lunedì 10 marzo 2014

Raccolta commenti

I miei commenti in giro per il web

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Ammettiamolo, è faticoso rintracciare una continuità nella vicenda dell’ interesse. Il fatto è che la condanna all’ usura non era giustificata “dall’ entità delle somme richieste” o dal pericolo della “schiavizzazione del debitore”, bensì ripeteva Tommaso che ripeteva Aristotele: è contro natura generare denaro dal denaro. Senonché “generare denaro dal denaro” è quanto fa il sistema bancario dai suoi albori a oggi, in questo senso nulla è cambiato.  Quando i mercati finanziari divennero più competitivi, le pretese furono moderate dalla concorrenza degli operatori e i vantaggi per tutti furono innegabili. L’ improponibile condanna si attenuò fino ad essere ritirata, al punto che il termine “usura” oggi ha cambiato radicalmente il suo senso. Vogliamo dire che c’ è stata una virata sulle motivazioni anziché sulle conclusioni? Diciamolo pure, il sugo non cambia.
Non c’ è niente di più facile che razionalizzare quello che accade nel mondo, un’ ermeneutica creativa puo’ rintracciare continuità ovunque ma il buon senso non cesserà d’ instillare dubbi. Da Galileo alla “donna sottomessa” le virate (spesso virtuose) non mancano ma questo è davvero motivo d’ imbarazzo per un cattolico? In fondo la sua non è la religione del Libro ma la religione dell’ Uomo. Dell’ incontro con un Uomo. L’ atto di fede del cattolico è una sequela, il cuore della sua fede consiste nel seguire quell’ Uomo (finché riesce a sentirne la natura o l’ ispirazione divina) non nel razionalizzare i suoi detti, per questo l’ obbedienza diventa per lui una virtù primaria. Io stesso ho difficoltà con Francesco, quello che penso per conto mio spesso non coincide con il suo insegnamento, ma cosa devo fare? Non resta che obbedire e approfondire. Vorrà dire che su molte delle battaglie di questa fase anziché essere l’ ariete scalpitante che guida e difende il gregge contro i pericoli esterni sarò la pecora recalcitrante in ultima fila che segue a fatica. L’ importante è non perdersi.

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broncobilly08 settembre 2014 11:23
Una distinzione che genera molti equivoci è quella tra “classical theism” e “personal theism”, lo stesso Feser, collocandosi nel primo filone, vi dedica nel suo blog post estremamente interessanti.
I New atheist, facendo di tutta l’ erba un fascio, si accaniscono in realtà sull’ approccio “personal”, il più intuitivo, cosicché, Feser, da buon “classical”, ha buon gioco nel dire che costoro non sanno nemmeno di cosa parlano. Il dibattito intorno al concetto di “causa” è un buon esempio di questo corto circuito.
Un indizio che suffraga questa ipotesi è l’ inaspettata stima che Dawkins ha tributato a Richard Swinburne (un “personal” di rilievo). Forse sarà dovuta al fatto che è suo collega ad Oxford ma forse anche al fatto che con lui è potuto entrare più nel merito delle questioni anziché essere liquidato in partenza come un tale “che non ha capito niente” di cio’ che critica.

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broncobilly | martedì, 9 settembre 2014 alle 3:05 pm |
Distinguerei due problemi:
1) perché laddove dovrebbero stare le “belle” troviamo delle “brutte”?
2) perché stanno lì da così tanto tempo?
Il primo è il più semplice: se la moda serve ai consumatori per competere in termini di status, il legame con la bellezza diventa del tutto secondario. Anzi, la passione un po’ perversa (per le anoressiche) è per pochi, genera proiezione élitarie.
Il secondo è più ostico: in una società talmente ricca come la nostra la competizione per lo status esige una variabilità di canone ben più celere. In epoca pre-capitalista la panzona rubensiana poteva permettersi durate vicine al secolo, tuttavia non si capisce perché le anoressiche di Versace debbano persistere tanto.
Ma forse siamo al “riciclo”, francamente non seguo molto. La parola agli esperti.
In conclusione vorrei solo dire che… comunque Kate Moss è una gran gnocca.

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6 commenti a “I SALSICCIOTTI CALDI DI AMAZON”
Lo leggevo giusto ieri. http://www.amazon.com/forum/kindle/ref%3Dcm_cd_tfp_ef_tft_tp?_encoding=UTF8&cdForum=Fx1D7SY3BVSESG&cdThread=Tx3J0JKSSUIRCMT
Certo che se Amazon fa propaganda la fa bene, l’ altro giorno ho comprato un e-book del 1998 a 15 euro e ancora fremo di rabbia, guardacaso proprio per i motivi elencati nel link! Ecco, uno è già un po’ incazzato per certi prezzi, e poi si sente anche dire che a pretenderli così alti sono gli editori, i quali attaccano Amazon perché non vorrebbe mai superare una certa soglia…. beh, come minimo non sono nelle condizioni psicologiche adatte per “lottare contro il monopolio”, ho piuttosto la netta sensazione che un salsicciotto caldo (non vagamente promesso ma già servito in tavola) mi sia stato sfilato dal piatto.
“Ma se poi il libro l’ hai comprato allora gli editori in fondo avevano ragione…”. Nel mio caso sì ma in generale sembrerebbe di no. Questa ricerca ( http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=450220) per esempio conclude che “… a 1 percent drop in price — a mere 25 cents on a $25 book — increased the number of units sold by 7 percent to 10 percent…”.
Che poi Amazon - con self-publishing, bundling e quant’ altro si inventerà - faccia bene anche agli autori non è affatto certo: la torta sarà più grande ma non è detta che lo sia anche la loro fetta. L’ importante è che faccia bene al consumatore, di cui il lavoratore (creativo e non creativo) è al servizio. Ma forse questa è ideologia.
Certo che capisco gli editori, si preoccupano per la distribuzione al dettaglio che si assottiglia e ora devono anche preoccuparsi della fuga degli autori. E nemmeno la “fuga” di argomenti che possano far presa su persone neutrali non gioca certo a loro favore.
Gridano: “monopolio”. Ma il concetto di “monopolio” produttivo è piuttosto vago se preso in sé, non sappiamo bene nemmeno quali prodotti siano in concorrenza tra loro: ieri sono andato al negozietto per comprare il Corriere ma poi ho visto la Nutella in occasione e ho investito tutto nel barattolone famiglia. Non mi sarei mai aspettato che Corriere della Sera e Nutella fossero in concorrenza ma ieri ne ho avuto la riprova. E allora non basta lanciare allarmi su concetti vaghi (monopolio, bibliodiversità…), per smuovere l’ antitrust bisogna indicare i danni reali ricevuti dal consumatore.
Postato giovedì, 31 luglio 2014 alle 10:32 am da broncobilly

