giovedì 26 ottobre 2017

2 Mia cognata impara la macroeconomia sulla sua pelle


Mia cognata impara la macroeconomia sulla sua pelle


Mia cognata ha scoperto il mondo della macroeconomia, ora lo capisce molto meglio di prima e saprebbe persino decriptare certi oscuri messaggi di Draghi che le giungono via TG.
Ma come ha fatto?
Semplice, ci si è trovata in mezzo.
Non c’è miglior pedagogia che “trovarsi in mezzo”.
Vale la pena di raccontare la sua piccola odissea.
***
Nel suo super-condominio ci sono molte coppie giovani (di avvocati) con figli, cosicché hanno deciso di organizzarsi al meglio per  un mutuo servizio di babysitting. Agli avvocati non piace spendere.
La soluzione è stata geniale: coniare una serie di fiche – ognuna del valore di “1 ora” – e poi distribuirle in egual misura a tutti i partecipanti all’impresa cooperativa.
Se mi serve la babysitter pago con le fiche anziché con i soldi. D’altronde, sarà mio interesse prestare servizio quando posso per non esaurire la mia scorta di fiche e restare a secco nel momento del bisogno.
Geniale, vero? D’altronde sono tutti avvocati laureati freschi di esame di stato.
Solo che, mia cognata, dopo aver contato e ricontato le fiche assegnatele ha notato la loro pochezza: sarebbe stata sufficiente un’ uscita di piacere per rimanere scoperti nel caso di un’ improvvisa uscita di bisogno.
Che fare? Ovvio: prima di uscire meglio accumulare altre fiche per non correre rischi.
Problema: come lei hanno ragionato tutti.
In breve tempo il supercondominio si è trasformato in uncarcere: non usciva più nessuno poiché nessuno voleva spendere fiche correndo il rischio di restare a secco.
Che fare?
Dapprima si è provato con lo stigma sociale: “boia chi non esce”.
Una versione condominiale del “bisogna spendere per far girare l’economia”.
Ma non funzionava: se sei tu il primo a non uscire il tuo “boia chi non esce” suona fesso.
Poi – ricordo che erano tutti avvocati – hanno provato con l’approccio legalistico: obbligatorio uscire una volta al mese.
La vita del supercondominio ha assunto toni farseschi: gente infreddolita che usciva per fare il “giro obbligatorio” dell’isolato con i vicini affacciati alle finestre che ridevano.
Poi si sono convertiti finalmente alla soluzione (pseudo) economica: coniare nuove fiche.
Con le nuove fiche tutto è andato a posto: grazie al gruzzolo integrato il timore delle uscite avventate è cessato e il sistema di babysitting ha cominciato a marciare.
E qui mia cognata ha ricevuto la prima grande lezione di economia: quando la gente non “spende” la soluzione è “stampare” moneta.
Ma questa, purtroppo, non è stata l’unica lezione. Il triste finale aveva in serbo ben altri insegnamenti.
Qualcuno, infatti, si è entusiasmato talmente che ha proposto di sostituire le fiche con le foglie secche del parco (eravamo in autunno inoltrato).
Tutti si sono fatti una risata, però l’idea di aumentare il monte-fiche non era affatto peregrina.
Detto, fatto.
Mia cognata ha ricevuto un ulteriore mucchietto di fiche.
A questo punto tutti volevano uscire… e mancavano le babysitter.
Si è ricaduti ben presto in piena recessione.
E gli avvocati cosa hanno fatto? E te pareva, non capendoci più niente hanno imposto il babysitting minimo obbligatorio.
Ah ah ah.
***
Perché il sistema degli avvocati è caduto dalla padella nella brace?
Risolvere una recessione “stampando” fiche puo’ funzionare ma  non è mai “la soluzione”. Loro ci hanno creduto e ci hanno lasciato le penne.
La soluzione – quella seria – è un altra: avere prezzi flessibilie affidarsi a loro.
Se c’è carenza di una risorsa il prezzo per quella risorsa cresce. Deve crescere! Altrimenti sono guai.
Se c’è abbondanza di una risorsa il prezzo diminuisce. Deve diminuire! altrimenti sono guai.
Se c’è abbondanza di babysitter il loro prezzo DEVE diminuire, altrimenti sono guai.
