lunedì 18 dicembre 2017

Sesto passo: Dio è buono (e ci offre il Paradiso)

Sesto passo: Dio è buono (e ci offre il Paradiso)

Presto il mondo finirà, questa è opinione comune nel mondo razionalista. Per i credenti cristiani, in questa fase, il Figlio tornerà per giudicare i vivi e i morti.
Fare il bene è un dovere/piacere in sé ma è giusto che i meritevoli siano ricompensati.
Il piano della salvezza contempla un fattore utilitarista (un premio per chi fa bene), inutile negarlo. Il Cristiano non è uno Stoico.
La salvezza è resa possibile da un intervento divino – Grazia – ma anche da uno sforzo del “salvato” che si fa incontro a questo aiuto provvidenziale.
La vita è un test in vista di un giudizio, chi lo supera sarà premiato: Dio non giudica la comunità, la famiglia, Dio giudica noi. Ci giudica a quattr’occhi, a testimonianza della nostra libertà personale.
Il cristianesimo ha un’ innegabile vena individualista, anche se la cosa non si puo’ dire apertamente.
Il Paradiso – un posto dove saremo sempre felici – è il nostro premio.
Non si tratta di un premio così misterioso: noi sperimentiamola felicità già su questa terra.
L’utilitarismo del cristianesimo non è disumano: capita spesso che i genitori offrano compensi e dispensino punizioni in ambito educativo. Tuttavia, sarebbe sbagliato puntare esclusivamente su quello.
E infatti il Paradiso puo’ essere visto come qualcosa di diverso da una mera ricompensa.
Solo coloro a cui “piace” fare del bene saranno ricompensati.
In altri termini, ricorrendo ad un esempio: in Paradiso la nostra sete di conoscenza sarà appagata, cosicché quanto più abbiamo sviluppato una legittima sete di conoscenza, tanto più saremo appagati e felici.
In questo senso, non penso che in Paradiso tutti saranno appagati alla stessa maniera, probabilmente anche lì ci saranno dei “gironi” in cui verrà stabilita una gradualità.
Gli incorreggibili andranno invece all’inferno. Certo, Dio potrebbe mutare il loro carattere ma cio’ significherebbe interferire con la loro libertà. L’ esistenza dell’ Inferno discende da un rispettoradicale di Dio verso l’autonomia dell’uomo. L’inferno, presumibilmente, non è vuoto per il semplice fatto che l’uomo non è un pupazzo.
Alcune persone non hanno avuto tempo di formare un loro carattere, magari perché sono morti giovani. Che trattamento riservare a costoro?
Potrebbero rinascere e vivere un’altra vita, una specie di reincarnazione, anche se pensarci in un corpo diverso dal nostro è leggermente disturbante.
Oppure potrebbero essere giudicati benevolmente, anche in virtù del fatto che la loro vita terrena è stata sacrificata per altri fini (vedi il primo passo alla sezione del male naturale). Qui a risentirne è la giustizia: perché alcuni sottostanno ad una prova mentre altri sono salvati da una mera benevolenza?
Un’alternativa è sottoporre costoro ad una prova supplettiva nell’al di là.
Ma è disturbante anche pensare che la vita non sia una prova necessaria, che si puo’ ricorrere ad alternative.
C’è l’ipotesi che Dio giudichi con cio’ che ha in mano. A volte però ha in mano poco più di niente, pensiamo solo al bambino abortito.
Probabilmente è vera l’ipotesi che media tra le precedenti: Dio giudica con quello che ha in mano integrandolo con delle prove supplementari (Purgatorio?) che, sebbene imperfette, migliorano comunque il suo giudizio, il tutto in un’attitudine di misericordia. Io non scarterei nemmeno forme di reincarnazione.
La dottrina cristiana della vita ultraterrena ricalca in effetti queste considerazioni.
Nel Credo si dice che Dio giudicherà i vivi e i morti in vista del Paradiso e dell’Inferno. Per il cristianesimo i giusti saranno premiati e i cattivi puniti. Il tutto in linea con il nostro istinto e la nostra ragione in materia di giustizia.