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Certo che se l’ unica libreria rimasta al mondo tratta i libri come surgelati non deperibili, la cosa preoccupa. D’ altronde il bene del mercato, se ne fa, è sempre involontario, quindi le buone intenzioni contano poco.
Dunque, la contrapposizione luddisti/supertecnologici non funziona.
Funziona quella scrittori/lettori?
Un lettore oggi potrebbe dire: “acquisto a prezzi stracciati, su cataloghi sterminati a disponibilità immediata. In vita mia non ho mai goduto di una “bibliodiversità” tanto vasta. Perché mai dovrei scendere in trincea? Contro chi? Ho ben altri problemi, io. Ho problemi di abbondanza, ho la tavola perennemente imbandita e non so dove infilzare la forchetta”.
Tuttavia, si potrebbe anche ritenere miope un lettore che parla così: chi oggi lo coccola domani potrebbe levargli la pelle. Appena se ne convince la contrapposizione lettori/scrittori salta.
C’ è un’ altra dicotomia: scrittori che scrivono per farsi leggere/scrittori che scrivono per farsi pagare. Si, lo so, anche i primi vogliono farsi pagare e anche i secondi vogliono farsi leggere, tuttavia la dicotoma ha funzionato ed è già emersa chiaramente, almeno quando si è trattato, per esempio, di combattere l’ indicizzazione dei libri da parte di Google. Gli “scrittori che scrivono per farsi pagare”, fissati sul copyright, sono rimasti così soli nella loro lotta da far pena.
Postato venerdì, 25 luglio 2014 alle 3:22 pm da broncobilly

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Manlio Pittori non ha motivo di preoccuparsi troppo per gli Anasazi, sono sicuro che il buon Dio abbia approntato una “via speciale” anche per loro. Saranno giudicati soppesando anche il contesto. Lo traggo dal Catechismo (art. 847, quello dedicato a “quelli che senza loro colpa…”), mica da una bontà di cuore.
Invece le obiezioni del 4 settembre sono puntute, mi hanno toccato.
In sintesi: perché solo un’ incarnazione? Cosa osta.
Ipotesi 1: ammettiamo esista una civiltà aliena con cui non possiamo avere contatti (il razionalista che è in me non fatica ad accettarla).
Ipotesi 2: ammettiamo che il nostro sia il migliore dei mondi (universi) possibili (il credente che è in me non fatica ad accettarla).
Ipotesi 3: ammettiamo che questi alieni siano peccatori e bisognosi di salvezza (il razionalista che è in me l’ accetta appellandosi all’ induzione: poiché l’ unica vita intelligente che conosco è quella umana, se ne esiste un’ altra sarà probabilmente simile a quella umana).
Ipotesi 4: ammettiamo che Dio voglia offrire occasioni di salvezza alla civiltà aliena (il credente che è in me non fatica ad accettarla).
Domanda al credente, al razionalista e al credente-razionalista: come procederà Dio?
Ci sono due opzioni: 1) predisporre vie speciali 2) predisporre sia via speciali che una via generale (risposta alla chiamata di un Dio incarnato o di un suo rappresentante in terra).
Su quale scommettere?
La ragione cosa ci dice? Poco. Anzi, niente. Entrambe le vie sono compatibili con l’ ipotesi 2. La “mostruosa” analisi costi e benefici non è alla nostra portata, lasciamola alla mente di Dio.
Ma della ragione fa parte anche il senso comune, e quello in me parla abbastanza chiaro: avere un Gesù che ci viene incontro è sempre meglio.
Diversamente da Padre Funes scommetterei allora sulla seconda opzione.
Ma cosa osta alla seconda incarnazione? Boh, quindi confermo la scommessa.
Anche se le probabilità restano basse? Basta che siano superiori all’ alternativa.
In questo senso padre Funes non mi convince.
La cosa più probabile, comunque, è che civiltà come la nostra esistano. Anzi, più probabile ancora che siano esistite e abbiano già conosciuto la loro apocalisse (paradosso di Fermi). Magari sono già state anche giudicate. Più probabilmente aspettano la nostra fine, che del resto non dovrebbe tardare. E sul punto sono d’ accordo anche i razionalisti: http://meteuphoric.wordpress.com/2010/03/23/sia-doomsday-the-filter-is-ahead/
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Padre Funes mi convince ancora meno sul multiverso: ma il lavoro certosino di John Leslie non aveva sviscerato il problema in modo chiaro: se l’ universo è unico allora la spiegazione casuale diventa poco credibile (e ci guadagna l’ alternativa teista). Se gli universi sono molti, allora il nostro è solo uno dei tanti e non dobbiamo sorprenderci se siamo qui. C’ è da dire che l’ ipotesi dell’ universo unico è decisamente più semplice, quindi preferibile al di là del “fitting”.

campariedemaistre: i nostri fratelli extraterrestri

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"... se il “sommerso” potrà venire alla luce del sole con una più efficiente lotta all’evasione e con una legislazione fiscale più semplice, l’economia “criminale”, invece, non potrà mai emergere..." 

Non è del tutto vero. Basta legalizzare gioco, prostituzione, droga... Cosa, del resto, che molti chiedono da tempo. Legalizzare la prostituzione (per esempio) è una scelta politica. Proprio come sarebbe una scelta politica aumentare le tasse. Entrambe sono lì a disposizione del legislatore. E francamente non saprei nemmeno dire quale sia la più immorale.