E invece gli avvocati cosa facevano? Guardavano la loro fiche con sopra scritto “vale 1h di babysitter” e ci credevano! Poi, dissennatamente, dicevano alla potenziale candidata: “se mi copri per 1h ti do questa fiche che vale 1 ora”.
E’ chiaro che se c’è abbondanza di babysitter la persona razionale offre una fiche con scritto sopra “1h” per DUE ore di servizio.
Ma l’avvocato si attiene ottusamente al diritto: se c’è scritto “1h” quella fiche vale un’ora, punto e basta. E nel supercondominio tutto va a scatafascio.
Naturalmente, lo stesso dicasi nel caso opposto: quando c’è carenza di babysitter la persona razionale come minimo offre 2 fiche da 1h per un’ora sola di servizio.
In un mondo di persone razionali non c’è dunque mai bisogno di  cambiare la quantità di fiche a disposizione per risolvere i problemi: basta che cambino i prezzi.
Questa è la seconda lezione che si porta a casa mia cognata: nel mondo gli avvocati prevalgono sulle persone razionali.
***
prezzi rigidi sono dunque la causa delle recessioni, sia nel supercondominio che nel mondo reale.
Ma perché i prezzi sono rigidi? Perché in recessione i salari non si abbassano riequilibrando il sistema?
Ci sono ditte che addirittura preferiscono fallire piuttosto che toccare gli stipendi!
Prima causa: su chi abbassa i salari piomba lo stigma sociale.
Ma è lo stesso soggetto deputato che si sente una merdaqualora abbassasse gli stipendi. E’ un po’ come se dentro di noi avessimo un senso di giustizia che ci induce in errore.
E’ lo stesso fenomeno per cui quando esce il nuovo IPhone ci sono code chilometriche. Non si potrebbe smaltirle alzando i prezzi? No, su Apple calerebbe lo stigma sociale degli avvocati ottusi ed impermeabili ad ogni legge economica. Quando Apple ci ha provato (ribassando i prezzi dopo un mese) i clienti della prima ora hanno inveito al punto che il povero Jobs ha dovuto tenerli buoni elargendo voucher per acquisti gratuiti.
Seconda causa: il costo del menù.
A volte i prezzi non si cambiano perché ci toccherebbe ristampare i menù.
Ridi, ridi ma è un problema serio. La Coca Cola ha tenuto per 70 anni il prezzo fermo a 50 centesimi perché aveva installato i distributori che prendevano solo quella monetina. Poi è persino arrivata a chiedere al presidente Eisenhower di coniare una nuova moneta per fare cifra tonda con il prezzo aumentato!
C’è poi un terzo problema di coordinamento: se sono l’ultimo a “diminuire” posso fare la mia piccola speculazione. Anzi, forse l’economia si riprende grazie alla diminuzione altrui e io nemmeno devo passarci!
Infine c’è un quarto problema, anche questo da “avvocati”, quello delle tasse occulte.
Ricordo che mio papà buonanima mi raccontava di un collega avvocato che aveva fatto irruzione nell’ufficio dei boss imprecando perché gli avevano tagliato lo stipendio. Cristo di qua, cristo di là… quasi ci scappava il morto. In lui era scattato quel senso di ingiustizia di cui ho parlato più sopra al primo punto.
Due anni dopo la stessa persona subiva un ulteriore taglio ma questa volta brindava in famiglia.
Perché una reazione tanto diversa?
Semplice, perché il taglio si realizzava sotto forma di aumento.
Aveva ottenuto un bell’ aumento… ma inferiore all’inflazione. A quanto pare l’inflazione è una tassa che gli avvocati pagano volentieri.
L’inflazione aveva salvato i boss da nuove fastidiose irruzioni.
I boss, che conoscono i loro polli, chiedono al governo più inflazione: è un modo per far fare il lavoro sporco ad altri.
E non hanno torto: il mondo è pieno di avvocati come l’iracondo di cui sopra.
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Ecco allora la lezione vera che si porta a casa mia cognata: il sistema dei prezzi risolve da solo tutti i problemi macroeconomici. Purtroppo il mondo è pieno di avvocati, cosicché l’irrigidimento dei prezzi è frequente. In questi casi puo’ giovare agire sulla quantità di moneta stando bene attenti a non cadere dalla padella alla brace, come è capitato a lei nel supercondominio.
MACRO

