martedì 5 febbraio 2013

Il liberismo yankee come patrimonio dell’ umanità

[attenzione: post con link!]
Il cuore tenero dei “sinceri democratici” di tutto il mondo avanzato è in tumulto, una preoccupazione non da poco lo tormenta: l’ asperrima diseguaglianza sociale che regna nella superpotenza americana.
Il fenomeno diventa di giorno in giorno più sgradevole e la risonanza internazionale di un movimento come Occupy Wall Street sta lì a testimoniarlo.
LIBERISMO
Certo che a ben vedere si tratta di un allarmismo non sempre facile da spiegare: la povertà negli USA è meno diffusa e meno severa rispetto a quella che riscontriamo in molti altri paesi del mondo. Le diseguaglianze sono certamente elevate per un paese ricco ma non possono essere definite “estreme” se si prende a riferimento lo standard internazionale.
Sfortunatamente, le  preoccupazioni “progressiste” promuovono poi politiche che, pur volte in buona fede (?) a ridurre la povertà in USA, rischiano di aumentarla nel resto del mondo.
Il fenomeno per cui ridurre il numero dei poveri incrementerebbe la povertà globale getta il neofita nello sconcerto pur essendo noto da tempo agli studiosi. Vediamo allora meglio il meccanismo sottostante che favorisce un effetto tanto perverso.
Gli USA sono sempre stati uno dei paesi più innovativi del pianeta, da sempre esportano tecnologia ovunque. Cio’ è dovuto, almeno in parte, alla cultura della competizione sfrenata e al sistema economico liberista che regna laggiù. Il welfare striminzito consente una bassa tassazione e la bassa tassazione assicura che i benefici per chi lavoro sodo, prende rischi e intraprende, siano maggiori che altrove. La deregolamentazione dell’ economia, inoltre, garantisce l’ assenza di rendite di posizione per chi si afferma. Insomma, non è consentito riposarsi sugli allori; qualsiasi persona di talento puo’, se è in grado di farlo, partire con la sua impresa e ribaltare lo status quo.
Ora, non voglio dare giudizi su quale sia la politica migliore, ognuno faccia come crede, voglio solo formulare ipotesi che trovo sensate, per esempio questa: puo’ darsi che addolcire le spigolosità di una società competitiva migliori il benessere di un certo numero di americani ma rende senz’ altro più costoso sperimentare in vari campi vari: dalla scienza al business, dalle arti alla robotica…
La sperimentazione e le innovazioni che ne conseguono generano enormi e durature “esternalità positive” poiché possono poi essere copiate ovunque a basso costo e arricchire così la vita di molti uomini sparsi sull’ intero pianeta. Ci sono e ci saranno sempre tentativi di contenere l’ effetto positivo delle innovazioni in modo da compensare più adeguatamente l’ innovatore, ma si tratta di tentativi falliti e destinati perlopiù a fallire anche in futuro: non esiste un diritto o una tecnologia per trattenere e rivendere la gran parte della ricchezza e delle opportunità prodotte. Cio’ significa che da sempre l’ innovatore è anche benefattore netto per l’ umanità.
LIBERISS
Tanto per tenere alta l’ attenzione, veniamo alla cronaca spicciola. In questo periodo si parla molto di crescita e in Italia non manca mai chi nei dibattiti alla TV si riempie la bocca con espressioni del tipo “bisogna far ripartire i consumi”, oppure “ci vuole una politica industriale adeguata”. Ma lo vogliamo capire o no che la “crescita” dipende solo dal grado di innovazione? O, in alternativa, dall’ imitazione parassitaria dell’ innovazione altrui. Proprio Domenica lo spiegavano bene sul Corriere due economisti:
… nel dopoguerra la politica industriale governativa fu un elemento sostanziale della nostra rinascita economica, tanto è vero che l’ IRI fu presa ad esempio da altri paesi come il Giappone che creò il MITI (ministero del commercio e dell’ industria)… ma si trattava di tempi molto diversi. Italia e Giappone erano all’ inizio della loro esperienza industriale, non era necessario inventare cose nuove, bastava importare tecnologia dagli Stati Uniti e riprodurla, possibilmente facendo meglio di chi l’ aveva inventata. Fu così per l’ acciaio: l’ impianto siderurgico di Taranto fu copiato dalle acciaierie texane di Houston e suscitò l’ ammirazione degli americani stessi… oggi crescere per imitazione non è più possibile perché siamo troppo vicini alla “frontiera tecnologica”… oggi si cresce innovando e non imitando, in questo contesto la mitica “politica industriale” serve a poco… come puo’ un funzionario di stato capire quali settori avranno successo? Vi immaginate quattro alti papaveri dell’ IRI che in un garage s’ inventano Apple? O un azzimato impiegato del Ministero che chiede udienza al suo capo per illustrargli il “progetto facebook”?…
La competizione all’ ultimo sangue e il liberismo selvaggio danneggeranno giusto qualche americano (200.000? 300.000?) ma le ricadute positive beneficiano più o meno direttamente milioni di persone in tutto il mondo, anche perché i benefici di un’ innovazione non si esauriscono alla produzione ma si accumulano riversandosi generosamente sulle generazioni future.
Purtroppo, una sempre maggiore fetta della spesa governativa americana viene oggi destinata alla redistribuzione verso i bisognosi, alla sanità, alla protezione sociale, alle pensioni, eccetera. L’ ingrigito Obama è  la classica figura impiegatizia che incarna bene il crescente trend verso la spesa parassitaria. Questa spesa non investe sul futuro e non genera benefici a cui possa poi accedere il mondo intero. Si limita a premiare una ristretta cerchia di americani, e poiché si tratta di benefici che devono essere finanziati dalle tasse di altri americani, tutto cio’ si traduce in disincentivi al lavoro, all’ investimento e all’ innovazione.
E quando saremo tutti “parassiti” che succederà? A chi succhieremo il sangue? Da chi ci faremo “trainare”? La decrescita felice sarà a quel punto una necessità più che una scelta.
Morale, chiunque fosse interessato a combattere le diseguaglianze globali senza pensare che un manipolo di americani debba essere posto su un piano superiore rispetto a milioni di persone che hanno il solo torto di vivere fuori da quei confini, dovrebbe riflettere prima di augurarsi che gli USA s’ incamminino sul serio verso un modello di stampo europeo. Un’ economia di tipo “estrattivo” porterebbe con sé quella sclerotizzazione in cui il vecchio continente è incagliato da anni. Se cio’ accadesse, forse non sarebbe lecito parlare di “catastrofe americana” - su questo punto, sia chiaro, sospendo il giudizio - di sicuro sarebbe una catastrofe di portata globale.
Qualche anno fa si parlava di “locomotiva americana”, mi chiedo dove possa mai arrivare un treno (un mondo) fatto solo di vagoni. In questo senso gli “spietati conservatori” del Tea Party sono molto più compassionevoli degli illuminati progressisti di Occupy Wall Street. E sempre guardando le cose da quest’ ottica, spero che l’ UNESCO si decida quanto prima a dichiarare il laissez-faire-cut-throat a stelle e strisce Patrimonio dell’ Umanità intera.
LIBERISSSS
P.S. Una trattazione scientifica di questi temi si trova qui.

Film visto ieri: Gli aristogatti

In amore la “mobilità sociale” fa sempre effetto. Qui Romeo, gattaccio dei bassifondi, conquista Duchessa, micetta altolocata…
La cosa più riuscita del film: la lezione di musica in salotto.
La cosa meno riuscita: l’ impiego dei dialetti per segnalare l’ estrazione popolare.
E poi, dài, non si puo’ avere il protagonista maschile con una voce da basso/baritono. Stride ogni volta che apre bocca! La parte del “bello & coraggioso” si assegna al tenore, è risaputo. Nel paese dell’ Opera certe sviste saltano all’ occhio.
Non sono un particolare cultore di “inseguimenti” ma quelli che ingaggiano Edgard-Napoleone-Lafayette valgono quelli di Tom & Jerry, così come il parossismo e l’ inventiva delle loro risse non sfigura nemmeno di fronte a quelle di Braccio di Ferro.
A proposito di Edgard… che strano, di punto in bianco e senza alcuna premonizione diventa “il cattivo” della storia. Di sicuro è più simpatico lui della stucchevole vecchia. Forse – proprio come gli spettatori più tradizionalisti (penso a mia mamma) - ha ricevuto unO choc nell’ apprendere che, dopo un’ onorata esistenza “a servizio”, era stato diseredato… in favore dei gatti!
Aristogatti

“Non proprio quel che avevano in testa”

