sabato 25 novembre 2017

Essere single è un lusso

Essere single è un lusso

Il matrimonio rende: taglia i costi e aumenta le entrate.
E’ da sempre – insieme all’etica del lavoro duro – l’arma segreta dei poveri, quella con cui mantengono il contatto con l’élite.
Sulla relazione tra redditi e matrimonio abbiamo già detto: sposarsi rende più che laurearsi, almeno per gli uomini.
Il taglio delle spese si deve al fatto che molti beni hanno un consumo non rivale: la casa, l’auto, la connessione internet, i libri, il cibo… Una volta che ci si separa occorre raddoppiare la spesa.
Questi vantaggi si catturano anche coabitando ma una relazione del genere è precaria e disincentiva gli investimenti seri.
Ma perché se il matrimonio è tanto conveniente sono proprio i meno abbienti a divorziare?
Forse perché sono più impulsivi, più irrazionali, fanno tanti errori. D’altronde sono poveri anche per quello.
Il matrimonio ti motiva, ti induce alla meditazione e ti spinge a dare di più.
Una medicina del genere è particolarmente preziosa per chi è impulsivo e beneficia di un minor autocontrollo, ovvero il povero.
Il declino dei matrimoni tra i poveri puo’ essere visto come un fallimento dell’economia neoclassica, quella dell’ homo oeconomicus.
C’è chi sostiene che lo stress da povertà induca all’errore ma è più probabile il contrario: se coltivi i giusti valori – tra cui quello famigliare – scegli bene, altrimenti fai una brutta fine.
La deregulation etica e il paternalismo welfarista potrebbero essere all’origine della sciagurata scelta dei poveri per una vita da single (ovvero una vita fatta di lussi).
Ma perché le persone sposate fanno più soldi?
1. Sono più in gamba.
2. Sono più motivati (lavorano di più).
3. Sono più credibili: il datore di lavoro si fida di più di chi si è dimostrato in grado di prendere impegni a lunga scadenza.
Congettura: 50-40-10.

Mogli e buoi dei paesi tuoi

Mogli e buoi dei paesi tuoi

Facilitare il divorzio ha ripercussioni sul valore del legame familiare e sulla composizione della coppia.
Quando il divorzio è facile conviene formare un capitale umano che abbia valore soprattutto fuori dalla famiglia. Questo per il semplice fatto che la famiglia potrebbe scomparire da un momento all’altro.
Quando si investe fuori dalla famiglia, il valore della famiglia decresce.
Oltretutto, il divorzio è costoso: laddove bastava una macchina ora ne servono due, laddove bastava una casa idem, laddove bastava una connessione internet idem.
Il costo nei beni di consumo non-rivali (come dicono gli economisti) esplode.
Essere single è un lusso e il divorzio produce single a ripetizione.
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Effetti del divorzio facile:
1. Il fatto che la famiglia perda di valore lo vediamo dal calo dei matrimoni.
2. Il fatto che sposarsi diventi più rischioso lo vediamo dagli accoppiamenti più oculati.
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Gli sposi sono sempre più simili: ricchi con ricchi, poveri con poveri, bianchi con bianchi, neri con neri…
Il divorzio facile rende quanto mai attuale il detto “mogli e buoi dei paesi tuoi”.
In sintesi il divorzio facile aumenta le diseguaglianze sociali.
Prima il matrimonio era un’arma attraverso cui gli ultimistavano a “galla”. Il divorzio facile scarica quest’arma.
Prima il matrimonio era un frullatore attraverso cui la società mescolava “alto e basso”. Il divorzio facile lo ha mandato in corto circuito.
Risultato: più diseguaglianza.
Una studiosa della questione è Ana Reynoso. Ha ricavato una solida evidenza sfruttando il fatto che nei cinquanta stati USA la legislazione sul divorzio facile, quando è entrata, è entrata in tempi diversi.
Fuori tema. Ecco un chiaro vantaggio del federalismo: l’autonomia consente di sperimentare e facilita la vita agli studiosi.
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Soldi e sanità