Cinque ragioni per non dare più un euro al sistema dell’istruzione

Cinque ragioni per non dare più un euro al sistema dell’istruzione

Sono sempre stato un grande fan dei buoni scuola, in realtà se fossi il dittatore supremo in carica da lunedì abolirei la scuola di stato per passare ad un sistema basato al 100% sui voucher.
Una scuola di stato non ha più senso di una chiesa di stato.
Non mi illudo con questo di ottenere un gran miglioramento del profitto scolastico o un balzo significativo nell’esito dei test ma nemmeno penso che sia questo il metro giusto per misurare una buona riforma. Il metro giusto è la “customer satisfaction“.

Il passaggio ai buoni scuola consente di 1)mantenere o migliorare gli attuali livelli di apprendimento dimezzando i costi e 2) fare felici le famiglie.
So bene che queste intenzioni sono utopiche, in cerca di una mossa alternativa ipotizzo il bloccototale e perpetuo di finanziamento del sistema attuale.
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Se un politico italiano dice “più  risorse alla scuola” voi come reagite?
Probabilmente reagite bene, vi sentireste compiaciuti di vivere in un paese tanto civile. Ma se solo aveste a cuore il bene verso il vostro prossimo dovreste reagire male, molto male. Dovresteindignarvi!
Perché? Per almeno cinque motivi.
Primo, è difficile fare del bene investendo nei paesi ricchi come il nostro, e noi siamo ricchissimi rispetto al resto dell’umanità.
Secondo, non sappiamo molto su come migliorare il profitto scolastico. E’ un campo di studi incasinatissimo dove domina l’ “ipotesi nulla”.
Terzo, non sappiamo molto se avere studenti migliori valga la penaRicchezza prodotta e investimenti nell’istruzione sembrano variabili decisamente scollegate. La scuola spesso si limita a 1) selezionare i migliori (avaibility bias), 2) segnalare i migliori (signalling bias) e 3) conferire benefici indiretti (conoscenze professionali e romantiche). Alla reale formazione resta ben poco.
Quarto, è oggettivamente difficile aspettarsi qualcosa dalle ricerche future. Innanzitutto è coinvolto in prima persona personale che nella scuola/università ci campa e ha quindi un palese conflitto di interessi. Poi è un ambito in cui è difficile applicare i metodi migliori della ricerca sociale, per esempio il “random trial”, tipico dei test sui medicinali.
Quinto, l’istruzione è una causa molto popolare. Di conseguenza, come per tutte le cause popolari, si riversano su di essa molti più fondi di quanti ne meriti.
scuola