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Niente di più facile che equivocare un tomista, Il quale ha poi gioco facile poi nel rintuzzare gli attacchi. Anzi, i pseudo-attacchi.

Ma se il tomista volesse proprio essere “caritatevole” nell’ interpretazione, una lezione potrebbe trarla: il suo Dio è terribilmente contro-intuitivo. 

Non solo per gli uomini di (pseudo) scienza ma anche per molti uomini di fede. E non è certo un caso se, specie nel mondo anglosassone frequentato fa Feser, si sono sviluppate diverse teologie analitiche (serie) su basi alternative a quella tomista.

Il fatto è che Dio non è l’ aritmetica, l' analogia regge fino a un certo punto. Di Dio ci viene detto che siamo “a sua immagine e somiglianza”, ci viene detto che  ha delle “intenzioni”, che “agisce”, che “interviene". Tutti attributi che ci guardiamo bene dall’ attribuire alla matematica ma soprattutto, tutti attributi che ci risulta cervellotico riconciliare con un essere collocato fuori dal tempo. 

Sugli esseri eterni ragioniamo ancora bene ma sugli esseri (personali) fuori dal tempo annaspiamo. 


Magari, allora, nessuna “irrazionalità”, nessuna “contraddizione” ma comunque il rischio di essere “cervellotici” e sganciati dal senso comune. Da qui la marea di equivoci che divertono tanto un tomista preparato come Feser ma che un pochino dovrebbero anche preoccuparlo.

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Giulio, ci fai notare delle imprecisioni nella campagna sull’ IVA ridotta. Penso che i tuoi rilievi siano da considerare sensati qualora denuncino incongruità rispetto allo scopo della campagna stessa. In caso contrario saremmo di fronte a trascurabili semplificazioni.
Premessa: l’ IVA ridotta viene accordata per promuovere la lettura poiché si ritiene che questa attività abbia un rilievo sociale.
Se uno mi dicesse: la lettura su libro elettronico non ha la valenza della lettura tradizionale poiché è più frammentata, meno orientata e bla bla bla… quindi non merita il privilegio dell’ IVA ridotta; io, data la mia esperienza personale, non sarei d’ accordo pur avendo compreso perfettamente il senso dell’ obiezione e come si colloca.
Tu invece fai notare che:
1) nel caso dell’ e-book la lettura su supporti elettronici avviene con una vendita di licenza d’ uso anziché di un oggetto.
2) i lettori “hanno il dovere di considerare gli editori come dei nemici” e quindi non collaborare alla campagna.
Data la premessa, il primo rilievo mi sembra non pertinente, il secondo semplicemente falso.
Per quanto riguarda il primo, certo, prestare libri puo’ creare un’ esternalità positiva che chi ha a cuore la lettura vede di buon occhio. D’ altro canto, ci sono molti contro-argomenti, tipo la condivisione dell’ account e la facilità nel riprodurre file amazon. Ma ce n’ è uno che si staglia netto: il costo di produzione di un libro elettronico è più basso. Il costo marginale (ma anche quello di stoccaggio) addirittura pari a zero!
Chi tiene alla diffusione di un bene esulta nel sapere che il costo di quel bene è ribassabile imboccando certe vie. Esulta e indirizza tutti verso quella via (magari attraverso la leva fiscale). Se avesse la bacchetta magica trasformerebbe l’ intero parco dei lettori tradizionali in lettori di libri elettronici.
E qui veniamo al secondo punto: io sono “nemico” del mio spacciatore solo quando c’ è da tirare sul prezzo. Qui invece si tratta di dividere la torta.
Quando per lui ci sono occasioni di risparmio – ed è il nostro caso – vedo la cosa di buon occhio e la favorisco poiché parte di quei benefici potrebbe trasferirsi su di me (il 100% in caso di mercato competitivo). Arrivo a dire che persino un aumento dei profitti – essendo la premessa per futuri investimenti – potrebbe arrecarmi benefici indiretti. Insomma, se sta lottando per procurarsi la “torta” tifo per lui, anche se poi magari la mia fetta è piccola.
n.b. sono perfettamente consapevole che queste siano solo discussioni accademiche poiché il fisco italiano – da anni – segue solo la LOGICA del rapinatore di banca: “andiamo a prendere i soldi laddove ci sono” e la PSICOLOGIA dell’ ancoraggio: “giusto o sbagliato, se pagano continua a farli pagare”.

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Ok Giulio. Il “comizietto” mi contesta l’ argomento del prezzo sul lato della domanda (rispondo sotto), tu sul lato dell’ offerta.
Un tale diceva: “non é dalla generosità del macellaio che spero di ottenere il mio pranzo…”. Il resto è noto.
Allo stesso modo dico che non è da “promesse generose” che spero di ottenere la mia fetta (una volta che altri si saranno procurati la torta).
L’ iva al 4 si applica al prodotto, non al produttore. la cosa è indifferente solo se esistesse un unico produttore per quel prodotto.
Ecco, tu parli del settore editoriale come di un monopolio assoluto. Solo in questo caso avresti in parte ragione.
E dico “in parte” perché un fornitore con più risorse da investire nei libri potrebbe comunque arrecarmi benefici indiretti.
Chiudo con due osservazioni.
La prima sull’ ambiente.
C’ è gente che ricicla i rifiuti con l’ acribia di un miniatore e rastrella le città alla ricerca di banane a km zero con la foga di un nazista. Poi scopri che questa stessa gente si ostina sul “cartaceo” :-(. È un po’ come professarsi animalisti e girare in visone. Quando c’ è un’ alternativa con zero trasporti e zero carta chi ha un minimo di coscienza ambientale non se la lascia sfuggire. Così come non dovrebbe restare indifferente il legislatore: basterebbe solo affiancare all’ IVA una banale carbon tax e si vedrebbero invertiti di fatto i carichi fiscali tra cartaceo ed elettronico.
La seconda su prezzi e diffusione.
Se il nesso non esiste, l’ “argomento prezzo” cade. Il buon “comizietto” dice che nel suo caso il nesso è lasco. Per me è leggermente diverso: ho appena rinunciato a un acquisto librario perché caro. Francamente penso che il mio caso si presti meglio alla generalizzazione: altrimenti perché non alzare l’ iva dei libri al 22%? La cosa non produrrebbe nessun inconveniente alla diffusione della preziosa merce, solo vantaggi alle casse dello stato. Devo precisare che per farsi un’ idea corretta in merito è al “libro marginale” che bisogna guardare, non certo al “libro della vita”. Se persino la domanda di cocaina ha una sorprendente elasticità, penso proprio che i libri non facciano eccezione. Oltretutto, l’ offerta di consumi culturali oggi è molto più vasta di ieri: se il tizio che pubblica non sta ben attento a come prezza il suo libro mi scarico dalla rete i suoi papers e amen (oppure me ne vado al museo virtuale, o al festival della letteratura, o a vedere la juve…).

