lunedì 26 novembre 2012

Chi spinge per riciclaggio e porta a porta?

Gli inquinatori.

http://conversableeconomist.blogspot.it/

La pubblicità

http://conversableeconomist.blogspot.it/2012/11/the-case-for-and-against-advertising.html

Il capitalismo è meritocratico?

E perché no?

E' vero, il mercato premia il valore, non il merito ma le due cose sono strettamente correlate.

Chi lavora duro e chi si distingue nel suo campo, difficilmente verrà gettato ai margini.

Certo, anche il tipo di talento conta ma è poi un delitto se si valorizzano maggiormente i talenti che più beneficiano gli altri?

Controlliamo pore ler IQ, education e altri parametri psicologici, avremo solo conferme della correlazione. In genere i migliori emergono e in una società capitalista questo è ancora più vero.

Il dubbio che merito e mercato non vadano a braccetto puo' cogliere giusto chi si è fatto corrompere da Rawls. A una persona normale non verrà mai in mente di dire: "Bolt non merita la medaglia d' oro perché non ha vinto lui ma ha vinto il suo talento!". Per un rawlsiano invece un' osservazione del genere è scontata.

C' è chi dice che noi tendiamo a sopravvalutare la correlazione di cui parlavo. In effetti esiste quel che chiamiamo just-world fallacy: se una cosa è andata in un certo modo era giusto che andasse così.

Non saprei però se giudicando i meriti sia in opera la just world fallacy. Pensate al vostro boss e pensate se veramente si merita quel che guadagna in più rispetto a voi, scommetto che il dubbio si è già insinuato. Molti bias sono all' opera in questo giudizio. Innanzitutto l' avaibility bias, quello per cui noi giudichiamo solo situazioni che abbiamo sotto mano e che ci toccano in prima persona.

C' è poi un problema di prassi: farà breccia la soluzione di mercato presso gente che dal mercato è stata punita?

Domanda sensata, purché non si confonda la teoria con la prassi e si rinunci a dare risposte corrette. E' vero, se il merito e il mercato sono correlati allora i poveri meritano di essere tali e questa puo' essere un' affermazione dura da mandar giù.

Un' ultima cosa: se rinunciamo a difendere il mercato sulla base del merito perché mai dovremmo difenderlo sulla base della prosperità che crea? Molti sarebbero pronti ad affermare che la prosperità è dannosa, i teorici della decrescita per esempio.

http://econlog.econlib.org/archives/2010/01/pyramid_power.html
http://econlog.econlib.org/archives/2010/02/the_reality_of_1.html
http://econlog.econlib.org/archives/2010/02/merit_and_the_m.html
http://econlog.econlib.org/archives/2010/02/more_on_merit_r.html
http://econlog.econlib.org/archives/2012/06/the_meritocracy.html
http://econlog.econlib.org/archives/2012/06/trevor_burrus_i.html
http://econlog.econlib.org/archives/2012/06/burrus_and_meri.html
http://econlog.econlib.org/archives/2012/07/jersey_shore_an.html
http://econlog.econlib.org/archives/2012/02/how_deserving_a.html
http://youarenotsosmart.com/2010/06/07/the-just-world-fallacy/
http://en.wikipedia.org/wiki/Just-world_hypothesis

Non sono le parole, sono le preferenze!

La nostra inclinazione politica dipende in primo luogo dalle nostre preferenze, in particolare le nostre preferenze morali. Ad averlo capito meglio è lo psicologo Jonathan Haidt.

La sua ricerca ha consentito di isolare 5 fondamenti psicologici su cui ognuno costruisce poi la sua preferenza plitica: violenza, reciprocità, comunitarismo, gerarchia e purezza. Sono come i livelli di un equalizzatore e ognuno di noi se li sistema in base alla propria sensibilità.

