martedì 2 giugno 2020

TUTTO Capire il diritto: economisti contro giuristi

Capire il diritto: economisti contro giuristi

SOMARIO
– Lo scontro.
-La giustizia e l’efficienza.
– Laissez faire.
– Economisti a destra, giuristi a sinistra.
– Esternalità.
– Pigou e la responsabilità.
– Coase e la proprietà.
– Proprietà o responsabilità?
– Ferrovie e contadini.
– Rischio e assicurazioni.
-Auto usate.
– Punizioni ex ante e ex post (tentati omicidi e omicidi impossibili).
– Costi di transazione e teoria dei giochi.
– Pandepenalizzazione.



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Ma a cosa servono i giuristi e gli esperti di diritto in genere?
I filosofi morali studiano i principi delle leggi, gli economisti le conseguenze, e i giuristi? Cosa studiano i giuristi? Cosa vogliono da noi con i loro libri voluminosi? Non potrebbero cambiare mestiere e rendersi utili in altro modo?
Dopo aver letto un buon filosofo morale (Mike Huemer?) o un buon economista del diritto (David Friedman?) e uno si chiede cosa ci sia da aggiungere. Sì, magari un po’ di storia ma per il resto…
Veramente 40 anni fa la domanda era rovesciata e ci si chiedeva cosa c’entrasse l’economia con il diritto. Ecco una possibile risposta: qualcuno potrebbe proporre che, dal momento che la rapina a mano armata è un crimine abominevole, chi lo commette debba essere condannato con l’ergastolo. Un costituzionalista si chiederebbe se questa soluzione sia coerente con il divieto di punizioni crudeli fissato in Costituzione, un filosofo morale si chiederebbe se la soluzione proposta sia giusta, un economista sottolineerebbe che, se le punizioni per rapina a mano armata e per rapina a mano armata più omicidio sono uguali, la punizione aggiuntiva per l’omicidio sarebbe pari, sarebbe cioè nell’interesse dei ladri uccidere per eliminare testimoni. Un contributo non da poco, quest’ultimo, mentre il primo sembra discutibile visto che tramite “razionalizzazione” tutto pu’ essere reso coerente con tutto.
Le pene sono dunque graduate, perché? Il filosofo ci dice che è GIUSTO; l’economista ci dice che è EFFICIENTE, e il giurista che ci dice? Cita qualche comma a casaccio e poi diventa impossibile o quasi da seguire. Mai che riesca a tenermi sveglio con qualcosa d’interessante.
Per il filosofo il rapinatore è un “peccatore”. Interessante sentire le sue motivazioni. Per il giurista uno che viola la legge (grazie al c…). Per l’economista è un soggetto che agisce in conformità ai suoi gusti, alle sue capacità e alle opportunità che gli vengono offerte. Insomma, un onesto lavoratore come noi. L’economista mette al centro le probabilità, per lui non ha senso dire che non devono esistere condanne in assenza di una colpevolezza certa, secondo questo standard nessuno sarebbe mai punito, ad ogni prova corrisponde una probabilità di colpevolezza, persino una confessione non è una prova assoluta: mentre il nostro sistema legale non consente più la tortura, consente il patteggiamento, e un imputato innocente può preferire accusarsi di un delitto minore piuttosto che rischiare. Se le cose stanno in questi termini, la società è quindi chiamata a fare una scelta di valore: quale probabilità di colpevolezza fa scattare la condanna? Aumentare lo standard di prova riduce la possibilità di condannare un imputato innocente, ma aumenta la possibilità di assolvere un colpevole. In questo senso, una scelta di valore famosa è lo standard-Blackstone (90%), risale a 200 anni fa: è meglio che dieci uomini colpevoli siano liberi piuttosto che un innocente patisca la galera.
Spesso il diritto si distingue in civile e penale proprio per dare due standard diversi. Si arriva a condanne in sede civile accompagnate da assoluzione in sede penale. Ma perché ne occorrono due? La risposta non può essere semplicemente che stiamo più attenti alle condanne penali perché le pene sono più invasive: un giudizio covile in cui ballano risarcimenti milionari è più invasiva di un giudizio penale in cui balla qualche settimana di carcere. Il giurista glissa ma per l’economista la risposta è semplicissima: nel primo caso la pena è una compensazione tra privati, nel secondo, invece, un costo netto sociale, il che significa che un alto tasso di errori nei casi civili non comporta danni sociali ma solo iniquità nei trasferimenti di denaro tra privati. Un alto tasso di errori nei casi penali significa invece gravare sulla cassa comune. Nel procedimento penale la perdita della libertà di Tizio non è compensato da un guadagno da parte di Caio, per questo è doveroso essere più cauti.
Se la funzione della pena inflitta al criminale fosse la rieducazione del condannato, molti filosofi se lo augurano, i paradossi si moltiplicherebbero. Supponiamo, ad esempio, che l’imputato approfitti dell’opportunità di spingere il ricco zio giù dalla scogliera in modo da ereditare. Per sua sfortuna il gesto viene notato da un birdwatcher che lo documenta col telefonino. Le conseguenze sarebbero sorprendenti, l’avvocato, infatti, sottolineerebbe che il crimine è dovuto ad una situazione straordinaria e irripetibile (la vittima era molto ricca e l’imputato molto povero), inoltre l’imputato aveva solo quello zio, la corte dovrebbe condannare e lasciare immediatamente libero l’imputatao, non c’è nulla da rieducare in lui visto che situazioni del genere non si ripeteranno. La pena sarebbe inutile per l’imputato, costosa per la società e non farebbe tornare in vita lo zio. Una conclusione bizzarra ma logica.
Un giurista osserverebbe che la pena serve a fare giustizia! Un’affermazione interessante se a pronunciarla fosse il moralista, tautologica sulla bocca del giurista. Anche qui, in ogni caso, l’economista ha una risposta migliore: con l’impunità la corte riduce il rischio che gli altri potenziali “nipoti assassini” devono affrontare. L’applicazione di una pena non riporterà in vita la vittima, ma la sanzione applicata può scoraggiare i futuri assassini e quindi salvare coloro che sarebbero stati le loro vittime.
Uno studente di giurisprudenza che ha imparato con grande fatica il diritto civile, una volta che passa al penale deve ricominciare da capo a scalare un’altra montagna. Per l’economista è diverso, una volta compresi i concetti base di proprietà, contratto e crimine dal punto di vista economico, ha in mano la strumentazione per comprendere tutto il diritto. Per l’economista, il giurista non ha una comprensione incongrua del diritto, cosicché la sua è mera erudizione a pappagallo. L’economista dà senso all’erudizione del giurista.
L’economia, purtroppo, non sta simpatica ai giuristi. Perché? Perché è di destra. Esempio di una tipica conclusione controintuitiva che sta alla base dell’economia: le leggi fatte a protezione di X di solito danneggiano X. Il buonismo di sinistra, e quindi dei giuristi, apprezza oltremodo le buone intenzioni e si trova a disagio con simili conclusioni.
Ma perché l’economista è di destra? Forse per il suo asunto di fondo legato alla razionalità degli individui. Sebbene tale ipotesi non elimini tutte le ragioni per voler interferire con i risultati del mercato, ne elimina molte. E mentre la razionalità è un’ipotesi ottimistica quando applicata a persone che dovrebbero agire nel proprio interesse – comprare e vendere, firmare contratti, sposarsi o divorziare – diventa un’ipotesi pessimistica quando applicata a persone che vorrebbero agire nell’interesse di qualcun altro, come giudici o i legislatori.
