thomas Hobbes - teme che la società priva di un governo si riduca a uno stato barbaro in preda ad una guerra perenne del tutti contro tutti. Il secondo effetto è la fornitura della legge, un insieme dettagliato, preciso e pubblico di regole di condotta sociale che si applicano uniformemente a tutti. Grazie alla legge siamo in grado di coordinarci. Il terzo vantaggio saliente è quello di avere una difesa militare contro gli attacchi esterni. Qui di seguito - nel chiedermi se esiste un obbligo di ubbidire ai politici - darò per scontato che questi benefici esistano.
Per fare un'analogia, prendiamo allora il caso in cui vedi un bambino affogare in uno stagno poco profondo: potresti facilmente salvarlo, anche se ciò comporterebbe sporcarsi i vestiti e perdere un po' del tuo prezioso tempo. Mi sembra ovvio che sia tuo dovere intervenire. Se il bambino affogasse nell'oceano e tu dovessi correre un rischio significativo per salvarlo, non saresti obbligato allo stesso modo. Ma qui siamo in un caso differente. Fuor di metafora potremmo dire che i fautori dell'argomento consequenzialista sostengono che l'obbedienza alla legge è necessaria affinché lo stato funzioni. Se troppi cittadini disubbediscono, infatti, lo stato crollerà e i suoi enormi benefici scompariranno.
Problema: molte leggi vengono regolarmente infrante ogni giorno senza che il governo crolli. Non è vero quindi che la tua obbedienza è richiesta per evitare il collasso sociale. Certo, ci sono alcune leggi alle quali dovresti obbedire per ragioni morali indipendenti. Ad esempio, non dovresti derubare altre persone. Ma questo è un dovere etico, non politico. Per difendere l'obbligo politico, si deve sostenere che esiste un obbligo di obbedienza che prescinde dal contenuto della legge.
Ritorniamo al caso del bambino che sta annegando nello stagno poco profondo ma questa volta, supponiamo che ci siano altre tre persone nelle vicinanze pronte a salvare il bambino. Sono abili nuotatori, non hanno bisogno di alcun aiuto; non vi è alcun pericolo che il bambino anneghi o soffra. L'analogia così riformulata sembrerebbe più in consonanza con l'obbligo politico: ci sono già sufficienti persone che obbediscono evitando il collasso sociale. La tua obbedianza è ridondante, non serve. Detto questo, sembreresti esonerato da ogni vincolo etico.
Ma se tutti ragionassero come te? Nel test kantiano la bontà di una regola si misura calcolando le conseguenze ipotizzando che tutti la osservino o che tutti la disattendano. Oggi parliamo di "utilitarismo della regola". Il conseguenzialismo semplice giudica i semplici atti, il conseguenzialismo delle regole giudica invece le regole generali. Prendi il caso di un prato appena seminato nel campus universitario. Studenti e professori sono tentati di prendere scorciatoie tagliando per il prato. Una persona che taglia non avrà alcun effetto evidente ma se lo fanno tutti, il prato sarà rovinato.
Ma il test kantiano non sembra uno strumento affidabile, in molti casi sembra assurdo. Supponiamo che decida di diventare ragioniere. La mia scelta sembra legittima ma cosa accadrebbe se tutti diventassero ragionieri? La società collasserebbe. La mia innocua scelta non passa il test kantiano. Certo, potrei formulare la regola in "scegli di diventare ragioniere a condizione che non ci siano troppi ragionieri" ma allo stesso modo le persone che disobbediscono alla legge potrebbero dichiarare che la loro regola è: "viola la legge se la cosa non non la violano già in molti".
A questo punto il cultore della sovranità dice: disobbedire è ingiusto nei confronti di altri membri della società, che generalmente obbediscono. Ma qui abbandoniamo le teorie "coseguenzialiste" per rivolgerci alle teorie dell' "equità".
