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giovedì 30 aprile 2009

Troppo moscio

L' america riflette sul suo futuro. E' il caso d' importare il modello europeo?

Charles Murray pensa di no. Motivo? It drains too much of the life from life.

Esempi casuali:

Drive through rural Sweden, as I did a few years ago. In every town was a beautiful Lutheran church, freshly painted, on meticulously tended grounds, all subsidized by the Swedish government. And the churches are empty. Including on Sundays. The nations of Scandinavia and Western Europe pride themselves on their "child-friendly" policies, providing generous child allowances, free day-care centers and long maternity leaves. Those same countries have fertility rates far below replacement and plunging marriage rates. They are countries where jobs are most carefully protected by government regulation and mandated benefits are most lavish. And with only a few exceptions, they are countries where work is most often seen as a necessary evil, and where the proportions of people who say they love their jobs are the lowest...

Cosa c' è che non va con l' Europa:

Two premises about human beings are at the heart of the social democratic agenda: what I label "the equality premise" and "the New Man premise." The equality premise says that, in a fair society, different groups of people -- men and women, blacks and whites, straights and gays -- will naturally have the same distributions of outcomes in life--the same mean income, the same mean educational attainment, the same proportions who become janitors and who become CEOs. When that doesn't happen, it is because of bad human behavior and an unfair society. Much of the Democratic Party's proposed domestic legislation assumes that this is true. I'm confident that within a decade, the weight of the new scientific findings will force the left to abandon the equality premise. But if social policy cannot be built on the premise that group differences must be eliminated, what can it be built upon? It can be built upon the premise that used to be part of the warp and woof of American idealism: People must be treated as individuals. The success of social policy is to be measured not by equality of outcomes for groups, but by the freedom of individuals, acting upon their personal abilities, aspirations and values, to seek the kind of life that best suits them. The second tendency of the new findings of biology will be to show that the New Man premise--which says that human beings are malleable through the right government interventions -- is nonsense. Human nature tightly constrains what is politically or culturally possible. More than that, the new findings will confirm that human beings are pretty much the way that wise observers have thought for thousands of years.

A 100 all' ora verso la povertà

Perchè un nepalese intelligente, ingegnoso, attivo, di grande talento, disposto a lavorare duro e a darsi da fare, che si applica con successo in mille campi e riesce a tirare fuori il meglio di sè qualsiasi sia l' opera a cui si accinga... ma perchè un tipo del genere guadagna infinitamente meno di un americano?

Robert Russel nel suo libro per bambini risponde in mezzo rigo: perchè l' auto-sufficienza è la via verso la povertà.

sabato 17 maggio 2008

Privatizzare, liberalizzare... ma soprattutto insegnare l' economia

Ma come diavolo si arricchisce un Paese? Sicuramente, da qualche parte nella biblioteca borgesiana dedicata a l tema, sta pure scritto, magari per sbaglio. Una fallimentare sintesi bloggesca potrebbe essere questa.

La distinzione canonica mette da una parte chi punta sulla qualità delle istituzioni e dall' altra chi punta tutto sulla cultura. I primi risolvono in quattro e quatr' otto con ricette chiare, i secondi, che pronunciano sempre degustandola la parola "complessità", hanno ricette epocali e s' indignano se qualcuno tenta una verifica seppur minima.

Non sarà questo uo di quei 99 casi su cento in cui la soluzione sta nel mezzo? probabilmente sì, e tutti lo sanno.

Magari il "mezzo" è l' isitituzionalizzazione di una certa cultura.

Indottrinare sembra funzioni. Prendete dei ragazzi, isegnate loro l' economia e loro tenderanno a comportarsi da economisti.

"Privatizzare", "liberalizzare"... a molti già solo la parola innervosisce. Probabilmente non hanno studiato l' economia. Se lo avessero fatto la loro reazione sarebbe ben diversa.

Funziona persino quando i cervellini sottoposti ad esperimento sono già piuttosto formati.

Passiamo ai fatti.