Soldi e sanità

La sanità è un mercato caratterizzato da asimmetria informativa: il medico ne sa più del paziente ed entrambi sono consapevoli di questo fatto.
Ma è caratterizzato anche da ignoranza: il medico ne sa poco, ed è consapevole di questo fatto.
Nel tempo dei nuovi media l’ asimmetria informativa è destinata a ridursi, se non nei fatti nella consapevolezza degli attori, il che è sufficiente a risolvere il problema come sa bene chi conosce il meccanismo.
L’ignoranza informativa, invece, è destinata ad aumentare, almeno nella consapevolezza degli attori.
È  meglio quindi capire bene di cosa parliamo quando parliamo di “ignoranza”.
Partiamo dalla premessa che dietro un mal di testa può nascondersi un tumore. Chi puo’ dire con certezza che non sia così? Di certo non il medico, lui sul punto è “ignorante” e sa di esserlo.
Questa ignoranza ha profonde conseguenze sui costi sanitari. Vediamole.
Fino a non molti anni fa la maggior parte delle patologie comportava al più una visita del medico di famiglia e l’assunzione di qualche farmaco. Oggi è raro che il medico di famiglia non suggerisca di rivolgersi a medici specialisti, i quali non ti degnano di attenzione se non hai a rimorchio una pila di test diagnostici che loro si sentiranno chiamati ad integrare. Il punto chiave è che nella maggioranza dei casi i test diagnostici cui veniamo sottoposti non incidono per nulla sulla cura. Essi rispondono solo ad un criterio precauzionale, in quanto volti ad escludere diverse possibili cause della nostra patologia. Per esempio un tumore al cervello nel caso di mal di testa. Delle centinaia di test cui veniamo sottoposti nella nostra vita, la quasi totalità, fortunatamente, dà esito negativo. Ciononostante, il medico ce li prescrive, anche per alleggerirsi da eventuali responsabilità morali e materiali. Tanto i test sono lì, sono a disposizione, si possono eseguire. Ieri non c’erano ma oggi ci sono!
L’ignoranza dei medici non è dunque assoluta ma relativa. Relativa rispetto alla tecnologia che oggi e solo oggi è disponibile. In questo senso l’ignoranza (relativa) dei medici è esplosa.
Vediamo un caso classico di paziente a cui è stata salvata la vita, ne parla Mark Siegel sul Washington Post:
“… mi sono occupato di una paziente di 23 anni, che poi aveva sofferto per lunghi mesi dolori alla schiena prima che un neurologo le prescrivesse una risonanza magnetica, aspettandosi un’ ernia al disco. Ho trovato invece un cancro alle ovaie espanso fino alla spina dorsale… La paziente, sottoposta ad un impegnativo intervento chirurgico e ad una massiccia chemioterapia, è stata praticamente curata… dalla provvidenza…”
Mark Siegel, il luminare per antonomasia, si è dimostrato un ignorantone e ha salvato una vita per un mero caso. Non ha saputo collegare il mal di schiena al cancro alle ovaie, ma la risonanza magnetica sì. Mark Siegel, in assoluto, resta un luminare ma rispetto ad una serie di esami oggi disponibili – come per esempio la risonanza magnetica – è diventato un ignorantone di prima categoria. Lui lo sa e chiede aiuto alla macchina… sempre!
La medicina non è più quella di una volta. Oggi, alla maggior parte delle persone con dolori alla schiena, è prescritta una risonanza magnetica. Trent’anni fa la cosa era impensabile!
Tra il 1975 ed il 2005 i costi della sanità sono esplosi. Ma la differenza tra il 1975 del 2005 non sta in un aumento dei prezzi, è essenzialmente una differenza nel modo in cui la medicina è praticata.
Oggi il medico sa di non sapere, ovvero sa che una lunga serie di esami sofisticati può individuare malattie che lui non è minimamente in grado di diagnosticare dai sintomi a sua disposizione. Nella stragrande maggioranza dei casi questo non avviene… ma a volte avviene! E questo fa la differenza nella condotta concreta dei medici.
In una condizione del genere, infatti, cosa succede? Semplice, quando un paziente si presenta lamentando un mal di schiena si prescrive una lunga serie di test diagnostici costosissimi. Solo in questo modo ci si para le spalle da eventuali azioni giudiziarie. Sì, perché, oggi più che mai, ci sono anche quelle di cui tenere conto.
L’esito di un simile comportamento è chiaro: esplosione dei costi sanitari e insignificante aumento dei benefici nella salute dei pazienti. Certo, qualcuno scoprirà il suo tumore latente, ma la stragrande maggioranza dei pazienti perderà solo tempo e denaro.
Il frequente ricorso a medici specialisti, l’estensivo utilizzo di procedure diagnostiche tecnologizzate, una accresciuta varietà di interventi chirurgici… ecco la medicina del terzo millennio, così diversa nei costi da quella del 1975 ma non molto diversa nei risultati.