Ragioniamo sul seguente scenario. Sei su una scialuppa di salvataggio con molte altre persone. Vi sorprende una tempesta e cominciate ad imbarcare acqua. Gli altri passeggeri si danno da fare per svuotare la barca tramite dei recipienti. I loro sforzi sono chiaramente sufficienti per stare a galla; pertanto, se rifiuti di dare una mano non ci saranno gravi conseguenze. Tuttavia, sembra ovvio che dovresti aiutare. Intuitivamente, sarebbe ingiusto lasciare che facciano tutto gli altri. Ecco, i sostenitori dell'equità dicono che disobbedire alle leggi di stato è una mancanza di rispetto verso chi adempie, esattamente come non dare una mano a svuotare la barca dall'acqua è una mancanza di rispetto verso chi lo fa alacremente.
Ma torniamo sulla barca e supponiamo che chi coordina le operazioni di salvataggio ti dica di andare a fargli un panino. Anche questo rientra nell'obbedienza dovuta? Fino a che punto devi spingerti nell'obbedire? Che relazione c'è tra equità e obblighi politici? Il fatto che esista un'obbedienza legittima non significa che tutto sia dovuto. Mi spiego meglio proseguendo con l'analogia: la scialuppa di salvataggio sta imbarcando acqua. I passeggeri si riuniscono e discutono su cosa fare. Una maggioranza (da cui ti dissoci) delega a Bob la soluzione. Bob ci pensa e decide che tutti devono smettere di scaricare l'acqua dalla barca e mettersi a pregare Poseidone, flagellarsi con il frustino e versare 20 euro a Giovanna. Domanda: se rifiuti di pregare, di auto-flagellarti o di pagare Giovanna, agisci in modo scorretto? Tratti ingiustamente i tuoi compagni di viaggio? A questo punto mi sembra logico che per capire quali sono i tuoi reali doveri, il contenuto dell'obbligazione sia imprescindibile. Non esiste un dovere di obbedienza al buio. Inoltre, se le persone sono obbligate a contribuire a mantenere l'ordine sociale, lo stato è altrettanto obbligato a formulare leggi da cui scaturisca questo obbligo. Nel deliberare leggi non necessarie per mantenere l'ordine sociale, e quindi legittimando la disobbedienza, lo stato si rende responsabile del collasso sociale, esattamente come fa lo sciagurato Bob.
A questo problema si aggancia il "problema dell'eremita".
Gli eremiti desiderano vivere in una condizione selvaggia, di certo non hanno bisogno di un governo. Quali obblighi hanno nei confronti della legge? Le popolazioni indigene preferirebbero addirittura che i coloni europei non fossero mai arrivati ​​nel loro continente. Che obblighi morali hanno? Gli anarchici rifiutano per principio ogni forma di governo. Che senso ha chiedere loro obbedienza? Difficile che esista alcun dovere in questo senso. Ci sono anche coloro che si oppongono a specifici programmi governativi, ad esempio i pacifisti. Supponiamo che gli i passeggeri sulla scialuppa di salvataggio credano che pregare Geova li aiuterà. Ma Giovanna crede che pregare Geova sarà dannoso, perché offenderà Cthulhu. Si oppone quindi al piano degli altri passeggeri. In questa situazione, sarebbe ingiusto che Giovanna si rifiuti di pregare Geova? Questo è il caso di coloro che si oppongono, per esempio, all'invasione dell'Iraq, al proibizionismo sulle droghe, alle restrizioni sull'immigrazione e a molte altre leggi controverse. Le controversie ragionevoli abbondano. Qui non c'è opportunismo e quindi non sorge nessun obbligo morale ad obbedire.
Altro problema: sembrerebbe sbagliato evadere le tasse per spendere i soldi in una nuova televisione. Tuttavia, sarebbe lecito farlo per usare quel denaro in un modo socialmente più utile rispetto al modo in cui verrà impiegato dal governo. Non sembrerebbe sorgere nessun obbligo di obbedienza se ci sono alternative preferibili.