Ray Fisman sperimenta con gli allievi di Harvard. Caspita, quanto conta l' insegnante per plasmare il futuro cittadino, e non è neanche necessario che l' argilla sia particolarmente tenera e duttile per avere effetto:

"...all students [at Yale Law School] are required to take courses in contracts and in torts, and they're randomly assigned to an instructor for each class. Some of these teachers have Ph.D.s in economics, some in philosophy and other humanities, and some have no strong disciplinary allegiances at all. Professors are encouraged to design their courses as they see fit. Instructors from economics may emphasize the role of contracts in making possible the efficiency gains of the marketplace, while philosophers may emphasize equal outcomes for contracting parties. So economists teach about efficiency and philosophers teach about equality.

To figure out whether this affected their young charges, we put 70 Yale Law students in a computer lab, and had them play a game that would reveal to us their views on fairness....It turns out that exposure to economics makes a big difference in how students split the pie, in terms of both efficiency and outright selfishness. Students assigned to classes taught by economists were more likely to give a lot when it was cheap to do so. But they were also much more likely to take the whole pie for themselves..."

Capito cari liberali: privatizzare, liberalizzare... ma soprattutto insegnare economia!

giovedì 8 maggio 2008

Mitologie veltroniane

Anch' io voglio contribuire con un microscopico "mito" recentemente rivitalizzato da Walter Veltroni. Il neo trombato (che ho votato, ma solo alla Camera) gonfiava il petto proferendo con solennità: il miracolo economico italiano è da attribuire in larga parte al centro-sinistra.

La cosa non è poi così secondaria visto che, appassito il boom, tutto la restante storia dell' economia post bellica italiana puo' essere archiviata nel file "declino".

Ma la realtà sembra parlare altrimenti: il miracolo durò fino ai primi sessanta proseguendo poco oltre per inerzia, e le date sembrano confermare questa antitesi.

La lira vinse l' oscar della migliore valuta nel 1960. La produttività ebbe il suo balzo tra il 58 e il 61. L' export, dal 53 al 57, schizzava di un 15% annuo; e la produzione industriale quasi di un 6% (peccato che la Germania ci freghi, altrimenti eravamo i migliori d' Europa). Inflazione? Tra il 51 e il 61 il tasso medio fu del 2.8%. Più che accettabile. Nel 1963 disoccupazione ai minimi rispetto ai precedenti 50 anni (2.5% di media). Nel 57 aderiamo al MEC, ottima scelta.

Non parliamo dei simboli: 500, 600, grattacielo Pirelli, metropolitane, autostrada del sole... Tutta roba passata quando il centro sinistra emise il primo vagito.

Con il centro sinistra arrivò invece la crisi, pudicamente battezzata "congiuntura". E con quella il monopolio dell' energia elettrica stabilmente arpionato nelle grinfie statali che ancora adesso stentiamo a disincastrarlo da lì.. E l' esempio riscosse entusiasmo visto che da allora l' economia cominciò a nazionalizzarsi ad una velocità pari solo alla sua corruzione, così come cominciò la fuga dei capitali e l' impennata di spesa pubblica. Altro semino importante fu amorevolmente piantato dai proto-veltroniani: un bellissimo sistema previdenziale a ripartizione. E' così che il nostro welfare cominciò a contorcersi dovendosi realizzare a suon di baby pensioni e pensioni d' invalidità. Era l' unico canale.

Un capitalismo del genere sta in piedi finchè c' è da "copiare", quando c' è da "innovare" perde colpi. E infatti nei settanta e ottanta resse solo grazie alle supposte svalutative, inflattive e debitorie.

A sinistra i liberali erano circa 5. Ernesto Rossi + i 4 gatti del Mondo. Non influirono molto circondati dalla massa per la quale il Capitalismo è molto meglio disintegrarlo che cambiarlo.

A Veltroni lascio i miti del centro sinistra fanfaniano. Io preferisco puntare su un' altra squadra, mi sbilancio con una formazione di calcetto: De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni, La Malfa... e anche un certo Marshall all' ala.

Bottom: in un recente articolo sul Sole di cui conservo un ritaglio, Carrubba riesponeva questa storiella in modo molto più professionale, ho pensato bene di fregargli un po' di numeri.