D’altro canto, anche il giurista puo’ insegnare molte cose all’economista, perlomeno nella misura in cui è disposto a diventare un economista applicato. Prendiamo il concetto di proprietà, l’economista lo dà per scontato ma il giurista conosce bene il casino che ci sta sotto, un avvocato che si occupa di proprietà si trova di fronte al fatto che la proprietà della terra, per esempio, è un concetto tutt’altro che semplice. In che modo la mia proprietà di un pezzo di terra si ripercuote sui diritti di un tale che intende sorvolarla?, oppure scavare un buco ad una certa distanza mettendo però in pericolo la mia casa? oppure sui diritti del contadino che lascia vagare il suo bestiame rischiando che pascoli sul mio terreno? oppure nei confronti di un costruttore che mette in ombra la mia piscina? Più ci pensi, più diventa chiaro che quello che possiedi non è un pezzo di terra ma un insieme aggrovigliato di diritti che hanno a che fare con quel pezzo di terra.
Certo che quando un economista come Ronald Coase si è occupato di diritto civile ha rivoluzionato il settore rimpiazzando il concetto di responsabilità con quello di proprietà. Per capire, torniamo al caso di un edificio in costruzione che fa ombra alla piscina dell’Hotel adiacente. Il giurista qui vede solo un danno perpetrato dal primo operatore verso il secondo, e quindi la necessità di un risarcimento, il nuovo hotel impone un costo al vecchio e deve quindi essere ritenuto responsabile del danno perpetrato – ciò che gli economisti chiamano un costo esterno o esternalità. Ma, come ha sottolineato Ronald Coase in un articolo che ha posto le basi per l’analisi economica della legge, questa risposta è troppo semplice. C’è anche la responsabilità del vicino che, in una fase precedente, non ha considerato il costo che avrebbe imposto allocando la sua piscina proprio in quel punto e quindi impedendo di fatto l’edificazione nel terreno adiacente. Ciò che abbiamo non sono i costi imposti da una persona a un’altra, ma i costi prodotti congiuntamente dalle decisioni prese da entrambe le parti. La soluzione al problema consiste nel formularlo non in termini di esternalità ma in termini di diritti di proprietà. La soluzione non è giuridica ma mercantile, la responsabilità viene sostituita dal commercio.
Certo, se privilegi l’impostazione economicista ti ritrovi ben presto con tutti i problemi dell’utilitarismo: come misurare i valori soggettivi? Se una legge beneficia qualcuno e danneggia altri, come si può decidere se l’effetto netto è una perdita o un guadagno? Se misuro tutto in soldi come posso sapere quanto il valore dei soldi per Tizio o Caio? Una scala unica non esiste, non esiste un modo per misurare preferenze attendibili. L’espediente di porre domande nel merito alla gente è inimmaginabile, non abbiamo una scala unica e, anche se lo facessimo, non c’è motivo di aspettarci sincerità. Un modo per accedere all’interiorità delle persone però c’è: guardiamo come scelgono e incameriamo l’informazione. Le preferenze sono rivelate dalle scelte
Esempio: Maria ha una mela. Giovanni vuole la mela. La mela, per Maria, vale un euro, il che significa che è indifferente tra avere la mela e non avere la mela ma avere invece un euro. La mela vale due euro per Giovanni. John compra la mela per un euro e mezzo, questo scambio migliora la condizione di tutti. Con tutte le cautele del caso potremmo concludere che le norme tese a facilitare il libero scambio producono sempre un valore sociale. La regola di base è dunque la libertà di scambio: chiunque possieda una mela deve essere libero di venderla o di non venderla. In un mondo a due persone il risultato è efficiente. Anche se Efficienza e Giustizia non sono la stessa cosa, sono comunque parenti stretti, cosicché la risposta alla domanda “che cosa è efficiente?” è senza dubbio imparentata con la risposta “che cosa giusto fare?”.
Detto questo, non si vogliono nascondere le difficoltà, ecco un caso lampante in cui efficienza e giustizia divergono: si consideri uno sceriffo che osserva una folla eagitata in procinto di linciare tre sospetti omicidi innocenti e risolve il problema di ordine pubblico annunciando (falsamente) di avere la prova che uno di loro è colpevole e impiccandolo. Nel giudizio sulle conseguenze il comportamento dello sceriffo, supponendo che non ci fosse una soluzione migliore disponibile, potrebbe essere anche approvato, ma dal punto di vista della giustizia ci ripugna.
Anche equiparare tutti i valori soggettivi puo’ essere problematico, nel nostro senso comune i valori che esprime un drogato non vengono sempre parificati ai valori di un uomo saggio.
I soldi, poi, sono una buona approssimazione della felicità? La maggior parte di noi crede che, misurato secondo gli standard della felicità, un euro valga più per alcune persone che per altre, più per i poveri che per i ricchi, più per i materialisti che per gli asceti.
Quest’ultima è una critica molto seria, la risposta di Marshall è stata che la maggior parte delle questioni economiche comportano costi e benefici per gruppi di persone grandi ed eterogenei, cosicché le differenze nel rapporto qualità-prezzo individuale fossero destinate a compensarsi. Ma la risposta migliore, almeno finché ci occupiamo di leggi, è un’altra: anche se le regole legali possono essere utilizzate per ridistribuire la ricchezza, ci sono strumenti migliori per farlo, come la tassazione. Una volta accettato questo fatto, il mondo del diritto puo’ pure dimenticarsi il problema delle diseguaglianze.
Per quanto detto finora la società razionale adotterebbe un laissez-faire generalizzato. Cosa c’è che non va in questa conclusione? Essenzialmente il fatto che non tutte le relazioni sono volontarie e non tutti gli scambi a costo zero. Quando guido la mia auto per strada la relazione tra me e i pedoni, o quella con i proprietari di case sottovento che devono respirare il mio scarico, non sono affatto volontarie, né esiste una relazione volontaria tra me e il ladro che ruba i miei cerchioni.
Quando la mia acciaieria produce una tonnellata di acciaio, pago i miei lavoratori per il costo della loro manodopera, pago la società mineraria per il costo del suo minerale, ma non pago la gente del quartiere dove lavoro per l’anidride solforosa che sto immettendo nell’aria che respirano. Se con un euro potessi eliminare due euro di danni, potremmo raggiungere l’efficienza, ma non ho interesse a procedere visto che io pago e gli altri incassano. Che fare? Una soluzione – di solito proposta dai giuristi – è “regolamentare” (mettere filtri, limitare l’attività, pianificare il territorio, e qui il laissez-faire va a farsi benedire. Tuttavia, si tratta di una soluzione sprecona e con mille problemi. Primo, gli interessi sono disallineati, l’ente regolatore non è interessato all’efficienza. Secondo, c’è un problema di ignoranza anche se l’ente regolatore volesse massimizzare l’efficienza, non saprebbe come fare. Capire quali misure di controllo dell’inquinamento vale la pena prendere e quanto acciaio dovrebbe essere prodotto richiede qualcosa di simile all’onniscienza.
A questo punto arriva l’economista che propone di sostituire le regole con una tassa “pigouviana”, la cosa ha parecchi vantaggi, invece di dire all’azienda cosa deve fare, l’autorità si limita a caricare gli oneri sull’azienda a attraverso una tassa. Se fabbricare una tonnellata di acciaio produce un tot di anidride solforosa, il che comporta danni per quattro euro, l’azienda pagherà una tassa di 4 euro. In casi del genere il regolatore non deve sapere nulla di come ridurre e se ridurre l’inquinamento prodotto, ci penserà l’azienda. Un secondo vantaggio è che questo approccio genera non solo la giusta quantità di controllo dell’inquinamento, ma anche la giusta quantità di acciaio. Quando l’azienda produce acciaio, infatti, i suoi costi ora includono anche i costi di controllo dell’inquinamento. Tuttavia, permane un grave inconveniente, nonostante le buone intenzioni dei regolatori, potrebbe non essere facile misurare il danno effettivamente procurato da un chilo di anidride solforosa o CO2, o qualsiasi altra cosa. Non si puo’ avere tutto.