Il conseguenzialismo non sembra fornire ragioni che legittimino l'uso della forza da parte dell'autorità politica. Supponiamo di essere a una riunione del consiglio in cui tu e gli altri membri state discutendo su come migliorare le vendite della vostra azienda. Sai per certo che il modo migliore per farlo è assumere l'agenzia pubblicitaria PIP. Il tuo piano è altamente vantaggioso per l'azienda, questo è un fatto. Tuttavia, gli altri membri non ne sono convinti. A questo punto estrai la pistola e imponi di votare la tua mozione. Un comportamento simile può essere giustificato ma solo in circostanze di emergenza. Altro esempio, se Maria ha un infarto e deve essere portata immediatamente all'ospedale potrei anche rubare una macchina per salvarle la vita e condurla al Pronto Soccorso. Quindi, forse, lo stato è giustificato nel coartare le persone violando i loro diritti se l'alternativa è il collasso sociale. Fin qui si puo' anche concordare. Quello che non è ragionevole fare è spingersi oltre. Ma la politica consiste essenzialmente proprio in questo "spingersi oltre".
Ricapitolando, nell'analogia della scialuppa hai il diritto di usare la forza per salvare l'equipaggio, ma questo diritto non è né completo né indipendente dal suo contenuto. E' un diritto altamente specifico: dipende dal fatto che il tuo piano per salvare la barca sia corretto (o almeno ben giustificato). Non puoi costringere gli altri a comportamenti dannosi o inutili. Non puoi usare le armi per costringere gli altri a pregare Poseidone, tanto per dire.
Detto questo, quante attività governative potrebbero essere considerate legittime su questa base? Dividiamole in nove categorie.
1) Leggi progettate per proteggere i diritti dei cittadini. Tipo quelle contro l'omicidio, il furto e le truffe.
2) Politiche progettate per fornire beni pubblici. Tipo la difesa militare.
3) Leggi paternalistiche. Tipo cintura di sicurezza e seggiolini per bambini.
4) Leggi morali. Tipo contro la prostituzione o il gioco d'azzardo.
5) Leggi per aiutare i poveri. Tipo salario minimo o di inclusione.
6) Leggi concesse alle lobby potenti. Tipo sussidi all'impresa.
7) Leggi progettate per garantire il monopolio dello stato. Tipo tribunali e polizia.
8) Leggi progettate per promuovere cose che sono considerate buone. Tipo pensioni, sanità e scuola.
9) Leggi per tutelare la tradizione. Tipo quelle contro i matrimonio gay.
Direi che, sulla base di quanto detto, legittime possono essere 1 e 2. Forse 7. Delle altre è concesso dubitare. Ma le altre sono il 90/80% delle attività di uno stato moderno!
Ultima questione: la sovranità puo' essere assoluta?
Torniamo sulla scialuppa e supponiamo che ci siano due passeggeri armati, Giovanni e Giuseppe, ognuno dei quali riconosce che la barca deve essere tratta in salvo e ha un progetto ragionevole per agire. Non si capisce perché uno dovrebbe avere più autorità dell'altro. Sembra, quindi, che la sovranità statale non possa essere assoluta, almeno se ci affidiamo alle giustificazioni conseguenzialiste. Altri agenti non sono meno legittimati dallo stato nel farsi obbedire tramite la forza allorché perseguano obbiettivi apprezzabili. Esempio, se lo stato non fornisce un'adeguata protezione dal crimine (1), ad esempio, non vi è alcuna ragione ovvia per cui gli agenti privati ​​non possano fornire il medesimo servizio. Concluderei dicendo che se la sovranità ha basi morali evanescenti, la sovranità assoluta è del tutto ingiustificata.

lunedì 16 dicembre 2019

SCIENZIATO CURA TE STESSO

SCIENZIATO CURA TE STESSO
Gli scienziati conoscono l'arte di correggere: correggono i profani, correggono le distorsioni della statistica, correggono le imperfezioni nei loro strumenti di misurazione... Correggono tutto tranne il loro cervello. Eppure anche il loro cervello funziona con algoritmi statistici, anche il loro cervello è uno strumento di misurazione
I pregiudizi cognitivi sono come le illusioni ottiche. Se il tuo cervello funziona normalmente, il quadrato etichettato con la A nell'immagine qui in fondo ti sembrerà più scuro del quadrato etichettato con la B. Purtroppo (per il tuo cervello), dall'analisi dei pixel, si vede che questi quadrati hanno esattamente lo stesso colore. Niente di cui preoccuparsi, hai solo un cervello difettoso come ce lo hanno più o meno tutti. Basta saperlo e correggersi. I pregiudizi cognitivi funzionano allo stesso modo e possono essere prevenuti allo stesso modo: rettificando l'intuizione con il ragionamento.