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Tre idee su libri e monopolio. Guarda caso tutte e tre smaccatamente a sostegno della mia tesi :-)
Il libro non è un bene fungibile, d’ accordo, ma per fortuna non è nemmeno necessario che lo sia per avere “concorrenza”.
Infatti, basta una qualsiasi pubblicità glamour per togliere “fungibilità” persino a un banale dentifricio. Dopodiché, l’ antitrust non si sente certo chiamata in causa.
Se volessi esagerare racconterei quanto mi è capitato al supermercato: mi fiondo determinato verso lo scaffale dei libri, poi, con la coda dell’ occhio, vedo la Nutella e investo lì il mio budget residuo. Chi l’ avrebbe mai detto che libri e Nutella fossero in concorrenza? Eppure, almeno in parte, è stato così.
Dipende molto dalla curvatura ma tra Leopardi (il bersaglio mirato) e la Nutella Ferrero (il bersaglio centrato) ci potrei far passare l’ universo.
Ma c’ è di più: i libri contengono “informazione”, anche se un’ informazione di tipo particolare. Chi vende “informazioni” non puo’ esporre troppo in vetrina la propria merce altrimenti la regala ancora prima di averla venduta. Tutto cio’ facilita la concorrenza.
Faccio un esempio per chiarire un po’ meglio. Questa estate, contrariamente alle mie abitudini, volevo avvicinare qualche narratore italiano, così ho chiesto in giro a chi ritengo ferrato. Mi hanno fatto il nome di tale Mari, sembra una penna interessante a giudicare da come si scaldava il referente. Poi si è fatta largo la figura di un certo Pecoraro, voce con altri colori ma altrettanta qualità, in più onusta di freschi e prestigiosi premi. Ora devo decidermi e ammetto che questi due autori sono per me in sanguinosa competizione tra loro. Non escludo a priori di far redimere la questione al prezzo o ad altri dettagli.

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Giulio, evidentemente è saltato qualche passaggio. Ecco allora una ricostruzione semplificata.

Avevi espresso un concetto chiaro:

“… c’è forse un impegno dell’Aie a ribassare i prezzi dopo la diminuzione dell’Iva?…”

Poiché hai continuato a dirlo anche nel commento successivo, c’ è da ritenere che questa idea sia centrale nella tua visione.

Sottolinei addirittura di averla ripetuta troppe volte. Eppure non era certo sfuggita, forse era sfuggita la risposta, che mi sembrava altrettanto chiara: L’ IMPEGNO CHE RICHIEDI E’ DEL TUTTO PLEONASTICO.

Che le cose stiano in questi termini, che l’ impegno richiesto fosse pleonastico, è chiaro da almeno un paio di secoli (a tanto risale l’ invenzione dell’ economia moderna come disciplina), da qui la citazione del macellaio di Adam Smith.

La tua richiesta ha senso solo se il mercato editoriale fosse un monopolio e i consumatori dei meri “price taker”. E poco importa se tu abbia parlato o meno di “monopoli editoriali” visto che sono necessariamente implicati affinché la tua lamentela abbia un significato.

Per questo poi il discorso è scivolato sulla relazione tra libri e monopoli: perché il sugo della storia è tutto lì!

Nessun monopolio, nessun impegno da richiedere a chi lotta per la parificazione. 

Nessun monopolio e la torta verrà giocoforza ripartita.

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Giulio, non avendo parlato di “rappresentanza sindacale” non vedo bene dove stia la “confusione” che denunci.

Certo, "sindacato" e "monopolio" sono da sempre concetti in simbiosi poiché il sindacato non è altro che un cartello: cerca di creare un monopolio per spuntare condizioni più favorevoli sul mercato. Sul punto, oltre al buon senso, concordano Richard Freeman, James  Medoff, Gregg Lewis, Morgan Reynolds e praticamente tutti gli studiosi del sindacato. 

Cio’ detto, continuo a non vedere la rilevanza della cosa sulla tesi centrale, e cioè: la tua richiesto di impegno ad abbassare i prezzi ha senso solo se sul mercato editoriale esiste un monopolio dell’ offerta, altrimenti impegni del genere sono del tutto pleonastici poiché, qualora la campagna vada a buon fine, intascherò automaticamente la mia fetta di torta.

Ora, l’ Aie ha la forza di imporre politiche di prezzo all' intero settore? Ognuno giudichi e ne tragga le conseguenze. 

Se risponde di no, partecipi pure a cuor leggero alla “campagna di parificazione”. 

Se invece risponde di sì: 1) partecipi ugualmente alla “campagna di parificazione” per i "benefici indiretti" di cui ai commenti precedenti ma soprattutto 2) denunci la sua scoperta all’ antitrust.

n.b. Una sola cosa sul “libro verde”: mica possiamo imputare a chi legge in ebook di essere connivente con la“rivoluzione digitale”, quella esiste a prescindere. Una volta data, possiamo al limite interrogarci su come un lettore sensibile alle questioni ambientali sceglie tra le alternative a disposizione. La mia fonte era un articolo del NYT:

“…  Cleantech study concluded that purchasing three e-books per month for four years produces roughly 168 kilograms of CO2 throughout the Kindle’s lifecycle, compared to the estimated 1,074 kilograms of CO2 produced by the same number of printed books…”

Il tutto senza considerare i costi di immagazzinaggio e smaltimento.