Nell' interpretare i gusti del popolo non inventiamoci strane teorie sulla falsa coscienza, oppure non esageriamo la portata delle alchimie del linguaggio, guardiamo in primo luogo alle preferenze genuine della gente. Se si tratta di un elettorato che enfatizza la purezza e il disgusto, difficilmente sarà disposto a concedere il matrimonio tra gay, a prescindere dal "frame" della domanda.

http://willwilkinson.net/flybottle/2007/09/19/jonathan-haidts-moral-psychology-applied-to-american-politics/

venerdì 23 novembre 2012

Psicologia e politica

http://willwilkinson.net/flybottle/2007/09/19/whats-the-frequency-lakoff/

Ricette contro la crisi: crescere prima dell' austerità

http://www.nytimes.com/2012/11/17/opinion/an-economic-prescription-growth-before-austerity.html?smid=tw-share

La meccanica quantistica è sbagliata (e la relatività, pure)

Chiunque non resti sconcertato di fronte alla meccanica quantistica significa che non l' ha capita
Nils Bohr
In vita mia non penso di aver mai incontrato qualcuno che abbia compreso la meccanica quantistica
Richard Feynman

Puo' darsi che tanto scetticismo sia dovuto al fatto che una teoria del genere è molto più facile da capire considerandola "sbagliata". Di solito invece ci si approccia ad essa credendola corretta e questo moltiplica le trappole. Eppure Einstein, nel respingerla, diede una chiara illustrazione di quale colabrodo fosse.
meccanica

Prendiamo i fotoni Giovanni e Giacomo.

Giovanni e Giuseppe confabulano fittamente in una stanza, ma cosa si diranno? A un certo punto escono prendendo direzioni opposte finché ciascuno dei due si trova di fronte a una porta socchiusa. A questo punto, a seconda di come gira, potranno impartire due ordini: 1. "apriti Sesamo" o 2. "chiuditi Sesamo", la porta (Sesamo) eseguirà. Fine della storiella.

Eseguita questa piccola azione, i due tornano nella stanza per consultarsi e tessere altre misteriose strategie, dopodiché escono di nuovo, di nuovo incontrano una porta e di nuovo impartiscono il loro ordine all' apparenza casuale per poi rientrare nella stanza e ricominciare tutto daccapo ripetendo la sequenza infinite volte.

Ah, dimenticavo: il colore della porta che incontrano varia, puo' essere bianco, rosso o nero ma una cosa deve essere chiara, non puo' essere conosciuto in partenza e nemmeno si puo' dire in partenza se i due incontreranno porte del medesimo colore, puo' capitare, ma non è detto. La cosa è importante perché una volta fuori dalla stanza, forse non l' ho precisato, Giovanni e Giuseppe non hanno più alcun modo di comunicare tra loro.

Giovanni e Giuseppe giocano il loro gioco in continuazione sotto l' occhio vigile di molti osservatori incuriositi, costoro via via che le cose si ripetono, notano una regolarità: ogni volta che Giovanni e Giuseppe incontrano una porta dello stesso colore impartiscono il medesimo ordine. Senonché non è possibile stabilire a priori quale ordine sia: nel 50% dei casi è "apriti Sesamo", nel restante 50% è "chiuditi Sesamo", l' unica cosa che sappiamo per certo è che l' ordine sarà sicuramente il medesimo. (*).

A questo punto gli osservatori vogliono capire cosa si dicono Giovanni e Giuseppe di tanto interessante quando sono nella stanza. Cosa consente di sincronizzare in questo modo le loro azioni una volta fuori e scollegati?

Fioccano le ipotesi più strampalate, finché un gruppetto di Copenhagen vuole dire la sua. Sembra un intervento irrilevante ma lo segnalo perché di lì a poco, sembra incredibile, diverrà la versione standard di quanto accade. Secondo i ragazzi di Copenhagen, Giovanni e Giuseppe nella stanza concordano semplicemente di dare "lo stesso" ordine una volta di fronte alla porta, poniamo, di colore bianco. Solo che evitano di stabilire a priori quale sia l' ordine. Lo stabiliranno in seguito, quando si troveranno effettivamente faccia a faccia con la porta bianca e lo faranno tirando una monetina. Fine della spiegazione.