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Il problema è tanto maggiore quanto più è qualcun altro – rispetto al medico/paziente – a pagare.
In Europa il pagatore è lo stato, che conosce bene questa domanda potenzialmente illimitata di servizi sanitari pressoché inutili e vi pone un freno controllandone l’accesso attraverso il controllo delle prescrizioni mediche. Una sorta di razionamento ufficiale o quantomeno ufficioso che frena il comportamento precauzionale dei medici.
Tra medici e burocrazia si forma come un patto implicito di questo tenore: “il governo ci dica qual è la disponibilità di risorse e noi medici ci adegueremo, è chiaro che non vogliamo rogne dalle denunce dei pazienti”.
Con il razionamento dei servizi sanitari  il sistema europeo ha saputo contenere virtuosamente i costi. E laddove non c’è riuscito i costi sono stati convertiti in “tempi di attesa” e liste interminabili quanto scoraggianti.
Negli Stati Uniti il pagatore sono invece le assicurazioni, ovvero soggetti che non hanno certo il potere di una burocrazia statale, vero potere forte del nostro tempo.
Ma c’è dell’altro,  a peggiorare il divario tra i continenti c’è un diverso sistema giudiziario. Negli Stati Uniti il contenzioso per errori medici è molto più esoso e tollerato, il che sospinge verso il parossismo le costosissime condotte precauzionali dei medici.
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La dinamica appena descritta va sotto il nome di “medicine-premium”. Gli altri tentativi di spiegare la differenza di costi tra la sanità europea e sanità  statunitense sembrano lacunosi, almeno sul piano fattuale.
C’è chi ha tirato di nuovo in ballo un vecchio cavallo di battaglia come quello della  selezione avversa.
Riassumiamolo: si ritiene che le ha compagnie assicurative possano di fatto vendere il loro prodotto  solo a persone sicure di utilizzarlo. Il risultato è che l’assicuratore perde quei clienti che non avevano alte probabilità di pretendere rimborsi, ed acquisisce solo clienti che plausibilmente avanzeranno richieste costose. Per questo deve mantenere prezzi molto elevati.
Ma l’assicurazione sanitaria pagata dal datore di lavoro, che è alla base del sistema assicurativo sanitario statunitense, tende a mitigare la potenziale selezione aversa.
Inoltre, anche nel mercato delle assicurazioni individuali, nei fatti ci suggerisce che le assicurazioni sanitarie siano in grado di aggregare il rischio efficientemente. Rinvio qui al lavoro di Mark Pauly e Bradley Herring (Pooling Health Insurance Risks).
Ma c’è di più, ci si potrebbe chiedere “perché proprio ora?” Perché i costi esplodono ora? Il meccanismo della selezione avversa è presente da sempre!
E c’è poi un’altra difficoltà per i sostenitori della selezione avversa, la difficoltà di spiegare perché il programma statale Medicaid non è in grado di contenere i costi sanitari rispetto a quelli pagati dalle assicurazioni private. In linea di principio, se lo Stato fosse più efficiente nel finanziare la sanità, allora la spesa per i pazienti inseriti nei programmi governativi dovrebbe essere inferiore, ma non è così. L’ “esperimento” di utilizzare Medicaid per finanziare la spesa sanitaria delle persone con più di 65 anni negli Stati Uniti non ha ridotto il costo sanitario di quel gruppo demografico.
E ancora: come mai altri paesi – esempio Singapore – finanziano il sistema con assicurazioni private senza questo genere di inconvenienti?
Infine ci sono gli argomenti psicologici: chi è scrupoloso nel curarsi è scrupoloso anche nell’assicurarsi. Contrariamente all’ipotesi della selezione avversa le evidenze ci dicono l’esatto contrario, e la psicologia spiega bene questa evidenza contraria.
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Un’altra ipotesi punta sui prezzi gonfiati ed è sintetizzata nello slogan di Gerald Anderson “It’s The price, is stupid”.
Secondo questa ipotesi i pazienti americani pagano cari i servizi sanitari poiché sono alla mercé di dottori e ospedali. Si recupera indirettamente il concetto di asimmetria informativa tra medico e paziente, ma questa volta non in senso tecnico bensì per spiegare una sorta di “sfruttamento”.
Il problema è che Anderson non compara prezzi specifici americani e prezzi europei per i medesimi servizi. Guarda semplicemente alla spesa complessiva e ai risultati in termini dilongevità dei pazienti confrontando USA e Francia: a fronte di una spesa molto superiore gli americani non hanno affatto una longevità superiore. Da cio’ si conclude che i prezzi americani sono pompati.