P.S. mi fanno notare che archiviare tutto il resto come "declino" è esagerato. Vero, il Veneto usciva dalla guerra nelle condizioni della Campania. Oggi è la regione più ricca del Paese, o quasi. Durante il boom ancora esportava emigrati. E allora quando ha costruito la sua ricchezza? Direi a cavallo tra la fine dei settanta e gli ottanta. L' ha fatto però grazie alla flessibilità della micro-piccola-media impresa e "contro" la politica. Il Veneto è solo un paradigma dell sviluppo nordestino. Parallelamente va citata anche il brillante caso dell' Emilia Romagna, che non è poi così differente.

giovedì 10 aprile 2008

Due sassolini nella scarpa dei Tremonti

Tutto ormai è made in China, i dati confermano. I timori tremontiani prendono corpo e si diffondono. Le ragioni del guru appaiono solide.

Qualsiasi prodotto si prenda in considerazione, i cinesi hanno fatto irruzione giocando sui mercati la parte del leone. Il messaggio tremontiano acquista in autorevolezza.

Eppure la Germania, tanto per fare un nome, non perde poi granchè delle sue quote di mercato estero? Tremonti aggrotta le ciglia.

Se poi quardiamo da vicino, la Germania non si è nemmeno sottoposta a ristrutturazioni che l' abbiano rivoltata come un calzino. Tremonti tace.

Ma sì, è la vecchia teoria del consumatore. Bastano piccole variazioni qualitative (al limite, se si dispone di un buon messaggio pubblicitario, anche nessuna), per "creare un nuovo prodotto" e differenziarsi dagli onnipresenti cinesi. E la differenziAzione paga un casino con mercati tanto allargati e in crescita.

L' innovazione semi instantanea è una speranza che forse Tremonti non aveva considerato in tutta la sua portata. Qui la medesima tesi meglio articolata.


***

E già che ci siamo fatemi smussare un altro corno al demonio della globalizzazione. Fatemelo fare ora che siamo nel mezzo di turbolenze finanziarie: le recessioni sono meno acute e più brevi in epoche caratterizzate da forte "globalizzazione".

Chissà poi a cosa sarà dovuto il fatto che gli ultimi 5 anni sono anche quelli in cui è cresciuto di più il reddito pro-capite mondiale prendendo a base gli ultimi trenta.

Tremonti, grazie lo stesso, continua pure la campagna elettorale.

venerdì 21 marzo 2008

L' assasinio: una via per la democrazia

Le probabilità di democratizzazione crescono se gli attentati hanno successo. La via dell' assassinio paga.

Le tasse fanno male

Un' altra "schippettata".

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

giovedì 20 marzo 2008

I rischi di una Cina democratica

Ma siamo sicuri che una Cina democratica qui ed ora sia auspicabile?

Il gradualismo alla cinese ha finora dato buoni risultati, perchè liquidarlo con indignazione proprio quando in ballo ci sono le questioni delicate della politica.

Ormai sembra accertato che i grandi risultati economici conseguiti dal colosso asiatico non possano essere interamente accreditati alla sua crescente apertura commerciale. In parte bisogna riconoscere il ruolo giocato da una saldissima leadership che stava dietro alla rivoluzione liberista. Nel bene e nel male la riduzione delle incertezza ha un valore radiante.

Che questo ruolo ci sia ed abbia contato ce lo confermano miracoli affini, per esempio quello del Vietnam. Ce lo confermano anche storie differenti conclusesi in modo antitetico, per esempio la storia di Haiti con le sue esemplari liberalizzazioni e le sue fragili istituzioni. Per non parlare della Russia, la democratizzazione a tappe forzate incagliò la ristrutturazione del sistema economico.

Con questo non voglio dire che le istituzioni democratiche siano meno efficaci come propellente per lo sviluppo. Al contrario, sono altrettanto efficaci se non di più. E, in aggiunta, ridimensionano i rischi in un ambiente iper-dinamico. Il fatto è che non sto parlando di "Istituzioni democratiche", sto parlando di "Istituzioni deboli". Sì perchè, una metamorfosi necessariamente traumatica come l' abbattimento di un potere centralizzato ormai incancrenito in questa forma da secoli, non puo' che sfociare in Istituzioni fragili. L' effetto del turbo cinese montato su una simile precaria carozzeria potrebbe destare preoccupazioni.