Vi sembra una strategia in grado di produrre i comportamenti osservati? Secondo Einstein è una spiegazione del cavolo. Mia nonna avrebbe usato espressioni ancor più colorite. Una parte dei ragazzi di Copenhagen si giustificò dicendo che la loro spiegazione non sta in piedi per il semplice fatto che non vuole affatto essere una spiegazione, ha altri scopi. Un' altra parte  disse che, sì, ok, la spiegazione fornita è illogica ma in fondo basta cambiare le leggi della logica per raddrizzare le mura a  un edificio così sbilenco. Tanto per iniziare dovremmo convincerci di abitare in un mondo in cui esistono oggetti che possono essere "o bianchi o neri" senza essere "né bianchi né neri".
meccanic

Chi ha seguito con un minimo di attenzione avrà capito che Einstein sembra proprio uscirne come vincitore morale. D' altronde, l' esperimento con Giovanni e Giuseppe fu ripetuto più volte e i dati confermati, su questo è difficile trovare osservatori dissenzienti. E poi non parliamo di uno qualunque ma di un tale che, in altri contesti, è stato sempre in grado di decriptare alla perfezione le strategie più cervellotiche messe in campo da tipi come Giovanni e Giuseppe. Un vero campione, la sua teoria della relatività è un traduttore universale, anche se nel caso specifico sembrava incepparsi. Poco male, pensava il tedesco, probabilmente operano variabili nascoste che prima o poi verranno alla luce svelando la strategia misteriosa, basta che non mi si venga a dire che non esiste una strategia-spiegazione della faccenda.

A questo punto, colpo di scena: entra in campo il Signor John Stuart Bell che, con il suo teorema, dimostra l' inesistenza di una strategia attraverso la quale Giovanni e Giuseppe possano mai sincronizzare i loro comportamenti al fine di modularli su quelli osservati. Quel che si dicono è destinato a restare misterioso, e comunque non sono affatto intenti a tessere strategie. Einstein, di fronte a una dimostrazione tanto peritosa, si rassegna: anche la sua teoria della relatività è sbagliata. Tra due teorie sbagliate non ci resta che il pragmatismo: pescare di volta in volta quanto c' è utile sul momento.

(*) non si tratta dell' unica regolarità; se, per esempio, uno incappa in una porta nera e l' altro in una porta bianca, la probabilità di impartire lo stesso ordine scende, ma scende con precisione chirurgica da 100% a 75% (e non 76%!). Mi ritengo esonerato dall' esplorare ulteriori combinazioni che pure esistono.
Qui altre lavagne famose.

Alla ricerca della razza ebraica

http://www.nybooks.com/articles/archives/2012/dec/06/is-there-a-jewish-gene/?pagination=false

mercoledì 21 novembre 2012

Far fiorire la cultura azzerando i fondi pubblici

http://www.vulture.com/2012/11/andrew-solomon-far-from-the-tree.html http://www.marsilioeditori.it/autori/libro/3171437-kulturinfarkt

martedì 20 novembre 2012

Stasera niente Peppa.