Ma questa linea di pensiero deve fare i conti con il lavoro di Wennberg secondo cui l’utilizzo dei servizi sanitari – e la conseguente spesa complessiva – varia molto anche tra regioni americane senza che varino i  risultati. Diventa chiaro che la variabile prezzo ha ben poco da dirci.
Ma come mai una medicina così iper-tecnologizzata consegue poi risultati così “miseri”?
Innanzitutto, al margine, i miglioramenti, almeno in termini di longevità, sono minimi anche a fronte di grandi investimenti. La cosa non ci meraviglia.
Abbiamo detto che nella stragrande maggioranza dei casi tutta la pila di sofisticatissimi esami che ci vengono prescritti dà esito negativo!
Poi, nel mirino degli investimenti forse non c’è solo la longevità. I costi per avere unasofferenza del paziente più contenuta sono un mero spreco per chi misura tutto in termini di longevità.
La longevità non è sempre una variabile ottimale per misurare “i risultati”. Sulla longevità incidono anche gli omicidi, gli incidenti stradali, l’aria pulita, le diete, lo stile di vita, gli esercizi, lo sport, il fumo, i fattori genetici, le condizioni di lavoro, i pensionamenti anticipati. Pensare che sanità e longevità abbiano un canale privilegiato di collegamento è un’approssimazione azzardata.
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Tra le altre cause del divario USA-UE c’è chi parla di alti profitti e di cattiva gestione delle assicurazioni. C’è anche chi parla di free riding: ai non assicurati viene di fatto ugualmente garantita una certa copertura. Tuttavia, numeri alla mano, fattori come questi incidono veramente poco nel dar conto dei differenziali di spesa.
Quanto alle molte cause legali, possono tranquillamente rientrare nella spiegazione legata ai comportamenti prudenziali della classe medica.
Robin Hanson ha un’altra spiegazione: si ricorre ai servizi sanitari per mostrare ai malati che ci preoccupiamo di loro, non per migliorare la loro salute. Di conseguenza, se la salute non migliora non dobbiamo meravigliarci, il problema è secondario nella testa dell’utente. Un’ipotesi del genere spiega al meglio i numerosi studi che mostrano piccole differenze nei risultati a fronte di enormi differenze nella spesa. Ora, in Europa questo genere di “sprechi segnaletici” è arginato dal filtro della classe medica a sua volta manovrata dai fili della burocrazia centrale. Ma negli USA il cliente è libero (per di più assicurato) è puo’ cos’ sfogare il suo esibizionismo e il suo desiderio di “prendersi cura”.
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Sintesi:
  • Molti servizi sanitari non sono né in assoluto necessari né in assoluto non necessari.
  • i costi e i benefici di certi esami sono difficili da calcolare.
  • Procedure come la diagnostica per immagini danno benefici quasi nulli, o che comunque non emergono a livello statistico.
  • Nella nostra testa – e quindi anche in quella dei dottori – l’idea di fare qualcosa prevale sempre sull’idea di non far nulla, specie di fronte ad un paziente preoccupato che soffre.
  • Il medico al momento di prendere le sue scelte è solo.
Ebbene, cosa crea questo insieme di cose? Un’immensa zona grigia che si presta a decisioni dove l’arbitrio ha quasi sempre una giustificazione.
E’ chiaro che se a sobbarcarsi i costi è un terzo, si procederà in modo precauzionale senza troppo curarsi dei costi. A maggior ragione se c’è rischio di denunce.
Come uscirne?
Prima via: razionare le cure e al contempo comprimere la responsabilità dei medici (vedi sopra).
Seconda via: trasformare i costi monetari in costi non monetari (liste d’attesa eccetera).
Queste sono le vie scelte dall’ Europa.
In alternativa, terza via: stabilire nelle assicurazioni una franchigia estremamente elevata. L’idea è l’assicurazione sanitaria non dovrebbe coprire le spese mediche correnti ma dovrebbe assomigliare piuttosto ad una copertura catastrofale a lungo termine.
Quarta via: ticket. Alzarli in modo drastico affinché il contributo del cliente alla spesa sia significativo.
Una quinta via è quella seguita dall’Olanda: un assicurazione obbligatoria per tutti i cittadini con più di 18 anni. Lo Stato definisce il livello essenziale delle prestazioni che ogni compagnia deve offrire, il prezzo non è libero ma fissato dall’amministrazione per tutti i clienti della compagnia. L’idea è quella di introdurre una concorrenza non solo, come già avviene in alcune regioni italiane, fra strutture sanitarie, ma anche fra finanziatore del servizio.
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Il messaggio da portare a casa: non possiamo avere un sistema sanitario che sia al contempo universale ed economicamente sostenibile, a meno che gli utenti vengano resi responsabili.
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venerdì 24 novembre 2017