Non è necessario pensare all’inferno come ad unluogo di punizione tradizionale: basta pensarlo come un luogo in cui il desiderio di fare del male è frustrato. In questo senso il malvagio viene vessato e reso infelice.
E qual è la sorte dei non-cristiani: extra ecclesiam nulla salus?
Molti grandi maestri – inclusi Agostino e Tommaso – hanno pensato che una salvezza sia possibile anche al di fuori della Chiesa, e questa impostazione è stata confermata nel Vaticano II.
Ma come è possibile un simile evento? Il punto è problematico e merita un approfondimento a parte (*).
Altro problema: chi è già morto deve aspettare la fine del mondo per un giudizio definitivo?
E’ un po’ difficile pensare che costoro siano già in paradiso visto che la resurrezione cristiana contempla anche una resurrezione dei corpi. Io preferisco pensarli come addormentati e in attesa.
E i bambini (battezzati e non)? Ci sono varie dottrine relative al Limbo. Forse è meglio sospendere il giudizio o stare alle ipotesi che si sono formulate per le persone dal carattere non formato.
***
(*) Extra ecclesiam nulla salus? Il concetto di “fede implicita”
Non ci si salva fuori dalla Chiesa?
E gli antichi? Tutti dannati? E i bambini che nascono a Bali? Tutti dannati?
I teologi dicono che la fede nella Chiesa puo’ essereesplicita o implicita. Entrambe salvano. La seconda è disponibile per chi ignora senza colpa il messaggio evangelico.
Partiamo da un assunto: la nostra radicale libertà costringe Dio a metterci alla prova per poterci giudicare.
Non puo’ farlo a priori poiché la sua onniscienza trova un limite nella nostra libertà. E’ chiaro che il suo giudizio finale dipenderà dall’ esito della prova, e l’ esito, a sua volta, sarà apprezzato in relazione alla difficoltà relativa implicita nella prova stessa.
Ma veniamo al dunque e cerchiamo aiuto in un’analogia.
Un primo gruppo di persone si trova in un bosco ed è richiesto di trovare la via per la casa. In questo modo sarà possibile giudicare il loro senso dell’orientamento.

Un secondo gruppo di persone viene posto nelle medesime condizioni ma viene anche dotato dibussola.
Il giudizio dipenderà dall’esito ma anche dalle diverse condizioni in cui opera chi appartiene al primo gruppo rispetto a chi appartiene al secondo gruppo. Esiti differenti possono dar luogo a un giudizio analogo, e questo in virtù dei differenti punti di partenza differenti. E’ chiaro infatti che gli appartenenti al primo gruppo saranno mediamente molto più approssimativi nello svolgere il loro compito. Questa approssimazione verrà neutralizzata nel giudizio finale.
Nota che tutto cio’ è compatibile con la fede nella bussola. Ovvero, noi possiamo credere infallibile quella bussola e pensare al contempo che anche membri del primo gruppo si siano salvati portando a termine con successo la loro prova, e magari nella stessa quantità del secondo gruppo. Ai membri del secondo gruppo infatti è richiesto di più in termini assoluti. Inoltre, possono pur sempre rifiutare la bussola oppure non imparare a maneggiarla nel giusto modo. D’ altro canto, sappiamo bene che non seguire le indicazioni della bussola ci metterà fuori strada, ed è questa la sorte in cui cade l’ infedele (alla bussola).
Resta un problema: perché ad un certo punto si è deciso di donare agli uomini  una bussola?
Evidentemente, questo dono è un atto d’ amore da parte di Dio, ma attenzione: perché mai dovrebbe essere un atto d’ amore se chi è senza bussola si salva nelle stesse percentuali? Qualora le percentuali fossero diverse saremmo di fronte ad un ingiustizia: gli uomini post-rivelazione avrebbero un trattamento di favore.