Basta, sono stufo di passare intere serate raccattando giocattoli sul pavimento di casa!
Sembra che il divertimento consista nel pescarli dal cesto per poi disseminarli in modo meticoloso in tutto il soggiorno, anfratti (mai esplorati prima) compresi.
Ora poi che le bimbe sono due, raddoppiano anche i cesti, uno per Marghe e uno per Vichi. Entrambi ben ricolmi, mi raccomando: a tutt’ oggi tocchiamo i 100 pezzi ciascuno.
Disperato mi sono fatto mettere a punto un meccanismo che riduca il danno impedendo l’ apertura del secondo cesto una volta che si accede al primo. E che cavolo!
Non parliamo poi dei gusti, ognuna ha i suoi: la Marghe predilige la serie Hello Kitty ed è arrivata a collezionare una settantina di pupazzetti, i restanti sono della famiglia Winnie Poh. L’ esatto contrario la piccolina.
Il senso della proprietà è forte ma, almeno nella Marghe, è forte anche il senso della ribalderia e della sfida: ho il sospetto che non vista attinga alla cesta della sorella nonostante le abbia promesso una solenne punizione qualora l’ avessi pescata con le mani nella marmellata. Devo anche dire di aver presagire il peggio nel momento già mentre “predicavo”, sembrava quasi le stessi fornendo delle idee!
L’ indomani dovevamo andare dai nonni e, dopo uno sforzo sovrumano, la famiglia era sulla soglia pronta a partire quando la Marghe ha manifestato l’ improrogabile esigenza di prendere con sé alcuni pupazzetti. E’ tornata lei stessa indietro per accaparrarsene una dozzina.
Una volta in macchina ho notato che, oltre a quattro Hello Kitty, aveva - tra Changu,  Pimpi, Tigro… - ben otto pupazzetti della famiglia Winnie!
Questa qui ha fregato dal cesto della sorella, mi sono detto. Ho avuto anche la sensazione di scorgere un sorrisino beffardo dell’ imputata; di sicuro giocava con particolare gusto. Troppo, direi, trattandosi della “solita minestra”.
Marghe, hai preso dal cesto della Vichi?”. “No”.
Che fare, punire? Mi è stato fatto notare che forse avevo ragione, che forse la marachella c’ era stata, ma rischiare una punizione ingiusta portava solo danni, meglio sorvolare: magari gli era solo venuta la voglia di Winnie Poh.
Macché voglia, mi dicevo. Con quei braccini corti pesca dalla cesta che sceglie senza neanche poter vedere cosa stia prendendo!
Ripensandoci meglio la mia rabbia è sbollita e la soluzione più equa è emersa: avevo o non avevo parlato di “mani nella marmellata”? Questa fattispecie presentava condizioni affatto differenti; quando si punisce così duramente come faccio io: niente Peppa la sera, bisogna farlo solo a colpo sicuro, quando la colpevolezza è acclarata oltre ogni ragionevole dubbio.
peppa
Sentivo di aver agito correttamente quando la sera, giunti a casa e messe a nanna le bimbe (àpres abbondante razione di Peppa), mi siedo alla scrivania e quasi per gioco comincio a smanettare sulla calcolatrice…
… noooo… mi ha turlupinato… mi sono turlupinato da solo… colpevole al 98%… altro che ragionevole dubbio… ci sono veramente poche cose al mondo di cui sono scuro al 98%!…
D’ ora in poi, lo giuro: mai più giustizia senza calcolatrice!

lunedì 19 novembre 2012

Doppia introduzione: al CPI bias e a Serge Latouche

Nell' Eden il PIL è pari a zero.

Domanda: quanto più una nazione si avvicina al paradiso in terra tanto più il suo pil decresce?

Cos' è il CPI bias: http://econlog.econlib.org/archives/2011/02/existence_enhan.html


Sulla religione come scelta razionale: Caplan vs Iannaccone

#caplan religione, #iannaccone religione

I: il fenomeno religioso puo' essere studiato con gli apparati della scelta razionale.

C: occorre un caveat che si chiarisce facendo un parallelo con la democrazia: se tratto l' elettore come un soggetto razionale non ci capisco niente, non a caso l' atto stesso di votare è irrazionale; lo stesso dicasi per la religione.

I: il comportamento dell' elettore produce esternalità, non quello del fedele (le opere salvano o condannano solo lui).

C: tu non hai una teoria della religione ma una teoria della membership.

I: devi ammettere che nell' uomo esistono anche esigenze spirituali e di verità.

C: sarebbe meglio inquadrare tutto nel paradigma "rational irrational".

I: ma i fedeli, diversamente dai votanti, sopportano grandi costi per le loro scelte.

C: solo pochi fanatici, la massa è costituita da meta-atei che si allontanano dalle fedi troppo "costose", il che fa pensare che la loro scelta dia dettata da voglie irrazionali da soddisfare finché costano poco.

I: esistono anche problemi di time consistency, ne hai tenuto conto?

C: nella battaglia delle idee emrgono le migliori, non sidirebbe che sia lo stesso nella battaglia tra le fedi.

I: comunemente riteniamo come migliori le fedi che accettano la competizione.

C: l' unica teoria della scelta razionale applicata spcificamente alla religione è la scommessa di Pascal. Purtroppo l' argomento è debole cosicché si puo' ipotizzare un dio irascibile al culto degli altri dei tanto che diventa razionale non offendere nessun dio astenendosi.

I: puoi confutare Pascal solo assumendo che l' ateismo resta una scelta religiosa ma tu stesso ti sei offeso quando in altri contesti ti è stata fatta notare questa particolarità, devo desumere che non la respingi.

C: le evidenze intorno ai miracoli sono pressoché nulle.