E’ un saggio del prof. Arnold Kling sulla burrasca finanziaria del 2007/2008.
Signori, parliamoci chiaramente, abbiamo avuto la fortuna/sfortuna di vivere uno degli eventi più significativi della storia economica di tutti i tempi!
Bene, lecchiamoci pure le ferite ma, per favore, cerchiamo anche di imparare qualcosina. L’ occasione è d’ oro!
Citando non so bene chi mi tocca dire che chi non impara dal passato è condannato a ripeterne gli errori.
Questo libro puo’ allora aiutarci, l’ Autore sembra avere le carte in regola. Più di Beppe Grillo, almeno.
Innanzitutto ci racconta le cose dal di dentro: ha lavorato a lungo nel mercato dei mutui americani, è stato “senior economist” in Fannie Mae e Freddie Mac, nonché autorevole consulente del Board of Governors del Federal Reserve System. Inoltre dimostra discreta onestà intellettuale, lo si nota anche dal solo fatto di proporre le sue ragioni “a integrazione” (e non in “sostituzione”) della vulgata.
***
Ma di cosa parliamo quando parliamo di crisi finanziaria?
Un libro del genere lo dà per scontato ma forse per noi è meglio partire da zero.
Dedico un paio di capoversi alla faccenda.
Nel corso degli ultimi decenni i cosiddetti “derivati” americani hanno “colonizzato” i bilanci di tutte le banche al di là e al di qua dell’ Oceano. Sigle esotiche spuntavano tutti i giorni sui nostri giornali (CDO, CDS, SIV…), ma cosa cavolo è un “derivato”? Semplice, è un titolo di credito che si appoggia in qualche modo a un mutuo ipotecario o a una combinazione di mutui. Poi, naturalmente, ci sono anche i derivati dei derivati, le assicurazioni sui derivati, i derivati sulle assicurazioni di derivati, eccetera eccetera. Andando al sodo, il castello di carte puo’ essere costruito nei modi più ingegnosi dosando con il bilancino i rischi incorporati, purché si sappia che alla base ci sta sempre un prestito immobiliare; il debitore ultimo, insomma, è chi compra casa: tu, banca, stipuli un mutuo con ipoteca sull’ immobile e, dopo averlo opportunamente ricombinato con altri prodotti finanziari, rivendi il tuo credito a terzi, i quali lo riconfezionano e lo rivendono a loro volta. E così via.
All’ epoca in cui si sgonfiò la bolla immobiliare statunitense, i valori delle case andarono a picco rispetto all’ entità nominale dei mutui stipulati. Una riduzione tanto drastica delle garanzie, accompagnata dalle prime insolvenze, trasformò i derivati in “titoli tossici”. Valutarli nei bilanci all’ infimo valore di mercato (principio contabile market-to-market) significava una sola cosa per tutte le banche che li avevano “in pancia”: portare i libri in Tribunale.
Un terremoto del genere ha fatto vacillare molti edifici, le costruzioni finanziarie più fragili sono andate al tappeto. E non è affatto detto che le “costruzioni finanziarie più fragili” fossero in prossimità dell’ epicentro: una moneta come l’ Euro, pur apparentemente distante dai “misfatti”, era costruita talmente male da aver barcollato paurosamente per mesi.
Ah, dimenticavo: la recessione dell’ economia e la disoccupazione sono la simpatica codina di tutte le crisi finanziarie di un certo peso. Si tratta di fenomeni che si prolungano, specie se i sistemi economici contagiati sono rigidi e faticano a cambiare.
Alt, mi fermo qui. Anche perché non è mia intenzione occuparmi di ciò che sta “a valle”, bensì di cio’ che sta “a monte”, e con lo scheletrico resoconto appena fornito, spero di aver chiarito cosa intendo quando dico “cio’ che sta a monte”.
Poniamoci allora una semplice domanda: perché una crisi tanto devastante e con radici ormai rintracciate con dovizia di particolari, a oltre quattro anni di distanza non ha ancora trovato cure adeguate? Certo, si cerca di attutirne gli effetti nefasti, ma sulle cause?
Sicuramente il Beppe Grillo che è in noi avrà già capito tutto e squadernerà la soluzione: siamo in presenza di un mercato selvaggio, di mancanza di regole, di far west finanziario e di spiriti animali scatenati: mettiamo le regole che mancano, facciamole rispettare in modo spietato e tutto si aggiusta. C’ è un buco nella rete del pollaio e le galline sono scappate? Rappezziamo il buco e non scapperanno più. Ma cosa lo impedisce, Beppe? Ovvio, la famelica lobby dei banchieri. Basta che i “buoni” sconfiggano i “cattivi” e il gioco è fatto!
D’ altronde, chiedetevi solo cosa deve pensare il profano che sente o legge il giornalista-unico mentre parla o scrive di “derivati”. Semplice, aboliamo i “derivati”, mettiamo in galera chi li ha inventati e tutto si risolve. Come se la “bolla di internet” si possa combattere “abolendo” internet o mettendo in galera “chi l’ ha inventata”.
[… nota bene: “Beppe Grillo” è solo un luogo della mente, la metafora del grande semplificatore, di colui che titilla la nostra pigrizia con soluzioni portatili. Avrei potuto fare altri nomi. Ricordo bene un Report sulla crisi dei mutui americani, una sequela di strazianti interviste a “neri sotto un ponte” – per lo più precari che avevano tentato l’ acquisto… del villone da 800 mila dollari –; con la solita formula televisiva “20%-informazione-80%-suggestione” si intendeva presentare come “buono” il debitore insolvente e come “cattivo” il creditore che l’ aveva preso in quel posto. ma perché meravigliarsi? Quando l’ educazione sentimentale della platea catodica italiota è affidata da anni alla coppia Santoro/Floris, anche una messa in scena del genere diventa plausibile… Chiudo la parentesi verde con un’ ammissione: sì, lo so bene, anche la presente condanna sommaria di certo giornalismo ha un sapore beppegrillesco; quindi, mi ricompongo e cerco di proseguire con un certo aplomb…] 
Ecco, se Beppe Grillo vi basta, potete anche scendere qui (laggiù c’ è la piazza dove urlare i vostri slogan). In caso contrario, potreste sentire cosa ha da dire in merito il prof. Kling.
Cominciamo allora con una dichiarazione di principio:
… il problema della regolamentazione finanziaria non assomiglia a un problema matematico, di quelli che quando trovi la soluzione poi giace lì “risolto” per sempre… è invece come un gioco tra regolatore e regolato, un gioco in cui il secondo si adatta ai vincoli messi dal primo, il quale è chiamato di volta in volta a rettificarli quando non a capovolgerli… ogni regime regolatorio si ritrova immediatamente sotto assalto e spesso l’ efficacia delle regole degrada fino a sparire… cio’ che oggi ci appare medicina, sarà il veleno che ci intossicherà domani… E’ relativamente facile modulare regole che impediscano il ripetersi di una crisi identica a quella passata, ma è altrettanto facile prevedere che la crisi futura sarà completamente diversa da quella passata e che regole buone per la prima non faranno che esacerbare la seconda…
C’ è inoltre un chiaro problema di “time inconsistency”:
… prima della crisi il regolatore cerca di convincere il sistema che nessun soggetto a rischio verrà salvato e che si lascerà fare alla disciplina di mercato… tuttavia, in tempi di crisi, il regolatore è soggetto a pressioni politiche che lo spingono puntualmente al “salvataggio”… poiché lo schemino si ripete nella storia, la lezione viene presto appresa dai protagonisti e si crea un problema di azzardo morale che sfuma i confini tra responsabilità private e responsabilità governative…
***
Ma andiamo con ordine, passiamo in rassegna cio’ che maggiormente ha pesato sugli eventi che ci interessano.
Innanzitutto, non si puo’ negarlo, ci sono state una serie di “cattive decisioni” prese dagli operatori (bad bets):
… una cattiva decisione è una decisione di cui a posteriori ci dispiaciamo… se una serie di investimenti speculativi hanno gonfiato la bolla immobiliare… si trattava evidentemente di decisioni sbagliate… se un investitore decide di detenere titoli garantiti da mutui stipulati a carico di soggetti insolventi, compie “una cattiva decisione”… se un soggetto come AIG si specializza nell’ assicurare le perdite di valore dei titoli summenzionati, compie “una cattiva decisione”…
Ha contato poi anche l’ eccessiva “leva finanziaria” degli operatori:
… le banche e gli altri intermediari finanziari hanno preso rischi eccessivi senza avere una commisurata riserva di capitale… a posteriori molti di questi soggetti si sono rivelati colossi dai piedi d’ argilla non riuscendo a far fronte al crollo dei prezzi delle case su cui vantavano le loro ipoteche…
Non dimentichiamo la costante minaccia del cosiddetto “effetto domino”:
… la stretta interconnessione tra gli operatori ha reso difficile isolare e bonificare le aree di crisi… a poche ore di distanza da quando Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, hanno cominciato a vacillare le quotazioni di soggetti fino a ieri insospettabili…
Non si capisce mai bene se faccia più guai l’ “effetto domino” o la consapevolezza che esista qualcosa del genere:
… i reali danni dell’ “effetto domino” ci sono sconosciuti poiché la politica si perita di intervenire puntualmente per tamponarlo puntellando le strutture che vacillano… d’ altronde questa linea d’ azione è nota in anticipo agli operatori stessi i quali, in molti casi, sanno benissimo di essere “too big to fail” (TBTF) perdendo, di fatto, ogni incentivo di mercato a comportarsi con prudenza…
In questi casi, va da sé, paga il contribuente (bail out).
L’ ultimo fattore da considerare è la legge fallimentare:
… si crea una pericolosa tensione finanziaria in quelle situazioni in cui chi si libera prima di titoli pericolosi ha un concreto vantaggio su chi è meno pronto nel farlo… se solo le leggi fallimentari potessero applicarsi velocemente stabilendo con chiarezza la priorità dei vari crediti, si eviterebbero mesi di incertezze legali e di stallo dei fondi…
E’ importante tenere a mente che la crisi richiede la compresenza di tutt’ e quattro i fattori elencati: senza “bad bets”, niente crisi. Ma anche le eccessive esposizioni sono state cruciali, così come il potenziale effetto domino o l’ impotenza nel pianificare con precisione sufficiente i fallimenti bancari.
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Quanto detto finora è, almeno in parte, compatibile con la narrativa convenzionale della crisi finanziaria: lavorare stanca (e rende poco), cosicché si preferisce provare con il casinò della finanza, qui pullulano le decisioni avventate (bad bets) prese da soggetti avidi (un tocco moralistico non guasta) che si sono esposti eccessivamente al rischio (leva finanziaria). Ora paghiamo noi per loro errori pur di esorcizzare la catastrofe (effetto domino) che non riusciremmo a schivare altrimenti (mancanza di un’ adeguata legge fallimentare).
Ma Kling ritiene monco questo racconto e, nonostante molte delle sue premesse siano compatibili con la narrazione tradizionale, imbocca presto una strada ben diversa. Cominciamo ad averne sentore quando introduce la distinzione tra mancanza di fiducia” e “decisioni errate”. 
Gli osservatori, e anche i politici, tendono a dare eccessiva importanza alla “perdita di fiducia” che si viene a creare. Leggete il giornale, guardate la TV, non si fa altro che parlare di “perdita di fiducia” e di “fiducia da ripristinare”. La “fiducia” diventa il bene supremo, la razionalità passa in secondo piano:
… le risposte del regolatore si focalizzano sulla “mancanza di fiducia” piuttosto che sulle “cattive decisioni”… tutti gli sforzi dei soccorritori sono tesi a ripristinare la fiducia andata perduta… si fa ben poco per incentivare decisioni più oculate, un aspetto che tende a scivolare in secondo piano… In questo senso la politica riflette i sentimenti dei protagonisti… le banche e le istituzioni finanziarie in genere si sentono sempre vittime di una “scarsa fiducia”… ma chiunque si ritrovi sul lastrico nutre un (ri)sentimento del genere: “se solo mi dessero ancora una chance!”… chiedete al CEO di un’ impresa fallita cosa ha causato il tracollo, si parlerà a lungo di quel maledetto funzionario di banca che non ha più rinnovato il fido, molto meno delle passate “bad bets”… ma se la mancanza di fiducia fosse davvero l’ elemento decisivo, allora qualche altra azienda troverebbe lucroso subentrare nella proprietà di banche solo temporaneamente a malpartito…
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Comincia qui una disanima storica della regolamentazione americana. Prendiamo, a titolo di esempio, un passaggio relativo ai mutui ipotecari:
… i tentativi di disciplinare questo mercato risalgono agli anni trenta, durante la Grande Depressione… vennero introdotti i mutui ipotecari trentennali a tasso fisso… prima i mutui ipotecari si articolavano in prestiti quinquennali con facoltà di rinnovo, e erano quindi accessibili solo ai debitori più solidi… si ritenevano che la soluzione “deregolamentata” strozzasse eccessivamente l’ economia limitandosi a servire una clientela elitaria… contestualmente si pose un tetto ai tassi d’ interesse praticabili e, contestualmente, i depositi bancari ricevettero una garanzia governativa con l’ effetto evidente di depotenziare l’ incentivo a curare il portafoglio rischi delle istituzioni finanziarie… la crisi  che ne seguì fu essenzialmente indotta dalle misure messe in campo per “tamponare” la crisi precedente… per fare un esempio, l’ alta inflazione rese assurdo porre un tetto ai tassi e proprio per aggirare questa regola obsoleta che prese piede il cosiddetto processo di “disintermediazione”… nacquero una serie di soggetti spericolati (“sistema bancario ombra”), spesso controllati dalle banche stesse, ma che operavano al di fuori dal circuito tradizionale …
Veniamo ora a vicende relativamente più recenti: cosa successe dopo il fallimento di “Save & Loan”?:
… dopo la crisi S&L il regolatore si convinse che i mutui ipotecari  “cartolarizzati” fossero qualitativamente superiori ai mutui ipotecari ordinari… si riteneva che l’ accesso ai mercati finanziari potesse sottoporre i mutui al vaglio di soggetti quali i fondi pensioni e altri investitori istituzionalizzati in grado di saggiare al meglio la qualità del rischio incorporato… inoltre era emerse con chiarezza l’ inaffidabilità dei “valori di libro” nella contabilizzazione del conto titoli, cosicché si pensò bene di passare al principio market-to-market… da ultimo si imparò una lezione che all’ epoca sembrò fondamentale: l’ entità delle riserve doveva essere commisurata alla qualità dei rischi incorporati nell’ attivo, bisognava trovare solo il modo di “misurarlo oggettivamente” attraverso modelli matematici… Oggi sappiamo che i mutui cartolarizzati divennero i “titoli tossici” che ben conosciamo e che i criteri market-to-market assieme alle regole del capitale di rischio “misurato oggettivamente” hanno contribuito in modo decisivo a esacerbare la crisi innescando l’ effetto domino… anche in questo caso la storia ci suggerisce che la risposta del regolatore a una crisi passata è spesso il primo passo verso la crisi successiva…
La politica USA sulla casa consisteva nell’ incoraggiare più persone possibile a divenire proprietarie. L’ impeto con cui i soggetti a basso reddito furono indirizzati verso i mutui ipotecari non ha eguali, le forme di sussidio sono sempre state numerose. In tutto cio’ un ruolo importante fu giocato dalla lobby dell’ edilizia:
… le politiche che spinsero verso i mutui immobiliari furono molte: innanzitutto la deducibilità degli interessi in dichiarazione dei redditi… poi una fiscalità privilegiata sui  capital gain relativo alla vendita della prima casa… inoltre una serie di garanzie federali per taluni mutui ipotecari…
Andrebbe sempre ricordato che la cartolarizzazione dei mutui fu dapprima un fenomeno governativo:
… nel 1968 il governo federale creò la Government National Mortgage Association come veicolo per piazzare mutui cartolarizzati garantiti con fondi pubblici e soggetti a regole di favore… in seguito programmi del genere, insieme a tutti i privilegi che si portavano dietro, vennero realizzati attraverso enti di fatto “parastatali” quali Fannie Mae e Freddie Mac… non è un caso se l’ epicentro della crisi furono proprio queste due istituzioni…
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Ma gli effetti più perversi sono legati soprattutto alla regolamentazione del capitale bancario:
… l’ accordo di Basilea (la madre di tutte le regolamentazioni finanziarie internazionali) spinsero il sistema verso l’ uso delle cartolarizzazioni e l’ impiego dei “derivati”, inoltre misero al centro l’ opera delle agenzie di rating… i titoli che incorporavano i mutui stipulati da Freddie Mae e Freddie Mac ricevettero “per legge” un privilegio su tutti gli altri in termini di peso del rischio, cio’ scatenò nei tardi anni novanta la corsa delle banche a detenere derivati su quei prodotti in modo tale da potersi permettere poi leve finanziarie più favorevoli… insomma, un derivato dei mutui FMFM tra le attività, migliorava la qualità dei bilanci rispetto a un mutuo stipulato in proprio… successivamente, il trattamento di altri soggetti fu parificato a quello di FMFM, questa evoluzione fece perdere quote di mercato all’ ente parastatale che pensò bene di reagire abbassando gli standard qualitativi per l’ accesso ai mutui scatenando una “race to the bottom” che coinvolse l’ intero settore…  
A Basilea ci si complimentava di aver finalmente messo in sicurezza i mercati finanziari…
… cio’ che emerse negli anni, invece, fu un sistema finanziario complesso quanto vulnerabile che si appoggiava completamente su mutui ipotecari a lungo termine e quindi, in ultima analisi, sul mercato immobiliare americano…
AK offre inoltre parecchie testimonianze di come il regolatore fosse “consapevole & contento” del fenomeno venutosi a creare: mutui per tutti!… e al centro del sistema soggetti con un filo diretto col governo. Anche l’ emergere si un “sistema bancario ombra” non sfuggì ai regolatori, i quali se ne mostrarono compiaciuti; le parole del Fondo Monetario Internazionale erano di questo tenore:
… la cartolarizzazione dei mutui e la loro incorporazione nei derivati consentono di disperdere meglio il rischio sul mercato rafforzandone la solidità e gli equilibri…