Da notare che i vari passaggi descritti sopra possono essere ripercorsi per qualsiasi situazione che comporti un illecito civile, alla fine i problemi illustrati nel caso dell’inquinamento si ripropongono sempre. L’analisi può essere applicata, per esempio, anche alle multe per il parcheggio e per i limiti di velocità. Quando guido veloce, infatti, sto imponendo un costo agli altri conducenti in termini di rischio di incidente. La legge mi obbliga a tenere conto di quel costo nelle mie azioni multandomi quando sono sorpreso a superare il limite di velocità.
Ora una domanda impertinente: ma perché mai noi dovremmo imporre un risarcimento per a chi procura danni a terzi? Evitando di farlo l’efficienza non ne risentirebbe e tutti i problemi di cui sopra sparirebbero. D’altronde, in parecchi altri ambiti facciamo già così: se un tale apre un bar nella stessa via dove lavoro col mio non è tenuto a pagarmi i danni, eppure me ne procura parecchi. Si tratta però di un danno che non impone alcun costo netto alla società, anzi, semmai il contrario, cosicché perseguirlo non migliora l’efficienza complessiva: fare concorrenza a qualcuno non è un illecito.
Questo ragionamento intrigante puo’ essere esteso anche ai crimini (furti)? Se sì, potremmo risparmiare sulle carceri! Sembrare di no, infatti c’è da credere che la refurtiva abbia più valore per il derubato che per il ladro altrimenti quest’ultimo avrebbe formulato un’ offerta d’acquisto. Nel caso dei danni civili questa presunzione ha poco senso: la somma del risarcimento, si assume, ha lo stesso valore per entrambe le parti, quindi evitare il trasferimento è un’ipotesi più allettante. Inoltre, proprio perché i crimini sono azioni volontarie, si sopportano dei costi sia per perpetrarli, costi che risparmieremmo se la deterrenza della pena fosse efficace. Questo è meno vero per le azioni che capitano contro la nostra volontà.
Dalla “domanda impertinente” nasce la provocatoria tesi di Ronald Coase: i diritti iniziali possono anche essere distribuiti a casaccio, ai fini dell’efficienza conta solo che siano negoziabili e che la loro negoziazione non sia costosa, il mercato penserà ad allocarli in modo efficiente. L’economista va quindi oltre la “tassa pigouviana”, l’esistenza di esternalità non porta necessariamente a un risultato inefficiente, il che, rende superflue anche le tasse pigouviane (che rendevano superflue le regolamentazioni), il problema non sono affatto le esternalità, sono i costi di transazione, ovvero la possibilità di privatizzare tutto e rendere tutto negoziabile.
Coase parte dall’idea (inconcepibile per un giurista) che non ha senso distinguere tra danneggiato e danneggiatore: anche il primo con la sua sola esistenza “danneggia” il secondo impedendogli di portare a termine i suoi progetti: l’ombra dell’edificio in costruzione danneggia i bagnanti della piscina così come la presenza della piscina danneggia l’edificio in costruzione: non si capisce Coase se non si capisce questa intercambiabilità dei soggetti in campo. Poiché le esternalità sono prodotti congiuntamente da chi inquina e dalla vittima, una norma legale che assegna la colpa a una delle due parti dà il giusto risultato solo se quella parte è quella che puo’ pori rimedio in modo più economico. Non conta altro. Esempio: se l’inquinato ci tiene tanto alla sua salute basta che si compri sul mercato il diritto a non esserlo più. Si tratta di un “risarcimento al contrario”, ai fini dell’efficienza di sistema non cambia nulla. Se l’inquinato attribuisce all’aria pulita un valore superiore a quello che l’inquinatore attribuisce all’aria sporca, i due troveranno certamente un accordo, il mercato porta alla legge efficiente indipendentemente dai diritti delle persone. Fintanto che le parti possono prontamente stipulare e far rispettare contratti nel loro reciproco interesse, non è necessaria né una regolamentazione diretta né un’imposta pigouviana per ottenere un risultato efficiente. Tutto ciò che necessita è una chiara definizione dei diritti di proprietà, il mercato si occuperà del problema. Insomma, si ribadisce il solito argomento del laissez-faire in una forma più sofisticata.
Persino la rivoluzione puo’ essere interpretata in senso coasiano: se la classe operaia la desiderava tanto poteva evitare spargimenti di sangue e comprarsela in borsa diventando proprietaria di tutte le aziende capitaliste (il monte salari, d’altronde, era più elevato della capitalizzazione di borsa).
Grazie a Coase sappiamo che la legge migliore è sempre la legge che si compra. La legge migliore è quella che si forma nelle clausole di un contrato privato. E allora perché il laissez-faire non s’impone ovunque? Il perché lo dice chiaramente lo stesso teorema di Coase: perché i costi di transazione non sono pari a zero Perché infatti, se Coase è corretto, abbiamo ancora inquinamento a Milano? Una possibile risposta è che il grado d’inquinamento presente ora è efficiente, che il danno che fa è inferiore al costo di prevenirlo. Una risposta più plausibile è che gran parte dell’inquinamento è inefficiente, ma che le transazioni necessarie per eliminarlo sono bloccate da costi di transazione proibitivi. Con due proprietari non ci sarebbero problemi; chi non è contento della situazione avrebbe avanzato la sua offerta. Ma con centinaia di proprietari tutto s’incasina e i comportamenti opportunistici prendono il sopravvento. Diventa difficile immaginare un modo plausibile con cui raccogliere i soldi per pagare tutti gli inquinatori in modo che smettano di impestare l’aria o quanto meno rallentino. I costi di transazione danno ancora un ruolo alla legge dei codici, purché si proponga come unico scopo quello di abbassarli.
Coase ha lavorato proficuamente su un errore molto diffuso quando pensiamo al concetto di “danno” sottolineando l’incapacità di riconoscere la simmetria tra “inquinatore” e “inquinato” e quindi la natura contrattuale della soluzione. L’analisi dei regolamentatori è scorretta mentre l’analisi pigouviana del problema è corretta, ma solo in circostanze speciali, ovvero quando esistono alti costi di transazione. E’ Coase ha fornire l’analisi più generale del problema.
Ora i tribunali hanno un criterio chiaro per giudicare le richieste di risarcimento: chi tra le parti è nelle migliori condizioni per contrattare? Chi tra le due parti è nelle migliori condizioni per porre rimedio al conflitto? Prima, invece, i tribunali tentavano di stabilire regole generali per l’assegnazione della responsabilità e parlavano di giustizia. Un esempio è la regola del “primo arrivato”. In base a questa dottrina se costruisci la tua caso a vicina al io allevamento di suini, non puoi denunciarmi per la puzza che ti tocca sorbire: io ero lì già da prima, sei tu il responsabile del problema. Interpretazione coasiana: è meno costoso evitare di costruire la mia casa proprio lì che contenere la puzza dell’allevamento.
Il teorema di Coase è silenziosamente all’opera nel corso della storia, un esempio sono le relazioni tra apicultori e floricultori: poiché le api si alimentano volando da un fiore all’altro, l’apicultore beneficia della presenza di floricultori, i quali, non ricevendo alcun vantaggio pratico da tale vicinanza, non hanno un incentivo sufficiente a collaborare. Dal momento che le api non possono essere convinte di rispettare i diritti di proprietà, non sembrerebbe esserci un modo pratico per applicare i suggerimenti di Coase al problema. Non resta che sovvenzionare i floricultori (una tassa pigouviana negativa) o accettare l’inefficienza. In realtà non è andata così, i contratti tra apicoltori e agricoltori sono stati una pratica comune nel settore almeno dall’inizio del novecento.
Il teorema di Coase risponde bene a domande di questo tipo: il proprietario ha il diritto di vietare agli aeroplani di attraversare la sua terra un km sotto il tuo terreno? E a cento metri? Se costruisci il tuo studio di registrazione vicino alla fabbrica del vicino, chi deve cedere in caso di emergano fastidi? Prevale il diritto al silenzio o il diritto al lavoro?