Possiamo discutere delle quantità (in rete c’ è di tutto) ma non penso che al “forte lettore” con coscienza ambientale siano lasciate molte scappatoie. 


http://green.blogs.nytimes.com/2009/08/31/are-e-readers-greener-than-books/

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domenica 9 marzo 2014

La mia etica

Lo dico subito: non credo in nessuna teoria etica. 

Tutte sono altamente controverse, tutte prestano il fianco a critiche devastanti. Mi sembrano razionalizzazioni a posteriori di giudizi già presi. Da Kant a Rawls non faccio eccezioni.

Con questo non voglio fare professione di scetticismo: credo pur sempre che alcuni giudizi specifici siano veri e ben fondati e non controversi. 

La cosa migliore è partire da quei giudizi. 

Puo' darsi che si arrivi a conclusioni controverse ma per lo meno si è partiti da giudizi specifici di buon senso che tutti condividono. 


Se le conclusioni sono controverse la controversia andrà risolta a favore di chi formula la sua tesi partendo da giudizi non controversi.
Da una combinazione di senso comune e razionalità si forma l’ etica a cui mi sento più vicino.
Come procedere per farla emergere?
1) Prendi un caso concreto in cui s’ imponga come evidente una soluzione etica, chiediti perché proprio quella soluzione sia la più sensata e cerca di trarne un principio etico generale.
2) Dopodiché testa il principio così ricavato applicandolo anche a fattispecie diverse.
3) In caso di inapplicabilità verifica cosa osta, isola le contraddizioni che ti bloccano e stabilisci priorità ed eccezioni in grado di risolvere il caso.
E’ un’ etica intuitiva poiché i giudizi in 1) e 3) discendono da intuizioni legate al buon senso.
E’ un’ etica razionale perché le valutazioni richieste in 2) e 3) richiedono un “calcolo” delle conseguenze particolarmente rigoroso. In particolare si richiede di non discriminare tra danni astratti e danni concreti.
E’ un’ etica con una componente emozionale visto che disgusto e ripugnanza legittimano il respingimento del principio generale.
E’ un’ etica aperta perché puo’ essere integrata da precetti emotivi (vedi ultimo paragrafo.
L'etica oggettiva non è necessariamente realista, puo' essere anche anti-realista, ovvero maturare i suoi giudizi nell'interiorità dell'uomo. L'oggettività è garantita da una natura oggettiva dell'animo umano. In questo senso vedi l'estetica oggettiva ma anti-realista di Roger Scruton.
E’ un’ etica senza soluzioni precotte e definitive poiché il singolo test puo’ condurci ad abbandonare nel caso specifico il principio generale. Esempio: posso individuare il principio per cui non bisogna interferire nelle scelte altrui qualora non rechino danno ad altri ma se certi comportamenti producono rischi di danno insostenibili a terzi posso intervenire stabilendo un’ eccezione.
Non è comunque un’ etica relativista poiché si crede nell’ esistenza di principi invarianti verso cui tendere. Si tratta di principi difficili da acquisire ma alla cui esistenza, ripeto, si crede. Si crede soprattutto che procedendo nei termini descritti ci si approssimi ad una verità etica.
E’ un’ etica non utilitarista poiché impegna il buon senso e in questo modo si eludono talune assurdità utilitariste.
E’ un’ etica non-naturalista, in questo modo si elude il paradigma auto-rimuovente tipico delle etiche naturaliste.
Questa etica – che è stata definita come “intuizionista” - è bersaglio di molte critiche, ma una spicca sulle altre, c’ è infatti chi la ritiene arbitraria visto che ognuno avrebbe le sue intuizioni.
Ma ne siamo poi così sicuri? Forse non è proprio così, almeno se parliamo delle intuizioni fondamentali. Il fatto che molti siano particolarmente pronti a fare eccezioni e ad applicare un doppio standard non significa che le nostre intuizioni di fondo siano arbitrarie. D’ altronde quando l’ eccezione non è più “eccezione”, allora diventa contraddizione e si esce così dall’ etica proposta.
Certo, l’ introspezione personale (esame di coscienza) giocherebbe un ruolo notevole, ma un’ introspezione autentica porta ad individuare e correggere molti errori derivanti da intuizioni superficiali. Il fatto che esistano errori e che esista la possibilità di correggerli è un buon argomento contro l’ ipotesi dell’ arbitrio diffuso.
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A questo punto devo ammettere di aver descritto finora una meta-etica piuttosto che un’ etica vera e propria, di aver delineato cioé un metodo più che una dottrina. Cerco di rimediare enunciando alcuni principi concreti. 
Poiché simpatizzo per un’ etica borghese, potrei allora parlare del doveroso “rispetto" (per la persona e la proprietà altrui) o della “lealtà”, o della generosità (in alternativa saremmo ostaggio del burocrate welfarista), oppure della temperanza (dote necessaria per emergere nella società borghese), oppure ancora dell' intraprendenza (così vicina allo spirito imprenditoriale).