Il pregiudizio cognitivo più noto è quello "della disponibilità": giudico in base a quello che ho "sotto mano". Più spesso senti dire qualcosa, più importante pensi che sia. Poiché i giornali vendono dando cattive notizie noi finiamo per pensare che il mondo sia messo male. L'onnipresente sguardo accusatorio di Greta ci fa sentire l'apocalisse più vicina, anche se rispetto al passato viviamo praticamente in un preservativo. Le mamme di oggi sono 100 volte più apprensive di quelle del passato pur crescendo figli in un ambiente 100 volte più sicuro. Si tratta di una distorsione che influisce anche sul giudizio scientifico. Se un argomento di ricerca riceve molta copertura mediatica, è probabile che i ricercatori che non correggono il loro naturale bias lo sopravvalutino. Il caso del riscaldamento globale è da manuale. Ogni altro rischio esistenziale - dall'asteroide, ai vulcani, alla guerra nucleare - passa in secondo piano.
C'è poi "l'avversione alla perdita". Mi riferisco a quella spinta irrazionale che ti fa finire controvoglia il piatto al ristorante solo perché l'hai pagato: se abbiamo investito tempo o denaro in qualcosa, siamo riluttanti ad ammettere che si tratta di tempo e soldi buttati. Se uno, dopo tanti sforzi, termina la lettura dell'Ulisse di Joyce o l'ascolto delle passioni bachiane tenderà a considerarle un capolavoro, quando invece dovrebbe esprimere il suo giudizio apportando le opportune correzioni, proprio come abbiamo fatto guardando la scacchiera di cui sopra. L'avversione alla perdita è uno dei motivi per cui gli scienziati continuano a lavorare su programmi di ricerca che da tempo hanno smesso di essere promettenti. Talvolta, idee obsolete vengono abbandonate solo dopo il pensionamento dei professori in cattedra, che mai potrebbero rinnegare teorie su cui hanno investito tutta la loro giovinezza.
Ma in ambito scientifico il pregiudizio cognitivo più problematico è il "rafforzamento di gruppo", noto anche come pensiero tribale. Questo è tipico delle comunità chiuse. Se ci sono persone che si rassicurano reciprocamente sul fatto che stanno facendo la cosa giusta, il gruppo diventa più potente e produttivo (ma anche più ottuso). Chi insinua dubbi rischia di essere visto come un traditore. La presenza di un gruppo forte è importante per raggiungere mete ambiziose ma ostacola l'auto-correzione che è così essenziale per la scienza.
Così come tutti vedono più scuro il quadratino alto della scacchiera, tutti hanno questi pregiudizi cognitivi, e l'intelligenza dell'osservatore non incide sul problema. Dovrebbe essere ovvio, quindi, organizzare la ricerca scientifica in modo che gli scienziati possano evitare o almeno alleviare i loro pregiudizi. Sfortunatamente, il modo in cui la ricerca è organizzata oggi ha esattamente l'effetto opposto: peggiora di brutto i pregiudizi cognitivi di cui ho parlato.
Ad esempio, attualmente è molto difficile per uno scienziato cambiare l'oggetto della propria ricerca, perché ottenere una borsa di ricerca richiede la documentazione delle competenze accumulate. Parimenti, nessuno ti assumerà per lavorare su un argomento di cui non hai già esperienza. E' chiaro che un simile contesto rafforza l'insistenza ad approfondire i temi su cui siamo competenti, il che ci porta a dissipare eventuali dubbi che affiorano nel merito impedendo di ripartire da zero per battere nuove strade.