Ecco il criterio esplicitato: se il diritto A acquista maggior valore detenendo anche il diritto B, allora finisce per formare un pacchetto con B. Il diritto di decidere cosa succede a due metri da terra ha un grande valore per il proprietario della terra, cosicché viene incorporato nel diritto di proprietà. Ma il diritto di decidere chi vola un miglio sopra non ha alcun valore speciale per il proprietario del terreno, quindi non c’è motivo di includerlo nel pacchetto.
Naturalmente ci sono casi più problematici di altri, per molti diritti è difficile decidere, il conflitto visto prima tra silenzio e lavoro è un caso plastico. Ad ogni modo Coase tranquillizza il legislatore: l’essenziale non è fissare regole giuste ma fare in modo che siano sempre negoziabili. Se inizialmente assegniamo il diritto alla persona sbagliata, la persona giusta, quella per cui è di maggior valore, lo acquisterà. Quindi, è buona norma assegnare i diritti in modo che siano minimizzati i costi di compra/vendita degli stessi.
Coase ci dice che la proprietà – ovvero la possibilità di negoziare – è un mezzo efficiente per proteggere i diritti delle persone. Tuttavia, ammettendo che esistono dei costi di transazione, non esclude che anche la responsabilità civile (e quindi il risarcimento) possa avere un ruolo. E allora sorge spontanea una domanda: come decidere se i diritti debbano essere protetti dalle norme sulla proprietà o dalle regole sulla responsabilità?
Un caso concreto puo’ essere d’aiuto: i primi treni della ferrovia nel diciannovesimo producevano pericolose scintille che rischiavano di incendiare i campi adiacenti. Le compagnie ferroviarie avrebbero potuto gestire il problema installando un parascintille, anche gli agricoltori, tuttavia, avrebbero potuto lasciare a trifoglio il terreno vicino al sedime ferroviario. Come procedere?
Poniamoci due domande: 1) chi decide i comportamenti (chi è “proprietario”)? e 2) chi si sobbarca i costi (chi è responsabile)?
Le quattro possibili combinazioni: 1) La ferrovia è proprietaria, i contadini sono responsabili, 2) i contadini sono proprietari, la ferrovia è responsabile, 3) la ferrovia è sia proprietaria che responsabile, 4) i contadini sono sia proprietari che responsabili.
Nel primo caso la ferrovia puo’ produrre tutte le scintille che crede e non paga nemmeno i danni di un eventuale incendio, i contadini dovranno decidere se coltivare vicino ai binari a trifoglio o a grano. Nel secondo caso i contadini possono impedire ai treni di produrre scintille obbligandoli ad installare a un para-scintille. Nel terzo la ferrovia fa come crede ma si sobbarca il rischio d’incendio, quindi è possibile che decida di installare volontariamente il para-scintille. Nell’ultimo caso i contadini fanno quello che vogliono ma poiché sono responsabili potrebbero consentire l’emissione di scintille e arretrare le loro culture, oppure impedire l’emissione di scintille installando a proprie spese il para-scintille sui treni.
Qual è la soluzione più efficiente? Supponiamo che il danno causato dagli incendi nei campi di grano sia di 400 euro, il passaggio al trifoglio costa 800 euro e un parascintille costa 1.000 euro. Il costo degli incendi è inferiore al costo di entrambi i modi per prevenirli, quindi il risultato efficace è “Scintille + Grano”, tale risultato, almeno con la regola 1, si verifica senza bisogno di transazioni tra le parti.
Ragioniamo ora su una quantificazione differente: il passaggio al trifoglio ora costa 400 euro e gli incendi causano danni per 800. Con la regola 1, la ferrovia genera scintille. Gli agricoltori considereranno conveniente il passaggio al trifoglio, dal momento che i risparmi derivanti dall’eliminazione degli incendi valgono la pena di essere fatti. Ancora una volta non è necessaria nessuna transazione.
Infine, supponiamo che il costo di un parascintille scenda a 200 euro. Con la regola 1 la ferrovia è ancora legalmente libera di fare scintille se lo desidera. Ma ora è nell’interesse degli agricoltori comprare alla ferrovia un parascintille, poiché farlo costerà sempre meno che il passaggio al trifoglio. Tuttavia, questa soluzione richiederà una transazione che non sarà a costo zero, alcuni contadini potrebbero fingere di non essere interessati visto che tanto il parascintille favorirà anche loro. Certo, ci sono alcune contromisure al problema degli opportunisti, ad esempio, potrebbero redigere un contratto in base al quale ciascuno accetta di contribuire solo se tutti gli altri lo fanno. Questa soluzione dipende dal nostro presupposto che tutti gli agricoltori siano ugualmente a rischio di scintille ma come suggerisce questo esempio, la regola 1 fornisce molte opportunità di contrattazione, bluff, minacce e contromisure.
Nel caso della terza quantificazione è invece molto più semplice immaginare costi di transazione pari a zero con l’ Ipotesi 2, qui sono i contadini ad avere il diritto di proprietà assoluto; la ferrovia emetterà scintille solo con il permesso dei proprietari. Che succederà? Se il risultato efficiente è “zero scintille + grano” si realizzerebbe all’istante senza bisogno di transazioni. La ferrovia potrebbe comprare i permessi ma costerebbero più di un semplice parascintille, quindi non è nell’interesse della ferrovia farlo.
Ma, nel caso dell’ipotesi 2. le cose non filano lisce con la prima e la seconda quantificazione. Qui sembra efficiente che le scintille vengano prodotte indipendentemente dal passaggio al trifoglio. ma, poiché i proprietari sono i contadini, la ferrovia dovrebbe acquistare il permesso e potrebbe sorgere un problema di contrattazione visto che la controparte è numerosa e puo’ bluffare.
Passiamo ora alle ipotesi 1 e 2, quelle in cui chi decide è anche responsabile. La regola 3 sembra efficiente nella prima quantificazione: la ferrovia emette scintille e pagherà eventuali danni, anche se bisogna sempre considerare che le regole di responsabilità comportano procedimenti giudiziari costosi.
Bisogna sempre considerare che le regole di responsabilità comportano costi processuali. Il processo, poi, implica una misurazione del danno, operazione suscettibile di errore in quanto non sono a disposizione preferenze rivelate. Il rischio processuale puo’ essere aggirato con una transazione, la ferrovia va dai contadini e offre di acquistare il loro diritto al risarcimento pagando 800 euro (8 euro ciascuno), ma, proprio come con la regola 2, i contadini dovrebbero superare un problema di free riding.
Inoltre, la regola 3 potrebbe avere qualche problema con la seconda quantificazione, supponiamo infatti che passare al trifoglio costi 400 euro e gli incendi causano danni per 800. Se il tribunale misura semplicemente il danno causato dagli incendi, l’ovvia tattica per gli agricoltori è quella di coltivare grano, subire incendi e inviare il conto alla ferrovia. Possiamo risolvere questo problema consentendo alla ferrovia di forzare il passaggio al trifoglio finanziando l’operazione. Un tribunale sufficientemente ben informato, potrebbe rifiutare di assegnare agli agricoltori l’intero risarcimento di 800 euro sulla base del fatto che buona parte del danno è colpa loro poiché avrebbero dovuto passare al trifoglio. Se gli agricoltori passassero volontariamente al trifoglio, d’altra parte, potrebbero vedersi rimborsata questa operazione dalla ferrovia, anche in mancanza di incendi visibili.