Tuttavia esiste un principio più sofisticato che definirei della giusta ricompensa che sintetizzerei così: “ad ogni individuo spetta un compenso materiale in relazione alla ricchezza che produce nella comunità. Il marginalismo e il sistema dei prezzi sono i metodi più pratici per misurare sia il contributo che il compenso di ciascuno”. 
Una specie di meritocrazia dove si riconosce però il fatto che il merito a volte è inestricabile dalla fortuna.
Non si tratta di un principio pacifico, ad esso si contrappone chi punta sulla "lotteria dei talenti", in particolare il filosofo John Rawls.
Secondo Rawls ognuno di noi partecipa ad una lotteria dei talenti, la nostra posizione nel mondo è da attribuire quindi ad un evento fortunato. Secondo Nozick, invece, una visione del genere è estremamente rischiosa: se non riconosciamo l' esistenza di un merito, e quindi di un libero arbitrio, il nostro corpo e il nostro talento diventa proprietà comune e a quel punto non avrebbe senso opporsi alla schiavitù, almeno quando ha scopi egalitari, ma la schiavitù ripugna alla nostra ragione etica, quindi la "lotteria" è una teoria da respingere. Non resta allora, secondo Nozick, che ripiegare verso una teoria della giusta ricompensa la quale, per l' appunto, distingue tra lotteria dei talenti, merito e giusta ricompensa. La nostra posizione nel mondo dipende da fortuna e merito, il principio del just desert (il male non implica ingiustizia, il merito è inestricabilmente legato alla fortuna e quindi il fortunato non va punito come un colpevole) ci garantisce così una condanna della schiavitù: noi non sappiamo come si mescolano merito e fortuna ma sappiamo che accettare il mix è corretto. Il just desert è sostenibile solo se: 1) il merito, e quindi il libero arbitrio, esiste e 2) gli effetti di merito e fortuna si mescolano inestricabilmente. Ora, il mix inestricabile appare più chiaro se sollevo alcune questioni, ecco tre esempi:
  1. Io posso allenare la mia volontà ma da dove deriva la volontà di allenarla, e via così in un regresso infinito, è chiaro che se le cose stanno così è difficile isolare con precisione dove comincia il libero arbitrio.
  2. Fino a che punto il carattere di una persona coincide con quella persona e fino a che punto invece "appartiene" a quella persona? Io sono brillante o possiedo una brillantezza? Altra domanda dalla risposta essenzialmente dubbia.
  3. Fino a che punto i tratti che eredito dai miei antenati dipendono dalle loro scelte? Natura e cultura si legano e interagiscono in modo inestricabile ma se noi ammettiamo l' eredità come legittima dobbiamo accettare anche questa simbiosi.  

Una cosa è certa: senza libero arbitrio la teoria della giusta ricompensa non sarebbe plausibile.
Il principio della "giusta ricompensa è oggettivista (contro il contrattualismo).
Un principio del genere è compatibile con una società di mercato, anzi, la richiede.
[… I principi etici prescelti si riverberano poi nelle scelte politiche. Un diritto di proprietà naturale è incompatibile con lo stato e con le tasse, tuttavia l’ esperienza ci insegna che senza uno stato minimo il diritto di proprietà è messo a repentaglio. Forse lo stato minimo è proprio una delle eccezioni necessarie a cui accennavo più sopra. L’ impostazione proposta è dunque in grado di trasformare un’ etica dei diritti naturali in una politica dello stato minimo, e a questo punto possiamo proseguire la nostra elencazione rinviando per i dettagli al post “la mia politica”…]
Un principio del genere non si presta a radicalizzazioni (tipiche dei diritti naturali comunemente intesi).
Un principio del genere è compatibile con un ruolo limitato dello stato limitato a produttore di beni pubblici in senso stretto e regolamentatore dei monopoli naturali. Quando parlo di “ruolo limitato dello stato” il lettore impolitico dovrebbe leggere “ruolo limitato della forza”.
Un principio del genere consente di intervenire con la tassazione per riequilibrare eventuali esternalità.
Un principio del genere implica una metafisica  più soddisfacente (per me) rispetto a quella implicata da teorie rivali, ho in mente l’ esperimento mentale di Rawls, autore dal quale non si puo’ prescindere affrontando il tema della giustizia distributiva (qui un appunto critico al suo approccio).

***
Finora ho parlato di etica in senso strettamente laico ma a un credente tutto cio’ non basta. Esiste allora  un supplemento di verità morali a cui deve attenersi ed esse derivano dalla sua fede in Gesù e nella Chiesa Cattolica. Si tratta di adempimenti che scaturiscono essenzialmente da un’ obbedienza: Gesù è venuto per dirigerci con l’ esempio laddove la nostra ragione vacilla. Come comportarsi nel campo della sessualità? Come regolarci sul fine-vita? Come vivere nel matrimonio? Che regole seguire per l’ alimentazione? Eccetera. Solo l’ esempio di Gesù tradotto dalla Chiesa e vissuto nell’ obbedienza puo’ entrare in questi particolari.
Sebbene nella dimensione laica sia giusto definire questi doveri particolari come supererogatori, la dimensione di fede li trasforma in precetti obbligatori.
Per quanto abbia usato il termine “particolari” devo subito aggiungere che parliamo del 90% dei precetti morali a carico di un individuo, molti addirittura con la parola “etica” designano solo questa categoria di precetti, riservando per l’ altra il termine “giustizia”.
Oltretutto, non si pensi il non-credente sia esentato da questo “fardello”. Tuttaltro! In  genere gli studiosi, specie gli psicologi evoluzionisti, la considerano un’ etica strettamente collegata alle emozioni. Emozioni per il non credente, obbedienza per il credente.
Si tratta in genere di rispettare tabù che se infranti non farebbero comunque vittime. ogni uomo necessita di una dimensione sacrale, e la cosa investe in tutto e per tutto anche gli atei: il “politicamente corretto” è la loro Messa, e la celebrano tutti i giorni, mica solo la domenica. Di solito sono coinvolte la dimensione del rispetto e del disgusto, che uno studioso come Jonatahn Haidt ha studiato a lungo:
“John e Mary adorano il loro Fido, un cagnolino stupendo. Purtroppo Fido viene investito da un auto, i suoi padroni hanno sentito che la carne di cane è deliziosa, così, non visti da nessuno, quella sera stessa sezionano il cadavere di Fido, lo cuociono e lo mangiano. Domanda: pensate che John e Mary abbiano agito rettamente in questa occasione?”
“Un uomo va al supermercato una volta alla settimana e compra un pollo. Tornato a casa, prima di cuocerlo, ha rapporti sessuali con la carcassa del pollo. Poi lo cuoce e lo mangia. Un comportamento del genere è condannabile”
Una cosa è certa: si tratta di comportamenti che non procurano danno a nessuno dei soggetti coinvolti. Eppure noi – credenti e no – sentiamo l’ esigenza di condannarli. In nome di cosa? Se la ragione non è utilizzabile non resta che l’ obbedienza (credente) o l’ emozione  (ateo).
C’ è nell’ uomo, nella sua natura, un disgusto per l’ impuro, un’ attrazione per la purezza e la perfezione. Negarlo sarebbe inutile, e la scienza conferma. Forse perché quel che finora ho chiamato “carico” o “fardello” in realtà non è altro che la possibilità di migliorarsi sempre e di avere una meta. Qualcosa che anziché “gravarci” sulle spalle ci rende felici e ci realizza.
L’ etica come “comando divino” offre poi tre vantaggi che fanno pendere la bilancia del mio giudizio in suo favore: se rettamente interpretata ci scuda dal moralismo garantendo laicità e liberalismo.
In conclusione, dopo quanto detto, qualcuno potrebbe chiedersi: “ma allora la nostra meta-etica dovrà essere “cognitiva” (fondata sulla ragione) o non-cognitiva (fondata sul sentimento?
Dopo quanto detto, non si puo' negare che il sentimento di ripugnanza abbia un ruolo in molti giudizi etici. In questo senso l' etica puo' essere vista come divisa in due: principi di base (cognitivi) e limiti ai principi + precetti ulteriori (non cognitiva). Deontologia e virtuismo possono convivere e forse proprio questa distinzione è la base di una sana laicità.