Si noti che l’enigma puo’ essere tradotto in questi termini: “perché tanta varietà nel mondo?”,“perché tanta diversità?” “perché ogni uomo richiede un contesto ad hoc per essere giudicato?” Perché Dio dà ad alcuni la bussola e ad altri no e poi giudica secondo due metri diversi? Non avrebbe potuto darla a tutti e giudicare secondo un unico metro? Possibile risposta: no perché nella nostra libertà siamo tutti diversi, al punto da richiedere prove sempre diverse.
Se siamo tutti diversi occorre una molteplicità cangiante di contesti: un mondo con la bussola, un mondo senza bussola, un mondo ricco, un mondo povero… Nemmeno l’aggiustamento del giudizio compensa la nostra diversità! Noi siamo unici e il mondo cambia per fornire banchi di prova sempre differenti.
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Quinto passo: Dio è un modello (e ci insegna a vivere)

Quinto passo: Dio è un modello (e ci insegna a vivere)

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, che probabilmente coincide con il Dio cristiano e che è un Dio d’amore. Un Dio del genere probabilmente cistarà vicino facendosi uomo  e allevierà la nostra condizione. Ma noi cosa possiamo fare noi per lui?
Essenzialmente una cosa: per “risarcire” Dio dei nostri peccati siamo tenuti a vivere una vita perfetta.
Non ci riusciremo mai – e infatti Gesù l’ha fatto al nostro posto – tuttavia dobbiamo pagare il nostro debito per quanto possiamo, dobbiamo mostrare di fare quanto in nostro potere.
Come vivere una vita perfetta? Il primo problema èinformativo: dobbiamo sapere molte cose. Possiamo arrivare a comprendere cio’ che è dovuto, in fondo la morale di base è comune a tutti gli uomini dotati di ragione, ma ci sfugge necessariamente tutto cio’ che è lodevole.
Innanzitutto ci sono dei particolari insidiosi anche nella morale necessaria: uccidere è sbagliato. Ma uccidere un feto? E uccidere un agonizzante? La Rivelazione ci puo’ illuminare su particolari tanto insidiosi.
Detto questo è comunque logico chiederci: ma perché non basta pagare il “giusto”? Perché si rende necessario il “lodevole”? Perché insomma Dio ci impone degli obblighi ulteriori rispetto a quelli della morale di base?
Ci sono essenzialmente due motivi comprensibili dalla ragione umana: uno esistenziale e uno comunitario.
Motivo comunitario: condividere dei valori realizza un coordinamento. Se non vi fidate della dottrina cattolica consultate pure la teoria dei giochi.
Imponendo un giorno comune per la festa, per esempio, si coordinano le relazioni comunitarie.
Da quanto detto si scorge la natura politica della religione cristiana.
Per fare un parallelo: comprendiamo bene che ungoverno politico bandisca l’omicidio ma perché mai dovrebbe imporci di guidare tenendo la destra? Non ha nessun contenuto morale un comando del genere, eppure è imposto in modo coercitivo. La risposta in questo caso è evidente: per realizzare un coordinamento, ovvero la funzione primaria dei governi politici.
In questo senso bisogna ammettere che quando i cristiani non sono maggioranza nella comunità, e da quando la laicità si è fatta strada, viene in parte meno questo motivo “politico” legato al “lodevole”.
Ce n’è però un secondo, il cosiddetto motivo esistenziale: puntare in alto rende più soddisfacente la nostra vita. Il piacere dei sensi non è tutto, occorre che l’uomo si senta realizzato per vivere una vita appagante. Se non vi fidate della dottrina cattolica consultate pure la scienza psicologica.
Se l’impegno che ci viene richiesto domanda un investimento non banale in termini di energie personali, la nostra personalità fiorisce. Difficile sentirsi realizzati limitandosi a non uccidere il fratello, molto più facile esserlo aiutando lo sconosciuto o compiendo un gesto eroico.
