giovedì 30 novembre 2017

Il grande monastero

Il grande monastero

Una parabola sulle sorti dell’umanità.
[… probabilità assegnata: 7%…]
BEPI SCOPRE HF
Bepi va a scuola e quest’anno affronterà l’esame di maturità. Vive in famiglia, è un ragazzo sereno, intelligente e con molti amici: alcuni di loro sono semplici conoscenti, con altri invece c’è una bella intimità.
Oggi Bepi – durante l’intervallo – ha ricevuto da Toni una provetta contenente una polverina: “prendila dopo averla sciolta in acqua, vedrai che bomba. Si chiama HappyFeel ma giù al parco Sempione i negri che la vendono la chiamano HF”.
Bepi se la beve dopo pranzo e passa un pomeriggio da dio.
Il giorno dopo va al parco con Toni per fare scorte, non c’è problema, non ha dovuto procurarsi il contante,  quella “roba” costa quattro soldi.
CAMBIAMENTO
Passano due mesi che per Bepi sono due mesi in paradiso, con HF la sua qualità della vita è schizzata verso l’alto.
Però non studia, passa il tempo a letto a sognare. All’esame viene bocciato e sua mamma si preoccupa.
Il cugino di Bepi, Vasco, frequenta la stessa scuola e ha principi morali solidi: quando ha saputo di HF si è tenuto alla larga dal parchetto. Forse anche per questo all’esame è stato il più brillante e ora si iscrive alla Bocconi.
Nel frattempo Bepi – con grande costernazione della mamma – ha smesso di andare a scuola e nemmeno si cerca un lavoro. E’ un vero bamboccione! Pensa solo ad HF, ha saputo che ne esistono varietà differenti che danno sensazioni differenti.
La famiglia di Bepi è in subbuglio, tutti sono preoccupati. Tutti tranne Bepi.
Bepi non rifugge i suoi genitori, alla sera si presenta a cena sempre in forma e di buon umore. Ha una buona parola per tutti e cerca di tranquillizzare i suoi vecchi, prova un sincero affetto per loro.
DIECI ANNI DOPO
In questi dieci anni Bepi non ha mai frequentato la scuola ed è sempre stato mantenuto dai suoi. Ogni giorno assume HF ed è felice come una pasqua.
Quando l’effetto della droga cessa, resta comunque ottimistae pronto a fare. Solo che non vede cosa diavolo dovrebbe fare!
Mangia poco ma non ne risente poiché, a quanto pare, HF ha anche notevoli effetti nutrizionali e tonificanti: anche per questo si sente tanto in forma!
Ma la sua forma atletica gli serve a ben poco poiché non ha nessuna voglia di fare sport. Anzi, non ha nemmeno voglia di uscire di casa. Non ha nemmeno voglia di uscire dalla sua cameretta, lo fa solo per rassicurare i suoi che stanno invecchiando e sono preoccupati: chi penserà domani a loro figlio?
Più che “non avere voglia di fare le cose”, non ne sente il motivo. In realtà è pieno di energie.
Quando prende la droga Bepi si sdraia sul suo letto, a volte è come se sognasse, altre volte comincia a svolgere delle riflessioni pensando alla sua vita, a Dio, ai suoi amici, al bene e al male. Altre volte ancora sente musica sullo stereo: Bach, Beethoven, i Beatles, Charlie Parker… Oppure legge un libro: Infinite Jest, 2666, Underworld…
Si tratta comunque di momenti in cui si sente veramente bene, di momenti a cui non potrebbe mai rinunciare. Ma oltre al benessere che prova e alla ricchezza interiore che sente crescere, sente anche di ricevere una grande carica per il resto della giornata.
Tuttavia, nel resto della giornata non ha nulla da fare (se non prendere un’altra dose di HF).
La vita di Bepi non è unica: c’è un’intera generazione di giovani che vive come lui.
E qualcuno di questi giovani ha persino “convertito” i genitori all’ HF.
Vasco si è laureato a pieni voti alla Bocconi, è entrato in una multinazionale predestinato alla dirigenza. Ma il mese scorso si è dimesso, ha cominciato ad acquistare HF chiudendosi in camera sua.
Dieci anni di ritardo, peggio per lui pensa Bepi. E comunque: meglio tardi che mai.
Alla tele – perennemente accesa in soggiorno – un sociologo famoso dice: “ci troviamo di fronte ad un nuovo preoccupante fenomeno, tra i nostri giovani circola una droga diversa dalle precedenti. Che fare?”
VENT’ANNI DOPO
I genitori di Bepi muoiono. Chi si prenderà cura di lui?
Non ha studiato, non ha mai lavorato, non ha competenze in nessun campo. Il suo capitale umano è pari a zero.
Bepi non è molto preoccupato di questo fatto, sa che un paio d’ore alla settimana giù da Mc Donald e un paio di corse con Uber basteranno  per garantirsi la dose.
Ma soprattutto sa che una dose di HF al giorno è più che sufficiente per realizzare i suoi sogni.