I: pensa alla definizione di miracolo e poi pensa alla prova che ti farebbe cambiare idea; ebbene, devi concludere che non esiste alcuna prova in grado di farti cambiare idea; anche in questo caso si procede per fedi contrapposte.

C: come puo' la teoria della scelta razionale spiegare la diffusa secolarizzazione delle nostre società?

I: innanzitutto sfatando il mito della diffusa religiosità nelle masse contadine del medioevo; poi facendo l' ipotesi che cio' che chiamiamo secolarizzazione sia in realtà una fuoriuscita dalle religioni organizzate per coltivare in proprio la nostra spiritualità; l' Europa conferma: i molti monopoli rendono l' offerta religiosa flebile e incapace d' intercettare la fuoriuscita di cui sopra che viene scambiata così per semplice abiura, ecco allora che un fenomeno di conversione diventa un fenomeno di secolarizzazione.

***

http://econfaculty.gmu.edu/bcaplan/larrydeb.htm

http://thefilter.blogs.com/thefilter/2005/11/caplan_vs_ianna.html

http://www.clas.ufl.edu/users/kenwald/pos6292/iannaccone.pdf






sabato 17 novembre 2012

Conflitto di civiltà

USA e UE sono spesso messi a confronto facendo notare come il reddito pro capite e la fetta di produzione faccia preferire il modello americano.

Ma il miglior modo di narrare la vicenda è un altro: i modelli di crescita ci dicono che l' impeto dello sviluppo dipende dal reddito presente: seguire la locomotiva è più facile che fare la locomotiva. Si tratta di osservazioni di mero buon senso traducibili nel modello di Solow-Swan in cui si predica la grande convergenza, un modello che rendiconta bene i rapporti tra USA e UE: dopo la guerra la ue si avvicinò a grandi falcate verso la frontiera tecnologica dominata dagli usa ma poi, negli anni ottanta, ecco la sorpresa: i due continenti tornano a divergere con un nuovo arretramento dell' Europa, anche la mitica produttività francese, tanto per dire, sembra molto ridimensionata dopo aver considerato immigrati a bassa specializzazione e lavoratori part time!: cosa è andato storto?

Gli europei hanno cominciato a guadagnare di meno: gusti differenti? Maggior apprezzamento per le vacanze?

Probabilmente maggior apprezzamento per welfare e retorica del "dagli al ricco": i guadagni di produttività, fa notare Edward Prescott, si sono avuti soprattutto nei settori più ricchi come risposta ad un abbassamento delle aliquote marginali.

http://www.nationalreview.com/agenda/39189/america-vs-europe/reihan-salam

Istruzione on line: pro e contro

La produttività dell' insegnante puo' crescere molto on line, senza contare che i migliori insegnanti sono disponibili per tutti a basso costo. I costi logistici si abbattono, così come migliora l' allocazione del tempo. Le scuole potrebbero restare come luoghi di mera socializzazione. Migliorano molto anche i software che consentono interattività, così come l' insegnamento con percorsi personalizzati. pensa solo ai vantaggi per chi abita in paesi poveri?

Critiche: non confondiamo l' insegnare con l' informare e lo studente con il cliente e ricordiamo invece quanto ci dice Bruce Springsteen: ho imparato più da una canzone di tre minuti che da tutti gli anni passati a scuola e chiediamoci perché parla in questo modo, cosa c' dietro quell' imparare. Ha un ruolo anche la serendipity che agisce nella classe: spesso impariamo da eventi inattesi la cui emersione possiamo favorire creando un contesto. A proposito di "contesto", attenzione a parlare alla leggera di "insegnanti migliori", troppo spesso il giudizio dipende dal contesto: in periferia saranno migliori alcuni, alle ted conference saranno migliori altri. Concentrarsi sull' online ha un altro svantaggio: depotenzia il miglioramento dei metodi tradizionali.