Pippirimerlo SAGGIO


Pippirimerlo


Perché i nostri figli sono bamboccioni?
Per colpa dello smartphone che assorbe la loro attenzione?
Per colpa dell’economia che li orienta in modo inaspettato?
Per colpa del web che porta il mondo in casa?
Per colpa della pedagogia lassista che li vizia?
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O forse per una dinamica endogena alla famiglia?
A questo punto – per spiegarmi meglio – è necessario si scaldi e scenda in campo il solito Darwin.
I bamboccioni una volta competevano tra loro in famiglia per accaparrarsi le risorse incamerate dai genitori. Ok?
Si potrebbe scrivere un’epopea sulle lotte fratricide. Ok?
Da un lato il padre capofamiglia detentore unico delle risorse, dall’altro il nugolo di fratelli in concorrenza tra loro nel lusingare il genitore al fine di essere beneficiati.
In condizioni del genere devi darti da fare, un bamboccione resterebbe ben presto culo a terra.
Ma oggi uno schema del genere si è estinto. Puf… sparito.
Innanzitutto il numero di fratelli è drasticamente diminuito: meno concorrenza.
Poi, i detentori delle agognate risorse ora sono due: madre e padre. Anche Lei lavora e “detiene”. Parlare di “capofamiglia”, poi, comporta una denuncia per molestia verbale.
La concorrenza si è spostata sul fronte opposto: sono papà e mamma a competere per accaparrarsi la solitaria lusinga del pargoletto asceso nel frattempo al rango di “Monopolista”.
L’effetto combinato conferisce più potere ai bambini che – in una prospettiva secolare – si assicurano una fetta crescente del surplus familiare.
Poi dici che uno si rilassa
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Casey Baugh (pippirimerlo)

