venerdì 13 ottobre 2017

Perché non sono più ambientalista SAGGIO


Perché non sono più ambientalista


Non lo sono più perché è troppo difficile.
Fare l’ambientalista è tremendamente complicato, non ne azzecchi mai una. Se sei onesto hai continuamente la testa arrovellata da dubbi.
Come quando ho deciso di fare colazione a consumo-zero. Un bel bicchierone di latte freddo e via.
Poi uno pensa: ma per avere latte bisogna avere mucche, e le mucche, lo sappiamo, emettono parecchio metano (evito i dettagli). Il metano è un gas serra più potente dell’anidride carbonica. Per produrre 250 millilitri di latte bisogna tollerare l’espulsione di 7,5 litri di metano, che pesano circa 5 grammi ed equivalgono a 100 grammi di anidride carbonica. E questo senza contare tutto cio’ che occorre per fare il latte: foraggio per le mucche, trasporto, pastorizzazione… Era molto meglio puntare su una colazione diversa senza badare alla corrente elettrica. Si ma cosa? Il latte di soia? Il the? Io sono un ambientalista, mica un fachiro. E poi mi fa già male la testa.
Nemmeno il cheeseburger che mangiavo a pranzo si è rivelata una scelta felice. Così come la braciola di agnello a cena, perché anche gli ovini producono metano. Forse farei meglio a prendere del maiale oppure del pollo. O ancora meglio del pesce, specie quello che nuota vicino alla superficie: aringhe, sgombri o marlenghi. Ma dove li trovo i marlenghi? Certo, l’ottimo sarebbe la zuppa vegana, ma preferisco tagliarmi le vene.
Il chilometro zero è qualcosa su cui ho puntato a lungo, comprare prodotti locali riduce chilometri percorsi dal cibo per arrivare sui nostri piatti, ma spesso è una pratica controproducente. E’ sicuramente vero che trasportare cibo in giro per il mondo fa consumare energia, tuttavia l’impatto è inferiore a quanto si pensi, la maggior parte dei prodotti viene trasportata via nave (i consumi sono minimi), e quando viene caricata sugli aerei non sta su una bella poltrona con ampio spazio per le gambe e lo champagne gratis. Per esempio, la scelta di un nordico di consumare pomodori inglesi anziché spagnoli e di certo maldestra, l’anidride carbonica emessa dal viaggio del tir è completamente controbilanciata dal fatto che la Spagna e baciata dal sole mentre l’Inghilterra è baciata dalle serre..
Anche l’idea di evitare i sacchetti di plastica per la spesa mi sembra oggi un sacrificio decisamente dubbio. Il sacchetto è responsabile di solo un millesimo di emissioni di anidride carbonica rispetto al cibo che ci mettiamo dentro, forse valeva la pena di spendere altrove le proprie energie cognitive. Inoltre, questo risparmio non si avvicina neppure lontanamente a compensare la debolezza che mi concedo prendendo la macchina, nemmeno se avessi l’ibrido. D’altronde che faccio? Torno in bici carico di borse?
Non che muoversi in autobus migliori di molto la situazione. Nella mia città l’autobus trasporta in media 13 persone, le auto portano in media 1,6 persone e mettendo così meno anidride carbonica per km su passeggero. Certo, l’autobus viaggia lo stesso anche se non lo prendo ma allora non fatemi sentire in colpa se prendo l’aereo, tanto viaggerebbe lo stesso! In certi casi l’autobus può essere la scelta giusta, ciò non toglie che una settimana di autobus la compensi se non dimentichi di usare il coperchio bollendo le patate.
Ho lavato a mano i piatti per parecchio tempo prima di accorgermi che disprezzare la lavastoviglie è stato un gesto sciagurato, usando l’acqua calda ho inquinato molto di più. E d’altronde cosa vuoi? Che lavi con l’acqua gelata?
L’idea di installare un mulinello a vento sul tetto non è stata delle migliori, specie quando ho saputo che il risparmio energetico è compensato 5 volte evitando lo  stand by del computer.
Ho fatto solo qualche esempio dei mille che potrei fare. Insomma, è un gran casino.
Non potrebbe essere tutto più semplice?
No, a meno che uno dedichi la propria vita a studiare le emissioni.
Il bello è che ci sono persone che trascorrono le loro giornate in ufficio a fare questo genere di stime. Lo fanno per professione, lo fanno per una clientela che spazia dalle banche alla Pepsi Cola.
E in effetti ci vuole un professionista per comprendere l’impatto ambientale, per esempio, di un cappuccino. Per farlo occorre una macchina espresso, uno strumento decisamente sofisticato composto da migliaia di pezzi sulla produzione dei quali occorre concentrare l’attenzione, ma anche una mucca, dei chicchi di caffè, di una tazzina di ceramica… Quanto inquina ciascuno di questi oggetti? Occorre sapere come sono stati costruiti e cosa è servito per costruirli! Ci sono migliaia di aspetti di cui tenere conto. Il bar che vi serve il cappuccino ha i doppi vetri? Il barista che vi serve il cappuccino è un pendolare? Quanti km percorre ogni giorno per andare avanti e indietro? Che automezzo usa? E che dire dell’ avanti e indietro dai campi del coltivatore di caffè? Un caffè nero filtrato sarebbe meglio dell’orrore di un latte di soia?
Questi professionisti devono comprare e consultare libroni enormi obsoleti dopo pochi mesi (ci sono miliardi di prodotti in giro, un cappuccino ne tira in ballo più di 2000).
Anche un professionista farebbe comunque errori. La discordia alligna ovunque: per alcuni le banane sono un alimento a bassa emissione di anidride carbonica, altri fanno invece notare che le banane sono un prodotto con un impronta di carbonio importante. Ho letto studi che suggeriscono che la carne, se lavorata nel modo giusto, potrebbe aggravare molto meno sul cambiamento climatico di quanto non faccio adesso.
