giovedì 16 novembre 2017

6-La virtù del contante SAGGIO



La virtù del contante


Il contante ha parecchi pregi: innanzitutto la fiducia.
Non devo conoscere nulla di chi mi paga in contanti, non ne ho bisogno. E questo è un gran vantaggio quando tratti con persone anonime.
Poi ti fa risparmiare sulle commissioni. In questo senso è l’ideale per le piccole transazioni.
Ma il vantaggio maggiore consiste nel fatto che protegge la privacy. Il contante non lascia traccia. Questo è positivo non solo per criminali ed evasori ma per chiunque non voglia far sapere quello che fa.
Si tratta di tre pregi fondamentali che vengono amplificati nello spazio virtuale della rete, una dimensione dove incontriamo molti anonimi, dove facciamo molte piccole transazioni e dove la privacy è sempre più al centro.
Inoltre, nel mondo virtuale, possedere contante elettronico  non richiede nemmeno di munirsi di cassaforte, che è un punto debole del contante fisico.
Il contante elettronico risolverebbe molte cose che oggi sulla rete non vanno.
Prendete il problema delle spam, sarebbe azzerato all’istante. Basterebbe far pagare una piccola commissione a chi ci invia una mail (tipo un francobollo). Si selezionano gli amici con accesso gratuito alla nostra mail e gli altri pagano 10 centesimi. Fine delle spam.
Ma perché un soggetto dovrebbe mettere in piedi una moneta elettronica?
Innanzitutto avrebbe delle entrate legate al signoraggio: ovvero gli interessi guadagnati sui depositi nella sua banca virtuale.
Poi ci sarebbero le entrate pubblicitarie: una moneta di successo avrebbe come riferimento siti molto frequentati.
E il problema della falsificazione?
Esiste ormai da un quarto di secolo una tecnologia idonea a superarlo: forse non ci rendiamo conto ma nell’epoca della mancanza di privacy possediamo tecniche di privacy a prova di NASA. Un privato puo’ essere più riservato del ministero delle finanze, volendo.
C’è però un altro problema: la banconota elettronica non è altro che un file. Se io ti invio un file in pagamento, copia di quel file resta comunque anche sul mio pc e, in teoria, potrei spenderlo di nuovo. Si chiama “problema della doppia spesa”. Come aggirarlo?
Potrei numerare le banconote elettroniche facendo in modo che scatti l’allarme nel momento in cui la stessa banconota è in possesso di più soggetti, ma questo le renderebbe tracciabili pregiudicando la privacy, uno dei meriti maggiori dell’ e-cash.
La soluzione migliore è stata escogitata da David Chaum e si chiama “firma cieca”.
La tecnologia impedisce di tracciare le banconote ma non rinuncia alla verifica di doppioni con pseudo-numeri di serie.
Sostanzialmente, grazie alla firma cieca, la banca puo’ firmare un file senza sapere cosa contiene e rinviarlo al cliente, il che significa che puo’ firmare, per esempio, una banconota senza conoscerne il numero abbinato che il cliente gli attribuisce arbitrariamente.
Chi poi riceverà quella banconota in pagamento la sottoporrà alla banca che, a quel punto, sarà in grado di decriptare il numero abbinato provvedendo ad eliminare qualsiasi doppione presente sui conti in rete.
In questo modo la banca firma una banconota a Tizio e ne riceve poi una da Caio procedendo ad eliminare eventuali doppioni tramite codice abbinato, ma non sa che è la stessa, e quindi non sa che Tizio ha comprato da Caio.
Forse non tutti capiranno il funzionamento del contante elettronico, ma già ora utilizziamo moltissime cose senza conoscerne bene il funzionamento!
Pensate che guadagno in privacy se la tecnologia della firma cieca sostituisse il telepass!
La firma cieca consentirebbe anche di avere carte di credito su conti elettronici in modo da conservare la privacy per qualsiasi spesa.
Un conto elettronico potrebbe essere in euro… ma anche no.
Potrebbe essere in Bitcoin, o in qualsiasi altra moneta privata.
Chi ci garantisce la stabilità del cambio Bitcoin? La reputazione dell’emittente.
Alcuni economisti, nel rigettare la moneta privata, segnalano il pericolo di inflazione. A rassicurarci è nientemeno che Adam Smith quando commenta la  moneta privata dei suoi tempi lodandone la stabilità.
L’obbligo del gestore di garantire la convertibilità lo trattiene dal creare inflazione.
D’altronde, il pericolo di svalutazione riguarda anche la moneta governativa. Chi avesse acquistato 100 dollari di Bitcoin nel 2011 avrebbe visto incrementare il suo investimento del 37.735.29%!! Ma anche recentemente il guadagno è a tripla cifra.
Il contante elettronico poi è universale: la moneta di un paese, al contrario, di solito è usata solo in quel paese.
La quantità di contante elettronico in circolazione dipende dal gestore, in caso di solida reputazione la cosa ci garantisce ancor più dell’oro il cui valore dipende anche dal caso: in presenza di una nuova tecnologia per estrarlo il suo valore collassa.
Alcuni teorici della moneta elettronica raccomandano di ancorarla ad un paniere di beni sufficientemente complesso in modo da diversificare i rischi e superare la volatilitàdell’oro, per non dire delle monete governative.
Anche il problema delle conversioni sembra obsoleto: con i pc la conversione è istantanea e a costo zero.
Un tempo anche convertire era costoso. In questo senso misuriamo bene la beffa dell’euro: una moneta unica che nasce quando la moneta unica non serve più.
Se i pregi dell’ e-cash sono così tanti, perché il contante elettronico ancora latita?
Innanzitutto, non è facile far partire i cosiddetti “beni di rete”: io non voglio avere Bitcoin se nessuno li ha o li accetta in pagamento.
Ma il vero bastone tra le ruote è un altro: la riluttanza dei governi, ostili da sempre.
I governi temono la moneta elettronica: chi non ricorda la parabola di Paypal? Una banca virtuale stroncata sul nascere dai governi e consegnata alla più ricattabile Ebay.
Immaginatevi se la nostra ricchezza fosse accumulata su server che stanno chissà dove. Magari su una piattaforma oceanica.
Evasione e riciclaggio sarebbero facilitati e per il fisco nazionale sarebbero guai.
Purtroppo il fisco non è un interesse qualsiasi del governo, è praticamente l’unico vero interesse, quello da cui dipendono tutti gli altri (sebbene leggendo i giornali la cosa non si colga).
In condizioni del genere è legittimo essere più che pessimistisul futuro della moneta elettronica.
Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Famiglia e capitalismo