Un altro problema è che la ricerca contemporanea coinvolge inevitabilmente gruppi di persone e premia gli scienziati per aver enfatizzato sui giornali l'importanza del loro lavoro. Lavorare su argomenti popolari, magari con un aggancio politico, puo' essere decisivo. E' chiaro che questa tendenza peggiora il rischio di "rafforzamento di gruppo" e aumenta la tendenza a condividere sempre e solo le medesime informazioni.

domenica 15 dicembre 2019

FELICITA' ALLA SPINA

FELICITA' ALLA SPINA
Sarei stato triste al pensiero di non avere figli, ma il pensiero di averli "ora" mi scoraggiava. Se avessi avuto dei figli, sarei diventato un genitore, e i genitori non sono mai persone molto allettanti.
Quando qualcuno dei miei amici aveva un figlio mi congratulavo pensando "meglio a te che a me". Ora mi congratulo con sincero entusiasmo, specie per il primo. Anche con un po' di invidia, devo ammetterlo. Cos'è cambiato? Ovviamente ho avuto dei figli. Qualcosa che temevo si è rivelato positivo.
Innanzitutto non è affatto necessario trasformarsi in persone protettive, lo diventi per forza. E' come se qualcuno avesse azionato un interruttore. All'improvviso mi sono sentito protettivo, non solo nei confronti dei miei figli, ma dei bambini in generale. Un giorno, figuriamoci, ho fatto una scenata in treno perché due litigavano dicendo "brutte parole" davanti a dei bambini rimasti a bocca aperta. Una cosa impensabile, per paura delle coltellate ho sempre pensato ai fatti miei girandomi dall'altra parte. Ma già mentre guidavo per riportare a casa mia moglie e la mia bambina dall'ospedale, ricordo che mi avvicinai a un passaggio pedonale pieno di pedoni e mi ritrovai a pensare "devo stare molto attento a tutte queste persone. Ognuno di loro è figlio di qualcuno!". Hi hi hi.
Capisco che in buona parte non puoi fidarti di me quando dico che avere figli è fantastico. In una certa misura sono come l'adepto a un culto religioso che ti sta dicendo quanto sarà bello convertirsi. Ma anche il modo in cui vedi i bambini prima di averne ha qualcosa di parziale. Nelle mie osservazioni, per esempio, c'era un'enorme quantità di "selection bias". Ma è normale, i marmocchi si facevano notare solo quando facevano casino. Quello che non notavo erano i grandi momenti che i genitori trascorrevano con i loro bimbi. In quei momenti i bambini sono silenziosi, non si notano, e le persone non ne parlano tanto, cosa devono dire? La magia è difficile da esprimere a parole, e tutti gli altri genitori ne sono già al corrente - ma una delle cose grandi nell'avere i figli è che ci sono un mucchio di momenti in cui sai che non vorresti mai essere altrove o a fare altre cose. Stare bene con i tuoi figli azzera il valore alternative. Grandioso in un mondo in cui le rutilanti alternative ti rovinano ogni gioia. Ma c'è di più: non devi fare nulla di speciale per goderti questi momenti speciali. Basta sedersi sul divano, oppure fare quattro passi, o fare colazione insieme. A volte sei in coda con loro per entrare al cine e passi un momento che vale il doppio del film.
Mi ha sorpreso molto avere dei bambini. Non li ami e basta. Diventano anche tuoi amici. Io, per esempio, ho delle bambine. Ce n'è una di cui mi considero praticamente il fidanzato, talmente sono innamorato e curioso di lei. Dell'altra non vedo l'ora di sentire cosa dice quando apre bocca, lo trovo sempre interessante e trovo interessante risponderle per vedere cosa diavolo si inventa dopo. Ho passato questa domenica in casa. Un tempo avrei sentito un senso di spreco, una specie di vuoto, di occasione mancata. Basta la loro presenza a cambiare tutto.