Se i sostenitori del pro e quelli del contro fossero d' accordo nell' individuare un esaminatore all' altezza si potrebbe fare una prova confrontando gli esiti di chi si è preparato online e chi lo ha fatto coi metodi tradizionali. Naturalmente bisognerà tener conto del fatto che l' insegnante online avrà una platea di 10 000 persone mentre l' altro di 30.

http://www.cato-unbound.org/2012/11/12/alex-tabarrok/why-online-education-works/

http://www.cato-unbound.org/2012/11/16/siva-vaidhyanathan/a-new-era-of-unfounded-hyperbole/


Probabilità, valore atteso e code grasse

Steven Pinker ha scritto un libro nel quale sostiene che l' uomo è diventato sempre meno violento. Nassim Taleb si dissocia e denuncia la presenza di code grasse. Affermazioni del genere non si possono fare perché danno troppo peso alla rarefazione degli eventi senza considerare a sufficienza la loro profondità. Insomma, la tesi di Pinker viene assimilata alla Great Moderation di Ben Bernanke, il bersaglio da sempre preferito di Taleb.

Oggi viviamo in un mondo di "loss an island effect", le medie sono inservibili e la matematica è inutilizzabile, è da buttare e il fatto che i crimini siano diminuiti è irrilevante, a meno che con si voglia confondere probabilità e valore atteso, rischio e incertezza. Come si fa a prendere sul serio le serie storiche quando il contesto è così profondamente mutato: ieri avevamo le mazze, offi i missili nucleari li compriamo al supermercato. Questo se non vogliamo parlare di psicologia della persona.

http://www.fooledbyrandomness.com/longpeace.pdf

http://stevenpinker.com/pinker/files/comments_on_taleb_by_s_pinker.pdf

http://www.prospectmagazine.co.uk/magazine/john-gray-steven-pinker-violence-review/

venerdì 16 novembre 2012

Howard Skempton - Lento

Slow food


On the question of how we can eat our way to a greener planet, Cowen the economist trumps the free-marketer. Rather than worry about what constitutes aLow Carbon Diet, we should adopt a carbon tax so that the prices of food reflect the full cost of growing, shipping and producing it, including the environmental externalities. He writes:
Relying on prices means taxing fossil fuels and it also means higher taxes on meat, which through methane emissions (e.g., cow farts) contribute to climate change.
…Prices are far more powerful than lists of instructions to green-minded consumers.
Carbon pricing could also help us sort through the debate over localism. When it comes to protecting the environment, buying local isn’t necessarily better and it may be worse if you live in a place where lots of water, energy and land are required to grow food. Cowen writes:
The environment is better off if the residents of Albuquerque import most of their food from far away.
It feels greener to buy from the local farmer than to patronize a large, multinational banana company, but perhaps with a dubious political history at that. But there’s nothing especially virtuous about the local farmer, even if it feels good to affiliate him.
As Matt Ridley once said, we’ve tried eating local before. That was called the Middle Ages.

giovedì 15 novembre 2012

I bambini sono razzisti?

In passato piaceva la risposta secca: sì.

La storia che andava per la maggiore era la seguente: il bambino nasce razzista e poi, con l' educazione, impara ad accogliere l' "altro".

Il supporto scientifico era di tutto rispetto: ai piccoli si sottoponevano due bambolotti - uno nero e uno bianco – chiedendo: "chi è il più sporco?". Il gruppo dei bianchi rispondeva indicando il nero, il gruppo dei neri indicava il bianco. Variazioni sul canovaccio s' incaricavano di dare ancora e ancora triste conferma.

La revisione originò da una sottile chiarificazione dei termini volta a precisare che un atteggiamento discriminatorio e un atteggiamento di apertura mentale non si escludono affatto reciprocamente. Ecco, a questo punto bisogna precisare che il contrario del razzista è colui che mantiene un' apertura senza pregiudizi verso la diversità.

Le conferme empiriche su quanto fosse cruciale questo distinguo cominciarono a fioccare: il bambino "preferisce" il suo gruppo ma non associa necessariamente un connotato negativo ai componenti degli altri gruppi. Ovvero, il bambino discrimina ma resta mentalmente aperto verso la diversità.

L' esperimento dei due bambolotti era troppo rozzo per cogliere questa sfumatura decisiva, con due sole alternative la preferenza per i "nostri" si traduceva automaticamente in chiusura verso l' "altro". Traduzione indebita.

Ogni discriminazione implica iniquità di trattamento ma non razzismo.
Vi prego di ripensare alla cosa perché non è immediato afferrarne il nocciolo.