Famiglia e capitalismo

Secondo molti non c’è compatibilità tra le due cose.
Il sistema economico moderno vuole individui “atomizzati” e privi di legami forti.
La società liquida odia i legami robusti è ha una vittima designata: la famiglia.
Quando bisogna essere a disposizione dell’azienda come si puo’ esserlo della famiglia? O una o l’altra.
Non sarà un caso se divorzi e convivenze si moltiplicano.
Quante volte abbiamo letto su “Avvenire” le invettive contro questo stato di cose? Quante volte Papa Francesco ha alluso “ad un’economia che uccide la relazione”?
Tutto fila, senonché ecco una pietra d’inciampo: proprio in questo sistema ha più probabilità di successo chi ha dietro o forma una famiglia solida.
Una famiglia armoniosa è il trampolino di lancio ideale per affermarsi in un’economia capitalistica. I guai sentimentali, o addirittura la solitudine, ti fanno annaspare prima e poi affondare.
Non è un caso se tra i ricchi le famiglie sono solide e numerose. Il premio in denaro per chi si sposa è consistente: un solido matrimonio frutta più di una laurea.
Da qui il dubbio: come puo’ il capitalismo avversare qualcosa che poi premia? Come riconciliare questa contraddizione su cui “Avvenire” e il Papa non amano soffermarsi prediligendo un quadretto in bianco e nero?
Ipotesi: il capitalismo premia la famiglia solida ma rende meno naturale ottenerla.
In un’economia come quella moderna: 1) esiste un chiaro incentivo a formare una famiglia solida, 2) non è facileformare una famiglia solida.
L’individuo “atomizzato” o è uno stupido che non comprende la sua convenienza o è un pigro che non la persegue con sufficiente tenacia?
In passato era diverso. Quando si coltivavano i campi non ci si muoveva di casa, si stava tutti insieme tutto l’anno. Formare una famiglia non era solo facile, era una conseguenza naturale del sistema produttivo in auge. Non c’erano alternative. Non occorreva una grande forza di volontà. Anche lo stupido e il pigro mettevano su famiglie che duravano una vita.
Se ieri la famiglia era una necessità, ora è frutto di calcolo e volontà, cio’ la rende meno diffusa ma ancora più preziosa e genuina.
L'immagine può contenere: sMS