Elenco dei punti da approfondire in relazione a merito, giustizia, fortuna ecc.

  1. La predisposizione conta per un 50%, lo sforzo per un altro 50% ma la volontà è in buona parte genetica, anche se si puo' allenare.
  2. Sulla volontà incide molto la motivazione, e quindi la passione e la competizione. Chi è ben motivato sa produrre grande sforzo, a prescindere dalle sue predisposizioni.
  3. Growing mindset. Molti ritengono che, al di là di come stiano le cose, credere nel lavoro motivi di più e faccia produrre uno sforzo supplementare. La teoria sembra valida e resiste tutt' ora a molti attacchi. Accettare che la fortuna giochi un ruolo importante renderebbe la società più povera.
  4. Bias. E' presumibile che a causa del fenomeno growing mindset si produca un bias nella divulgazione delle percentuali nature/nurture.

ADD1 L'utilitarista gli aborre ma ci sono almeno due motivi per difenderli:

  • allenano ai sacrifici utili. la volontà infatti si allena come un muscolo. del resto la scuola non è altro che un allenamento allo sforzo intellettuale: le nozioni che s'imparano sono per lo più inutili per lo più inutili. c'è da aggiungere che chi sta in fondo alle gerarchie sociali ed è privo di grandi talenti ha nella capacità di sacrificarsi l'unica sua arma per non perdere il contatto con chi sta sopra di lui.


  • sono fonte di soddisfazione quando ci legano e ci identificano strettamente ad un valore che sentiamo profondamente: la mamma che non fa l'epidurale offre questo suo dolore al figlio e si sente realizzata.
continua

ADD2 The Moral Sense di James Q. Wilson
  • la virtù ha una brutta fama: x i giovani è il contrario del divertimento x i vecchi un arma politica o nostalgica. eppure il moralismo spopola. come è possibile?
  • nascondiamo il tipico linguaggio della morale dietro il linguaggio sui caratteri...
  • tesi: l uomo ha una sua natura morale e ad essa si appella ogni discorso etico convincente.
  • perchè i discorsi moralisti ci infastidiscono? forse xchè riteniamo che nn siano nè razionali nè scientifici. domanda molto fondandosi sul nulla.
  • darwin: siamo solo degli egoisti ipocriti. così almeno la vulgata di qs autore
  • freud: il senso di colpa è sintomo di repressione.
  • marx: contano solo i rapporti di forza.
  • x la moralità nn c è posto in qs autori che hanno forgiato la modernità. la loro scienza sfida il senso comune.
  • fallacia naturalistica: scienza e morale sono separate da un abisso. in campo etico possiamo avere solo opinioni ma nessuna conoscenza...
  • antropologia: ci mostra quanto vari sono i costumi. nn esiste una natura umana...
  • inoltre è sbagliato giudicare i costumi altrui...
  • filosofia: impazza il relativismo e il pensiero debole...
  • conclusione maggioritaria: l uomo moderno si affida unicamente alla pancia o al calcolo egoistico..
  • chi parla di virtù è invitato ad abbassare la voce e si becca del rozzo se nn del fanatico...
  • conclusione del libro: l uomo moderno conserva la sua natura morale ma tenta di schermirla o sprezzarla. quando l occultamento nn è più possibile esplode in tirate moralistiche salvo utilizzare linguaggi della politica della giustizia eccetera...
  • a volte l occultamento del senso morale deriva dalla sensazione che parlare di giusto o sbagliato faccia male e opprima, specie i bimbi. in molti casi si stigmatizza il bene e il male parlando di semplificazione..
  • i bambini sono invece invitati a discutere: value clarification. senonchè la cosa li manda in confusione più che essere un chiarimento...
  • di fronte a tanto relativismo sbandierato è normale che un ragazzo si droghi bari ai test o? sospendiamo il giudizio. il libro non parla di qs è troppo difficile legare la cultura ai comportamenti effettivi.
  • tema del libro: siamo veramente dei relativisti etici? e perchè ci teniamo tanto a dirci tali? è importante xchè potremmo anche diventare ciò che crediamo di essere...
  • oggi la parola valore predomina. ha emarginato la virtù, ma cosa si intende? si parli di divorzio figli illegittimi droga crimine media il dibattito è sempre sui valori.
  • la parola valori ci disimpegna sviando il discorso sulle preferenze sui gusti...
  • ma nessuno crede veramente a qs altrimenti nn difenderebbe i suoi valori con tanta forza. nn si difendono i propri gusti alzando il pugno.
  • da un lato siamo scettici quando sentiamo pontificare sui valori dall altro scegliamo le ns compagnie in base ai valori...
  • gli studi sullo sviluppo infantile evidenziano l emergenza di un senso morale...
  • tesi: siamo dei moralisti naturali. il giudizio morale per noi è inevitabile...
  • il fatto che puoi parlare di morale con tutti significa che tutti capiscano di cosa si parla...
  • tesi: molti giudizi espressi nn sono sentiti affatto come relativi...
  • senso morale: intuizione morale...
  • il senso morale è una predisposizione nn si identifica con nessun obbligo specifico...
  • esempi di senso morale: senso del dovere della correttezza della simpatia dell autocontrollo...
  • maestri: david hume adam smith. dobbiamo integrare con biologia e nuove conoscenze...
  • quali evidenze segnalano l esistenza di un senso morale?…
  • i comportamenti valgono più di mille parole..
  • qual è la fonte del senso morale?: natura famiglia cultura...
  • il dilemma della cultura: come è nata in occidente l idea universalista (quella x cui tutti sono formalmente uguali)??.…
  • conclusione: esiste una natura etica umana. è fragile e va coltivata e protetta...
  • oltre all egoismo (il ns peccato originale) esiste in moi il desiderio di essere lodati e di meritarci le lodi x la ns correttezza
conclusioni