mercoledì 25 ottobre 2017

Genio maldestro

Genio maldestro

Quando Claude Debussy scrisse “Il signor Croche antidilettante” ce l’aveva con Wagner e i wagneriani, che considerava compositori dalla tecnica modesta. Gente che copriva i propri limiti con assordanti “trombonismi”.
Oggi possiamo dire che se Wagner ha qualcosa di modesto è giusto la sua tecnica, un fatto che non gli impedisce comunque di spiccare tra i maggiori musicisti della storia.
Preferite l’ Emil Gilels giovane o quello anziano? Io quello anziano, anche se dal punto di vista tecnico perdeva colpi in modo evidente.
I polifonisti anglosassoni – Byrd, Gibbons – mi sembrano più piacevoli dei dotatissimi fiamminghi, sebbene le loro partiture fossero più semplici e di facile esecuzione.
Nella seconda metà del  XX secolo gli artisti d’oltreoceano hanno trainato la rivoluzione della musica colta. Si trattava per lo più di ingegni tecnicamente poco preparati: John Cage, Morton Feldman, Christian Wolff, La Monte Young, Terry Riley
In California, John Cage era fonte continua di scoraggiamento nel suo maestro Arnold Shoenberg: “non combinerai mai nulla”. Era negato in armonia.
Le composizioni pianistiche a più alto contenuto tecnico rimangono quelle di Conlon Nancarrow, sono da eseguire tramite “scheda perforata”. D’altronde chi ama la tecnica trova nel circo la sua dimora abituale. Il computer è tecnicamente infallibile.
Il Jazz è pieno di genialità musicale tecnicamente poco dotata: Thelonious Monk, Ornette Coleman, Albert Ayler, Duke Ellington costituiscono degli esempi. Alcuni di loro non sapevano nemmeno leggere la musica.
Come non la sa leggere Arto Lindsay, uno dei chitarristi rock più creativi degli anni ottanta.
John Lenon, Paul Mc Cartney e Lou Reed non erano musicisti particolarmente abili allo strumento, eppure la loro genialità è difficile da negare.
E l’intonazione musicale di Paolo Conte? E quella di Enzo Jannacci? Scadente, come la loro voce ora burbera, ora stridula. Eppure sono i due migliori cantautori italiani.
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Italo Svevo e Fedor Dostoevskij: due grandi scrittori dalla tecnica mediocre.
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L’arte concettuale azzera la tecnica e l’art brut la banalizza. Eppure riempiono i musei.
Durer disegnava ogni pelo del suo leprotto, Cézanne con tre tratti esauriva il suo elefante. Da un punto di vista della difficoltà tecnica non c’è paragone ma da un punto di vista dell’esito vince Cézanne su tutti i fronti.
Il manierismo di fine 500 è pieno di capolavori tecnicamente discutibili (Parmigianino, Pontorno, Tintoretto…). Così come l’epoca tardo barocca e arcadica è zeppa di virtuosismo pedante (Lorraine, Poussin…).
Nella pop art la tecnica è demandata alle macchine, è una tecnica industriale.
Jean Michel Basquiat e Jean Dubuffet sono probabilmente i maggiori artisti di fine XX secolo. Non si puo’ negare che tecnicamente fossero piuttosto maldestri.
Nelle arti visive il divorzio arte/tecnica è particolarmente accentuato, perché? Probabilmente perché nelle arti visive il contenuto artistico è maggiore che altrove: il costo dell’opera è basso e l’artista agisce senza l’assillo economico di recuperare le somme investite, la sua unica preoccupazione resta il messaggio artistico.
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Notiamo poi una tendenza sintomatica: più l’artigianato si trasforma in arte, più tecnica e arte si scollegano.

Troppa finanza?

Troppa finanza?