mercoledì 15 novembre 2017

Riabilitazione dell’avaro

Riabilitazione dell’avaro

Scrooge, Paperon de’ Paperoni e gli avari in generale mi sono simpatici.
Hanno una fama che è l’esatto contrario della realtà, questo basterebbe a renderli adorabili: li si dipinge come ingenerosi quando di fatto sono i più generosi tra noi.
Cosa c’è di più generoso che tenere il riscaldamento al minimo e il piatto della cena semivuoto?
E’ il modo migliore per lasciare più riscaldamento e più ciboa disposizione dei bisognosi.
L’avaro è un filantropo. Il più equanime tra i filantropi!
L’unica differenza tra le due figure è che la seconda beneficia solo i suoi favoriti mentre l’avaro non fa preferenze di sorta e beneficia tutti in egual misura.
Quando guadagni un dollaro e ti rifiuti di spenderlo, il resto del mondo sarà più ricco di un dollaro.
Metti un dollaro in più in banca e l’interesse bancario si abbasserà a beneficio di tutti coloro che prendono a prestito.
Metti un dollaro in più sotto il materasso e, riducendo l’offerta di moneta, abbasserai i prezzi a beneficio di tutti coloro che fanno la spesa.
Chi più di Ebenezer Scrooge abbassa i tassi di interesse? Chi più di Ebenezer Scrooge abbassa i prezzi delle merci che comprano i poveri? E allora evviva Ebenezer Scrooge, per Dio!
Qualche ingenuo potrebbe pensare che con l’ oro accumulato da Paperon de’ Paperoni si potrebbero sfamare i figli dei poveri.
No! Non si potrebbe fare nulla del genere: l’oro ha pochissime proteine ed è indigesto.
Quel che si potrebbe fare è scambiare oro con cibo, ma per farlo occorre che qualcuno rinunci a mangiare affinché si renda disponibile il secondo termine di scambio.
Ma questo è proprio cio’ che fa l’avaro!: mangia di meno (o con grande parsimonia) e rende così disponibile più cibo per gli altri.
Scrooge e Paperon de Paperoni non sono egoisti, sono avari! E’ questo che sfugge ai loro detrattori.
L’egoista vuole per sé una fetta più grande mentre l’avaro si contenta di una più piccola lasciando il resto della torta al prossimo.
Il risparmio dell’avaro è filantropia pura: esentiamolo dalle tasse!
Si avvicina il santo Natale, la stagione del consumismo sfrenato e dell’edonismo. Non è forse questo il momento più adatto per celebrare l’avarizia nelle sembianze di Ebenezer Scrooge e Paperon de’ Paperoni? Non sono forse loro i campioni dell’ anti-consumismo e dell’anti-edonismo?
Risultati immagini per www.thisiscolossal.com scrooge