Come puo’ il profano sintetizzare in modo icastico tutto cio’? Potrebbe provarci pensando alla cronaca recente in questi termini: leggendo i giornali sul caso MPS, capiamo molto bene che c’ è una caccia al “colpevole”, ovvero del soggetto che ha imbottito di “derivati” la banca senese. Leggendo Kling, invece, capiamo molto bene che solo qualche anno prima il “colpevole” non sarebbe stato altro che un “benemerito” il cui contributo consentiva di mettere in sicurezza gli attivi della banca secondo le indicazioni dei più autorevoli regolatori internazionali.
Concludo questa sezione spendendo ancora due parole sulle agenzie di rating, ne vale la pena:
… quando il lavoro delle agenzie è al servizio del regolatore piuttosto che dell’ investitore, ecco che vengono a mancare i giusti incentivi di mercato per conservare una qualità accettabile… la reputazione di questi soggetti, fissata una volta per tutto dall’ ufficialità della Legge, cessò di essere coltivata quale asset principale dell’ intrapresa… come se non bastasse, le agenzie lasciavano volentieri trapelare l’ approssimazione del lavoro svolto sui conti delle banche, cio’ garantiva, dopo il nuovo ruolo assunto, di non disperdere del tutto il business degli investitori poiché questi ultimi avrebbero senz’ altro chiesto rating più accurati pagandoli come ai bei tempi…
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Si passa poi alla regolamentazione concorrenziale del settore bancario americano. L’ abolita separazione tra banche commerciali e banche d’ investimento (abolizione del Glass-Steagall Act) è stata vista da molti come deleteria:
… dopo l’ abolizione del GSA il sistema bancario divenne in effetti sempre più tentacolare e complesso ma non fece che evolvere su tendenze già consolidate… anzi, gran parte delle innovazioni finanziarie protagoniste di questo processo furono congegnate proprio per aggirare un divieto che, in ultima analisi, rendeva di fatto ancora più opaco il panorama… Ricordiamoci che il GSA non era altro che una “barriera all’ entrata”… è del tutto naturale (e salutare!) che un mercato protetto destinato a creare extra profitti sia costantemente assediato dall’ “innovazione tecnologica”… difficilmente una “barriera all’ entrata” promuove solidità e trasparenza, molto più facile che realizzi rendite passive… la domanda fondamentale è allora la seguente: l’ inefficienza di un “mercato protetto” è un prezzo congruo per la sicurezza marginale che eventualmente potrebbe garantirci?…
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Ci sarebbe molto da dire sull’ innovazione finanziaria degli ultimi 40 anni, la gran parte di esse sono buone. Pochi di noi vorrebbero vedere una parte della popolazione completamente esclusa dall’ accesso al credito. Pochi di noi vorrebbero tornare all’ epoca degli usurai. Purtroppo, pochi di noi si rendono conto che se certe epoche non torneranno lo dobbiamo alle nuove “tecnologie finanziarie”. Una campeggia su tutte: il “credit scoring”:
… il “credit scoring”, affidandosi alla statistica e agli automatismi, rimpiazzò in molti casi la relazione personale tra prestatore e prenditore, risparmiandoci così centinaia di dollari in commissioni… inoltre, anche il soggetto più “problematico” trova un suo posticino tra i clienti della banca a tassi adeguati… cio’ detto, difficilmente si puo’ negare che il “credit scoring” sia al centro delle turbolenze di cui ci occupiamo… durante il boom del mercato delle case ci fu chi attribuì meriti al “credit scoring”… evidentemente l’ ottimismo su questo strumento era malriposto… se le banche lo impiegarono massicciamente c’ è un motivo ben preciso, e cioè che fu soprattutto il regolatore a rimanere stregato dal suo fascino pretendendo che il rischio di portafoglio dei “regolati” fosse “pesato” secondo parametri prefissati… nessuno a quel punto potè più esimersi dall’ adottarlo… anche le banche “resistenti” venivano così “modernizzate” a suon di “regole”…
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Con il senno di poi si puo’ anche dire che la politica monetaria espansiva del periodo 2001-2003 preparò il terreno per la bolla immobiliare successiva:
… c’ è chi vide la politica monetaria americana di quel periodo come a uno strumento volto a traslare la “bolla internet” in una “bolla immobiliare”… tassi d’ interesse troppo bassi mantenuti artificiosamente troppo a lungo spingono verso decisioni d’ investimento non ortodosse…
Devo dire che Kling propone questa ipotesi solo come contorno. Anch’ io, nel mio piccolo, trovo più convincente chi sostiene la presenza di un errore contrario: la FED non è stata abbastanza “prodiga” di liquidità nel 2007-2008, quando un terremoto scuoteva alle fondamenta il mondo finanziario.
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Che insegnamento trarre da tutto quanto precede? Essenzialmente uno: ci vuole più umiltà.
Forse, in assenza di un indirizzo governativo e di distorsioni nella regolazione del capitale di rischio delle banche, il mercato avrebbe scelto soluzioni diverse per organizzare il mondo dei mutui ipotecari. Chi lo sa?
Se il problema è l’ ignoranza, allora sappiamo almeno due cose: la presunzione la fa degenerare e l’ umiltà la cura.
Se il problema è l’ ignoranza, le buone intenzioni non ci salvano, ci salvano solo l’ umiltà e la prudenza.
Se il problema è l’ ignoranza, tu puoi fare mille progetti ma devi sapere fin da subito che nel mondo della finanza si vive di feedback, non di “progetti”; devi sapere in anticipo che non si realizzerà mai “quello che hai in mente” (capito adesso da dove viene il titolo?). Questo non sembra essere molto chiaro né ai “regolati”, né ai “regolatori” disinvolti.
Più umiltà, caro Beppe Grillo! Qui non ci sono (solo) “buchi” da rappezzare, non ci sono (solo) furbetti da rieducare. Buco e furbetti sono una parte irrilevante della vicenda. Ci sono invece tanti ignoranti, e sono schierati su tutti i fronti, stanno sia tra i “regolatori” che tra i “regolati”.
Più umiltà cara Gabbanelli! Mettendo alla berlina l’ avidità dei banchieri si suscitano tante emozioni ma qui l’ avidità non c’ entra molto. Intervistare qualche disgraziato con la casa pignorata ci fa sentire più buoni e alza lo share ma spiega ben poco della crisi, i “mutui predatori” sono una componente irrilevante di essa. Il metodo di “narrare storie” funziona in TV ma inganna chi vuol capire come gira il mondo.
CRISI
All’ insegna dell’ umiltà sono quindi anche le soluzioni proposte dal prof. Kling. Il principio guida è semplice “not hard to break but easy to fix”.
1. Invertire gli incentivi fiscali: oggi è più conveniente indebitarsi che ricapitalizzarsi. Gli interessi sono deducibili, i dividendi no.
2. Decentralizzare la fonte delle regole. Il “casino” in certi casi è salutare, fa sorgere soggetti diversi con rischi non correlati, e quindi anche meno esposti all’ “effetto domino”.
3. Laddove è necessario, ricorrere pure allo “spezzatino” delle banche più grandi. E’ l’ unico modo per prevenire il TBTF e ripristinare la disciplina di mercato.
4. Limitare il ricorso allo strumento del mutuo ipotecario intervenendo sulla deducibilità degli interessi in dichiarazione dei redditi.
5. “Subordinated debt”. L’ idea: richiedere alle banche di emettere con regolarità obbligazioni non garantite. Cio’ le sottoporrebbe sempre al giudizio degli investitori, in questo modo verrebbe costantemente segnalata la percezione del rischio che hanno soggetti informati. Ma soprattutto ri-orienterebbe il lavoro delle agenzie di rating verso gli investitori.
6. rendere più flessibili i principi contabili in modo da stabilire le fattispecie in cui sia possibile passare dal “m2m” al “book value” nella valutazione del conto titoli. Non so se chi vive con il mito del “falso in bilancio” riesce a realizzare che l’ ottanta per cento delle valutazioni di bilancio sono soggettive.
7. riformare la legge fallimentare senza escludere forme di  nazionalizzazione delle banche in modo da far davvero piazza pulita delle cattive gestioni.
Un punto ce lo aggiungo io (Kling non sarebbe d’ accordo):
8. “NGDP targeting” per la banca centrale. Tradotto: la banca centrale deve mirare alla costante la crescita del PIL nominale. Ritradotto: più generosità della Banca centrale in tempi di “trappola della liquidità”. L’ inflazione (anche solo annunciata) garantisce tassi negativi e diminuzione dei salari, altrimenti troppo rigidi.
E l’ etica? Mettiamocela pure, inseriamo pure un nono punto. Ma evitiamo anche qui quell’ ambizione che puzza tanto di superbia. Evitiamo allora sia il sacro fuoco del savonaroleggiante Beppegrillo che i pietismi francescanoidi della Gabanelli. Ci basti un semplice “non rubare” (rispetto della proprietà altrui) e un semplice “non dire le bugie” (si ottemperi ai contratti); per il resto che sia consentito, se non auspicato, di fare al meglio gli affaracci propri (ovvero dei propri azionisti).