Riflessioni scaturite dalla lettura di Rodrik OEMR P.216. Lì trovi abbondanza di studi empirici sui fatti che suffragano simili dubbi. Sappiamo bene l' importanza dei fatti, unica vera egida di fronte allo scatenarsi delle furie pc.

Preoccuparsi di demografia. Ovvero, leggere i libri partendo dall' ultima pagina

Cominciare la cura ai paesi poveri accanendosi sull' aspetto demografico significa cominciare dalla fine. Non mi sembra un buon metodo. Sempre meglio ricordarlo nel paese dei "sartori".



Segue il tentativo di rintuzzare qualche obiezione, più la solita ideina impraticabile ma che è sempre bene pensare facendola filare al meglio, così, tanto per sgranchirsi un po'.

Giardini: ...mi limito a mettere in dubbio la spiegazione prevalentemente "economica" di un fenomeno che invece è complesso, perché collegato anche a tantissimi altri aspetti, religiosi, psicologici, culturali, nonché tribali...

Attenzione alla natura con cui si manifesta la razionalità economica. Non è certo un calcolo fatto a tavolino da ciascuno degli interessati. Si tratta molto semplicemente di comportamenti vincenti (perchè ragionevoli) che poi si diffondono attraverso tradizioni, attitudini psicologiche ecc. La cultura conta, anche per l' economista, specie laddove deve progettare delle riforme. Cio' non toglie che la ragione mantenga un suo dominio.

Passando ad altro.

C' è chi soffre dei problemi relativi ad una fertilità eccessiva ma c' è anche chi è nella condizione opposta, penso all' Italia. Per chi reputa la denatalità un ostacolo, come ovviare? Con sussidi a raffica? Il liberale è colto subito da istintiva repulsione e va in cerca di alternative. Quanto detto nell' articolo potrebbe darci un suggerimento: ritrasformare i bambini da "beni di consumo" a "beni d' investimento". In quanto beni di consumo, infatti, subiscono una concorrenza troppo serrata e la sottoproduzione, per chi la reputa tale, è certa. Il passaggio auspicato non puo' poi certo avvenire reintroducendo i tipici costi di transazione che rendevano convenienti economie di tipo domestico. Sicuro che invece, un abbassamento delle garanzie intorno alle future prestazioni pensionistiche e sanitarie, oltre a sviluppare i mercati che forniscono questi servizi, potrebbero rivelarsi anche un' efficiente politica famigliare. Due piccioni con una fava.

mercoledì 19 marzo 2008

Il seme della prosperità

Cerchiamo in due righe di riprodurre lo stato dell' arte.

AJR tentano di districare questo web rifacendosi alla storia coloniale dei paesi poveri: dove i colonizzatori si sono ambientati meglio (proxy: la mortalità dei settlers) sono sorte istituzioni di qualità superiore.

Ma c' è un problema: la variabilità dei redditi pro-capite osservata nei paesi che non hanno subito alcuna colonizzazione è pressochè la medesima.

Sachs, sia da solo che con altri, punta tutto sulla geografia.

Diamond e Clark, evoluzionisti di ferro, s' instradano su una via parallela ma simile.

Sembrano smentiti da Rodrik e altri, per loro "Instituitions rule". Anche se la geografia ha effetti indiretti: sviluppo e distanza dall' equatore sono, per esempio, in correlazione.

Engerman e Solokoloff notano come alle culture su larga scala (es. piantagioni) si abbinano carenze istituzionali. Sala-i-Martin rivela un simile deterioramento quando si è in presenza di risorse abbondanti.

Non bisogna poi dimenticare il ruolo che gioca la cultura (religione, costumi, tradizione...) di una popolazioni. Le riforme istituzionali, anche quando in teoria puntano nella giusta direzione, sono potenzialmente nocivi se non prendono in considerazione questa variabile e i feedback che procura. Il "gradualismo" istituzionale è quindi una via consapevole allo sviluppo.

Alla fine una cosa è certa: contano molto le istituzioni ma la fortuna continua a giocare un suo ruolo.

Rodrik OEMR p. 185

martedì 18 marzo 2008

Sviluppo senza proprietà

Noi adoratori della proprietà privata restiamo piuttosto interdetti allorchè constatiamo come in Russia il pronto riconoscimento di questo diritto non si puo' certo dire che abbia incentivato gli investimenti privati. Al contrario, in Cina, anche al tempo in cui il diritto non era legalizzato, si assisteva ad un boom di investimenti. Ma come?