giovedì 23 novembre 2017

Net-net

Net-net

E se vi proponessero un canone internet differenziato in funzione dell’ accesso a Facebook e Twitter, voi come la prendereste?
Molti (Facebook e Twitter compresi) la prenderebbero male.
Talmente male da aver costituito un movimento per il diritto all’accesso parificato universale.
Costoro immaginano un futuro distopico dove poche corporation controllano (i cavi e) il nostro pensiero indirizzandoci dove desiderano.
Internet viene considerata neutrale (net-net) se concessa priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi in modo che tutti possano andare ovunque pagando più o meno lo stesso canone.
Mentre il mercato sembra premere per superare net-net, c’è chi difende il diritto alla “libertà di accesso parificato”.
Poiché la banda larga è una risorsa limitata ci si chiede se sia meglio razionarla tramite la quantità (net-net) o i prezzi (no net-net). La questione è aperta.
Le voci di protesta si levano alte, ma i soldi? I soldi cosa dicono?
Sembrano non protestare: più volte le corti americane si sono pronunciate su net-net e la borsa  non ha reagito. Sembra disinteressata.
Walt Disney, Time Warner, Netflix, CBS e altre compagnie potenzialmente penalizzate dalla fine di net-net hanno fatto meglio dello S&P 500 proprio nel periodo più critico per l’aureo principio giuridico.
Barack Obama tiene un infuocato discorso in cui assimila enfaticamente net-net alla libertà di espressione? Le azioni di Netflix, Facebook e altri nuovi media scendono. Tutto il contrario di cio’ che si aspetterebbe, poiché queste compagnie sono le più ricattabili dai canoni differenziati.
Uno dice: ma i prezzi delle azioni tengono conto di molti fattori.
Appunto! La fine di net-net è solo uno dei tanti fattori, non enfatizziamolo troppo assimilandolo alla libertà di espressione.
Quando Trump promette di tagliare le tasse il valore delle azioni schizza. Voglio dire: se la novità è seria la cosa si vede immediatamente.
Amazon si unisce ai corifei di net-net ma poi propone ai suoi clienti Twitch.tv, una piattaforma per giochi, video, musica e sport che è tutt’altro che neutra ma prevede accessi differenziati. E il bello è che dice che funziona benone e che i clienti sono contentoni!
No-net-net già esiste, poi: chi ha un Kindle lo sa: il device è predisposto con una rete limitata. La cosa non sembra oltraggiosa.
I proprietari dei cavi forse sfrutteranno maggiormente il loro monopolio ma 1) c’è sempre la legge antitrust e 2) non vogliono certo avere clienti scontenti.
Per massimizzare il suo profitto il monopolista deve pur sempre vendere. La qualità del prodotto, poi, non si deteriora nei mercati più concentrati, l’evidenza sembra solida. E anche l’aneddotica: non è che de Beers venda paccottiglia ad alto prezzo solo perché monopolista.
Il fatto che gli slot sui cavi vadano all’asta non significa poi che i piccoli verranno tagliati fuori: quando qualcosa del genere è successa con l’ FM è sparita la frantumaglia ma molti piccoli sono stati avvantaggiati assumendo dimensioni più rispettabili. Spesso i piccoli soffrono di più in condizioni neutrali quando i grandi investono in modo spropositato sul brand e lo fanno valere a tutto campo.
L’antitrust non funziona? E perché dovrebbe funzionare meglio il regolatore per la neutralità visto che ha un compito ancora più delicato?
In queste condizioni è più saggio rinunciare ad astratti principi e lasciar fluire le cose per poi intervenire (con l’antitrust) laddove si creano problemi avvertiti in modo concreto dal consumatore.
Altra cosa: no-net avvantaggia le aziende più solide mentre net-net incentiva la polverizzazione. Vi piacciono i lavori stabili e gli stipendi decenti? Forse non vi conviene allora scendere in piazza per la neutralità. E’  voi progressisti che sto parlando!
Ma soprattutto: laddove la scelta viene demandata al consumatore la non-neutralità prevale.
Il consumatore preferisce vivere in un mondo non neutrale come Facebook. Preferisce i percorsi guidati delle App alla rete spoglia, selvaggia… e neutrale.
Le persone vogliono la non-neutralità e in un modo o nell’altro finiscono per introdurla nel mondo della rete. E’ paradossale che il divieto valga allora solo per pochi.
l’aspetto etico? Non vedo nulla di immorale nella scelta di un consumatore che compra solo 1/3 della rete.
La non neutralità avvantaggerebbe poi i servizi occasionali: video conferenze, chirurgia a distanza, VOIP, realtà virtuale e altre applicazioni ad alto consumo occasionale.
La battaglia per la neutralità ha un senso ma taglia molte possibilità commerciali che spesso avvantaggiano l’utenza arricchendo l’offerta. La neutralità non è affatto neutrale, non lasciamoci abbindolare dai termini. Il trattamento differenziato è odioso solo finché non ci accorgiamo che siamo differenti dagli altri.
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