Per ogni gesto quotidiano c’è una pila di tesi di ricerca da scartabellare, ed è impossibile che si riesca ad arrivare ad una conclusione certa anche perché l’aggiornamento richiesto è continuo: quel che valeva ieri non vale oggi. Se questo è vero per gli esperti figuriamoci per persone qualsiasi. Figuriamoci poi quanto sarebbero disposti ad accollarsi questo onere persone con una coscienza ambientale appena al di sotto di quella dei fanatici.
Ma il punto decisivo è un altro, ovvero che esiste un metodo semplicissimo per risolvere d’emblée tutto il problema: lacarbon tax.
Si dovrebbe imporre una tassa per tonnellata di carboniocontenuta in ogni combustibile fossile estratto sul proprio territorio, in questo modo il potenziale inquinante di qualsiasi oggetto viene a riflettersi sul suo prezzo. Una tassa di €50 sul carbonio farebbe aumentare il prezzo della benzina di circa €0,03 al litro, creando così un incentivo modesto a guidare meno e in modo più efficiente e a comprare auto con tasso di consumo minore. Il prezzo medio dell’energia crescerebbe, i pomodori spagnoli aumenterebbero di prezzo a causa del dispendio energetico necessario per spedirli via mare dalla Spagna, ma  il prezzo dei pomodori nordici coltivati in serra aumenterebbe ancora di più! Tutto diverrebbe una mera conseguenza, un camionista che ignorasse il prezzo più alto del gasolio nel programmare le sue spese di spedizione finirebbe semplicemente fuori mercato.
Una volta al supermercato non dovrei più lanciarmi in calcoli arditi quanto complessi, mi basterebbe guardare al prezzo:quanto più dispendiosi saranno i pomodori in termini di emissione di anidride carbonica, tanto più il prezzo tenderà a salire. Non servirebbe più alcuna banca dati centrale, nessuna biblioteca con gli scaffali imbarcati da tomi assurdi. Guardo il prezzo e penso alla mia convenienza. Fine.
Ma i governi insistono sulle “regole” anziché sui prezzi, il frutto di questa scelta è molto spesso maldestro esattamente come il mio comportamento ai tempi in cui ero ambientalista e mi imponevo delle “regole”. Senonché, io imparo dai miei errori, mentre le normative di governo, per loro stessa natura, tendono a essere in qualche modo impermeabili alle opportunità di miglioramento. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
La soluzione del prezzo ha una natura evolutiva mentre la soluzione delle regole ha una natura progettuale. “L’evoluzione è più intelligente di noi”, diceva un tale, almeno quando i problemi da risolvere sono molto complessi, tipo quello ambientale. Quando un processo evolutivo viene lasciato libero di agire su un problema, spesso troverà soluzioni che nessun progettista in carne e ossa sarebbe in grado di immaginare. L’economia, ovvero il sistema dei prezzi, è per sua natura un ambiente evolutivo, gli imprenditori e gli ingegneri hanno una miriade di idee che aspettano solo il giusto scenario economico per essere applicate, i governi invece sanno molto poco di tutto questo.
Ma perché soluzioni tanto semplici non trovano accoglienza entusiasta da parte dell’ambientalista medio?
Mi sono fatto l’idea che gran parte del mondo ecologista sia disinteressato all’ambiente quanto piuttosto alla ricerca di una pseudoreligione anti-capitalista. E, in questo senso, l’origine ideologica di molti leader non fa che alimentare questo sospetto.
Se le cose stessero così i conti tornerebbero: il vero obiettivosarebbe quello convertirci a nuovi stili di vita, non di risolvere il problema del global warning. L’ecologismo diverrebbe solo uno strumento nelle mani di chi ha obbiettivi ideologici da perseguire.
Faccio l’esempio che da cattolico mi è più vicino, quello di Papa Francesco. Sua Santità nell’ultima enciclica ha invitato in modo accorato a prendersi cura del creato ma anche a diffidare di quelle “soluzioni che facciano leva sui prezzi”. Ma perché mai? Forse che dopo aver rinunciato  alla conversione cattolica (vedi condanna del proselitismo) si punta su conversioni socialmente più “desiderabili”?
Naturalmente, una soluzione che punti sui prezzi non cambierebbe in nulla il nostro “stile di vita”, continueremmo a scegliere sulla base della nostra “convenienza” anziché sulla base della nostra “coscienza ecologica”. Questo, mi rendo conto,  puo’ andar bene per chi ha come nemico il riscaldamento globale ma non per chi ha come nemico il capitalismo.
ambient

giovedì 12 ottobre 2017

SEXUAL HARASSMENT POLICY AND INCENTIVES TO SOCIAL INTERACTION

Notebook per
Elizabeth Walls
riccardo-mariani@libero.it
Citation (APA): riccardo-mariani@libero.it. (2017). Elizabeth Walls [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com
Parte introduttiva
Evidenzia (giallo) - Posizione 2
SEXUAL HARASSMENT POLICY AND INCENTIVES TO SOCIAL INTERACTION May 12, 2008 Elizabeth Walls
Evidenzia (giallo) - Posizione 4
Laws discourage both illegal activity and legitimate activity that could be mistaken as illegal
Nota - Posizione 5
ATTIVITÁ EQUIVOCHE MA LEGALI
Evidenzia (giallo) - Posizione 6
policies designed to fight sexual harassment can lead to a decrease in appropriate social interaction
Nota - Posizione 6
L INCONVENIENTE
Evidenzia (giallo) - Posizione 8
anti-harassment policy will deter innocent communication.
Nota - Posizione 19
ttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 19
INTRODUCTION
Evidenzia (giallo) - Posizione 19
intensely private
Nota - Posizione 20
MOLESTIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 22
managers have learned to fear the possible lawsuits
Nota - Posizione 23
TERRORE DEL MANAGER
Evidenzia (giallo) - Posizione 23
disgruntled employees,
Nota - Posizione 23
MINA VAGANTE
Evidenzia (giallo) - Posizione 24
“unwelcome sexual conduct that is a term or condition of employment,”
Nota - Posizione 25
DEFINIZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 29
„hostile environment‟
Evidenzia (giallo) - Posizione 32
firms began thoroughly training their employees not to harass
Nota - Posizione 33
DISPERATO TENTATIVO DI NN DERESP
Evidenzia (giallo) - Posizione 36
prevention of harassment lawsuits has created its own industry
Nota - Posizione 36
INDUSTRIA DELLA PREVENZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 41
policies forcing the reduction of harassment are necessary and efficient;
Nota - Posizione 41
LA CREDENZA DEL PRIMO GRUPPO
Evidenzia (giallo) - Posizione 42
a problem better solved by natural market correction.