Ogni buon genitore, d’altra parte, impone ai figli doveri che oltrepassano la comune morale. Fare l’elemosina in favore dei bambini africani non è un dovere in senso stretto ma il buon genitore abitua così il figlio alla magnanimità d’animo e a perseguire mete elevate che vanno al di là dello stretto indispensabile e danno un senso più compiuto alla propria esistenza…
Si noti che molte azioni di coordinamento sono pressoché arbitrarie: tenere la destra equivale a tenere la sinistra, cambia poco. Questa arbitrarietà fa sì che la ragione umana stenti ad individuarle. Anche per questo diventa decisivo che a fissare la regola sia una voce autorevole, in modo da realizzare “conoscenza comune”. In poche parole, si rende necessaria una rivelazione divina. Noi sappiamo che rubare è sbagliato ma non sappiamo il giorno in cui andare a messa o fare digiuno.
Questa esigenza di una voce autorevole è sentita sia dalla ragione che dalla religione storica. Nella religione cristiana, per esempio, Dio ha parlato all’uomo (si è rivelato) più volte.
Nel Credo si dice chiaramente che Dio si è rivelato all’uomo attraverso i Profeti.
Questa Rivelazione assume la sua pienezza con la vita di Gesù. Nell’insegnamento di Cristo e nell’ insegnamento della Chiesa di Cristo i doveri del buon cristiano si sono estesi a dismisura.
L’amore che ci ha insegnato Gesù va ben al di là dei dieci comandamenti. Con lui molti atti eroici diventano un dovere. La preghiere e l’adorazione devono essere continue. Alcuni obblighi, come quelli sessuali e famigliari non sembrano immediati ma sembrano piuttosto eccedere i doveri individuati dalla ragione: se l’adulterio appare a tutti come una scorrettezza, non è così per i rapporti pre-matrimoniali. E’ chiaro che il messaggio di Gesù non è solo strettamente etico ma comunitario: Gesù è il fondatore di una comunità armoniosa (la Chiesa).
L’ universalità del comando divino fa sì che molte situazioni speciali non saranno disciplinate al meglio. Per esempio: non TUTTI i precetti matrimoniali si attagliano a TUTTE le coppie. In alcuni casi il divorzio sarebbe la soluzione migliore.  Tuttavia, l’azione complessiva di questi comandi renderà la comunità più prospera.
Non si puo’ negare che sul punto da noi esaminato ci siano approcci differenti, in particolare se si confrontano cattolici e protestanti.
Lo standard morale dei cattolici è molto elevato (pensiamo solo al celibato dei preti), e richiede un contenuto di misericordia altrettanto elevato. Lo standard protestante è più basso e puo’ permettersi maggior rigore.
Poiché l’insegnamento più proficuo consiste nell’esempio, l’insegnamento divino ci viene impartito fornendoci un esempio vivente: Cristo.
L’esempio è ancora più necessario quando l’obbiettivo è quello di illustrare la perfezione, e non un semplice schemino dei doveri (come nel caso dei dieci comandamenti).
Ma ogni comunità ha i suoi costumi e le sue tradizioni, cosicché ogni insegnamento deve essere rimodulato in conformità a quei costumi e a quelle tradizioni. E’ a questo che serve una Chiesa, ovvero il corpo di Cristo che vive sempre nella contemporaneità del credente. La Chiesa reinterpreta continuamente la rivelazione divina mantenendo l’unità dell’insegnamento originario.
Questa considerazione razionale trova un riscontro nel Credo cristiano allorché si accenna ad un’ unica Chiesa Cattolica (universale) e Apostolica (discendente da Cristo).
Ma c’è un’altra funzione demandata alla Chiesa. Noi siamo deboli. A volte conosciamo cio’ che è giusto ma non riusciamo a realizzarlo. Per esempio, sappiamo che lo zainetto di marca non è necessario per nostro figlio, che è meglio investire altrove per lui e che è giusto respingere i suoi capricci; ma poi ci ritroviamo in un contesto in cui tutti hanno lo zainetto di marca e cediamo. Ecco, la Chiesa è anche un luogo di reciproco aiuto, una comunità dove si puo’ crescere al meglio sempre esposti agli esempi più elevati. Chi ha detto che per crescere non occorre un insegnante ma un villaggio?… La Chiesa è quel villaggio.