Certo, la casa andrà in malora, il giardino sarà ricoperto da erbacce, i topi entreranno dalla soffitta, l’acqua penetrerà dagli infissi.
Questi non sono problemi: a Bepi basta HF e una celletta monacale in cui consumarla. Non serve altro.
Bepi non deve mangiare (HF ha proprietà nutrizionali), non deve vestirsi (la tuta HF costa 0.5 euro), non deve avere una casa (la Quechua fornisce cellette auto-montabili a prova di uragano), non deve incontrare amici, non deve viaggiare, non deve lavorare, non deve comprare…
Non deve fare nulla di tutto questo se vuole razionalmente massimizzare il suo benessere e sentirsi realizzato. Oggi una dose di HF costa un centesimo ma il governo ha detto – nel disinteresse generale – che dall’anno prossimo sarà gratuita per tutti. 
Tutti i cinquantenni come Bepi ragionano come lui. E il ragionamento fila.
LA SOCIETA’
In presenza di una droga che:
1) non costa niente.
2) assicura grande benessere psico-fisico e
3) ha solo effetti collaterali positivi,
la società degli uomini si è trasformata.
Il PIL è collassato praticamente a zero e gli indici di soddisfazione sono schizzati in alto.
Nessuno lavora.
Le tasse, fino all’anno scorso erano rimaste invariate, ma il gettito si è azzerato per via del fatto che 1) non esistono più redditi e 2) nessuno paga, d’altronde combattere l’evasione aveva perso ogni senso in assenza di programmi governativi da finanziare.
Anche per questo un politico di cui Bepi non ricorda bene il nome, quest’anno ha simbolicamente abolito tutti i tributi incassando un’ approvazione generale che assomiglia molto ad un riflesso pavloviano.
[… e pensare che – grazie ad un programma spaziale governativo –  ci apprestavamo a contattare una civiltà avanzata simile alla nostra individuata anni fa su Alfa Centauro. Tutto andato a monte, tutto abortito: i neo-monaci non sono molto interessati agli extraterrestri….]
Non esistono praticamente più leggi: non servono.
Non esistono più principi etici: non servono.
Perché mai uno dovrebbe rubare? Perché mai uno dovrebbeuccidere? Perché mai dovrebbe frodare o corrompere?
A ciascuno basta una dose di HF al giorno al modico costo di 0.01 euro.
A dirla tutta esistono ancora delle sacche di umanità tradizionale che vivono alla vecchia maniera: ancora lavorano, ancora possiedono dei principi etici, ancora hanno leggi. Ma sono poverissimi poiché possono sfruttare mercati molto ridotti. Soprattutto, però, sono stravaganti.
Il mondo è ormai un grande monastero pieno solo di monaci dediti all’introspezione.
La demografia dice che l’estinzione è vicina. In assenza di etica, nessuno risulta particolarmente preoccupato.
50 ANNI DOPO
Bepi è un centenario fiero della vita che ha vissuto: forse non ha combinato molto ma ha riflettuto a lungo su dio, sulla bellezza, sulla bontà, ha ascoltato le grandi musiche e letto i grandi libri, ma soprattutto, grazie all’ HF, ha ricavato da tutto questo una grande soddisfazione. Ora si appresta a moriresazio di anni.
Intanto da Alfa Centauro sono sbarcati sulla terra: visto che non siamo andati noi da loro sono venuti loro da noi. Sembrano bellicosi ma non sono poi molto “avanzati”: noi, ai bei tempi, eravamo qualche step tecnologico oltre.
Non a caso questi buzzurri di Alfa non hanno mai scoperto l’equivalente di HF.
E’ bastato farglielo conoscere – sembra che la loro biologia sia simile alla nostra – e i loro bollenti spiriti si sono calmati. Ora non hanno più tanta voglia di scorazzare per l’universo, hanno solo voglia di indossare la tuta HF e infilarsi nella loro celletta convertendosi al neo-monachesimo.
200 ANNI DOPO
L’umanità si estingue per mancanza di figli.
Dopo altri 100 anni anche quelli di Alfa Centauro non ci sono più.
Intanto su Vega-pop – presso una civiltà molto simile alla nostra intorno al XXI secolo dopo Cristo – ci si chiede: perché questo silenzio nell’universo?
Perché le civiltà più avanzate della nostra, visto che probabilmente esistono, non ci contattano?
Xyz, un giovane e curioso cittadino di Vega, ha una teoria: le civiltà avanzate sono destinate a collassare, per questo non si fanno vive.
Pensa ad impatti con asteroidi, a guerre nucleari, ad autodistruzioni di vario tipo.
Non pensa al fatto che una civiltà avanzata è destinata a “spiritualizzarsi”.
Non pensa al fatto che una civiltà avanzata è destinata al monachesimo e all’eutanasia.
Una civiltà del genere non è contrassegnata dal suo collasso: anche se si perpetuasse in eterno non sarebbe comunque interessata ad “uscire dalla cameretta”.
Renewal