Alcune delle mie preoccupazioni sull'avere figli erano comunque reali. Ti rendono sicuramente meno produttivo. Avrai pezzi di tempo per lavorare ma il lavoro non si riverserà mai più negli interstizi della tua vita rendendola qualcosa di promiscuo. Non puoi stare acquattato ad attendere l'ispirazione. Odio dirlo, perché un tempo ero anche ambizioso, ma avere figli può renderne uno molto molto meno ambizioso. Senza figli queste righe le avrei scritte in uno stile scintillante. Giuro!
Avere figli distorce il tuo giudizio sui fatti, tuttavia ricordo perfettamente com'era prima. Avevo mille possibilità, potevo prendere un aereo in giornata e andare all'altro capo del mondo. Era fantastico, ma non l'ho mai fatto. Erano grandi felicità ma richiedevano pur sempre grandi imprese. Il fatto è che la maggior parte della libertà che avevo prima dei bambini non l'ho mai usata. Sia chiaro, ho avuto molti momenti felici prima di avere figli, ma molta di quella felicità era potenziale. Sogni. Ora la felicità è reale e tranquilla, non richiede nessuna impresa, ce l'ho praticamente "alla spina". Per esempio, tutti i giorni all'ora di andare a letto quando leggiamo un libro insieme, è come se ne bevessi un bicchierino. A proposito, mi è venuta sete .

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BLANK STATE

RASSEGNAMOCI AL RAZZISMO
Le differenze razziali sono in gran parte adattamenti al clima. Il pigmento della pelle era una crema solare per i tropici, le pieghe nelle palpebre erano occhiali per la tundra. Ma gli individui non sono geneticamente identici ed è improbabile che le differenze influenzino ogni parte del corpo tranne il cervello. Sebbene le differenze genetiche tra razze siano più piccole di quelle tra gli individui, è ragionevole credere che non siano né inesistenti né irrilevanti. La migliore "cura" per la discriminazione, quindi, è un test più accurato e più ampio delle capacità cognitive, perché fornirebbe così tante informazioni predittive sui singoli individui che nessuno sarebbe tentato di tenere più conto della razza o del genere. Ma probabilmente un'idea del genere comporta pratiche tanto invasive da non avere alcun futuro politico, cosicché le discriminazioni razziali e di genere saranno sempre tra noi.
COSE CHE NON CI ENTRANO NEL CERVELLO
I bambini non devono andare a scuola per imparare a camminare, parlare, riconoscere oggetti o ricordare le personalità dei loro amici, anche se questi compiti sono molto più difficili che leggere, sommare o ricordare date nella storia. Devono andare a scuola per imparare a scrivere e far di conto perché queste conoscenze sono state acquisite troppo di recente perché si siano evolute delle capacità naturali corrispondenti. I bambini sono dotati di una "cassetta degli attrezzi" per ragionare e apprendere in modi particolari, e quegli attrezzi devono talvolta modificati per padroneggiare problemi per i quali non sono adeguatamente progettati. Non possono imparare la biologia finché non disimparo la biologia intuitiva, che pensa in termini di essenze vitali anziché di selezione passiva. E non possono imparare l'evoluzionismo fino a quando non disimparano a pensare l'ordine in termini di progetto. Non possono imparare l'economia finché non disimparo a pensare il gruppo umano in termini unitari. Ancora oggi la cooperazione fondata sui prezzi di mercato confonde le menti che fanno troppo fondamento sull'intuito.
MISERIA DEL MORALISMO
Ci sono problemi come il razzismo, l'aborto, il colonialismo, l'ambiente, il CRISPR... che vengono affrontati in termini moralistici e di guerra culturale. Molte di queste cose possono avere conseguenze dannose, ovviamente, e nessuno le vorrebbe banalizzate. La domanda è se siano meglio gestite dalla psicologia della moralizzazione (con la sua ricerca di cattivi e relativa mobilitazione dell'autorità per controllare e punire) o in termini di costi e benefici, prudenza e rischio.