Nota - Posizione 42
SECONDO GRUPPO
Evidenzia (giallo) - Posizione 44
the micro level.
Nota - Posizione 44
CONSEGUENZE SUI SINGOLO
Evidenzia (giallo) - Posizione 45
Determining whether„harassment‟ occurred
Nota - Posizione 45
PROBLEMONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 47
possibility of mistake,
Evidenzia (giallo) - Posizione 48
harassment is often contextual.
Nota - Posizione 48
DIPENDE DAL CONTESTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 50
suits involving situations that may seem inoffensive or reasonable to most
Evidenzia (giallo) - Posizione 53
Many firms choose a stricter policy against harassment than is even required by law;
Nota - Posizione 54
PRECAUZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 61
a decreased incentive to interact socially in the workplace.
Nota - Posizione 62
RELAZIONI FORMALI
Evidenzia (giallo) - Posizione 63
a continuing “glass ceiling” preventing women
Nota - Posizione 63
L AM COME CAUSA DEL GLASS
Evidenzia (giallo) - Posizione 64
changes in gender composition of the workforce
Nota - Posizione 65
ALTRO EFFETTO DELLA POLITICA ANTI MOLESTIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 66
how firms should shape policies about sexual harassment in order to minimize
Nota - Posizione 66
POLITICHE AZIENDALI RAZIONAL
Evidenzia (giallo) - Posizione 68
Section 1.
Evidenzia (giallo) - Posizione 72
Section 5
Evidenzia (giallo) - Posizione 73
1. LITERATURE REVIEW
Nota - Posizione 73
ttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 77
1.1. Empirical research– harassment
Nota - Posizione 77
tttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 79
increased job stress, a more negative disposition,
Nota - Posizione 79
EFFETTI DELA MOLESTIA SULLA VITTIMA
Evidenzia (giallo) - Posizione 104
Laband and Lentz find statistically significant results that sexual harassment leads to lower job satisfaction and higher intention to quit
Nota - Posizione 105
RISULTATI EMPIRICI DIFFERENTI... PRIMO CASO
Evidenzia (giallo) - Posizione 113
Antecol and Cobb-Clark find any negative effect of harassment to be overstated
Nota - Posizione 114
CRITICA ALLE VARIABILI SCELTE
Evidenzia (giallo) - Posizione 120
problem of endogeneity
Evidenzia (giallo) - Posizione 120
women who report sexual harassment may be generally less satisfied with their jobs
Nota - Posizione 121
NESSO
Evidenzia (giallo) - Posizione 121
CobbClark‟ s results show that actual harassment does not significantly affect on job satisfaction or intended turnover
Nota - Posizione 122
ESITO CONTRARIO
Evidenzia (giallo) - Posizione 124
controlling for underlying, unobserved personality traits.
Nota - Posizione 125
PERSONALITÀ COME CONTROLLO
Evidenzia (giallo) - Posizione 126
What does matter is whether the woman feels
Nota - Posizione 126
IL SENTIMENTO È TUTTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 126
Her perception of the behavior, not the behavior itself,
Evidenzia (giallo) - Posizione 145
both genders are more likely to perceive a given unwelcome action from a supervisor to be “harassment” than they do the same action from a colleague.
Nota - Posizione 146
CAPI E COLLEGHI.... DIMOSTRATA LA SOGGETTIVITÀ
Evidenzia (giallo) - Posizione 147
if someone has had harassment training, they are more likely to view both unwanted supervisor conduct and unwanted colleague conduct as harassment,
Nota - Posizione 148
I CORSISTI VEDONO MOLESTIE OVUNQUE
Evidenzia (giallo) - Posizione 154
harassment training may have the problematic consequence of increasing job dissatisfaction.
Nota - Posizione 155
CORRELAZIONE RIVELATORIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 159
there is a greater chance of harassment between two equals is more likely to occur,
Nota - Posizione 159
PIÙ INTERAZIONI CON I COLLEGHI... NO POTERE COINVOLTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 163
most harassment occurs between co-workers rather than between supervisors and subordinates”
Nota - Posizione 163
CONFERMA
Evidenzia (giallo) - Posizione 164
harassment by colleagues does not seem to have an effect
Nota - Posizione 165
SONO LE MOLESTIE MENO DANNOSE ANCHE A DETTA DI CHI RILEVA EFFETTI NEGATIVI
Evidenzia (giallo) - Posizione 168
productivities are interdependent within a team
Nota - Posizione 168
PRODUTTI VITÀ
Evidenzia (giallo) - Posizione 169
one source of this phenomenon is the exchange of information, which could be inhibited by overly strict anti8
Nota - Posizione 170
PRODUTTF E COMUNICAZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 173
This result supports the importance of examining any policy with the potential to reduce communication.
Nota - Posizione 174
COME GIUDICARE UNA POLITICA
Evidenzia (giallo) - Posizione 218
1.4 Theory on harassment law and banning harassment
Nota - Posizione 218
ttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 219
A ban on harassment could be considered a ban on a particular kind of voluntary contract,
Nota - Posizione 220
INEFFICIENZA DEL PROIBIZ
Evidenzia (giallo) - Posizione 221
An employer who wishes to harass his female employees could pay women a higher wage in return for being allowed to harass them.
Nota - Posizione 222
ESEMPIO...AMBIENTE OSTILE... STIPENDIO PIÙ ALTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 224
Posner
Evidenzia (giallo) - Posizione 233
w* is between wN and wH. Based on this, Basu argues that everyone who chooses a job that promises no harassment is better off when the law prohibits harassment, as they all receive w* instead of wN.