mercoledì 29 novembre 2017

Stereotipi review

Why isn’t “stereotype threat” stronger in the data? http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2017/11/isnt-stereotype-threat-stronger-data.html

Babbo natale a scuola

Babbo natale a scuola

Perché per natale non regaliamo le scuole agli insegnanti?
Scuole del genere – gestite dai docenti – sono sempre esistite nella storia, e hanno anche fatto bene.
Viviamo un’epoca che nella scuola butta invano un fracco di risorse. Qualcosa bisogna fare!
Questo anche se la scuola è la “vacca sacra” della società secolarizzata.
L’efficienza delle scuole (risultati/investimenti) è al tracollo.
tentativi per tappare la falla sono stati vani: aumentare i titoli richiesti agli insegnanti, collegare gli stipendi al “merito”, ridurre il numero di allievi per classe, diversificare i programmi, lasciar scegliere la scuola pubblica che si desidera.
L’esito è sempre lo stesso: più risorse ingoiate a parità di risultati, dove i risultati sono i punteggi nei test di aritmetica e lettura a fine ciclo.
Occorre più mercato.
Le soluzioni di mercato a disposizione: esternalizzazione dei servizi (affidamento della scuola a società esterne), buoni-scuola, autonomia spinta (cogestione), homeschooling.
L’esperienza ci dice che la scuola commerciale implica un miglioramento esponenziale dell’efficienza.
Ma c’è un problema: misure del genere vengono osteggiateda molti agguerriti “interessi particolari”.
In primo luogo, i sindacati degli insegnanti. Ma anche dai burocrati del ministero, dalle associazioni genitori-docenti e dai consigli di istituto.
Si tratta di gruppi che, in mancanza di un vero responsabile, riescono ad estrarre una rendita dal sistema “incustodito” come si presenta ora.
La soluzione proposta (trasformare la scuola in una società commerciale e distribuire le azioni al corpo docente e non solo) implicherebbe un vantaggio economico per i maggiori oppositori della privatizzazione, allentandone la resistenza.
Ma implicherebbe anche una loro responsabilizzazione: fine delle vuote chiassate piazzaiole.
Sarà loro dovere rendere la scuola più efficiente, pena fallimento, azzeramento nel valore dei titoli in portafoglio e spostamento dell’utenza altrove.
L'immagine può contenere: una o più persone