Quel che conta, evidentemente, è la sicurezza che l' investitore sente attorno a sè e non certo la struttura formale dell' ordinamento giuridico in cui opera.

Ma come mai l' investitore "russo" si sentiva tanto insicuro? Probabilmente il riconoscimento legale della sua proprietà non gli bastava.

L' investitore cinese era in tutt' altre condizioni. Poteva aggregarsi al business solo in compartecipazione con i governi locali. Legando i suoi interessi a quelli di un' autorità istituzionale consolidata si sentiva le spalle coperte. Queste forme di associazione sono state un trampolino di lancio efficacissimo.

Si potrebbe continuare nel descrivere il gradualismo cinese pensando ai liberi commerci.
Non furino affatto il frutto di una liberalizzazione di settori commerciali specifici. Le politiche di pianificazione e delle quote continuarono a lungo e alla grande. Il libero commercio era consentito ai produttori ma solo "al margine" delle quote. Vennero poi semplicemente istituite delle enclaves sperimentali, all' inizio quasi dei "giochi" che via via furono allargate fino ad esplodere in tutto il paese.

R OEMR p.189

lunedì 17 marzo 2008

No...l' esaurimento delle risorse no...(bazzicando compagnie anti-liberali)

EMERGENZA TERRA" ric - 25/09/2006 17:16 Non sapevo che una delle "emergenze terra" fosse il "tasso di crescita eccessivo".

A questo punto devo pensare che la soluzione consista in una diffusione della povertà.

A parte qualche originale "sociologo dell' impoverimento"(il circo Touraine tanto per intenderci), non penso che in molti siano disposti a prendere sul serio queste vie di fuga un po' bizzarre.

Se permettete continuo a pensare che, a parità di tutto il resto, un ricco abbia maggiori possibilità di risolvere un problema rispetto al povero in canna. Quanti più ricchi circolano dalle nostre parti, tanto più crescono le nostre speranze.

Quando qualcuno trova molto faticoso convincere il prossimo e rispettarne i diritti, ecco che se ne esce tutti i momenti con espressioni altisonanti come "genere umano", oppure "problema-terra", dopodichè si passa al prossimo collasso del sistema solare...e via sfumando verso territori sempre più sfocati dove tutti gli ostacoli possono essere sormontati con due sinuosi pensierucci apocalittici apocalittici.

I problemi così presentati da chi predilige queste visioni grandiose, consentiranno di adottare soluzioni che trattino il proprio vicino come ha sempre sognato: una pedina (ostaggio di "interessi superiori e planetari").

Questo modo di procedere produce vicoli ciechi di cui Kyoto è un buon esempio.

Occhio anche a prendere con le pinze i democatastrofisti che, pur condannati a ripetizione dalla storia delle idee, tornano regolarmente alla carica.

RE: RE: EMERGENZA TERRA" ric - 27/09/2006 08:59 Caro Florestan, anche la tua nozione di "risorsa" mi convince dei mille equivoci in cui ti trascini.

L' economista ci dice che la risorsa è essenzialmente un' idea. La parte materiale di questo concetto è secondaria.

Il petrolio era una fanghiglia maleodorante senza l' idea che lo rese risorsa.

Purtroppo la "fisica delle idee" è una materia complessa, molto più della fisica naturale.

Di sicuro, però, è l' unica fisica che ci interessa davvero affrontando i problemi legati alla scarsità.

Con un eufemismo, mi si lasci dire che queste elementari verità (abc) nell' approccio del circo "Touraine" non sono tenute nel debito conto.

Ma è normale visto che non si tiene conto dell' uomo e lo si considera alla stregua di uno zombie a cui dobbiamo prendere le misure con qualche metro statistico, manco fossimo in sartoria. Troppo facile.

EMERGENZA TERRA" ric - 28/09/2006 11:52

Un mondo povero e mummificato, in genere, produce poche idee e poche soluzioni ottimali.


TERRA" ric - 28/09/2006 16:32

Un saluto a Matteo. Mi dici "...nesusno vuole l'impoverimento, ma è altrettanto impensabile che tutti sulla terra possano consumare la stessa cosa senza esaurirla in poco tempo...".