Potrei continuare con le combinazioni, mi chiedo però se è possibile trarre una regola generale. Di solito, affidarsi al diritto di proprietà è la cosa migliore nel caso di valutazione problematica del danno. Un esempio reale è l’esternalità che impongo ogni volta che espiro: aumentando la quantità di anidride carbonica, contribuisco al riscaldamento globale. Il costo può esserci ma tutti noi siamo fiduciosi che continuare a respirare sopportando tutte le esternalità che ne seguono sia comunque la soluzione meno costosa al problema, quindi diamo a ciascun individuo il diritto di respirare, senza responsabilità per i costi che tale attività implica per gli altri.
La responsabilità civile è preferibile qualora il danno sia oggettivo (e quindi sono meno preziose le “preferenze rivelate”) e l’eventuale contrattazione sia esposta a free riding (il teorema di Coase aveva anticipato questa soluzione). Se sappiamo che i tribunali possono misurare i danni in modo accurato ed economico, tenendo conto di tutte le possibili precauzioni, le regole 3 e 4 diventano molto interessanti. Allo stesso modo, se i contadini potessero accordarsi facilmente, magari perché sono pochi e sono amici, la regola 1 diventa attraente, specie se i tribunali sono costosi e incompetenti nella valutazione del danno.
Un caso di danno oggettivo sono gli incidenti stradali: il tariffario dei carrozzieri è una buona approssimazione. D’altro canto, in casi del genere, contrattare a priori sul rischio è difficile. Non è un caso se in questo ambito si applichi il sistema della responsabilità.
Un caso di danno soggettivo sono i costi psicologici . C’è il caso, per esempio, del ladro gentiluomo che la notte ci ruba l’auto restituendocela la mattina nelle medesime condizioni: danni materiali oggettivi zero, danni psicologici alti (mi dà fastidio pensare ad un’azione del genere). La proprietà fornisce in casi del genere la protezione ideale.
Altri costi psicologici sono quelli legati all’azione di chi esercita la libertà d’espressione in modo offensivo, anche in questo caso funziona bene la proprietà: non puoi venire a casa mia ad offendere se non ti invito io. Sei libero di dire quello che vuoi se ti affitti una sala e inviti un pubblico avvertito.
Poi ci sono i casi difficili: costi psicologici inflitti in luogo pubblico ad un soggetto indistinto. Se Odifreddi parlando alla TV di stato dà del “cretino” ai cristiani infligge un danno soggettivo ad una moltitudine indistinta di persone. Non esiste né danno oggettivo, né contrattazione facile. Che fare? Anche qui si applica Coase: nel caso in cui i costi (processuali, valutativi, transazionali…) siano elevati la soluzione più pragmatica impone di lasciare le cose come stanno. E i cristiani si beccheranno l’insulto di Odifreddi senza poter essere risarciti. Diverso è il caso in cui Odi insulti i cristiani entrando in una Chiesa, lì la possibilità di accordarsi prima sui contenuti del discorso esiste.
In sintesi, non è possibile ricavare una regola univoca, solo “corti astute” e la “giurisprudenza” possono sopperire a questa lacuna. Studiosi come Richard Posner sostengono che la common law non ha fatto che “scolpire” nei secoli un diritto coasiano, ovvero efficiente. Personalmente ho qualche dubbio, ma l’opera è senz’altro meritoria.
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Facciamo ora qualche caso particolare: se mi esplode la coca in mano perché è stata agitata, chi sopporta le conseguenze dei danni che fa? Per rispondere al meglio a questa domanda occorre però approfondire il concetto di rischio e quello di assicurazione. Finora, infatti, abbiamo parlato di parascintille e trifogli ma, molto spesso, uno dei costi che deve affrontare il responsabile è un costo di natura assicurativa.
Cominciamo con il dissipare un equivoco che ci confonde allorché pensiamo al concetto di avversione al rischio. Supponiamo che ci sia una possibilità su cento che la mia casa brucerà quest’anno producendo un danno di 100.000 euro, cosicché decido di assicurarmi. La compagnia concorda con la mia stima probabilistica e conclude che, in media, finirà per pagarmi 1.000 sulla polizza. Oltre a pagare i sinistri, la compagnia assicurativa deve anche pagare gli stipendi, l’affitto dell’ufficio e simili, quindi si offre di assicurare la mia casa per un anno al prezzo di 1.100 euro. In media sto pagando un centinaio di dollari in più di quello che sto ricevendo, perché mai dovrei farlo? La risposta è che gli euro non sono tutti uguali. Se la mia casa brucia, sarò molto più povero, quindi i miei euro valgono di più di quelli dell’assicurazione.
Spesso il concetto di avversione al rischio viene confuso con quello di utilità marginale del denaro decrescente: io non stipulo certe polizze su eventi catastrofici a certe condizioni perché sono avverso al rischio ma perché, se dovessi ritrovarmi privato di tutto, il valore del primo euro che ricevo in risarcimento sarà per me enormemente più elevato rispetto al valore che ha un euro in più nel mio stipendio attuale.
Ma perché l’assicurazione stipula la polizza? Se gli azionisti della compagnia assicurativa hanno le mie stesse preferenze, perché sono disposti a chiudere il contratto? La risposta è che il trasferimento del rischio non lo elimina, ma, nel caso dell’assicurazione, lo mette in comune con altri abbassandolo. La compagnia assicurativa che assicura centomila case può prevedere con notevole fiducia che dovrà pagare circa mille incendi all’anno, non di più. Le altre polizze saranno un attivo netto.
Cio’ non toglie che anche l’assicurazione abbia le sue gatte da pelare: se mi assicuro, dopo potrei comportarmi da scapestrato, tanto non sarò mai io a pagare. Fortunatamente, il problema dell’azzardo morale non implica che l’assicurazione non debba esistere, ma solo che le compagnie assicurative progetteranno politiche in modo da addomesticare il problema. Un modo per farlo è quello di specificare le precauzioni che l’assicurato deve prendere, come l’installazione di un adeguato sistema di irrigazione. Un altro è che la stessa compagnia assicurativa sovvenzioni alcune precauzioni, come le ispezioni. Un approccio meno diretto è la franchigia: l’assicurazione si fa carico solo di parte del danno, il resto rimane sulle spalle dell’assicurato.
Ora che sappiamo come funziona il rapporto assicuratore/assicurato il legislatore è facilitato nell’immaginare un contratto tipo tra la coca cola e il consumatore qualsiasi al fine di attribuire ogni diritto a chi lo valuta di più. Una norma legale che renda responsabile la Coca-Cola in caso di esplosione di una bottiglia è, di fatto, un’assicurazione obbligatoria; la Coca-Cola sta assicurando i suoi clienti contro quel rischio particolare. Uno svantaggio è che così facendo si riduce l’incentivo dei clienti a porre attenzione nel maneggiare la bottiglia. D’altro canto, la Coca-Cola sarebbe incentivata a migliorare il controllo di qualità sulle bottiglie.
Siamo in una situazione simile a quella dei treni e dei contadini. La soluzione dipenderà dalla quantificazione specifica dei costi delle procedure per evitare il danno e dalla possibilità delle parti di contrattare.
Il mercato delle auto usate è particolarmente soggetto al rischio e all’ inefficienza dovuta da selezione avversa (una macchina usata in vendita ha più probabilità di essere difettosa rispetto ad una macchina usata qualsiasi). Cosa dovrebbe “segnalare” un venditore onesto? Saperlo è importante anche per il legislatore che cerca una legge efficiente.
Potrebbe per esempio fornire garanzie. Una disponibilità d questo tipo dimostrerebbe che sono i primi a credere in cio’ che promettono. Sfortunatamente, mentre una garanzia elimina l’inefficienza da selezione avversa, crea inefficienza da azzardo morale. L’acquirente, sapendo che qualcun altro pagherà per le riparazioni, ha un incentivo a trascurare la cura dell’auto. Purtroppo, una soluzione ottimale non esiste, bisogna affidarsi alla reputazione del venditore (grazie alla tecnologia dei nuovi media è più facile).