Nota - Posizione 235
IL SALARIO IN UN MONDO E RENDE ILLEGALE LA MOLESTIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 240
he attacks the idea that harassment should be permitted by citing evidence showing that such preferences are “malleable” and can be removed (1339).
Nota - Posizione 241
CHI FAVORISCE IL BANDO... PREFERENZA MALLEABILE... SI PYÒ ESTIRPARE
Evidenzia (giallo) - Posizione 243
harassment law is therefore dynamically efficient.
Evidenzia (giallo) - Posizione 246
information asymmetries are a reason harassment cannot self-correct: when a woman takes a job, she does not know whether she will be harassed,
Nota - Posizione 247
IL PROBLEMA CON L AUTOCORREZIONE DEL MERCATO
Evidenzia (giallo) - Posizione 250
Basu concludes that harassment should be banned because it results in lower wages for workers who wish to avoid
Nota - Posizione 251
ALTRA RAGIONE PER BANDIRE
Evidenzia (giallo) - Posizione 261
if firms are harmed by harassment, since all parties concerned are employed within the firm, they should be able to reach the optimal outcome without external interference
Nota - Posizione 262
SE LA PRODUTTIVITÁ È UN PROBLEMA NN SERVONO LEGGI
Evidenzia (giallo) - Posizione 263
the dispute is within the firm,
Evidenzia (giallo) - Posizione 264
Coasian solution
Evidenzia (giallo) - Posizione 265
market is capable of disciplining less efficient producers, including harassing firms.
Nota - Posizione 265
MERCATO
Evidenzia (giallo) - Posizione 266
the law will remove discriminators faster
Nota - Posizione 266
CONTROREPLICA
Evidenzia (giallo) - Posizione 268
harassment law creates unnecessarily large enforcement costs,
Nota - Posizione 268
ALTRA CRITICA
Evidenzia (giallo) - Posizione 269
because of these costs, harassment law hurts average people,
Nota - Posizione 270
CONSUMATORI
Evidenzia (giallo) - Posizione 272
women have been hired less frequently or paid less because of harassment law.
Nota - Posizione 272
ALTRA CRITICA
Evidenzia (giallo) - Posizione 273
the possibility of a decline in social relationships,
Nota - Posizione 273
ALTRO COSTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 274
many people search for spouses in the workplace
Nota - Posizione 274
AGENZIA MATRIMONIALE
Evidenzia (giallo) - Posizione 279
employees pass down human capital through mentoring
Nota - Posizione 279
IL TUTOR TRA I SUPERIORI
Evidenzia (giallo) - Posizione 281
the value of diversity
Nota - Posizione 281
VALORE DEO GRUPPI MISTI
Evidenzia (giallo) - Posizione 283
1.5 Social capital models
Nota - Posizione 283
tttttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 285
workplace cooperation based on social capital “linkages,”
Nota - Posizione 285
MODELLI AZIENDALI CHE VALORIZZANO LA COMUNICAZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 286
strong social relationship can use its influence to create cooperation in production
Nota - Posizione 287
COSTRUIRE LA COOP
Evidenzia (giallo) - Posizione 300
firms have incentives to employ people with existing social capital
Nota - Posizione 300
CAPITALE SOCIALE... FACILITÀ AD INTERAGIRE
Evidenzia (giallo) - Posizione 717
5. CONCLUSIONS
Nota - Posizione 717
tttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 718
the delicate trade-off between deterring harassment and obstructing beneficial communication.
Nota - Posizione 718
IL TRADE OFF
Evidenzia (giallo) - Posizione 719
fears harassment
Nota - Posizione 719
ELEMENTI AMPLIFICATORI...PRIMO
Evidenzia (giallo) - Posizione 720
fears mistake
Nota - Posizione 720
SECONDO
Evidenzia (giallo) - Posizione 720
stop innocent communication
Nota - Posizione 720
L NCONVEN
Evidenzia (giallo) - Posizione 722
It is easier to show that someone broke your leg than to show that they demeaned your person.
Nota - Posizione 722
LA DIFFERENZA... LA DIGNITÀ NN È QUANTIFIC
Evidenzia (giallo) - Posizione 725
whether a person feels harassed is more important than whether or not she has is harassed
Nota - Posizione 726
LA PERCEZIONE È TUTTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 727
policies increasing the likelihood that a potential victim feels harassed
Nota - Posizione 727
POLICY PERICOLOSE E POLICY VIRTOSE
Evidenzia (giallo) - Posizione 728
avoid encouraging women to hyper sensitivity
Evidenzia (giallo) - Posizione 731
ostracization of women in the workplace
Nota - Posizione 731
LA CONSEGUENZA
Evidenzia (giallo) - Posizione 732
women become the least desirable colleagues
Evidenzia (giallo) - Posizione 732
less likely to be promoted
Evidenzia (giallo) - Posizione 738
genuinely differentiating harassment from non-harassment
Nota - Posizione 738
CRITERI OGGETTIVI
Evidenzia (giallo) - Posizione 744
Medical malpractice also might fit this model.
Nota - Posizione 744
ESTENSIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 751
women make up a significant part of the labor force but still hold disproportionately fewer upper-level
Nota - Posizione 751
FORSE LA SPIEGAZIONE DI UN PROBLEMA
Evidenzia (giallo) - Posizione 760
whether one considers policy to have spurred or impeded the change, the market may, at last, correct for this problematic, productivity-reducing characteristic.
Nota - Posizione 762
L HAPPY END DELL ECONOMISTA

L’ambiente ostile

L’ambiente ostile

La legge proibisce i comportamenti illeciti.
Ma anche i comportamenti che sembrano illeciti.
La cosa sembra trascurabile, cessa di esserlo quando parliamo di leggi contro le molestie sessuali sul luogo di lavoro, laddove la seconda categoria di comportamenti è più estesa della prima.
Le misure anti-molestia risultano di fatto un deterrente anche verso la comunicazione più innocente e fruttuosa.
I rischi sono evidenti: colpire le relazioni sociali in azienda. Per come le imprese generano il loro valore, la cosa è tutt’altro che marginale.