giovedì 31 gennaio 2013

Sessantadue pensierini sulla “società armata”


  1. L’ ultimo massacro nella scuola di Newtown ha di nuovo scaldato i proibizionisti del porto d’ armi. C’ è chi parla di sciacallaggio, mi sembra esagerato.
  2. Noi tutti siamo rimasti colpiti da questa ennesima tragedia, e un frettoloso sentimento che scambiamo per buon senso sembra dirci: stop alle pistole.
  3. Tuttavia il buon senso è prezioso per far partire un ragionamento, molto meno per rimpiazzarlo del tutto. Meglio allora se viene impiegato per fissare le premesse più che le tesi. Queste ultime emergono solide solo quando buon senso ed elaborazione dei dati disponibili si coniugano armoniosamente.
  4. Ma quali sono i dati da considerare per informare una decisione sensata in merito?
  5. Prendiamoci cinque minuti, vale la pena fare il punto sullo stato dell’ arte, innanzitutto perché spesso se ne parla di getto teleguidati da sensazioni epidermiche, e poi perché puo’ essere un’ occasione preziosa per riflettere sull’ uso e sul modo in cui interagiscono etica & statistica, argomento d’ interesse generale che va ben al di là delle noiose discussioni di policy.
  6. Il possesso di armi crea danni visibili ed evita danni invisibili, questo semplice fatto manda in confusione il neofita.
  7. L’ evoluzione ci ha programmato per dare peso alle cause immediate che possiamo vedere e toccare. E’ spiacevole però constatare quante topiche prendiamo lasciando campo libero alla rudimentale epistemologia della “scimmietta” tutto istinto che ci portiamo dentro: lei, d’ altronde, sa conoscere solo in questo modo! Purtroppo, le cause dei fenomeni sono spesso assai remote e del tutto inavvistabili dal punto in cui ci troviamo.
  8. Non parliamo poi dei guai che combina questo vizietto quando si miscela con il culto dell’ esperienza personale. Un esempio sostituisce tante parole: il “grande guerriero” credeva di essere invincibile stuprando una vergine prima di scendere nel campo di battaglia. Non gli passava neanche per l’ anticamera del cervello di essere invincibile perché era un “grande guerriero”. In breve tempo ogni “grande guerriero” divenne capo della sua comunità rendendo lo stupro della vergine un preliminare obbligatorio a cui ciascun soldato avrebbe dovuto attenersi. Come potremmo mai rimproverare questi capi se siamo noi i primi che si lasciano abbagliare dalla potenza esplicativa di cause visibili ed esperienza personale? Lo stupro e la vittoria, infatti, risultano unite in un solido nesso che ciascun “grande guerriero” puo’ toccare con mano grazie alle ripetute esperienze personali! Chi non ha toccato con mano questa verità è morto e sepolto da un pezzo, si è reso “invisibile” non potendo più offrire la sua testimonianza.
  9. Poi arrivarono lo studio della storia e delle statistiche, e l’ uomo fece un passo verso la civiltà. Ecco, vediamo allora di non fare un passo indietro quando trattiamo di pistole, fucili e vivere comunitario.
  10. Il “personalismo” è ottimo per prendere decisioni personali (che riguardano solo noi) ma per prendere decisioni politiche (che riguardano tutti) meglio affidarsi allo studio di storia e statistica. I passati recenti e remoti di molte comunità umane sono lì davanti a noi – anzi, dietro – bisogna solo osservarli e interpretarli.
  11. Adesso che il discorso mi ha preso la mano, lasciatemi dire ancora due parole sul persistente bias della personalizzazione.
  12. Parlare di sé è coinvolgente, sarà per questo che spesso lo si fa tanto spesso anche al di fuori delle autobiografie. Mi chiedo infatti che posto puo’ avere la domanda “tu compreresti un’ arma?” quando si discute come regolamentare il mercato delle armi.
  13. Dietro una “curiosità” del genere gli equivoci si affollano. Quali equivoci? be’, i soliti, quelli in cui cade chi, mescolando i piani della discussione, non riesce mai a capire fino in fondo che si puo’ essere “a favore” della libera circolazione delle armi pur aborrendo armi e violenza, che si puo’ essere “a favore” del divorzio pur considerandolo un peccato mortale, che si puo’ essere “a favore” della libertà d’ espressione pur schifando il negazionismo, che si puo’ essere “a favore” della libera discriminazione pur essendo anti-razzisti convinti, che si puo’ essere “a favore” della droga libera pur considerandola una minaccia letale per la gioventù, che si puo’ essere “a favore” di poligamia e matrimonio gay pur essendo convinti che la famiglia tradizionale sia un perno della nostra civiltà. Si puo’ essere “a favore” di tante cose perché pur avendo delle certezze non ci riteniamo infallibili e si lascia volentieri che altri esplorino per noi terreni che riteniamo minati.
  14. Ora cerchiamo di passare al sodo guardando da vicino la rugosa realtà: la pace che dura è sempre “armata”, tant’ è che in campo internazionale lo diamo per scontato. Una sonora risata accoglie chi propone di “abolire gli eserciti nazionali”. Ma se il medesimo problema strategico ci viene riproposto a livello “locale”, facciamo fatica a trasporre la medesima soluzione, e anche la voglia di ridere ci passa.
  15. La deterrenza, poi, è qualcosa di impalpabile: una brutta bestia da studiare. Anche il meccanismo che trasforma di fatto lo slogan “niente armi” in un molto meno rassicurante “armi solo ai cattivi”, non è poi così chiaro all’ attenzione intermittente dell’ elettore democratico.
  16. Per queste e per altre insidie che costellano la tematica si preferisce cedere la parola all’ esperto piuttosto che al lettore (di titoli) di giornali.
  17. Iniziamo a scalare il versante etico della faccenda, è breve ma decisivo. Propongo questo principio: portare con sé un’ arma rappresenta un diritto della persona, per conculcarlo occorre provare la pericolosità di questa pratica, e l’ onere della prova spetta al conculcatore. Liberty first.
  18. Questa soluzione ha il pregio di girare al largo dai bilancini mercuriali dell’ utilitarista, sempre in cerca di quantificare anche l’ “inquantificabile” con le sue ossessive analisi costi/benefici; evita inoltre il pragmatismo pasticcione e disorientante di chi di volta in volta  “va dove lo porta il cuore” finendo presto fuori strada dopo un rapsodico zigzagare. D’ altro canto elude anche la spietata deontologia dei valori non negoziabili, quelli per cui ci si attiene scrupolosamente a certi principi, dopodiché succeda quel che succeda. Viene invece valorizzato il senso comune: si seguono i principi ordinari a meno che esistano “forti ragioni” per fare altrimenti.
  19. L’ alternativa a questo modo di procedere s’ incarna nel principio di precauzione: è consentito solo cio’ che è provato come non dannoso. Presenta almeno tre difetti che per me lo rendono inservibile.
  20. Primo, voi capite, in un mondo in cui lo “sbatter d’ ali di una farfalla” crea cataclismi, anche lo spericolato volo della colomba della pace potrebbe essere interdetto per precauzione. Insomma, è praticamente impossibile provare la non-pericolosità di alcunché.
  21. Secondo: punire gli innocenti per punire i potenziali colpevoli, è una strategia dalla dubbia portata etica.
  22. Terzo: è un principio decisionale che, chissà perché, non si applica praticamente mai nelle scelte che ciascuno di noi è chiamato a fare quotidianamente; il fatto di introdurlo ad hoc qua e là desta sospetto. Vuoi vedere che risulta simpatico soprattutto a chi non ha una grande passione per le armi?
  23. Ultima osservazione e chiudiamo con la parte etica: c’ è chi considera la libertà stessa come un valore. Magari non proprio un valore “non-negoziabile”, tuttavia, in questo caso, si porrebbe il problema di stabilire il prezzo che si è disposti a pagare per rinunciarvi.
  24. Operazione complessa visto che nessuno puo’ leggere nella testa dell’ altro, siamo così diversi!: chi detesta le armi difficilmente potrà avere una chiara idea dei benefici che ne trae chi ama collezionarle. A volte sembra che chi non ci è empatico non sia neppure un essere umano da considerare al nostro pari. Le crociate partono quando non si riesce a concepire la radicale diversità che ci separa. Una volta realizzata, invece, passare alla tolleranza è un tutt’ uno. Domanda: come mai le comunità eterogene sono anche le più libere? 
  25. Penso che il cattolico, poi, debba essere particolarmente generoso nel valutare la libertà: il suo Dio giustifica il male del mondo con il dono della libertà all’ uomo. Le carneficine di Mao e Stalin valgono la libertà di questi due tristi figuri. Auschwitz appartiene a pieno diritto al “migliore dei mondi possibili”: a fare da contrappeso basta il dono della libertà. Francamente non conosco un libertario più radicale di così.
  26. C’ è poi un coté culturale: la testa delle persone conta e parecchio. Alcuni paesi con tassi di criminalità infimi, hanno cittadini armati fino ai denti (Svizzera, Israele, Canada…). Ha poco senso fare confronti tra comunità troppo distanti nel tempo e nello spazio, ovvero tra “culture” diverse. In questo senso tra indagine storica e indagine statistica, dovremmo privilegiare la seconda.
  27. Penso poi alla nostra Europa: la “libertà” traumatizza il cittadino protetto e “infantilizzato” da divieti perduranti nel tempo; così come, altrove, regole stringenti non migliorano di molto la situazione del cittadino abituato alla responsabilità.
  28. In questo senso si capisce perché combattere per introdurre un diritto è meno urgente che combattere contro la revoca di un diritto. Un libertario al timone in Italia farebbe bene ad abbattere di qualche punto la pressione fiscale lasciando perdere il “problema delle armi”. Cio’ non toglie che per amor di discussione se ne possa parlare.