Ci sono strategie anche per il compratore di auto usate: un mio amico compra sempre auto usate e ha escogitato un modo ingegnoso di indurre i venditori a rivelare le loro informazioni private. Dopo aver individuato un’auto che gli piace, chiede al venditore se è disposto, dietro un pagamento aggiuntivo, a fornire una garanzia supplementare di un anno. Se il venditore rifiuta, il mio amico cerca altrove. Quando trova un venditore che ci sta, compra l’auto senza la garanzia supplementare. Naturalmente il metodo funziona solo se il venditore non ti conosce.
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La responsabilità civile e il sistema della proprietà puniscono il “colpevole” dopo che ha commesso il danno, i criteri adottati per individuare un colpevole e le relative punizioni li abbiamo più o meno visti. Che dire invece di quelle leggi che “puniscono gli innocenti”, ovvero coloro che non hanno commesso alcun danno né violato alcuna proprietà? Mi riferisco a norme che colpiscono l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, la mancata revisione del veicolo, eccetera. In fondo, chi si rende colpevole di mancanze del genere non ha danneggiato nessuno.
Pensiamo al caso del tentato omicidio: non crea alcun danno a nessuno e non viola nessuna proprietà. Ti sparo e il proiettile va invece contro un albero. Giudicato ex post, in base al danno arrecato, non dovrebbe esserci alcuna punizione: sia tu che l’albero state benone. Il fatto è che se sparate a qualcuno nell’intento di colpirlo rischiate di colpirlo sul serio. Così come rischiate incidenti se viaggiate a 150 all’ora in autostrada, magari brilli.
Punire i colpevoli (punizioni ex post) ha un vantaggio importante rispetto al punire gli innocenti (punizioni ex ante): rendendo il conducente responsabile solo per i danni che procura, sfrutta la sua conoscenza privata; se io so di essere un abile guidatore, per esempio, mi riterrò autorizzato a viaggiare più veloce della media. La punizione ex ante, invece, dà la precedenza all’informazione pubblica facendo in modo che io prenda le precauzioni considerate opportune dal legislatore e dal vigile. Tale limite di velocità è lo stesso per l’adolescente imbranato e per Ayrton Senna, non distinguendo tra competenti e incompetenti puo’ apparire assurdo, ma talvolta non lo è.
Le punizioni ex post sono anche molto più facili da osservare. La cosa più pericolosa che faccio in macchina, per esempio, è prestare eccessiva attenzione alla conversazione con il passeggero, eppure non ho mai avuto una multa per simili imprudenze. Le punizioni ex ante, infatti, possono essere imposte solo ai comportamenti che un poliziotto può osservare, il che rappresenta un loro limite.
Chi è incline a “punire gli innocenti” di solito viene chiamato “paternalista”, un’alternativa possibile al paternalismo è l’informazione. Se i legislatori pensano di conoscere la situazione di I meglio di I, allora potrebbero limitarsi ad informarlo anziché punirlo ex ante, magari anche sottoporlo ad un esame.
Ma la funzione principale delle punizioni ex-ante è costituita dai limiti di solvibilità del danneggiante. Facciamo un parallelo due casi che assumiamo come equivalenti in termini di efficienza. Nel primo, secondo la pura regola ex ante, pagherai multe per duecento dollari ogni anno per eccesso di velocità e, se ferisci una persona o danneggi l’auto di un terzo in un incidente, non hai nessuna penalità. Nel secondo caso, secondo la pura regola ex post, non ci sono limiti di velocità, e ogni anno hai una possibilità su mille di essere coinvolto in un incidente e dover pagare 200.000 euro. Sfortunatamente, non hai duecentomila euro nel tuo c/c, quindi il risultato di un incidente è che perdi tutto ciò che possiedi, compresa la tua casa, e devi passare i prossimi cinque anni a lavorare sessanta ore alla settimana per rimborsare il resto dell’ammenda.
La punizione ex post a volte costituisce un costo netto. Supponiamo che l’ammenda ex post necessaria per darti un incentivo adeguato per evitare incidenti sia di dieci milioni di euro, ma tu non pagherai mai un simile risarcimento. La reazione ovvia è quella di passare dalle multe ad altri tipi di punizioni, come per esempio la pena di morte o la reclusione in carcere. Ma in questi casi cio’ che perdi (vita o libertà) non viene guadagnato da nessun altro. Anzi, noi tutti dobbiamo pagarti vitto e alloggio in prigione, compreso il danneggiato. Un altro vantaggio della pena ex ante, allora, è che può essere costruita in modo efficiente utilizzando multe facilmente pagabili.
Il problema con la punizione ex ante, piuttosto, è che nessuno è interessato ad isolarne una forma efficiente, e neanche ad applicarla in modo efficiente. Perché mai un legislatore dovrebbe impegnarsi in questo compito?
Una soluzione possibile a questo problema di public choice sono le punizioni ex-post con assicurazione associata. Annulliamo tutti i limiti di velocità e imponiamo un’assicurazione. Gli sviluppi sarebbero abbastanza prevedibili: l’assicurazione promulgherà il codice della strada (laddove possibile personalizzato) e gestirà i vigili. Rispetto ad un legislatore, sarebbe incentivata a ricercare l’efficienza. la legge verrebbe sostituita da clausole contrattuali.
Abbiamo visto che nel caso di un tentato omicidio le punizioni ex ante possono essere razionali, Che dire del caso dell’omicidio impossibile? Penso a quel tale che vorrebbe ucciderti infilzando spilloni nella tua bambolina. Dovremmo punire i tentati omicidi impossibili?
Chi infila spilloni potrebbe presto venire a conoscenza di metodi più efficaci, forse è meglio dargli una calmata. O no? Una politica di punizione ex ante per i tentativi impossibili di omicidio tende a scoraggiare i veri omicidi, ovvero il passaggio dalle bamboline al veleno.
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Dopo aver constatato che i costi di transazione sono la variabile fondamentale che un ordinamento giuridico deve considerare, possiamo aggiungere che la teoria dei giochi è uno strumento talvolta utile per risolvere delle questioni ricorrenti.
La teoria dei giochi studia le situazioni con elevati costi di transazione, in particolare i monopoli bilaterali e il dilemma dei prigionieri. Prendiamo il primo caso e vediamo una conseguenza in ambito giuridico, in particolare sulla natura dei patteggiamenti. Nel patteggiamento ci si accorda per uno sconto di pena a fronte di una sentenza immediata. La critica comune è che in tal modo ce la si cava con poco. In effetti, uno pensa, l’imputato accetta solo quando gli conviene, l’istituto è ritagliato sulle sue esigenze. Dopodiché, parte la canonica indignazione giustizialista.
Mi sembra che le cose non stiano esattamente in questi termini, lo vedo nelle commissioni tributarie dove non accordarsi con l’Ufficio e intraprendere un contenzioso è diventato ormai un azzardo mortale. E, del resto, l’Ufficio non manca mai di ricordartelo con mille allusioni. In parole povere, l’imputato stava molto meglio prima, altro che “istituto ritagliato sulle sue esigenze”.
La dinamica che ci sta sotto è piuttosto contro intuitiva, provo a descriverla con un esempio. Considerate la situazione di un ipotetico PM che ha sulla scrivania cento casi all’anno con un budget di 100.000 euro da spendere. Cio’ significa solo mille euro da spendere per indagare e perseguire ogni caso. Ebbene, se il PM riuscisse a spingere novanta imputati al patteggiamento, potrebbe poi concentrare tutte le sue risorse sui dieci che rifiutano, spendere diecimila euro per ogni caso e ottenere un tasso di condanne del 90 percento. Cio’ significa che rifiuterà qualsiasi patteggiamento in cui la prospettiva di condanna sia per lui peggiore a quota 90%. Tutti gli imputati, del resto, starebbero molto meglio se nessuno di loro accettasse l’offerta di patteggiamento – che è poi la condizione precedente all’introduzione dell’istituto – ma poiché prima o poi la slavina partirà, l’istituto finirà per danneggiare le prospettive di quasi tutti gli imputati. Come tutte le leggi, anche il patteggiamento sembra fatto su misura per la burocrazia, che del resto questo leggi le scrive e le consegna nelle mani del politico utile idiota.