ADD3 I valori morali dell' uomo cambiano e tendono a convergere.
È segno che esistono dei valori oggettivi (ipotesi Huemer)?
Oppure è sefno che la ricchezza crescente delle nostre società trascina con sè anche i valori?
Ricordiamoci la lezione di Dreidre McCloscky aylla eivoluzione industriale: fu una svolta etica a produrla.
Testing Moral Progress http://www.overcomingbias.com/2015/10/testing-moral-progress.html

ADD4   Ethical intuitionism di Michael Huemer
  • Intro
  • Metaetica: studia la natura dei giudizi etici
  • Oggettività di un giudizio: che nn dipende dal soggetto
  • 5 metaetiche: 1 nn cognitivismo 2 soggettivismo 3 nichilismo 4 naturalismo 5 intuizionismo
  • La 5 è l unica etica dualista
  • Intuizionismo: i valori etici sono oggettivi e vengono intuiti dalla ragione senza passione. Il libro è una difesa di 5
  • Cap2 nn cognitivismo 1
  • Per 1 il giud di valore è un imperativo istintivo
  • Una teoria sottoponibile a prova empirica
  • La prova linguistica: il linguaggio che usiamo x l etica depone x la sua razionalità
  • Xchè un giudizio istintivo dovrebbe essere vero?
  • La prova introspettiva: ul giudizio etico assomiglia più a una credenza che a un emozione
  • Cap3 soggettivismo 2
  • 2: le proprietà del giudicante si riflettono nel giudizio
  • 2 implica che i nazisti abbiano ragione. Relativismo culturale
  • 2 confonde le credenze con la verità
  • Cap4 riduzionismo o naturalismo
  • R: i giudizi etici possono tradursi in descrizioni e dalla descrizione possiamo capire se sono veri
  • Il riduzionismo è confutato da moore (arg.1) con il is ought gap o legge di hume
  • moore: chiedere "qual è la formula chimica dell acqua" ha senso, chiedere "qual è la formula chimica dell' H2o" no. Evidentemente acqua e h2o non sono la stessa cosa

  • R. sintetico: possiamo dire cos è la bontà descrivendola
  • Critica (arg.2): la bontà nn si tocca annusa sente...
  • Altra critica al riduzionismo (arg.3): le prop etiche sembrano molto diverse da quelle naturali. Onere della prova. Il resoconto riduzionista sembra fallire ogni test concreto
  • Cap5 la conoscenza etica
  • Principio di conservazione: le cose sono come appaiono
  • Conoscenza intuitiva: con immediata delle apparenza
  • I. nn pretende che l i.sia infallibile. I.dà un ruolo anche alla conoscenza calcolante
  • Ob: i. è arbitraria. Argomento nichilista: nn abbiamo altro che i.
  • Genealogia di i.: reid e il realismo diretto in gnoseologia
  • Altri esempi di i.: gli universali. Nn sono fisici ma noi li conosciamo con certezza
  • Cap6 disaccordi ed errori
  • Ci sono molti disaccordi morali sia tra società che nelle società
  • Idiot veto: se un idiota nn condivide significa che il valore è soggettivo?
  • Chi critica i. con l arg del disaccordo spesso fa una caricatura di un i. infallibile e immediato
  • Ci sono anche molti disaccordi nn etici. Es chi ha causato la prima guerra mondiale? Chi ha ucciso kennedy?
  • Le fonti degli errori sono abbastanza note: bias ecc. Gli errori sono prevedibili. Cultura religione..
  • Ob: l i. nn risolve i disaccordi
  • R: solo sulle i. fondamentali. Ma qs vale sempre in ogni caso. Anche x le altre teorie. La preoccupazione è sopravvalutata
  • Si è in disaccordo anche sulla metaetica migliore. Chi propone l arh del disaccordo è in contraddizione
  • Il dis è più un prob x gli anti realisti che nn hanno armi x affrontarlo
  • Cap7 ragioni pratiche
  • Critica di hume: nessun desiderio nessuna azione
  • R: anche la ragione motiva. Oggi lo riconoscono anche parecchi seguaci di h.
  • È il credere di nn avere ragioni che nn motiva
  • Xchè noi adduciamo ragioni x quel che vogliamo? Evidentemente il desiderio nn è tutto
  • Xchè nn rinunciamo ad informarci su ciò che riteniamo spiacevole
  • Nn siamo indifferenti alle contraddizioni
  • H nn può criticare le scelte altrui. Una pratica comune
  • Desiderio ed egoismo. Perchè l etica si distanzia dall ego?
  • Arbitrarietà dell etica di h
  • I. può spiegare la debole volontà. H. no
  • La domanda: xchè comportarsi bene è un nonsense x h
  • Cap.8 altre ob
  • Mackie: i. è una teoria bizzarra.
  • Le prop morali di un fatto sembrerebbero emergere dalle prop fisiche. C è chi tavvisa dualismo. E allora? Anche la logica emerge
  • Strawson contesta l argomento prima facie
  • Come nasce nei bimbi il senso del giusto? Con gli esempi sempre più numerosi che incontrano
  • Ob evoluzionista. Il resoconto ev è rozzo e infalsificabile
  • La spiega ev smaschera l illusione delle stelle? No. Allo stesso modo nn smaschera la morale.
continua

ADD5