Il paradosso dell’abbondanza

Il paradosso dell’abbondanza

Parlando di consumi, viviamo in un’epoca in cui l’eccellenza è a disposizione di tutti i comuni mortali. Alcuni esempi:
IPhone,
Kindle,
Libri,
Musica,
Giornali (informazione in generale),
Acqua minerale,
Rasoi,
Coca Cola,
Google, Facebook, Twitter…,
Bistecche, dolciumi e cibo (anche esotico) in generale,
Scuole,
Vaccini, antibiotici (e altri servizi sanitari),
Videogame,
Film,
Carta per scrivere e disegnare,
Sport,
eccetera (i contributi sono benvenuti).
La lista è talmente lunga che diventa più interessante porre la domanda complementare:c’è qualche bene di consumo che nella sostanza è disponibile solo ai super-ricchi?
A me viene in mente la casa.
Effettivamente la casa dei super-ricchi è di un altro pianeta.
In questo caso la differenza nei costi rispecchia unadifferenza sostanziale.
Cosa possiamo aggiungere?
Forse la sicurezza finanziaria?
Può darsi, anche se non sono del tutto convinto: non vedo molte persone normali precipitare nell’indigenza, se non in seguito a divorzi o depressioni.
E ricordiamoci che si tratta di eventi in grado dirovinare la vita anche al super-ricco.
Naturalmente ci sono poi tutte le problematiche legate allo status.
Ma lo status è apparenza più che sostanza, anche se non nego la sua centralità, specie per gli invidiosi.
Lo status però riguarda più la psicologia dei singoli che la diseguaglianza sociale: uno deve curare se stesso più che inveire contro l’altro.
L'immagine può contenere: pianta, spazio all'aperto e natura

I ricchi vivono in un mondo a parte?

Tyler Cowen is asked a good question: are there any goods someone on a median income can afford which are the very best of their kind? The answer, as Tyler shows, is plenty – including some important ones such as books and recorded music. To this we might add that even where the very best goods are unaffordable, the median income earner can afford pretty decent ones, such as cars, TVs and sound systems.
Which poses the question: if someone on a median income can afford such a luxurious cornucopia, what can’t he buy?
The obvious answer, in the UK, is a decent house. The average house costs over £208,000, equivalent to 7.5 times median annual earnings. Given that the bestschools tend to be in the most expensive areas, this means that our median earner can’t afford the best education for his kids either.
However, I suspect that most of the best things that the median income-earner can’t buy are non-material goods.
One is financial security. 49% of people, and most 35-44 year-olds live in households with less than £5000 of net financial wealth (pdf). They are only a pay cheque or two away from trouble.
Another is status. Our wages are related to our sense of worth – which is one reason why most people would prefer (pdf) a lower but above-average income to a higher but below-average one. A median income, by definition doesn’t provide much status.
You might reply that this problem would be solved if we could shake off envy. Not entirely. Status is one mechanism whereby income leads to political power:

Riflessioni sui privilegi del “maschio”

Riflessioni sui privilegi del “maschio”