Il dilemma del prigioniero è il classico caso in cui, per mancanza di coordinamento, due persone razionali finiscono per danneggiarsi. Ci fa scoprire il ruolo essenziale delle regole: coordinare gli individui. Se due automobilisti giungono insieme all’incrocio che fanno? Possono essere individui perfettamente razionali e tuttavia incorrere in un incidente. La soluzione consiste nel “tenere la destra”, ovvero in una regola meramente convenzionale, completamente amorale e che azzera i costi di transazione.
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La domanda centrale per l’economista che si occupa del diritto è sempre la stessa: è possibile una depenalizzazione universale dei reati? Se solo il civile ha pene efficienti (senza costi netti) perché non depenalizzare tutto? La distinzione tra penale e civile, in fondo, porta a realtà processuali ridondanti poco comprensibili anche all’uomo della strada.
O. J. Simpson, tanto per dire, fu dapprima assolto dal crimine di aver ucciso sua moglie (sede penale) e poi condannato per il crimine di aver ucciso sua moglie (sede civile). In un altro processo celebre, Michael Jackson è stato accusato di molestie su minori. La causa civile si è risolta in via stragiudiziale, a quel punto è stata archiviata la causa penale, presumibilmente perché i testimoni non erano più disposti a testimoniare.
Perché il furto è considerato un crimine anziché una semplice infrazione? Perché esistono standard di prova diversi a seconda che l’illecito sia considerato civile o penale? La depenalizzazione universale non è un’utopia visto che nella storia è già esistita, per oltre tre secoli presso gli antichi islandesi, ad esempio.
Nel penale è il PM a perseguire il colpevole, nel civile è la vittima. La vittima di un reato potrebbe non avere risorse sufficienti per perseguire chi lo ha perseguitato. Questo problema può essere risolto rendendo trasferibili le richieste di risarcimento, come è stato fatto nel periodo delle saghe islandesi. Una vittima con risorse inadeguate vende a terzi la sua rivendicazione. E qui sorge un primo problema: alcuni reati causano offese talmente gravi che nessuno avrebbe reali incentivi a perseguirli. Anche in ambito civile, però, assistiamo a soggetti gravemente lesionati, ma cio’ non implica necessariamente una paralisi. Si potrebbe ovviare rendendo trasferibile il diritto al risarcimento per lesioni non ancora contestate, comprese quelle non ancora verificate.
Un problema spinoso sarebbe quello degli insolventi: i danni prodotti da un crimine sono elevati, molti criminali non avrebbero comunque mezzi per compensare la vittima, la quale sarebbe disincentivata a perseguirli, ma così facendo verrebbe a mancare la giusta deterrenza. Solo schiavitù ed espianto degli organi da poter rivendere potrebbero far fronte a questo ostacolo.
C’è sempre l’alternativa che sia lo stato a risarcire: lo stato potrebbe pagare i risarcimenti per conto dei trasgressori insolventi, e poi istituire sanzioni penali contro di essi in modo da produrre deterrenza. Sarebbe come istituire dei buoni giustizia così come esistono i buoni scolastici: io – o la persona a cui ho trasferito il mio diritto al risarcimento – ha fatto giustizia e va compensato. Si combinano la giustizia privata e i finanziamenti pubblici.
Dopodiché, va detto che anche senza la prospettiva di un risarcimento, esiste pur sempre un incentivo a produrre deterrenza privata. Considera un reato per il quale il rendimento medio derivante dalla cattura e dalla punizione di un trasgressore è negativo: costa di più catturarlo e condannarlo della taglia, chiamiamola così, che si incassa. Le vittime, anziché incassare da coloro a cui vendono il diritto al risarcimento, devono pagarli, è una vendita a prezzi negativi, tuttavia lo si potrebbe fare ugualmente per produrre deterrenza. La potenziale vittima, infatti, vuole che i potenziali trasgressori sappiano che se commettono un reato contro di lei rischiano grosso. La cosa funziona per reati per i quali è possibile trasformare la deterrenza in un bene privato, come il furto con scasso. Non funziona quando l’operazione non è possibile, ovvero quando l’autore del reato non puo’ conoscere in anticipo chi sarà la sua vittima., per esempio nel caso delle rapine in autostrada.
Si noti che il meccanismo della deterrenza privata è molto più efficace nel penale che nel civile. Per fortuna, mentre le persecuzione dei reati che comunemente classifichiamo come penali ha spesso un prezzo negativo, è anche più probabile che siano compiuti verso persone mirate, e di conseguenza che si possa produrre deterrenza privata. Uno scassinatore che decide quale casa svaligiare può scegliere di evitare le case con proprietari che hanno venduto il diritto al risarcimento, a prescindere dal fatto che il prezzo fosse negativo. Un autista non può calibrare il suo livello di attenzione in modo da tenere conto se incrocia auto con proprietari che hanno venduto il loro diritto al risarcimento.
Ci sono poi obiezioni più sofisticate alla pandepenalizzazione, come quella formulata da Richard Posner: per ogni reato esiste una quantità ottimale. A nessuno interessa azzerare gli stupri, interessa che se ne compiano un numero che reputiamo ottimale. Ecco, ma una volta privatizzata l’applicazione della legge – e quindi affidata ad agenzie che operano con efficacia differente – non abbiamo più modo di controllarla. Un sistema statale uniforme potrebbe impostare le probabilità di cattura in modo da ottenere la quantità ideale di cui sopra venga raggiunta. In soldoni: poiché la pena ottima dipende dalla probabilità di cattura, se ci sono molti procuratori (privati) calcolare questa probabilità (e quindi anche la pena) diventa impossibile. Una possibile risposta: istituire pene variabili a seconda della vittima (in sostanza “pene probabili”). Va infine sempre ricordato che anche se il sistema depenalizzato resterebbe inefficiente, per giudicarlo non dobbiamo confrontarlo con un sistema ideale ma con quello attuale.
C’è un motivo fondamentale per cui i criminali sono spesso “insolventi” e quindi punibili solo in modo inefficiente con costi netti per la comunità: si tratta di delitti difficile da perseguire, quindi con una probabilità di condanna bassa, la conseguenza è che le sanzioni sono molto elevate, il che rende insolvente il condannato. Cosa voglio dire, essenzialmente che domani, nel mondo delle telecamere diffuse, oltre ad assistere ad una diminuzione del crimine, la caccia al criminale sarà molto più facile e soprattutto “privatizzabile”, il che, in prospettiva, favorisce l’ipotesi di una depenalizzazione universale.
C’è poi il problema delle frodi e dei falsi colpevoli, come insegna la storia di un sistema depenalizzato come quello inglese dei secoli scorsi. In qualsiasi sistema in cui i risarcimenti vengono venduti, esiste un incentivo a individuare falsi colpevoli. Il sistema criminale inglese ha riscontrato questo problema a metà del XVIII secolo. A causa della preoccupazione che gli incentivi per azioni penali private fossero troppo bassi, la Corona ha stabilito notevoli ricompense per il perseguimento di determinati reati come la pirateria. Il risultato fu una serie di scandali in cui il presunto colpevole era in realtà stato incastrato dai cacciatori di taglie.