La molestia sessuale si distingue per intervenire in uno spazio molto privato. Gli equivoci sono sempre dietro l’angolo: è facile dimostrare che qualcuno vi ha rotto una gamba, molto meno che qualcuno vi ha mancato di rispetto.
Nelle aziende i manager hanno imparato a temere le denunce e su questo rischio tarano le loro scelte. Parliamo di una categoria particolarmente dedita alla scelta razionale.
Naturalmente, i manager sanno bene che una lavoratrice scontenta o di cattivo umore è anche una mina vagante per la loro carriera. Scansarla diventa una priorità.
La molestia è definita come “un approccio fastidioso a sfondo sessuale” realizzato in ambito lavorativo.
Fastidioso? Sì, la dimensione soggettiva predomina. Evidentemente parliamo di qualcosa di molto vago.
Il legislatore, per combattere al meglio lo spiacevole fenomeno, ha responsabilizzato le imprese colpevoli in automatico di creare un “ambiente ostile” laddove la molestia prende corpo.
Si ritiene che la presenza di molestie sia una forma di segregazione sul posto di lavoro.
Nel disperato tentativo di evitare un coinvolgimento giuridico le imprese si son messe ad organizzare corsi per i dipendenti sul tema. È sorta una vera e propria “industria della prevenzione” con la filiera degli avvocati, quella degli psicologi e quella dei sessuologi.
Una reazione del genere, per quanto comprensibile, ha solo peggiorato le cose. Vediamo perché valutando le conseguenze del proibizionismo.
***
Sul piano delle conseguenze gli studiosi si dividono, alcuni ritengono che le politiche proibizioniste siano necessarie ed efficienti, altri che il problema si affronti meglio affidandolo alle naturali correzioni del mercato.
Il problema centrale di tutta la faccenda è capire quando siamo di fronte ad una molestia sessuale. La possibilità di incorrere in errori è elevata, questo anche perché lo stesso comportamento puo’ essere molesto oppure no: dipende dal contesto e dai soggetti coinvolti.
Se diamo una scorsa ai casi approdati in aula giudiziarianotiamo molte situazioni che sembrano inoffensivi ai più ma che contestualizzate possono turbare le persone coinvolte.
Per mettersi al sicuro da eventuali denunce molte multinazionali scelgono una policy più stringente di quella prevista dalla legge, a volte sfiorando il ridicolo. Forse è anche un modo per apparire “all’avanguardia” sul fronte dei diritti. Sta di fatto che ne esce un quadretto piuttosto comico.
Sia come sia una cosa è certa: la legge ha sensibilmente diminuito gli incentivi ad interagire in modo spontaneo. Meglio isolarsi dedicandosi al proprio smartphone.
Probabilmente, rischi del genere contribuiscono al cosiddetto “soffitto di vetro”, ovvero quella roba per cui le donne ormai costituiscono la maggioranza della forza lavoro ma sono scarsamente rappresentate al top della piramide gerarchica. Gli uomini vedrebbero come un rischio la loro vicinanza ed evitano finché possono di “promuoverle” al loro livello.
Un altro effetto è il cambio nella composizione della forza lavoro. Diventa molto più conveniente per l’azienda concentrare persone dello stesso sesso negli stessi uffici. Basta con gli uffici “misti”… o gli avvocati ci dissanguano!
A volte sembra si esageri ma la cosa non va sottovalutata: nella scuola la sensibilizzazione al rischio pedofilia ha di fatto generato la scomparsa di un mestiere un tempo onorato: quello del maestro.
D’altro canto le molestie sul lavoro moltiplicano i divorzi, un costo sociale decisamente importante.
***
La letteratura empirica ha cercato di pesare gli effetti di una molestia. Le variabili prese in considerazione sono state essenzialmente lo stress sul posto di lavoro, il calo di produttività e le dimissioni.
Le conclusioni raggiunte sono miste: alcuni riscontrano un collegamento tra molestia e soddisfazione lavorativa, altri no.
I secondi criticano le proxy scelte dai primi e rilevano il trascurato problema dell’ “endogenità”: le donne che riferiscono di molestie potrebbero essere anche quelle meno soddisfatte del loro lavoro a prescindere.
Inoltre, il collegamento si dissolve se “controllato” con la “personalità psicologica” delle vittime.
A proposito, ecco un’altra importante scoperta: quel che conta è ciò che la donna sente più che quello che gli accadde. Quel che conta è la percezione dei comportamenti altrui e non i comportamenti in sé.
La percezione è tutto.
Esempio: entrambi i generi sono molto più predisposti a percepire molestia se a relazionarsi con loro è un capopiuttosto che un collega. Dal capo l’abuso è più atteso, e il fatto di essere atteso basta per “vederlo”.
Da un certo punto di vista la cosa ci tranquillizza: all’interno dell’azienda le relazioni con i colleghi sono molto più frequenti ed intense rispetto a quelle con i capi.
Ma c’è di più: la partecipazione a corsi anti-molestia acuisce la sensibilità e il malessere. Chi “frequenta” comincia a vedere abusi ovunque e a star male anche dove prima stava bene.
La partecipazione ai corsi anti molestia è fortemente correlata con l’insoddisfazione lavorativa.
Del resto, abbiamo appena detto che la partecipazione ai corsi fa percepire molestie ovunque e la percezione di molestie e correlata al insoddisfazione lavorativa.
***
C’è poi un’osservazione empirica indiretta ma decisiva: la produttività di un ufficio è “interdipendente”. Si basa cioè da come si coordinano le produttività dei singoli.
La fonte principale del circuito virtuoso è lo scambio intenso e continuo di informazioni tra gli appartenenti allo stesso ufficio, qualcosa che la lotta alle molestie mina alla radice.
Questo fatto è estremamente rilevante e sostiene l’importanza di esaminare qualsiasi “politica dei diritti” alla luce dell’ostacolo comunicativo che introduce.
***
In generale, gli economisti sottolineano l’inefficienza di qualsiasi proibizione: proibire le molestie significa di fatto proibire un contratto volontario.