SAGGIO E’ un mondo difficile


E’ un mondo difficile


Il bizzarro compito dell’economia e dimostrare agli uomini quanto poco sanno.
Come esemplificare al meglio questa ignoranza messa in luce da quelle discipline economiche che la danno per scontata?
Prendiamo come esempio un oggetto banale di uso comune, un oggetto presente in tutte le case, un tostapane. Cosa c’è di più triviale? Cosa c’è di più semplice?
Ebbene, provate a costruirne uno!
Oppure seguite le peripezie di chi c’ha provato, uno come Thomas Thwaites, dottorando in design del Royal College of Art di Londra.
Una volta imbarcatosi nel “progetto tostapane” si è subito reso conto della montagna di complicazioni che sta dietro un’opera tanto banale, i pezzi da procurarsi sono più di 400!
I materiali che occorrono non sono banali, il rame per i cavi degli spinotti elettrici e il fili di collegamento. L’acciaio, per il sistema di griglie e la molla. Il nichel, per il componente che scalda. L’amica, per raffreddare il componente che scalda. Infine la plastica per l’isolamento dei figli e della spina.
T. si rese conto che se uno parte completamente da zero ci mette una vita per fabbricare un tostapane. E questo senza nemmeno andare in Cile ad estrarre di persona il rame necessario o in Russia per la mica.
Viviamo circondati da oggetti che non sapremmo mai fabbricare.
A dir la verità tanti di noi non sanno neppure quale sarà la destinazione finale del loro lavoro. Il boscaiolo che taglia un albero non sa se il legno verrà usato per uno stuzzicadente, per la struttura di un letto o per una matita.
L’unico a sapere è “il sistema”. Un sistema in grado di coordinare migliaia di ignoranze sparse sul pianeta.
Questa santa ignoranza affidata al giusto sistema ci rende disponibili una varietà sbalorditiva di prodotti. Basta entrare in un grande magazzino per accorgersi che centinaia di migliaia di articoli diversi sono presenti sugli scaffali. Su piazze come Londra e New York vengono offerti più di 10 miliardi di prodotti diversi.
L’unico a sapere la destinazione dei lavori è il sistema. Strategie alternative con la medesima ambizione, dal feudalesimo alla pianificazione centralizzata, sono finite nei libri di storia.
Ma c’è di più: tostare il pane non è affatto complicato, il pane, diciamo così, non assume un ruolo attivo, non prova a fregarti come potrebbe fare una squadra di banchieri di investimento. Il vero miracolo del sistema non è tanto la fabbricazione di un tostapane ma il coordinamento di migliaia di persone impegnate in quest’opera con i bisogni dei clienti. I problemi con le persone sono enormemente più complicati del già complicatissimo tostapane: le persone non collaborano, non stanno mai ferme, voi cominciate a risolvere un problema e vi accorgete che il problema cambia continuamente sotto le vostre mani.
Un cervello non basta, per quanto sia geniale. Tutti noi ci aspettiamo troppo da un uomo solo. Ci aspettiamo troppo dal capo di governo. Ci aspettiamo troppo da un eroe. Ci aspettiamo troppo da un valoroso militare. Abbiamo il tremendo bisogno di credere nell’efficacia di un leader ma costui resterà sempre un nano se paragonato al “sistema”.
Forse tale istinto oggi perverso ha origine nel fatto che ci siamo evoluti operando in piccoli gruppi di cacciatori e risolvendo problemi che erano, per l’appunto, quelli di un piccolo gruppo. Problemi banali, in un certo senso, problemi che potevano essere risolti anche da un genio. Non riusciamo così a capire come i problemi più complessi possano e debbano essere risolti involontariamente grazie all’ignoranza coordinata di molti.