Per non correre questo pericolo esiste una soluzione che finora non ha mai fallito: il sistema dei prezzi.

Non è tanto la ricchezza ad aguzzare l' igegno. E' l' ingegno che produce ricchezza. Poi, in un circolo virtuoso, la ricchezza mette a disposizione dell' ingegno sempre più mezzi.

Per questo che li trovi a spasso sempre insieme a bracetto da buoni amici. Pensare a questa storiella come ragionevole, ed in fondo non è poi così difficile farlo, puo' risultare molto consolatorio.

giovedì 13 marzo 2008

Regole contro Mercato. Rodrik contro De Soto?

La fama che circonda personaggi come Rodrik e De Soto spinge a riflettere.

Si tratta di due grandi economisti che si sono spinti a fondo nella ricerca inaugurata da Adam Smith: rinvenire il segreto che rende ricca una Nazione e povera l' altra.

Il primo si è spesso mostrato critico verso le ricette comunemente utilizzate per gestire la globalizzazione.

Poichè queste ricette, cucinate dall' FMI e dalla Banca Mondiale, vengono con faciloneria etichettate come neo-liberiste, va da sè che l' economista di Harvard venga ritenuto poco più che un social-democratico.

Mi è capitato di sentire parecchi no-global citarlo attingendo alla ricchissima messe di esempi che l' Illustre ha con dovizia sciorinato nelle sue preziose pubblicazioni.

Al contrario, De Soto, si è spinto a difendere le economie illegali di cui ribolle la suburbia dei paesi poveri. I suoi libri presentano nella controcopertina i giudizi sperticati di Coase e della Thatcher. Chiude ogni suo paragrafo con una perorazione del diritto di proprietà. Ha appena vinto il premio Friedman...Insomma, appare a molti come un mastino del mercato spinto.

Eppure, quando poi vai a guardare, non c' è una grande differenza nell' approccio dei due.

Entrambi, sulla scia dell' insegnamento neoclassico, vedono nella qualità istituzionale la chiave di volta delle questioni legate allo sviluppo. Entrambi predicano forme di decentramento nell' azione volta a costruire dette istituzioni.

Rodrik giudica questo decentramento come garanzia di un approccio molteplice da contrapporre al Modello Unico (e Neoclassico) degli organismi internazionali.

De Soto si spinge ancora oltre e invita a rintracciare l' esistente embrione di regole condivise che già è presente - spesso in forma illegale - nella vita quotidiana dei diseredati. Una volta rintracciato quello scheletro, la formalizzazione del diritto dovrà tenerne conto.

In fondo dicono qualcosa di molto simile.

C' è però un elemento meramente retorico che li differenzia e che forse crea un' ingiustificata frattura negli schieramenti in cui vengono poi collocati.

Nella prosa di Rodrik si tende a sottolineare l' importanza delle Istituzioni Non di Mercato. Viene usata esattamente questa locuzione in modo che il lettore resti colpito da quanto il fondamento di tutto non sia affatto il mercato. Rodrik ci appare subito come un non-fondamentalista, per lui contano le Regole. Il mercato viene dopo.

Altra storia per De Soto. Invitandoci a formalizzare dette Regole sulla base delle consuetudini, il peruviano non puo' enfatizzare l' estraneità di quelle Regole rispetto ad un fenomeno contrattualistico. La consuetudine infatti emerge hayekianamente da una miriade di interazioni umane, ovvero da qualcosa che assomiglia molto ad un mercato.

Personalmente attribuisco a Rodrik un' imprecisione retorica. Per i fini che si propone lo studioso è praticamente irrilevante ma per il giudizio ideologico che a me interessa ora, no.

Come distinguere infatti chi assume le Regole come fondamento contrapponendole al mercato, operazione che traspare dalla retorica di Rodrik?

In genere costoro prediligono soluzioni centraliste: esistono delle Regole e vanno poste a fondamento. Tutto deve girare intorno ad esse.

La soluzione "localista" in fondo cos'è se non un "mercato delle regole": esistono dei set istituzionali differenziati, che competano visto che sono entrambi legittimi. Ma optare per un "mercato delle regole" è un modo per asserire la superiorità del Mercato sulle Regole.