In che senso? Un datore di lavoro che intende provarci col suo personale femminile potrebbe pagare alle donne uno stipendio più elevato affinché costoro affrontino il rischio correlato, e per molte – quelle con più pelo sullo stomaco – la cosa si trasformerebbe in un affarone… che il proibizionismo manda in fumo.
Del resto, prima parlavamo di ambiente ostile. Ebbene, ci sono moltissimi casi in cui un premio salariale compensa chi lavora in “ambienti ostili”. L’autista che trasporta esplosivi ha una paga ben più elevata di chi trasporta barbabietole.
Ma alcuni ritengono che il proibizionismo sia efficiente poiché abbiamo a che fare con preferenze malleabili. Il molestatore può essere “curato” e perdere il vizietto. D’altronde, chi tollera la molestia può essere “curata” e rimuovere questa insana tolleranza. Il proibizionismo sarebbe quindi è “dinamicamente efficiente“.
C’è poi chi sottolinea l’asimmetria informativa che renderebbe più difficoltosa l’autocorrezione del mercato. Vale a dire, quando una donna cerca lavoro non sa a priori se l’ambiente in cui andrà a lavorare sarà più o meno ostile, il che non rende l’antiproibizionismo più efficiente a prescindere. Inoltre, le lavoratrici più virtuose sarebbero comunque penalizzate da salari più bassi, e questo va in ogni caso evitato per ragioni etiche.
Ma l’antiproibizionista insiste che si tratta pur sempre di un problema di produttività e in quanto tale può essere trattato efficientemente all’ interno dell’azienda. Perché mai un’ azienda, infatti, dovrebbe accettare che alcune sue lavoratrici siano insoddisfatte e non contribuiscano come possono allo sforzo produttivo? Lavoratrici insoddisfatte e desiderose di andarsene rendono meno e sono quindi un problema innanzitutto per il padrone. E’ il mercato stesso a fare piazza pulita delle imprese meno efficienti che, per quanto detto, sono anche quelle che più tollerano la molestia sessuale.
Sì ribatte che la legge può comunque velocizzare questo processo virtuoso di espulsione.
Altra critica al proibizionismo: le leggi sulle molestie creano degli enormi quanto ingiustificati costi di applicazione (telecamere, processi, interrogatori, divisioni, errori giudiziari…). In questo senso, poiché tali costi vengono poi trasferiti ai consumatori, sono un danno per la collettivitàintera.
Gli antiproibizionisti fanno anche notare che la presenza di leggi ambigue contro le molestie danneggia innanzitutto il gentil sesso: le donne potrebbero avere più difficoltà ad essere assunte o comunque a godere di salari parificati all’uomo. Si tratta in pratica di una versione estesa a tutte del “soffitto di vetro”.
Ma la critica più ficcante contro il proibizionismo è decisamente quella che punta il dito sul declino delle relazioni sociali.
Facciamo un esempio: l’azienda, insieme all’università, e anche la più efficiente agenzia matrimoniale. Una funzione destinata a subire un duro colpo.
Altro esempio: molto spesso il capitale umano in azienda si forma attraverso una vicinanza al capo chiamato praticamente a fare da chioccia e a instaurare una relazione vicina a quella del mentore. Una procedura destinata a  svanire per i rischi che comporta.
Altro esempio, il valore della diversità. Se persone diverse lavorano insieme probabilmente queste differenze verranno valorizzate in un interscambio. Ma se la vicinanza di uomini e donne (una delle differenze più benefiche) diventa problematica questi benefici collassano.
***
Quando una persona sa generare valore costruendo una fruttuosa rete di contatti si dice che possiede un elevato capitale sociale.
In azienda il capitale sociale delle persone è una manna: intense relazioni sociali possono essere sfruttate per realizzare forme di cooperazione produttiva.
In altre parole, l’impresa ha un chiaro incentivo ad impiegare persone che posseggono un alto capitale sociale. Bene, provvedimenti contro le molestie disseccano questa fonte di valore.
Meno relazioni, meno cooperazione, meno diversità, meno socialità, meno interazioni, meno produttività.
Il punto chiave di tutto è quindi il trade-off che esiste tra deterrenza della molestia e deterrenza alla libera comunicazione.
La paura della molestia e la paura dell’equivoco comprimono la produttività dell’impresa.
Abbiamo appena visto che  la percezione e tutto, i fatti oggettivi quasi niente. Per questo l’equivoco si annida ovunque.
Le politiche pubbliche – come le politiche aziendali – che acuiscono la percezione della molestia, acuiscono anche la repressione comunicativa. L’azienda dovrebbe scoraggiare l’ipersensibilità delle donne. Qualora non si agisca efficacemente su questo fronte la donna rischia di essere vista come collega indesiderabile e da evitare: la sua promozione ai ranghi più elevati si trasforma in un costo innanzitutto per chi la promuove, il quale agirà con riluttanza.
Si può concludere dicendo che la molestia sessuale non puo’ essere trascurata per i costi che genera, soprattutto a livello familiare (divorzi). Tuttavia, qualsiasi sia la politica per combatterle, bisognerebbe lasciare un ruolo anche al mercato, ovvero all’istituzione più flessibile e informata a nostra disposizione. Inoltre, la formalizzazione della prostituzionepotrebbe attenuare il problema mantenendo la sfera sessuale e quella lavorativa ben distinte.
6 letture
David Laband+Bernard Lentz “The Effects of Sexual Harassment on Job Satisfaction, Earnings, and Turnover among Female Lawyers.”
Heather Antecol+Deborah Cobb-Clark: “Does Sexual Harassment Training Change Attitudes? A View from the Federal Level.”
Kaushik Basu: “The Economics and Law of Sexual Harassment in the Workplace”
John Donohue: “Prohibiting Sex Discrimination in the Workplace: An Economic Perspective.”
Richard Posner: “Employment Discrimination: Age Discrimination and Sexual Harassment.”