Le difficoltà derivano da due fattori:

1. la confusione che spesso facciamo con termini quali "equità", "favoritismo" (o "discriminazione") e  "egoismo"e

2. la buona stampa a prescindere di cui gode un concetto come quello di "equità".
Cominciamo allora con il dire che il contrario dell' equità non è l' egoismo ma il favoritismo.

Fare le giuste contrapposizioni è opportuno se vogliamo dissipare le immeritate aureole di santità che aleggiano sempre sopra taluni termini. L' egoismo, infatti, è difficile da difendere: per quanto nel XVIII secolo si fossero decantate le virtù pubbliche che originano da un simile vizio privato, sempre vizio rimaneva, da qui la fama immeritata del presunto atteggiamento opposto.

Il favoritismo, per contro, è facile da difendere: una mamma che da tutto per i suoi figli conserva la nostra ammirazione anche quando ci si fa notare che discrimina tra i suoi bambini e gli altri bambini. San Francesco che dà tutto ai poveri della sua città ci induce a una genuflessione anche quando ci viene fatto notare che discrimina tra "ricchi" e "poveri" oppure tra i "poveri della sua città" e gli altri poveri.

Se il concetto di favoritismo è tanto facile da difendere, il concetto di equità, ovvero il concetto contrario, perde necessariamente punti.

Non a caso gli attacchi all' equità sono sempre stati numerosi, a partire dall' antichità e da Platone, il quale sosteneva come il parere dell' esperto non dovesse pesare quanto quello dell' ignorante e sulla scorta di questa premessa iniqua cominciò a edificare la sua Repubblica.

[attenzione a non cadere nella trappola pensando a questo punto che sia la meritocrazia il contrario dell' equità]

Negli ultimi secoli, ad ogni modo, abbiamo assistito a un revival dell' equità. Un revival che ho toccato personalmente con mano visto che sembra essere partito dalla pedagogia, in particolare da quella  che tratta il tema della gelosia tra fratelli, ora, voi capite che avendo un caso spinoso in famiglia mi sono dovuto fare una cultura in merito!

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Quale medicina somministrare contro l' invidia tra fratelli? A cavallo tra 800 e 900 dobbiamo registrare una svolta di paradigma pedagogico:

800: si prendevano da parte i pargoli e si narrava loro la storia biblica di Caino e Abele concludendo: "cari bambini, guardatevi dal demone dell' invidia perché qualora vi afferri il cuore sarete spacciati; fate appello a Dio e al vostro carattere per sopprimerlo o almeno per depotenziarlo". Ecco, in quell' epoca tanto remota l' autodisciplina andava per la maggiore come antidoto all' invidia.

900: si prendevano da parte i bambini i genitori e si raccomandava loro: "cari papà e mammà, se Giacomino ha bisogno di un cappellino, comprateglielo senza indugio ma badate bene di comprarne uno uguale anche a Giovannino". Ecco, in quell' epoca tanto prossima l' equità veniva vista come il rimedio all' invidia.

Chi sa che l' ignobile vendetta è all' origine del nostro nobile sentimento di giustizia non dovrebbe stupirsi nello scoprire che il padre ignobile della nobile equità è nientemeno che l' invidia. Forse è proprio meglio rassegnarsi al fatto che le aristocrazie sono fuori moda, anche nel mondo delle idee.

Scoprire che i bambini non sono razzisti è bello, ma è anche edificante perché ci consente di far luce su lemmi ambigui che alimentano la confusione. Parlando di... equità, favoritismo, discrezionalità, merito, egoismo, giustizia... spesso ci affidiamo all' intuito proprio laddove l' intuito tradisce. E se invece, leggendo queste righe, anziché vedere la luce, pensate di esservi conficcati ancora più a fondo in un cono d' ombra, allora non vi resta che disincagliarvi sfogliando il prezioso libro di Stephen Asma: Against Fairness, oppure qualche suo articolo.

mercoledì 14 novembre 2012

Violenza domestica sugli uomini

http://affaritaliani.libero.it/cronache/uomini-violenza-domestica241012.html

E per completare: http://archerave111.blogspot.it/2012/08/erin-e-le-altre.html