  29. I confronti andrebbero fatti tra comunità omogenee, per esempio gli Stati o, ancora meglio, le contee degli Stati Uniti. Fortunatamente la stragrande quantità degli studi si concentra proprio lì.
  30. C’ è poi il problema dell’ enforcement: quand’ anche elaborassimo una strategia ottima dal punto di vista etico e quantitativo, bisognerà considerare i costi di implementazione. E’ difficoltoso legiferare e regolamentare quei beni che hanno un florido mercato nero.
  31. Noi anti-abortisti lo sappiamo bene: una proibizione pura e semplice senza stato di polizia scatena il mercato nero delle “mammane”, ne vale la pena? Noi contribuenti lo sappiamo altrettanto bene: una tassazione al 50% senza stato di polizia scatena il mercato nero dell’ evasione, ne vale la pena?
  32. Ecco, lo stesso dicasi per le armi: purtroppo le armi sono un bene apprezzato soprattutto dal mondo criminale, ovvero da un soggetto specializzato in “mercato nero” (altro che idraulici, pasticceri e mammane!); e si capisce, chi ordina omicidi tutti i giorni non viene certo colto da tremarella se costretto dalle contingenze a non battere lo scontrino.
  33. L’ ultima parte è quella meramente quantitativa: il proibizionista ha assolto il suo compito? Ha provato inequivocabilmente la presenza di un danno sociale?
  34. La sintesi della risposta è “no”. L’ analisi è un po’ più lunga, purtroppo.
  35. Partiamo dai “pazzi” stragisti. Fanno sempre notizia, specie se non sono “pazzi” del tutto e in loro riscontriamo somiglianze con la persona che conosciamo meglio: noi stessi. Quel tale che ha compiuto la strage non è poi un “marziano”, i suoi problemi sono simili ai miei, così come le sue debolezze. E chissà quanti ne girano nella medesima condizione! Come se non bastasse agisce in luoghi che frequentiamo tutti i giorni: la scuola, il supermercato, l’ autobus…
  36. Il “pazzo” lo sentiamo più contiguo del criminale. Forse un giorno saremo chiamati davanti a una telecamera per testimoniare al mondo quanto il nostro vicino era “una brava persona”. Magari un po’ chiusa ma una bravissima persona.
  37. Queste impressioni sono potenti ma insidiose, saltare a conclusioni sull’ onda emotiva sarebbe ingannevole: i “pazzi”, spiace dirlo, pesano poco nel computo costi/benefici che siamo chiamati a fare. Una ventina di morti per armi da fuoco su quindicimila difficilmente faranno la differenza.
  38. Persino l’ azione tipica dei “pazzi”, il mass shooting, nel tempo è diminuito visto che l’ aumento di “pazzi” armati – che pure bisogna ammettere – è stato più che bilanciato da una diminuzione di mass shooting dovuti a moventi più tradizionali.
  39. Ma veniamo ora ai dati nudi e crudi, il modo più semplice di studiarli consiste nel produrre regressioni statistiche, ovvero nel vedere se le variabili che ci interessano sono tra loro collegate (nel nostro caso armi & criminalità).
  40. La regressione statistica ha molti inconvenienti, non solo il fatto di limitarsi a stabilire “correlazioni” – ricordare all’ economista che correlazione e causalità non sono la stessa cosa è come ricordare al chimico di lavare le provette – ma anche il fatto di richiedere “specificazioni”. Come specificare allora la diffusione delle armi? Non esistono quasi mai registri da cui attingere informazioni di prima mano.
  41. Alla ricerca di proxy credibili, c’ è chi ha usato i sondaggi, c’ è chi ha usato gli abbonamenti a riviste di settore e c’ è chi ha guardato ai suicidi con armi da fuoco.
  42. Gli esiti alla fine sono differenti: si va da una forte correlazione inversa tra armi e criminalità (more guns less crime) a una leggera correlazione diretta.
  43. E non scordiamo la variabile dipendente: il tasso di criminalità. E’ una variabile estremamente volatile, molti sono i fattori che la determinano. Bisogna far le “grandi pulizie” per isolare l’ effetto che ci interessa, quello delle armi da fuoco.
  44. Dopo aver avanzato forti dubbi sul metodo delle regressioni, faccio comunque notare che se adottassimo gli standard comunemente usati per questioni politicamente corrette anche in tema di armi, allora la questione sarebbe già sentenziata da tempo: il proibizionista non è in grado di provare le sue tesi. Chi non ritiene provata la pericolosità che comporta l' avere genitori dello stesso sesso, come potrà mai pensare che le armi siano in qualche modo pericolose? Sono stato chiaro? Posso evitare di fare esempi parlando di ambiente o razza?
  45. Ma i pignoli, e giustamente, si rivolgono a metodi d’ indagine più sofisticati. Si è guardato allora con interesse, per esempio, a quello impiegato nella sperimentazione di nuovi medicinali: su cento gruppi di pazienti se ne prendono a caso venti a cui propinare il “trattamento”, dopodiché si misurano gli effetti facendo un confronto tra “trattati” e “non trattati”. Il caso ha un potere prodigioso: elide le differenze tra gruppi neutralizzando la presenza di variabili fastidiose che potrebbero interferire sugli esiti.
  46. Per noi “il trattamento” potrebbe essere una legge contro il porto d’ armi: promulgarla in una contea sarebbe come inoculare un vaccino. Dopodiché, basterà stare a vedere quel che succede confrontando la reazione della comunità “trattata” con un gruppo di controllo.
  47. Primo problema: le comunità che adottano una legge “contro il porto d’ armi” non sono propriamente scelte a caso, quindi le differenze non si elidono mai del tutto.
  48. Ci mette una pezza la tecnica “difference in difference”: l’ effetto viene isolato analizzando solo gli scostamenti sulle differenze pre-esistenti.
  49. Secondo problema: l’ effetto placebo.
  50. Gli sperimentatori di medicinali lo conoscono benissimo: se il “trattato” sa di essere tale, spesso guarisce anche bevendo un bicchier d’ acqua. E’ necessario non informarlo (blind test).
  51. L’ effetto placebo si manifesta nei modi più impensati. Sembra esserci persino quando si sperimentano nuove sementi nei villaggi africani: i villaggi scelti per la sperimentazione diventano improvvisamente più produttivi… ma solo se sanno di essere tra i prescelti! (il link a questo studio devo metterlo perché mi ha troppo divertito).
  52. [… veramente la legge-placebo la conosciamo anche noi religiosi: per negare effetto miracolistico alle preghiere gli sperimentatori hanno dovuto imporre al test la doppia cecità: i gruppi di preghiera dovevano pregare per “non si sa chi” e il malato non doveva assolutamente sapere se qualcuno pregava per lui…]
  53. L’ effetto placebo va comunque inteso in senso lato come “effetto annuncio”, qualcosa destinato a sfumare nel tempo. Qualcosa che va di pari passo con l’ introduzione della misura.
  54. Ci sono comunque tecniche che, anche nel caso delle armi, ripuliscono gli studi dalla “placebo law”. La cosa qui si fa complessa: fidatevi o vi ammollo un link impegnativo.
  55. Ma veniamo agli esiti degli studi “difference in difference” ripuliti dalla “placebo law”: il proibizionismo (“all’ europea”) serve a poco o nulla.
  56. Quali soluzioni raccomandano allora gli esperti?
  57. C’ è chi spinge per sussidiare le armi: una loro maggior diffusione presso la cittadinanza sarebbe un deterrente al crimine. Problema: leggi anti-proibizioniste in una regione non fanno che spostare il crimine in quelle limitrofe.
  58. C’ è anche chi si spinge a proporre di contrassegnare le case in cui si detiene un’ arma per “internalizzare” i benefici del possesso.
  59. Altri chiedono di alzare l’ età consentita per il porto d’ armi istituendo al contempo vere e proprie taglie a favore di chi denuncia gli illeciti: se il proibizionismo generico è inutile, puo’ avere un senso quando insiste su gruppi sociali (i giovanissimi) dove i “coglioni” si concentrano. Quasi sempre i guai cominciano quando il ragazzino va a spasso per il quartiere in cerca di autostima facendo mostra del suo cannone.
  60. Per lo stesso motivo c’ è chi vede bene un pesante coinvolgimento dei genitori: dovrebbero pagare anche loro per le marachelle letali del figlio minorenne.
  61. Anche l’ introduzione di una tassa o di un’ assicurazione obbligatoria sul tipo rc auto è caldeggiata da qualcuno. Alternativa: tassare i “non-armati” e offrire un premio agli “armati” che riconsegnano l’ arma.
  62. Infine c’ è chi chiede ancora più studi in materia. Chissà, torturando a sufficienza i dati puo’ darsi che “confessino” quel che vogliamo sentirci dire.
  63. Oggi sappiamo che esiste comunque una correlazione robusta tra suicidi e detenzione di armi.
  64. Difficile che un liberal sia autenticamente interessato ai suicidi visto che, tanto per dirne una "OxyContin abuse kills three times more people than gun homicides yearly". E il liberal è sempre impegnato a battersi contro la war on drug
  65. Sei preoccupato per la vita del tuo prossimo? Non occuparti della diffusione delle armi, non è certo una priprità.
  66. Negli USA la libertà di portare armi ha un' origine storica: i cittadini difendono la democrazia presentandosi armati ai governanti.
  67. Anche nella storia delle lotte per i diritti civili dei neri le pistole hanno giocato un ruolo importante, specie negli anni 60. Sembra una contraddizione (pistole + lotta non violenta) ma è così.
  68. Chi possiede armi è più felice. arthur brooks http://mobile2.wsj.com/device/html_article.php?id=77&CALL_URL=http://online.wsj.com%2Farticle%2FSB120856454897828049.html%3Fmod%3Dopinion_main_commentaries
  69. sul tasso degli omicidi gli usa sfigurano con l'europa occidentale ma fanno bene rispetto agli altri paesi americani. premesso che reddito e tasso degli omicidi non sembrano correlati (nell'africa povera ci sono molto più omicidi che nell'asia povera), a questo punto sarebbe interessante sapere il tasso degli omicidi usa disaggregato razzialmente. così, tanto per capire quali termini di paragone sono più uniformi.-