Philip Tetlock è il più grande esperto di esperti. La sua opera ci fa notare come la contraddizione tra esperti sia all’ordine del giorno, oppure che le previsioni sulla politica Russa pronunciate da esperti di cose sovietiche non fossero più precise di quelle pronunciate da specialisti della politica canadese. Oppure che più gli esperti erano famosi, più erano incompetenti.
Gli esperti, secondo le ricerche di Tetlock, fanno meglio dei non esperti ma “leggerissimamente”, e questo dopo aver studiato “moltissimamente” di più. La colpa non è loro, è che viviamo in un mondo difficile. Viviamo nel mondo in cui il complicatissimo problema del tostapane si archivia nello scaffale dei “problemi semplici”.
Il sistema di mercato sembra l’unico in grado di approcciare questa complessità, ma qual è il suo segreto?
La lezione sembra essere che il fallimento sia parte integrante del metodo risolutivo come del sistema di mercato.
Più un settore economico è giovane, dinamico e promettente più i tassi di fallimento delle sue aziende è elevato.
La macchina per stampare fu inventata da Johann Gutenberg, un uomo che cambiò con la sua invenzione il corso della storia facendo fallire molti progetti alternativi. Ma lui stesso, nel tentativo di realizzare la famosa Bibbia che porta il suo nome, fallì e fu accantonato (il centro dell’industria della stampa si spostò Venezia). Non si guarda in faccia a nessuno nel nome di sua maestà il Fallimento, ovvero il motore per la soluzione di problemi complicatissimi.
Quando esplose la bolla delle cosiddette Dot-com, spazzò via innumerevoli giovani realtà economiche. Grazie ha questa capacità di far piazza pulita il business di Internet fiorì e si affermò.
La moderna industria informatica costituisce un esempio eclatante, il settore più dinamico dell’economia è stato anche quello in cui si sono osservati fallimenti a catena: Hughes,  Transitron, Philco, Intel, Hitachi, Xerox… Tutti nel buco nero per risolvere problemi incasinatissimi e realizzare cio’ di cui oggi possiamo godere.
Non sono tanti i dirigenti d’azienda che amano ammetterlo, ma il mercato trova tentoni la via giusta.
La stessa selezione naturale in campo biologico, spesso sinteticamente definita come il processo di sopravvivenza del più adatto, è in realtà innescata dalla “sconfitta del meno adatto”.
Dicevamo che i problemi che coinvolgono gli esseri umani sono particolarmente difficili da trattare. I manager li hanno sul tavolo ogni giorno.
Molti ritengono che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere delle qualità eccezionali, lo pensano sicuramente gli azionisti che pagano loro stipendi profumati, ma lo pensano molte persone della strada (che vengono a sapere di quegli stipendi). Ma e poi davvero così? In fondo non si capisce bene cosa facciano di tanto eccezionale.
Un tentativo interessante di risposta all’enigma lo fornisce l’economista Paul Ormerod che ha confrontato quel che i reperti fossili ci ci dicono circa le estinzioni (fallimenti biologici) avvenute negli ultimi 550 milioni di anni con le statistiche di Leslie Anna sulla morte dei giganti industriali. Ebbene, il rapporto opportunamente normalizzato delle estinzioni biologiche e delle estinzioni aziendali appare molto simile, e questo nonostante che il processo biologico sia cieco mentre invece quello economico guidato dai geni del management.
Vogliamo tradurre? Beh, secondo Ormerod Apple potrebbe tranquillamente sostituire Steve Jobs con uno scimpanzé.
Non sono i manager ad essere dei geni, è il mercato (ovvero il sistema in cui sono inseriti) ad essere geniale.