Elizabeth Walls: “Sexsual Farassment policy and incentives to social interaction”
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13-14 Il mito della buona politica

Il mito della buona politica

No. Il cancro della povertà non si estirpa con la buona politica.
Le istituzioni non bastano, mi spiace.
Lo hanno creduto in molti studiosi di vaglia, Douglas North e Daron Acemoglu su tutti. Il mio rispetto è massimo ma nel loro resoconto qualcosa non quadra.
Il Medio Oriente – ma anche l’Oriente – tra il 1500 e il 1800 esprimeva società economicamente vitali, le (buone) istituzioni arrivavano ovunque, erano una panoplia estremamente curata. Come mai questa civiltà non si mise a capo nella marcia del mondo verso la ricchezza?
Gengis Khan ottenne la sua supremazia mongola attraverso un’applicazione rigorosa della “rule of law”. Implacabili sanzioni colpivano chi rubava una bestia, e gli animali erano il capitale di allora. Il risultato fu l’assai ammirata pax mongolica del XIII secolo. Pace e certezza del diritto assicurati per tutti. Ma come mai una simile pulizia istituzionale non partorì sviluppo e modernità? Come mai l’idea di “innovazione” sistematica non toccò mai queste linde lande?
I mercanti italiani dopo il 1300 continuarono a battere le rete viaria tra Ungheria e Corea elogiando la sicurezza e il controllo dell’autorità preposta alle comunicazioni.
Ma l’affermazione della legge si diffonde anche nelle società prive di autorità formale, nell’Islanda narrata dalle saghe, per esempio. Il motto dell’antica – e anarchica – Islanda: “solo la legge fa fiorire la vita dell’uomo”. Niente polizia in Islanda, ma una legge certa sì. Quando Gunnar Andersson uccise due membri della famiglia Giuriss, la famiglia fu autorizzata dalla legge ad ucciderlo e alla fine lo fece. Nessuno andò dalla polizia ma la legge parlava chiaro e fu applicata: la vendetta fu vista con favore da tutti. Il diritto trionfò.
I recenti esperimenti da laboratorio del premio Nobel Vernon Smith mostrano che la proprietà privata emerge dall’interazione spontanea anche in mancanza di un’autorità centrale. In compenso la storia ci dice come un’autorità centrale possa ostacolare la nascita del diritto di proprietà: la politica non è tutto, e a volte è molto meglio così.
Per sostenere l’ardita tesi per cui senza un re non c’è legge bisogna prelevare ad hoc campioni estremamente angusti della storia umana.
Le leggi nell’Inghilterra di fine Settecento dipendevano forse della politica? Uno studioso come Joel Mokyr ha dedicato buona parte dei suoi sforzi per negare con forza l’asserto! Non parliamo di uno studioso marginale e velleitario, parliamo di uno dei padri della storia economica contemporanea.
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Soprattutto l’etica, non la politica, teneva insieme le società di allora.
Le regole del gioco non ci fanno giocare bene se noi non vogliamo giocare a quel gioco.
Le regole del gioco non ci fanno essere persone corrette se noi non le sentiamo corrette.
I codici legali dell’antica Mesopotamia, come per esempio il codice Hammurabi di Babilonia, non bastano a proiettare un popolo nella modernità.
Sostenere che la buona legge fa la buona società è come dire che l’incendio nel granaio è causato dal granaio. Magari il granaio lo attizza ma…
Purtroppo, l’economista ha una deformazione professionale, vuole spiegare la storia solo con gli incentivi, e quando non ci riesce non rinuncia, non molla la sua preda nemmeno di fronte all’evidenza. Nell’ economista manca la volontà di prendere l’etica sul serio: lo capisco, vorrebbe dire rinnegare interamente il suo paradigma di riferimento.
Che la corruzione sia illegale è una regola che vale a Stoccolma come a Dehli. Eppure…
La differenza la fa l’etica, inutile girarci attorno.
La cultura italiana per esempio è una cultura di norme ambigue. E’ spesso la cultura del furbetto che salta la coda.  Queste istituzioni informali contano più delle regole scritte.
La legislazione è un conto, la regola interiore un altro. Altrimenti, nel giro di una settimana trasformeremmo l’Africa in un’ immensa Svezia: basterebbe traslare laggiù le leggi di lassù.
Senza una comprensione adeguata della moralità e delle convenzioni sociali, lo storico non può nemmeno comprendere l’influenza reale delle istituzioni formali.
Con l’invenzione della stampa la regola può essere fissata una volta per tutte, ma questo non fa perdere in nulla l’importanza dei costumi.
La legge reale emerge da una dialettica tra l’ethos della popolazione e la legge formale. Qualcuno ha detto che la legge è una “conversazione”. Potremmo anche paragonarla ad una “danza”: una danza non può essere ridotta ad uno schema di passi.
Lo aveva capito Aristotele nell’ Etica Nicomachea, lo aveva capito l’autore dell’ Esodo e lo aveva capito anche l’autore della Mahabharata: la scelta di sottomettersi a una regola è un doloroso esercizio di identità. Non c’è una regola scritta e un soggetto che la osserva; c’è invece un soggetto in cerca della sua identità che si confronta con la regola scritta e delibera nel foro della sua coscienza.
Non c’è solo la l’autorità che verga un codice: c’è la dialettica, la conversazione, la storia, la vergogna, il senso del sacro… tante cose interagiscono. Cio’ che succede è la risultante di tutto questo. Se uno si limita al codice non capirà mai nulla di quello che accade.
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A cosa si deve la resurrezione di San Francisco dopo il terrificante terremoto del 1906?
Non alla politica, la politica in quel frangente fu messa da parte. Un comitato di imprese e leader civici prese in mano la situazione. Grazie alla coscienza e all’opera di queste persone la città si riprese prontamente. La politica ha avuto un ruolo marginale.
Nel 2005 la storia si ripete a New Orleans con Walmart e Home-Depot che si sostituiscono alla politica.
A volte un economista come Oliver Williamson fa finta di prendere l’etica in considerazione ma lo fa riducendola a semplice incentivo.  Non riesce a pensare che in termini di incentivi.