    https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_intentional_homicide_rate
  70. Militarismo. Nelle zone dove le armi sono più diffuse vige una cultura militarista. In questo senso le persone armate non vogliono "sostituirsi" ai tutori dell'ordine quanto aiutarli e integrarli.
  71. Freedomnomics: Why the Free Market Works and Other Half-baked Theories Don't di  John R. Lott - crimini e pistole
    • usa: nel 2004 spira un importante bando alle armi ma gli omicidi continuano a diminuire tra le grida d allarme degli attivisti....
    • altro provvedimento importante: il brady act. nessuna conseguenza sul tasso degli omicidi...
    • il problema con il proibizionismo? che ubbidiscono solo i cittadini modello nn i criminali. un pò come con le droghe o l alcol
    continua
  72. Freakonomics  Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner - CRIMINI E PISTOLE
    • teoria anti gun: senza pistole chi è più debole si rassegna senza spargimenti di sangue...
    • pro gun: se tutti sono armati: meno ingiustizie e nn più sangue. perchè mai i forti dovrebbero vantare le loro pretese?...
    • gli usa hanno un tasso di omicidi elevatissimo. le pistole contano? e la svizzera? sono più armati e più sicuri. xchè?...
    • brady act: un fallimento. ragioni: il mercato nero prospero compensa i divieti....
    • chicago e wachington città gun free ma anche i fanalini di coda nella diminuzione dei crimini...
    • gun buyback: dove ha avuto successo il crimine nn è diminuito...
    • c è l iopotesi opposta: more gun less crime. nn sembrano replicabili gli studi di lott
    • conclusione: l ipotesi del bando non sembra spiegare il crollo della criminalità negli usa durante gli anni 90
    continua
  73. More guns less crime - John Lott
    • Tesi dello studio empirico: dopo il passaggio di leggi liberali sulle armi il crimine crolla.
    • Critica: le conclusioni dipendono  da quale intervallo di tempo consideri dopo la promulgazione. Se accorciamo i risultati svaniscono
    • Risposta: l effetto deterrenza nn può essere immediato, i criminali non calcolano a tavolino ma si avvalgono dell'esperienza
    • Critica: di solito qs leggi vengono passate in un pacchetto di misure
    • Vero ma il controllo dettagliato città/città contea/contea stato/stato neutralizza l'effetto mix. E cmq in molti casi la scrematura è stata fatta mantenendo le conclusioniinalterate
    • Critica: altre proxy - es la vendita di giornali - danno esiti diversi.
    • Risposta: la deterrenza spiega i suoi effetti soprattutto se non solo attraverso la legge, che è un atto pubblico.
    • Obiezione: esiste uno spillover: liberalizzi qui e i guai accadono là.
    • Risposta: non puo' essere una regola generale, se il campione è adeguato l'effetto è neutralizzato. L'evidenza degli spillover è anedottica.
    • imho: la materia è complessa e isolare le variabili impossibile ma una cosa è certa: se le conclusioni fossero state "socialmente desiderabili" il dettaglio delle critiche non sarebbe di certo stato quello noto.
    • https://www.facebook.com/ymaltsev/posts/10207310750864817 ****** https://www.washingtonpost.com/news/volokh-conspiracy/wp/2015/10/06/zero-correlation-between-state-homicide-rate-and-state-gun-laws/
    continua
  74. Se Hitler non avesse controllato la circolazione delle armi l'olocausto sarebbe stato possibile? http://econlog.econlib.org/archives/2015/10/does_gun_contro.html
  75.  This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement Possible di Charles E. Cobb Jr. - il ruolo delle armi nella lotta per i diritti civili dei neri d'america.
    • in molti decisero di impugnare le pistole x difendere il movimento nn violento
    • attacchi ai nonviolenti del gruppo di mlk: malcom e du bois
    • x molti neri la nn violenza era una strategia nn un credo: x compensare o se nn funzionava erano sempre pronte le pistole
    • la cultura delle armi nel sud consentì ai neri di armarsi
    • il vero militante nn violento: in fondo un elite ristretta della leadership. dietro di lui una massa armata
    • dividere violenza e nn violenza nn è utile
    • nella storia usa la violenza è stata spesso celebrata. ma nn quella nera, che pure c'è stata ed è stata fruttuosa
    • tema del libro: chi partecipava alla lotta nnviolenta senza credervi... 
    • dilemmi morali del nonviolento: fino a che punto puoi coinvolgere terzi sodali nel rischio che prendi. c'è un limite oltre il quale devi armarti o consentire agli altri di farlo
    • fanon: le virtù liberanti dell imbracciarr un arma
    • alleanze esplicite tra violenti r nn violenti
    continua
  76. Confronti internazionali in tema di omicidi e possesso di armi
    • America’s unusually high gun homicide rate.