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Quarto passo: Dio è misericordioso (e si carica i nostri peccati)

Quarto passo: Dio è misericordioso (e si carica i nostri peccati)

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, che probabilmente coincide con il Dio cristiano e che è un Dio d’amoreUn Dio del genere probabilmente cistarà vicino facendosi uomo. Ma cosa farà peralleviare la nostra condizione?
Come reagisce Dio al peccato dell’uomo? Come reagisce nel vederlo combattere con i suoi limiti? Reagisce facendo il suo bene (ovviamente). Cerchiamo di sviscerare le implicazioni di quanto detto nei passi precedenti su questo tema.
Dio è misericordioso e perdona. Ma cos’è il perdono esattamente?
Il perdono annienta il male. Ora, c’è un male oggettivo e un male soggettivo. Solo il secondo è “colpevole” in senso stretto.
Se non ti pago per un’impossibilità sopravvenutacompio nei tuoi confronti un male ma non ricade su di me una colpa soggettiva.
Se invece non lo faccio perché spero tu ti sia dimenticato del mio debito, compio una mancanza colpevole in senso soggettivo.
La prima situazione comporta un danno oggettivo, questo non significa che la cosa passi in cavalleria. Di solito, in casi del genere, parliamo di “colpa oggettiva”.
Molti sono irritati dal ragionare in termini di “colpa” e “perdono”: non si sentono affatto alla stregua di “colpevoli” che devono risarcire, e nemmeno intuiscono la sensatezza della dottrina del “peccato originale”. Costoro dovrebbero ragionare meglio sul concetto di “colpa oggettiva”.
Comunque li capisco, ma questa irritazione non deve essere di ostacolo alla fede. Nei ragionamenti che qui conduco sul “peccato originale da risarcire” utilizzo la canonica terminologia fondata su “colpa” e “perdono” ma nulla osta a che questo doppio pilastro sia sostituito dalla diade più comprensibile di “limite” e “dono”. In altri termini: la dottrina del “peccato originale” puo’ essere compresa anche come dottrina del “limite originale”. Postulare che l’uomo sia una creatura limitata non dovrebbe irritare nessuno.
Il concetto di “limite” si avvicina molto a quello di“colpa oggettiva”, ovvero di “peccato originale”.
Sia il Dio che ci riscatta dalle nostre colpe che il Dio che ci innalza oltre i nostri limiti è un Dio buono. Chi preferisce la seconda immagine non avrà alcun problema a riconvertire tutto secondo quello schema.
Ma torniamo a noi.
La compensazione di una  mancanza – ora torno al gergo della colpa – ha quattro componenti:pentimento, scuse, risarcimento e penitenza.
Il perdono consiste nel trattare il colpevole (oggettivo o soggettivo) come se non avesse mai commesso la sua colpa.
Il perdono indebito, ovvero esercitato in mancanza di una delle quattro componenti, è a sua volta una mancanza di rispetto verso il peccatore poiché lo degrada implicitamente a bambino. Il perdono indebito attenta alla dignità dell’uomo. Il perdono indebito è un po’ come il dono consegnato a chi lo disprezza.
Tutti noi manchiamo verso Dio direttamente o indirettamente, è nella nostra natura. Nel primo caso lo trattiamo male non rendendogli merito, nel secondo maltrattiamo una delle sue creature. Nessuno di noi conduce una vita perfetta.
Analogia: se colpisco tuo figlio danneggio anche te ed è giusto che mi scusi anche con te.
A cio’ si aggiunge il peccato originale, ovveroun’eredità gravosa che ci mette in ogni caso nella condizione di non avere il diritto di accedere ad una condizione privilegiata rispetto a quella presente.