Trovo abbastanza contraddittorio argomentare contro le “diseguaglianze economiche” e, allo stesso tempo, sostenere che nella nostra società esiste un “privilegio maschile”.
La cosa passerebbe inosservata se molti militanti non fossero contemporaneamente schierati su entrambi i fronti. La maggior parte delle femministe che sostengono il “privilegio maschile” sono sempre state “rosse” dentro e, oggi che non si puo’ più esserlo, restano “rosa” come minimo.
Parlando di argomenti contro le diseguaglianze non mi riferisco alle ormai screditate teorie marxiste (“rosse”) bensì a quelle più vive che mai del rispettatissimo professor John Rawls (“rosa”). Con il suo leggendario tomo “Una teoria della giustizia”, il professore, ha fissato in modo rigoroso la moderata visione per una sinistra moderna e liberal.
A questo punto entriamo nel merito. Secondo il professore la società ideale è quella per cui opteremo di comune accordo se chiamati a sceglierla dietro “un velo di ignoranza”.
Mi spiego meglio, in che mondo vorreste vivere se al momento della vostra scelta non conoscete nulla della vostra identità futura?
Ebbene, immaginare un accordo tra persone che trattano in queste condizioni ci consentirebbe di immaginare la società giusta.
Ma John Rawls non si limita a dettare le condizioni per immaginare la società giusta, ha anche la presunzione di sapere quali saranno le nostre scelte concrete una volta messi in quelle condizioni. Secondo lui, noi alla fine opteremo per quella società in cui i più sfortunati vengono trattati meglio.
Sì noti che la formula di John Rawls non è ingenua come quella dei marxisti. Il fatto di concentrarsi solo sugli ultimipermette alla società di non perdere troppo in efficienza. Una società del genere è compatibile con un’economia di mercato.
Il suo argomento “neo-contrattualista” è da decenni considerato il più solido e autorevole per opporsi alle diseguaglianze sociali nel rispetto della democrazia.
Ma c’è un altro modo “vero per definizione” di individuare la società ideale, basta pensare ai privilegiati della società reale e poi immaginare una società composta esclusivamente da loro. Una società dove tutti sono “privilegiati” è una società che rasenta la perfezione.
Poiché i teorici del privilegio maschile considerano i maschi come i soggetti privilegiati della nostra società, una società composta esclusivamente da loro come sarebbe?
Ebbene, dobbiamo capire cosa caratterizza il “maschio” per giungere ad una configurazione attendibile. Ebbene, una delle differenze tra i sessi più acclarate e con le maggiori ripercussioni nel vivere sociale è quella che riguarda la varianza nelle performance: in molti casi gli uomini primeggiano ma sono anche più presenti tra coloro che occupano l’ultimo rango.
Un mondo immaginario abitato solo da maschi ( ovvero da individui “privilegiati”) sarebbe probabilmente più ricco ma anche con più diseguaglianze, con più criminali, con più suicidi, con più barboni, eccetera.
Al contrario, il mondo abitato solo da donne ( ovvero da individui “penalizzati”) avrebbe probabilmente redditi pro-capite meno elevati ma anche livelli di povertà più contenuti.
Diciamo – tanto per rappresentarci meglio la situazione – che il mondo privilegiato dei maschi assomiglierebbe agli Stati Uniti mentre quello penalizzato delle femmine alla Svezia.Gli Stati Uniti sono più ricchi della Svezia ma anche più diseguali e caotici.
Chiunque vorrebbe nascere in un mondo di privilegiati piuttosto che in un mondo di penalizzati, è ovvio. Affermare che gli uomini hanno un privilegio significa sostanzialmente affermare che gli Stati Uniti sono meglio della Svezia.
Questa  affermazione confligge in modo patente con le conclusioni del modello di John Rawls.
Infatti, è essenzialmente contraddittorio invidiare la condizione maschile, essenzialmente più soggetta ai rischi, e poi, dietro un velo d’ignoranza, optare per un mondo meno rischioso.
Personalmente, darei ancora una chance a John Rawls, per quanto questo autore non mi abbia mai convinto fino in fondo, e getterei dalla torre il concetto di “privilegio maschile”, che mi convince ancora meno.
Anche perché non faccio fatica a comprendere la genesi “perversa” di un concetto tanto problematico.
Chi frequenta il mondo delle élite tocca con mano ogni giorno quanto la presenza maschile sia sovrabbondante,ancora oggi dopo decenni di battaglie femministe. La semplice constatazione di questo fatto avulso da tutto il resto ci porta a concludere che il maschio sia un privilegiato.
Se a concepire una teoria del privilegio fosse stato invece un appartenente alle classi subalterne, una volta constatata l’assenza di donne in quei gironi infernali avrebbe probabilmente parlato di “privilegio femminile”.
Naturalmente, il mestiere di “concepire teorie” tocca agli accademici: la loro notoria frequentazione delle élite e l’altrettanto noto distacco dal mondo degli ultimi li spinge inevitabilmente a parlare solo ed esclusivamente di “privilegio maschile”.
privilegi del maschio