    • The United States’ homicide rate of 3.8 is clearly higher than that of eg France (1.0), Germany (0.8), Australia (1.1), or Canada (1.4). However, as per the FBI, only 11,208 of our 16,121 murders were committed with firearms, eg 69%. By my calculations, that means our nonfirearm murder rate is 1.2. In other words, our non-firearm homicide rate alone is higher than France, Germany, and Australia’s total homicide rate.
    • There are many US states that combine very high firearm ownership with very low murder rates. The highest gun-ownership state in the nation is Wyoming, where 59.7% of households have a gun (really!). But Wyoming has a murder rate of only 1.4 
    • There are many US states that combine very low firearm ownership with very high murder rates. The highest murder rate in the country is that of Washington, DC, which has a murder rate of 21.8, more



    continua
  77. Esiste un collegamento tra possesso delle armi e tasso di omicidi, e, diversamente da quello tra armi e morti per armi da fuoco, è negativo, almeno se misurato tra gli stati degli USA. Il fatto è che ci sono parecchi stati ad ad alta criminalità con leggi proibizioniste. Si tratta di stati con una forte presenza, specie urbana di neri. Ecco allora che un modo per cambiare di segno al collegamento esisterebbe: far rientrare nella funzione esplicativa anche la razza. Ma forse è un espediente troppo imbarazzante, per quanto uno sia un invasato proibizionista non se la sente di arrivare a tanto, anche per evitare la soluzione più razionale in casi del genere: proibire solo ai neri.
  78. Di solito gli argomenti pro gun sono tre: 1 secondo emendamento 2 deterrenza crimine 3 protezione da un governo invadente. Vediamone un quarto. There is another, and perhaps better, argument for private possession of firearms. If the population is disarmed, protection against crimes is provided mainly by the police. People very much want not to be victims of crimes, so if protection depends on the police there will be public support for expanding the powers of the police in order to better protect us. The result is a more powerful and invasive government, which I think a bad thing. Given the current government, I would expect that argument to appeal to many people who find the first three unconvincing.
  79. brian doherty sulle armi
    • Più pistole in america ma meno omicidi con pistole. Mi sembra che questo semplice dato renda sempre meno urgente varare leggi proibizioniste, anche qualora una parte degli omicidi siano collegate con la possibilità di ottenere facilmente una pistola!
    • nota la psicologia dell'anti-gun: accoglie senza colpo ferire gli studi che dimostrano un collegamento tra pistole ed omicidi a livello statale. Poi, quando si dimostra come studi del genere siano viziati perché comprendono anche gli omicidi cio' che resta dello studio, e che dimostra una relazione negativa tra le due variabili, viene integrato in modo estremamente sofisticato (e forse anche arbitrario) pur di rovesciare la relazione sgradita. Morale: le pulci si fanno solo agli studi sgraditi.
    • che fare davanti ai ladri o rapinatori? fuggire è solo leggermente più sicuro che difendersi con una pistola. Difendersi con una pistola è comunque più sicuro che difendersi senza pistola. Quanto ai danni patrimoniali la cosa migliore da fare è difendersi con una pistola.  study, by Harvard's Hemenway and Sara J. Solnick of the University of Vermont,
    • A 2013 Pew Research Poll found 56 percent of respondents thought that gun crime had gone up over the past 20 years, and only 12 percent were aware it had declined.
    • Suicidi/omicidi. Due affari ben diversi
    • Occhio ai trucchetti atatistici. Among other anomalies in Fleegler's research, Hinderaker pointed out that it didn't include Washington, D.C., with its strict gun laws and frequent homicides.
    • Udare un arma nn è dannoso x la tua incolumità ed è vantaggioso x la tua prop.  "attacking or threatening the perpetrator with a gun had no significant effect on the likelihood of the victim being injured after taking self-protective action," since slightly more people who tried non-firearm means of defending themselves were injured. for those who place value on self-defense and resistance over running, the use of a weapon doesn't seem too bad comparatively; Hemenway found that 55.9 percent of victims who took any kind of protective action lost property, but only 38.5 percent of people who used a gun in self-defense did...
    • Cost-Benefit Analysis Leaving Out a Key Set of Benefits. avere un arma ci rende felici e realizzati. la cosa nn deve stupire poiché rafforza il nostro senso di autonomia, che è una variabile fondamentale a detta di qualsiasi psicologo. eppure questo fattore fondamentale nn viene contabilizzato.
    • Perché stimare l'impatto delle armi è difficile? Il lavoro di Lott è sintomatico. The range of contentious issues involved in Lott's techniques were summed up pretty thoroughly in a sympathetic but critical review of the third** edition inRegulation. The economist Stan Liebowitz of the University of Texas at Dallas wrote: "Should county level data or state level data be used? Should all counties (or states) be given equal weight? What control variables should be included in the regression? What violent crime categories should be used? How should counties that have zero crimes in a category, such as murder, be treated? How much time after passage of a law is enough to determine the effect of RTC laws? What is the appropriate time period for the analysis?". He attempted to control for many handfuls of other variables that might affect crime rates--indeed, some researchers accused him of accounting for too many variables, while others slammed him for failing to account for other factors... Trying to prove Lott wrong quickly became a cottage industry...
    • In all of the discussions of how to address "gun violence" something that is almost invisible is how race is a major factor in the composition of gun death statistics. Blacks die at the hands of other blacks and commit a disproportionate percentage
    • The best way to reduce gun violence is to legalize drugs and restrict access.
    • alcuni studiosi (miller hemenway) arrivano a dimostrare una correlazione positiva tra omicidi e detenzione di pistole. come fanno? inseriscono tra i confounders il tasso di criminalità. ovvero dicono: gli omicidi elevati in assenza di pistole si spiegano con la presenza di altri crimini (es rapine); a parità di rapine o crimini senza armi coinvolte il danno del possedere armi emerge. Il ragionamento: in un posto tranquillo, senza criminalità, è più facile che le armi non facciano danno. qs è vero pensando alla campagna ma forse non è sempre vero  poiché le basse rapine forse  sono un beneficio  dovuto anche dalla presenza delle armi http://johnrlott.tripod.com/2007/01/problems-with-latest-miller-hemenway.html
    • http://econlog.econlib.org/archives/2016/01/brian_doherty_o.html
    • In yesterday’s post, I suggested that the difference in homicide rates between America and other First World countries were about two-thirds cultural, one-third gun-related. That’s sort of true, but people have reminded me to think of it as an interaction. Without the cultural factors in place, guns are pretty harmless. 
    • una possibile parola finale sulla relazione armi-stati-omicidi dal meta studio di gary cleck: su tot studi analizzati metà propendono per una relazione positiva metà per una relazione negativa. quanto più lo studio è accurato tanto più si evidenzia una relazione negativa. http://slatestarcodex.com/2016/01/10/guns-and-states-2-son-of-a-gun/
    continua
  80. Faccio seguire un elenco degli autori che mi hanno ispirato diversi “pensierini”, puo’ essere utile a chi intende approfondire:
  81. il secondo emendamento, nel quadro dell'equilibrio dei poterei, forniva una soluzione ottimale ai pericoli di un esercito professionista: una milizia privata poteva aiutarlo in caso di invasione o osteggiarlo in caso di colpo di stato. Ma oggi la disparità di forse e di armamenti sarebbe eccessiva, oggi la funzione del secondo emendamento è meglio svolta da una garanzia della privacy. vedi david friedman nel capitolo sui codici encrypton
Frederic Bastiat, sulla dialettica visibile\invisibile.
Daniel Kahneman, su personalizzazione e availability bias.
Adam Winkler, sulle guerre culturali in tema di armi.
Isabel Briggs Myers, sulle differenze psicologiche tra individui.
Michael Huemer, sulla relazione tra statistica, etica, utilitarismo, pragmatismo e senso comune.
David Friedman e Kenneth Arrow, sul principio di precauzione.
Peter van Inwagen, sul Dio cristiano, il male e la libertà dell’ uomo.
David Murray, su stato sociale e “regressione infantile” del cittadino deresponsabilizzato.
David Kopel, sull’ idea di “pace armata” e su come il “no alle armi” puo’ trasformarsi in “armi solo ai cattivi”.
William Briggs, sullo scarso peso del mass-shooting nel computo complessivo degli effetti.
Jesse Walker, sui tendenziali del mass-shooting.
Alicia Miller, su correlazione e causalità.
Ed Leamer, sul problema delle specificazioni statistiche.
John Lott, sulle regressioni con utilizzo di sondaggi.
Philip Cook\Jens Ludwig, sulle regressioni con i suicidi come proxy.
Mark Duggan, sulle regressioni con gli abbonamenti a riviste specializzate come proxy.
Esther Duflo, sui metodi “differences in differences”.
Steve Leavitt, per una rassegna sugli studi “differences in differences”
Richard Swinburne, sull’ effetto miracolistico delle preghiere.
Alex Tabarrok, su come correggere le conclusioni “difference in difference” tenendo conto della “placebo law”.
Jesus Castro Jr., sul ruolo dei genitori nell’ abuso di armi.
Megan Mcardle, sui limiti dell’ assicurazione obbligatoria.
David Henderson, sulla segnalazione dei possessori di armi.
Robert Wiblin, sull' importanza del problema delle armi http://www.overcomingbias.com/2013/02/is-us-gun-control-an-important-issue.html
Charles E. Cobb Jr.   This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement  sul ruolo delle pistole nella lotta per i diritti civili dei neri.







martedì 22 gennaio 2013

Film visto ieri: Cenerentola

Le “eroine” di Disney non sono mai particolarmente “eroiche”, si limitano a mantenersi di buon umore nonostante le condizioni avverse.

Lo avevo già notato con Biancaneve.

Il bene non consiste nel fare la cosa giusta ma nell’ avere un buon carattere.

Qualcuno si lamenta che sono “passive”, io ci vedo piuttosto il trionfo della virtù sulla deontologia: forgiare il temperamento (che farà la scelta giusta al momento giusto) è più importante che conoscere a menadito i principi a cui uniformarsi (per fare la scelta giusta).

Cio’ consente di collocare il vero bene nel futuro (“e vissero felici e contenti”) prima ancora che nel presente delle vicende narrate. In altri termini: io ci metto la mano sul fuoco che Cenerentola e Biancaneve vivranno “felici e contente”, il buon carattere e la nobile estrazione garantisce loro la felicità.

[… l’ incognita, semmai, sono i Principi. Di loro sappiamo così poco… ma forse basta la garanzia del sangue blu…]

P.S. che noia tutte quelle gag coi topi, specie quando avulse dal contesto narrativo.

P.S. il “buono angelico” (Cenerentola) stravince sul “buono grottesco” (topi); il “cattivo sublime” (matrigna) stravince sul “cattivo grottesco” (sorellastre e gatto lucifero). Insomma, il grottesco non si sposa con Disney.

cenerentola

mercoledì 16 gennaio 2013

La società perfetta?

La famiglia.

Come dimostrarlo?

Rotten kid theorem: http://en.wikipedia.org/wiki/Rotten_kid_theorem