Ma il modo più efficace per vincere la complessità è anche il meno popolare, chi ha voglia di brancolare nel buio in cerca di una soluzione vincente commettendo ripetuti errori sotto gli occhi di tutti? Chi vuole votare per un politico che segue questo metodo, o sostenere un manager di livello la cui strategia sembra quella di sparare ideee casaccio?
Di solito i politici si presentano come gente che promette di tirare dritto per la sua strada, di non cambiare mai idea, di essere coerenti. Dovremmo invece tollerare, persino celebrare tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che alcune non funzionano. Ma in realtà non lo facciamo mai!
La varietà di opinioni e la diversità di approcci è una ricchezza, ma a quanto pare poco apprezzata anche nei luoghi deputati al culto dell’efficienza. Ci sono alcune dimostrazioni del fatto che più una persona è ambiziosa, più sceglierà di essere uno Yes Man, e per buone ragioni visto che questi tendono essere premiati. Persino quando i leader e i manager vogliono davvero un onesto riscontro delle loro azioni, spesso non riescono a riceverlo.
Tendiamo a presumere che l’economia pianificata dell’Unione Sovietica sia crollata perché mancava l’effetto galvanizzante della ricerca del profitto e la creatività del settore privato. Molto più probabilmente è crollata perché mancavano i fallimenti, ovvero quei segnali che ci indicano più o meno direttamente la direzione da prendere. L’Unione Sovietica ha tirato dritto con i suoi progetti faraonici messi al riparo da ogni fallimento… ed è finita nel burrone. Una patologica incapacità di sperimentare.
Ma anche in una moderna multinazionale la diversità degli approcci è difficilmente tollerata, gli ostacoli sono almeno due. Il primo è la mania di grandezza: sia i politici sia i capi d’azienda a mano i grandi progetti. Il secondo è che noi raramente amiamo la convivenza di un’accozzaglia di principi incoerenti fra loro, è come se turbassero la nostra naturale inclinazione all’eleganza e all’uniformità. Ci piace pensare che tutto sia uniforme.
Sarà anche per questo che gestiamo tremendamente male i nostri fallimenti, a volte ci deprimiamo ma l’insidia maggiore non è la depressione.
Prendiamo il mondo del poker, un mondo dove regna il sangue freddo. Diversi giocatori professionisti raccontano che esiste un momento specifico in cui il rischio di perdere il controllo è molto alto, non è quando vincono e l’euforia li coglie ma quando hanno appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata e siamo colti da un demone pericolosissimo: la voglia di riscatto. Riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’unica cosa da fare, per quanto dolorosa. Una persona che non si fa una ragione delle proprie perdite è probabilmente destinata a correre rischi che in altre situazioni non prenderebbe nemmeno in considerazione.
La perdita ci fa perdere la ragione, gli economisti parlano di “sunk cost”, se al ristorante abbiamo ordinato il piatto sbagliato ci sentiamo in dovere di mangiare ugualmente, il fatto di dover pagare (e quindi buttato i nostri soldi) è come se ci imponesse un dovere, ovvero sacrificare ulteriormente il nostro piacere sorbendoci una schifezza. Se ho prenotato una vacanza pagando un congruo anticipo mi sento in dovere di partire anche se non sto bene, lo trovo un modo per non sprecare i soldi versati. Non appena ci accade qualcosa di negativo noi evitiamo ogni analisi accurata abbandonandoci alla voglia di riscatto. La giusta reazione sarebbe quella di incassare la battuta d’arresto e cambiare direzione, sebbene l’istinto ci spinga nella direzione opposta.
Questo spiega perché il detto “sbagliando si impara”, che è un saggio consiglio, sia tremendamente difficile da seguire.
complicato