vescovi denunciano un giorno sì e l’altro pure la “finanziarizzazione” dell’economia, come una delle cause della mancanza di lavoro, e chiedono “una conversione spirituale”.
La finanziarizzazione dell’economia avrebbe raggiunto livelli ormai insostenibili. Il PIL mondiale ammonta a circa 75.000 miliardi di dollari, mentre il controvalore degli strumenti finanziari in circolazione è oramai pari a 1.000.000 di miliardi di dollari (oltre 13 volte il PIL mondiale) di cui il 70% sono titoli derivati.
Sono numeri buttati lì per impressionare: se uno saltasse su dicendo che c’è “troppa poca finanza” e facesse gli stessi numeri, io francamente non lo noterei.
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Ma c’è davvero troppa finanza nel mondo?
Primo: troppa rispetto a cosa?
Per un economista,  almeno la risposta a questa seconda domanda, è facile: qualcosa è ” troppa” se in eccesso rispetto rispetto ad un’ allocazione efficiente delle risorse.
Torniamo allora  alla prima domanda, la risposta migliore da dare è: “probabilmente sì”.
Probabilmente la finanza che ci ritroviamo è troppa, anche se non ha nessun senso sgranare numeri a vanvera, basta un ragionamento per concludere in questo senso.
La finanza è troppa perché il nostro sistema economico è “troppo” regolamentato. Ha troppe regole che eccedono quelle di mercato.
La catena logica è semplice: troppe regole, minori opportunità di profitto, ed ecco che ci si rifugia nella finanza. Ma chi glielo fa fare ad un imprenditore di sputare sangue lottando ogni giorno con burocrazia, tasse e sindacati? Meglio speculare al trading on line con i fondi che ha accumulato.
Ma in questo caso c’è di più. La finanza è un settore particolare. Praticamente tutti i paesi hanno deciso di assicurare i depositi delle banche a causa dell’ asimmetria informativa che rende difficile al risparmiatore valutare gli esatti rischi del sistema.
Il fatto di garantire i depositi è probabilmente un bene ma ha una conseguenza negativa, ovvero che il fallimento di una banca comporta l’intervento a sostegno dei contribuenti.
La conseguenza ulteriore è che l’imprenditore finanziario non risponde completamente dei rischi e quindi è incentivato a prenderne in eccesso.
La contromossa per riequilibrare questa situazione di solito consiste nel chiedere requisiti di “capitale minimo”. Alle banche è fatto obbligo di detenere una riserva minima di legge.
Per eludere il vincolo nasce il cosiddetto “sistema bancario ombra“.
Questo di per sé non sarebbe un grave problema, semplicemente finirebbero per convivere un sistema bancario regolamentato in cui i depositi sono garantiti dallo stato e uno non regolamentato e senza protezioni di sorta.
Il problema vero si configura quando la protezione dei depositi nel sistema bancario ombra, pur non esistendo ex-ante, sia credibilmente presente ex-post.
In altri termini, la lobby delle banche ottiene implicitamente ciò che si chiama “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite” potendo così agire fuori dalle regole di mercato.
E’ un perverso incentivo all’assunzione inefficiente di rischi enormi da parte delle stesse, nasce un chiaro interesse ad esporsi oltre il giusto: questo meccanismo è noto come too big to fail.
Il settore tende  a svilupparsi eccessivamente, si crea “troppa finanza” poiché esiste un’assicurazione implicita gratuitache tutti intendono sfruttare.
Le grandi banche sanno bene che il sistema politico non potrá lasciarle fallire e non si pongono più freni. Sanno in anticipo che la politica interverrà per acquistare le attività tossiche nei loro bilanci, salvando così, oltre che i depositi, anche azionisti e obbligazionisti.
La collusione tra banche e tesoro – e le regole implicite ed esplicite che da essa promanano – è all’origine della finanziarizzazione dell’economia.
Non è un caso che molti ministri del tesoro arrivino direttamente da Goldman Sachs.
Guardiamo per contrasto al mondo non regolamentato degli hedge funds, ovvero a quei fondi speculativi dove di solito investono i ricchissimi. Si tratta di un mercato caratterizzato da una competizione brutale, tutti sanno di non poter contare su nessun aiuto del governo né sulla simpatia dell’opinione pubblica. Ebbene, durante la crisi le prestazioni fornite sono state rassicuranti, negli USA solo 500 fondi su un totale di 7000 sono scomparsi, lo hanno fatto in silenzio e senza gravi effetti sistemici, e molti di loro hanno continuato nel corso della crisi a fare profitti.
Un effetto collaterale della dinamica descritta sono i compensi dei manager,  altra grande fonte di indignazione nel mondo cattolico.
Guadagnano troppo questi soggetti?
Il problema in un certo senso è secondario, l’importante è che i manager guadagnino quando la loro società acquista valore e perdano quando ne perde.
Molti sostengono che gli incentivi ai manager fossero troppo a breve termine per realizzare incentivi corretti, ma anche questo è un problema secondario, le soluzioni tecniche ci sarebbero.
L’interrogativo più inquietante è un altro: perché mai gli azionisti delle banche avrebbero deciso di compensare i propri manager in questo modo all’apparenza assurdo? Non erano i contribuenti a pagare, in questo caso.
Che senso ha riservare a manager che hanno fallitoliquidazioni miliardarie?
E qui si torna al too big to fail: i manager di cui parliamo hanno fallito perché hanno preso rischi eccessivi, ma abbiamo appena visto come fosse razionale farlo. Quindi, in un certo senso, il loro comportamento non è censurabile, nemmeno dall’azionista. E’ solo andata male quando rischiare era doveroso.
finanz