Il peccato originale ci rende colpevoli in modo “oggettivo”, e questa non è un’ ingiustizia, molto spesso registriamo ed accettiamo condizioni del genere come giuste. L’asse ereditario non è costituito solo da attività e nessuno lamenta questo fatto come “ingiusto”.
Se un ragazzo fuma come una ciminiera prima della pubertà, questo incide sui suoi geni in modo tale che aumenta il rischio di avere bambini obesi. E’ solo uno stupido esempio. Noi dobbiamo la vita ai nostri genitori, e se questa vita non è perfetta non riscontriamo in questo una grande ingiustizia, non è una vicenda in cui ha senso processare un colpevole perché colpevoli in senso soggettivo non ce ne sono. Ereditiamo il buono e il cattivo accettando tutto quel che viene di buon grado. Anche l’eredità materiale ci spetta solo se accettiamo i debito del de cuius.
Dio dunque è generoso e ci perdona facendosi carico dei nostri peccati e delle nostre colpe (oggettive e soggettive).
Ma come è possibile espiare un peccato per conto terzi?
Un’analogia spiega bene il ruolo di Gesù nelle nostre vite.
Supponiamo che dietro pagamento anticipato io mi impegni a pulire la tua casa. Supponiamo poi che abbia speso il compenso ricevuto ma omesso di fare il mio dovere a tempo debito. Ora che mi appresto ad eseguirlo mi capita un incidente che mi impedisce oggettivamente di rimediare al mio ritardo (ipotizzo un misto di colpe oggettive e soggettive). Tu t’incazzi. Giusto. Poi trovi un terzo che adempie gratuitamente ai miei doveri. Quali saranno i tuoi sentimenti nei miei confronti? Qualora io mi penta delle mie mancanze,  qualora io mi scusi, qualora io faccia tutto quanto è nelle mie possibilità per aiutare il terzo e qualora io gli renda onore per la sua generosa offerta, tu potresti anche perdonarmi. O no?
E’ dunque una situazione che l’intelletto umano comprende e trova ragionevole: un’aiuto gratuitoche innesca una sequela di comportamenti opportuni che potrà poi chiudersi con un perdono divino.
Ma quale forma prende il risarcimento che il Dio Figlio elargisce al Dio Padre?
In generale potremmo ritenere che si manifesti con il vivere una vita perfetta.
E’ di fatto qualcosa di molto vicino alla dottrina della redenzione esposta sia nell’ Epistola agli Ebrei di San Paolo che nel Nuovo Testamento, ma anche da San Tommaso.
Il Credo parla di un Battesimo per il perdono dei nostri peccati. Con il Battesimo noi ci incardiniamo su quella via che – grazie all’azione della Grazia – ci porterà al superamento dei nostri limiti naturali (il cristiano, con San Paolo, direbbe: “al perdono delle nostre colpe attraverso la Croce”).
All’uomo non resta che pentirsi, scusarsi e fare penitenza, e per quanto gli è possibile dovrà ancherisarcire il suo Salvatore, magari con la stessa moneta con cui è stato riscattato: ovvero vivendo una vita il più possibile ad imitazione di Cristo. Così facendo il cerchio si chiuderà con un perdono ed una chiamata in Paradiso dell’ ex-colpevole (o ex-limitato).
Se parliamo di “misericordia” è proprio perché – pur in presenza di scuse, pentimento e risarcimento conto terzi –  il risarcimento fornito in prima persona è necessariamente insufficiente, cosicché per parificare la bilancia della Giustizia occorre un atto di Misericordia. Tuttavia, come appena visto, si tratta di una misericordia perfettamente sensata, che non ha nulla di scandaloso.
Da notare, quindi, che questo processo di perdono non è un atto dovuto poiché non coincide con un dovere obbligatorio da parte di Dio. In esso si esplicita invece la sua santità, ovvero la sua inclinazione a compiere tutto il bene, anche quello non strettamente dovuto, qualcosa che abbiamo già visto per giustificare la creazione dell’universo. Lamisericordia divina, insomma, è un atto eroico anche se facilmente comprensibile dall’intelletto umano.
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