Poichè abbiamo visto che sia De Soto che Rodrik propendono per la soluzione istituzionale localista, allora entrambi, nella diatriba Regole contro Mercato, appartengono di diritto allo stesso schieramento.



ADD1. A chi si infervora nel proclamare in astratto la necessità di un' imprescindibile gabbie di regole a fondamento della vita civile e a barriera di un mercato pervasivo e corruttivo, fate pure presente che sono in molti a ritenere la Costituzione come un contratto su cui gli italiani fondano la loro convivenza. Poi fate anche presente che "il contratto" costituisce l' atto di mercato per eccellenza. Dopodichè attendete risposta.

martedì 4 marzo 2008

Darwin, unica speranza dei nullatenenti

Spira una brezza malthusiana nell' ultimo libro di Gregory Clark, A Farewell to Alms: A Brief Economic History of the World. Lo sviluppo economico del mondo, a quanto pare, comincia solo con la Rivoluzione Industriale, prima eravamo tutti nella trappola malthusiana: l' incremento di produzione era assorbito dall' incremento della popolazione.

Ma perchè fu proprio l' Inghilterra a sgattaiolare fuori dalla "trappola"?

"...The answer hazarded here is that England's advantages were not coal, not colonies, not the Protestant Reformation, not the Enlightenment, but the accidents of institutional stability and demography: in particular the extraordinary stability of England back to at least 1200, the slow growth of population between 1300 and 1760, and the extraordinary fecundity of the rich and economically successful..."

"...Clark found a reproductive advantage of rich men over poor between 1585 and 1638 -- the richest testators leaving twice as many children as the poorest. From this he concluded that the offspring of the rich had quickly spread throughout society..."

I fattori legati allo sviluppo hanno dunque principalmente a che fare con la demografia e la selezione dei più adatti.

Con coerenza vengono derivate alcune politiche per l' aiuto ai più deboli. La "cultura" è tutto, quindi è necessario "selezionarla" visto che non si puo' inocularla, lasciate che i modelli fallimentari falliscano visto che non possono essere corretti:

"...History shows, as we have seen repeatedly in this book, that the West has no model of economic development to offer the still-poor countries of the world. There is no simple economic medicine that will guarantee growth, and even complicated economic surgery offers no clear prospect of relief for societies afflicted with poverty. Even direct gifts of aid have proved ineffective in stimulating growth. In this context the only policy the West could pursue that will ensure gains for at least some of the poor of the Third World is to liberalize immigration from these countries..."

"...The implicit proposition of A Farewell to Alms is that we should stop giving money to the poor. They'll just become more numerous. Hoist as many as possible aboard; let the others sink or swim. Let selective pressure do its work. Only thus will the poor eventually escape their poverty..."


Riepilogando, nell' Inghilterra dal 1200 al 1800, i successi economico si è costantemente tradotto in successo riproduttivo selezionando una popolazione particolarmente adatta. I ricchi sarebbero sopravissuti all' infanzia in numero doppio rispetto ai poveri. Filtro da cui la Cina, per esempio, era ben lontana.


Ho l' impressione che una simile spiegazione, perlomeno laddove si limiti a considerare un unico elemento, non si attagli a parecchi esempi di sviluppo a cui abbiamo assistito anche di recente.

lunedì 3 marzo 2008

Istruzione e ricchezza

E' un bel casino capire come si relazionino queste due variabili. Sembra che non vadano a braccetto come qualcuno ritiene naturale che sia. All' interno dei singoli Paesi questo avviene, ma la cosa puo' essere spiegata elidendo una causazione diretta:

"...yes productive people tend to be better educated, but there are many possible explanations for wealth-education correlations. For example, schooling could be a credible signal of ability, or school could be consumption that the rich can better afford..."

E poi le analisi cross-country non confermano la correlazione diretta, a meno che non si bari un po'...

mercoledì 27 febbraio 2008

Iper liberisti con welfare estesi

L' Islanda.

"...Iceland, much like Denmark, is more or less Hong Kong with a huge welfare state

Perhaps the greatest unheralded discovery of the late 20th/early 21st century is that relatively unfettered capitalism is a much better complement to the comprehensive welfare state than is dirigisme..."