Chi svaluta il ruolo dell’etica dice che muta lentamente, che il suo gradualismo non dà conto dei fenomeni ma li segue pedestremente.
Sbagliato. L’etica che giudicava le donne al lavoro è cambiata repentinamente nel corso degli anni 60 e 70. L’etica presso i romani alla fine del primo secolo è cambiata rapidamente passando dai valori repubblicani e quelli imperiali. L’etica della cristianità tedesca agli inizi del XVI secolo si è trasfusa rapidamente dal rilassato regime delle indulgenze a quello rigoroso del protestantesimo. L’etica con cui gli inglesi giudicavano il commercio e le innovazioni tecnologiche alla fine del 700 è passata dal disprezzo all’ammirazione, e non lo ha fatto gradualmente ma pressoché di colpo.
Un cambio molto più rapido di quello istituzionale!
I tribunali, nel frattempo, hanno continuato a “giudicare” secondo le prolisse procedure precedenti. Il diritto di proprietà non si smuoveva. La legge penale era ancora fortemente sbilanciata contro i poveri. Eppure, il giudizio e la retorica sugli innovatori è cambiata. È bastato quello per realizzare una rivoluzione.
L’etica può svoltare in un attimo. Considera in Italia le vicende di mafia nei primi anni 90 e la sollevazione di popolo a favore di certi giudici: una svolta inattesa quanto repentina che ha cambiato le carte in tavola dopo decenni di omertà. È stato un cambio ideologico, non istituzionale.
L’istituzionalista e l’economista di fronte al mistero delle idee e dell’ideologia restano spiazzati e si oppongono, di solito tendono a ridurre l’idea a puro stimolo biologico. Ci si appella alle scienze neurobiologiche. Tutto deve essere inquadrato come “meccanismo”, l’ umano va espulso.
Ma per comprendere l’azione rivoluzionaria delle idee pesa di più l’approfondimento umanistico che discende dall’abbracciare 2000 anni di storia che l’approfondimento scientifico sul cervello partito negli anni 80.
Chi trascura la cultura e si concentra sulle regole del gioco, non comprende che le regole del gioco sono sempre in discussione.
Quando, tanto per dire, l’economista pensa alla teoria della “broken window” elaborata nel mondo della criminologia da Kelling e Wilson la pensa come mero incentivo e non come “conversazione”, ovvero come messaggio culturale del tipo: “questo posto è carino e ben curato perché chi abita qui trova che valga la pena di averne cura, vuoi unirti a questa comunità civile? Vuoi partecipare anche tu?”. No, l’unica cosa a cui pensa l’economista è la logica law&order: dove c’è ordine, c’è nascosta la pula da qualche parte.
L’economia trascura il linguaggio. L’economia è una scienza prelinguistica. In Marx come in Samuelson la valenza del linguaggio è azzerata.
Ma per avere un obbligazione bisogna sentirsi in obbligo, bisogna riconoscere un dovere, bisogna saperselo rappresentare, bisogna avere le parole giuste per rappresentarselo.
Agli economisti piace molto la teoria dei giochi, che come premessa ha il “taci e gioca”. In quel taci c’è l’azzeramento del linguaggio: tutti giocano capendo il gioco allo stesso modo, lo si dà per scontato. Il gioco, in un certo senso, si oppone al linguaggio.
Se ti prometto di fare qualcosa tu reagirai a seconda di cosa intendi con il termine “promessa”. Io che ricevo la tua promessa farò altrettanto. Dentro questa presunta comprensione scatta un corto circuito che sfugge all’economista ma non è affatto irrilevante.
L’economista dà per scontata l’ inequivocabilità del linguaggio quando l’equivoco è dietro l’angolo ovunque.
Pensiamo al significato della parola “onestà” presso la nostra cultura e presso quella africana del popolo che intendiamo aiutare. Spesso c’è un abisso. Pensiamo poi alla parola “onore”, l’abisso si approfondisce. Con queste premesse aiutare sul serio dando delle indicazioni diventa difficile.
Chiamare una persona disonesta nella società aristocratica implica un duello, per esempio. Chiamare una persona disonesta nella società borghese implica scherno e derisione. I significati cambiano a seconda della cultura e l’equivoco è sempre in agguato.
Nella cultura aristocratica l’innovazione non era testata dal mercato. Inventare una nuova macchina da guerra era di per sè ammirevole anche se la profittabilità dell’innovazione restava dubbia. Il significato del termine muterà radicalmente.
Quando possiamo dire che esiste un accordo tra due parti? Che un patto è stato stipulato? Per l’economista non esistono problemi di questo genere, per lui tutto è scontato: c’è un accordo! Eccolo lì! Per lui un patto è un “fatto bruto”. Ma nella realtà le cose sono assai diverse. La società è tenuta insieme da convenzioni che ci fanno capire quando un accordo esiste, quando un patto è siglato. Queste convenzioni sono sempre sotto pressione, sono sempre in discussione, sono sempre soggette a slittamento.
Come esprimere una preferenza? Anche questo problema affonda le sue radici nel linguaggio. Bart Wilson è uno studioso che ha molto da dire in merito, e non si tratta di banalità. Noi siamo sicuri di ciò che sta nel nostro cuore ma come possiamo esserlo di ciò che sta tra noi e l’altro? Nella decifrazione di questa intercapedine la cultura gioca un ruolo centrale. Nel generare cooperazione, per esempio, la cultura è decisiva. E che cos’è il capitalismo se non cooperazione volontaria?
E’ l’approccio umanistico a gettare luce sulle istituzioni, non viceversa.
L’economista vede l’istituzione come un vincolo esterno, non come qualcosa sempre in discussione che la cultura crea e negozia di continuo. Le cose non possono essere ridotte a “preferenze+vincolo di bilancio”. Troppo facile.
Poi ci chiediamo perché in Africa certe istituzioni palesemente vantaggiose non allignano. Abbiamo smesso di capire cos’è l’uomo, se ci impantaniamo non è sorprendente!
La scienza economica, per capire, ha bisogno di più “significati” e di meno “regole del gioco”!
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