Il problema delle frodi forse spiega l’assenza in ambito civile di un moltiplicatore del danno (ovvero di un risarcimento suppletivo che compensi la possibilità di farla franca). Se chi subisce un danno vince la causa, e le probabilità di vittoria non sono pari a uno, come è lecito attendersi, allora di fatto riceverà un risarcimento che sarà inferiore al danno subito. La soluzione ovvia sarebbe quella di aumentare il risarcimento, una spiegazione alla mancanza dei moltiplicatori di risarcimento è che la loro presenza incentiverebbe le frodi e la caccia al falso colpevole.
Torniamo alle caratteristiche del crimine: la condanna richiede standard di prova elevati, intenzionalità, un processo con tanto di giuria, pene più severe del danno arrecato, e multe dovute allo stato più che alla vittima. Inoltre, la commissione di un crimine degrada moralmente il colpevole (stigma sociale). Ci si chiede se abbia senso che tutte queste caratteristiche vadano insieme.
La risposta è complicata e i casi ambigui fioccano. Prendiamo le multe: sono utilizzate nel diritto penale, ma tendono ad essere utilizzate per atti che hanno molte caratteristiche del danno unito in sede civile.
Lo standard di prova più elevato nel penale è spiegato dalla sua inefficienza: abbiamo già visto che la sanzione di un crimine rappresenta un costo netto sociale, quindi ha senso combinare punizioni meno efficienti con standard di prova più elevati. Del resto, lo abbiamo appena visto, rendere efficiente il sistema penale lo mette a rischio frodi e barbarie come schiavitù ed espianto organi.
Anche lo stigma ha una sua spiegazione: quando le pene sono costose per la collettività e/o quando c’è rischio di insolvenza la pena dello stigma puo’ sopperire a queste lacune.
Capire se sia più efficiente classificare un illecito come penale o come civile è un gran casino poiché bisogna valutare almeno tre fattori: incentivi per commettere reati, incentivi per perseguirli e incentivi per prevenirli.
In un “mondo delle telecamere”, ovvero in un mondo in cui applicare la legge ha un costo vicino allo zero, molte situazioni si capovolgerebbero. Prendiamo l’investimento di un pedone: potremmo tentare di combattere tali incidenti considerandoli un illecito civile in cui il conducente dell’automobile è responsabile nei confronti della vittima per il danno arrecato: oppure con una norma penale, in cui il conducente paga una multa non destinata a risarcire la vittima. Dal punto di vista dell’autista, le due regole generano lo stesso incentivo visto che prevedono penalità simili. Con la regola dell’illecito civile il pedone è completamente risarcito, ne consegue che non ha incentivi a prendere precauzioni. Con la regola penale, d’altro canto, il pedone si sobbarca il costo dell’incidente, ne consegue che ha un incentivo adeguato per prendere precauzioni e prevenirlo.
Prendiamo ora il caso del furto in casa, anche qui assistiamo ad un capovolgimento. Supponiamo che l’ordinamento stabilisca una sanzione per furto con scasso pari al danno realizzato. Adesso consideriamo il caso di scuola del cacciatore affamato che si è perso nel bosco e si imbatte in un cottage, fa irruzione, si nutre e telefona per un aiuto. Di fatto il proprietario del cottage potrebbe anche non mettere la serratura, il livello ottimale di precauzioni per prevenire il furto con scasso è pari al livello di precauzioni che un supermercato deve adottare per impedire ai suoi clienti di acquistare la sua merce: zero. Se l’ordinamento considerasse il furto con scasso un crimine, il criminale danneggia la vittima per pagare poi allo stato, quindi la vittima avrà un incentivo a prevenire il furto con scasso, ma questo fatto renderebbe più dura la vita ai cacciatori sperduti, il che rappresenta un’inefficienza. la conclusione è che il furto con scasso dovrebbe essere considerato un illecito civile.
Dall’analisi si ricavano due conclusioni. La prima: esiste una serie di reati che sono particolarmente difficili da gestire per la giustizia privata, sono i reati a prezzo negativo con vittime anonime. Tali reati forniscono un’argomentazione plausibile contro la pan-depenalizzazione. La seconda: l’attuale classificazione degli illeciti in illeciti civili e reati penali ha al massimo una modesta relazione con una discriminazione efficiente.

lunedì 1 giugno 2020

LA RESPONSABILITA' AL TEMPO DEL COVID.
In tempi di pandemia, siamo talmente abituati a veder calare norme dall'alto che non pensiamo ad affrontare le relazioni in termini di responsabilizzazione personale. Critichiamo il governo per quello che fa ma non ci passa neanche per la testa di chiedere una responsabilizzazione.
Esempio 1: Prendiamo il rapporto tra padroni e lavoratori. Come andrebbe improntato? Se un lavoratore si ammala chi deve essere ritenuto responsabile?
In questi casi, di solito, ci si pone due domande: "chi decide?", e 2) "chi paga?". La prima domanda vuole capire chi ha il diritto di prendere le decisioni sui comportamenti da tenere, la seconda chi rifonde gli eventuali danni che si creano.
Tenuto conto che anche i soggetti in campo sono due - Padrone (P) e Lavoratore (L) - vediamo le quattro possibili combinazioni che si creano.
1A: decide P e paga P. Non funziona: P puo' decidere solo sulla vita lavorativa di L (8 ore per 5 giorni la settimana), un tempo minimo. Come puo' P essere responsabile di un contagio che puo' verificarsi in tempi e luoghi in cui lui non esercita alcun controllo?
1B: L decide e L paga. Non funziona, L è un soggetto numeroso e le varie preferenze potrebbero entrare in conflitto. E poi, anche guardando a L come soggetto unico, si tratta pur sempre di un soggetto che non partecipa agli utili dell'impresa, le sue decisioni sarebbero inefficienti poiché finirebbero per trascurare una variabile importante.
1C: decide P e paga L. Potrebbe funzionare. In fondo, anche P è interessato alla buona salute di L, ed L puo' sempre rivolgersi ad altri P qualora sia scontento del trattamento.
1D: decide L e paga P. I malfunzionamenti rilevati in 1B e 1C sarebbero ancora più esasperati.
Esempio 2: veniamo al rapporto tra commerciante (Co) e cliente (Cl). Le domande sono sempre quelle: chi decide? Chi paga? Le quattro combinazioni:
2A: decide Co e paga Co. Non funziona, sarebbe impossibile sapere se Cl si è infettato nel mio negozio.
2B: decide Cl e paga Cl. Impossibile, le decisioni dei tanti Cl possono entrare facilmente in conflitto tra loro: io, che sono molto prudente, potrei accedere al negozio perché vuoto, nel frattempo un cliente meno prudente di me potrebbe entrare successivamente pregiudicando la mia prudenza.
2C: decide Co e paga Cl. Fattibile, in fondo se Cl è scontento di come si organizza l'accesso al negozio puo' sempre rivolgersi altrove.
2D: decide Cl e paga Co. I difetti di 2B e 2A sarebbero ancora più macroscopici.
Alla fine penso che 1C e 2C siano le uniche soluzioni sensate.

Con la pancia capisco il lockdown, con la testa meno. Perché? Da un lato per una paura istintiva, dall'altro per una forte presunzione a favore della libertà. Non puoi ordinare alle persone di "rimanere a casa" come misura prudenziale, hai l'onere di dimostrare che i benefici così ottenuti superano drasticamente i costi, e quando dico "drasticamente" intendo con un rapporto di almeno 5 a1. Quasi nessuno ha nemmeno provato a sobbarcarsi questo onere.

Consentire ad un governo di "sbagliare per eccesso di prudenza" significa spianare la strada all'oppressione. Gli individui, al contrario, hanno tutto il diritto di sbagliare per eccesso di prudenza.

L'estrema eterogeneità del rischio, poi, mette in evidenza una chiara alternativa alle politiche adottate: le persone sane avrebbero dovuto tornare a una vita approssimativamente normale, mentre le persone con disturbi di base avrebbero dovuto essere molto più prudenti. Chiudere tutto significa somministrare la stessa medicina a tutti i malati.