MISERIA DELL'UTOPIA
In politica c' è la Visione Tragica e quella Utopica. Nella Visione Tragica, gli esseri umani sono intrinsecamente limitati nella conoscenza, nella saggezza e nella virtù, e tutti gli accordi sociali devono riconoscere quei limiti. Nella visione utopica, i limiti sono superabili grazie ad un assetto sociale migliore, e noi non dovremmo porci limiti ma favorire questo avanzamento. Per i Tragici cercare di fare "qualcosa di impossibile" è sempre un'impresa corruttiva. Per gli Utopici è sempre un'impresa costruttiva. Ebbene, le idee della psicologia evoluzionistica e della genetica comportamentale si sono diffuse negli anni '70 e non avrebbero potuto costituire un insulto peggiore alla Visione Utopica. Si tratta di idee che vendicano la Visione Tragica e minano quella Utopica che fino a poco tempo prima dominava ampi segmenti della vita intellettuale. Ecco alcuni capisaldi rinforzati dalle nuove ricerche: 1) Il primato dei legami familiari in tutte le società umane e il conseguente peso del nepotismo e dell'ereditarietà. 2) La portata limitata della condivisione comunitaria nei gruppi umani. 3) L'universalità del dominio e della violenza nelle società umane (compresi i presunti pacifici raccoglitori-cacciatori) e l'esistenza di meccanismi genetici e neurobiologici che ne sono alla base. 4) L'universalità dell'etnocentrismo e altre forme di ostilità tra gruppi differenti e la facilità con cui tale ostilità può essere suscitata nelle persone all'interno della nostra società. 5) La cospicua ereditarietà di intelligenza, autocontrollo, coscienziosità e attitudini antisociali, il che implica che buona parte della disuguaglianza sorgerà anche in sistemi economici perfettamente equi. 6) La prevalenza di meccanismi di difesa mentale, pregiudizi egoistici e bias cognitive, con cui le persone si ingannano sulle proprie ragioni, sulla propria saggezza e la propria integrità. 7) I pregiudizi del nostro senso morale che ci fanno preferire i nostri vicini e ci fanno confondere il bene con il conformismo, il rango, la pulizia e la bellezza.
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USI IMPROPRI DEL PRINCIPIO ANTROPICO

Il principio antropico ci dice che una certa proprietà del nostro universo è così com' è perché altrimenti non saremmo qui per parlarne. La cosa è approssimativamente corretta se si intende che l'universo deve avere determinate proprietà perché altrimenti la nostra stessa esistenza non sarebbe possibile. In questa versione la nostra esistenza non è né necessaria né inevitabile. È semplicemente un fatto osservato che porta a vincoli sulle leggi della natura.
Si tratta di un principio che ha facilitato alcune scoperte scientifiche, la più nota è la previsione di Fred Hoyle secondo cui un certo isotopo del carbonio deve avere una certa risonanza perché, senza quella risonanza, la vita come la conosciamo non sarebbe possibile. Tale previsione si rivelò corretta. Come è facile vedere non c'è nulla di non scientifico in tutto cio'
Un altro esempio è che puoi usare il semplice fatto che siamo qui per dire che una certa costante cosmologica deve essere tarata in un certo intervallo microscopico. Se la costante cosmologica fosse sballata l'universo sarebbe collassato da tempo, oppure si espanderebbe troppo velocemente per formare le stelle. Ancora una volta, non c'è nulla di a-scientifico in tutto questo.
il principio antropico non è né scientifico, né inutile. Ma allora perché è così controverso?
Per questioni filosofiche più che scientifiche. Di solito viene propugnato da chi crede che il nostro universo è solo uno tra gli infiniti che esistono. Se credi in questa ipotesi, allora il principio antropico può essere riformulato per dire che la probabilità di trovarci qui non sia affatto minuscola come sembrerebbe.
Tuttavia, questo utilizzo è improprio: il principio antropico è corretto indipendentemente dal fatto che tu creda o meno nel multiverso. Il principio si limita a dire che le leggi della natura devono essere tali da consentire la nostra esistenza, né più né meno. Che questo derivi da una coincidenza incredibile o dall'esistenza del multiverso è assolutamente indifferente.

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In this video, I explain why the anthropic principle is a good, scientific principle. First I explain the difference between the strong and the weak anthropi...