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lunedì 6 febbraio 2017

Il mito della scuola elementare

C'è uno strano consenso tra chi si occupa di scuola...
...  fra i vari ordini di scuola l'anello forte sarebbe la scuola elementare mentre la media inferiore costituirebbe l'anello debole...
Evidenze a sostegno?...
.... nei confronti internazionali l'Italia peggiora man mano che si avanza negli studi... nel Pirls e nel Timss della quarta elementare siamo piazzati bene... molto peggio invece nel Timss sui ragazzi di terza media... e malissimo nel Pisa dei quindicenni...
Ma il ragionamento ha delle falle. La prima...
... le elementari italiane sono piazzate bene per la lettura... discretamente per le scienze e male in matematica... non si tratta di un giudizio uniforme, quindi…
Seconda...
... da altre fonti sappiamo che i risultati nella lettura risultano pesantemente influenzati dalla frequentazione delle scuole materne... che in Italia è più frequente...
Terza...
... le prove INVALSI (prove nazionali) consentono di misurare il declino dei  saperi calcolando la percentuale di risposte esatte... ebbene, il declino più preoccupante avverrebbe tra la seconda e la prima media...
La conclusione va quindi rovesciata: sono le scuole elementari a costituire l'anello debole del percorso di studi. D'altronde,  in molti constatano come alle medie (sia superiori che inferiori) tantissimi ragazzi abbiano una conoscenza della lingua italiana che un tempo nessuna scuola elementare avrebbe accettato.
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Alle nostre università vanno pochi soldi? È socialmente desiderabile rispondere di sì per evitare attacchi belluini. Ma ci sono eccezioni...
... il Prof. Perotti nel libro " L'università truccata" risponde invece di no: se il contributo per iscritto è scarso, il contributo per frequentante è tra i più elevati d'Europa...
L'Italia spende per l'Università una quota di PIL inferiore a quella dei maggiori stati europei ma produce una quota di laureati ancora più bassa.
Stando a questi dati, i tagli all’ Università dovrebbero essere ancora più profondi data la sua inefficienza. In altri termini: per quel che produce, l'università riceve troppi quattrini.
- Luca Ricolfi: Illusioni italiche
bogdanovstudenti

martedì 12 luglio 2011

Dentifrici e Università

Quando tra vari prodotti in concorrenza esistono solo minime differenze qualitative, la pubblicità diventa decisiva.

Siano dentifrici, detersivi o profumi, la pubblicità fa la differenza: non potendo puntare sulla sostanza si ripiega su altro. In particolare, si abbinano al prodotto degli status che siano appetibili al consumatore.

Sembra proprio che una dinamica simile spieghi la sorte di certi servizi educativi: anche qui le ridotte differenze in termini di qualità richiedono massicci investimenti pubblicitari.

Preciso subito: in questo caso il termine “pubblicità” va virgolettato. Si lavora più che altro sulla “fama”, sul “credito”, sulla “reputazione”.

Potete rendervi conto immediatamente di quanto dico mediante una piccola introspezione personale.

college

Domandatevi: in che condizioni vorrei trovarmi (o vorrei che si trovasse mio figlio)?

Due ipotesi: 1. preparazione università di Macerata e titolo Bocconi o 2. preparazione Bocconi e titolo università di Macerata?

Io non ho dubbi, scelgo il caso 1 perché ritengo che apra le prospettive più promettenti, e questo a conferma di quanto sopra: in ambito educativo l’ abito conta spesso più del monaco.

Ma la guerra non è solo fra università, anche l’ istruzione superiore in sé  investe molto in termini pubblicitari: oggi chi non ha almeno una laurea è malvisto e le stesse aziende esibiscono orgogliose il loro staff di prestigiosi plurilaureati.

Vorrei solo precisare che non depreco quel che in passato è stato chiamato “bisogno indotto”. Punto altrove il mio dito.

Tra il “dentifricio” e l’ “università”, infatti, c’ è una differenza fondamentale: nel primo caso la costruzione dell’ immagine è a carico del produttore. Ma nel secondo caso? Mi sa proprio che è a carico di tutti.

Mi sbaglio?



http://www.overcomingbias.com/2011/07/investing-in-school-signals.html

giovedì 26 maggio 2011

Ma allora, l' università italiana è sotto finanziata sì o no?

Roberto Perotti sui costi dell' Università italiana:



... su una cosa studenti, rettori, politici e giornalisti sembrano d' accordo: l' università italiana soffre di una drammatica carenza di risorse... in effetti qualsiasi indicatore di spesa per studente sembra confermarlo, inclusi i dati OCSE... ma un' investigazione più approfondita rivela che per tutti i paesi eccetto l' Italia queste cifre si riferiscono alla spesa per studente "equivalente a tempo pieno"... cioè: tenendo conto degli studenti frequentanti... uno studente che in un anno fa solo metà degli esami riceve un peso di 0.5 e così via... uno studente che non frequenta e non dà esami non sottrae tempo ai docenti e non impone costi all' ateneo... se un ateneo spende 10 euro ed ha due studenti, di cui uno non frequenta, tutta la spesa è di fatto diretta verso un unico studente... per mancanza di informazioni, tuttavia, il dato italiano riguarda la "spesa per studente iscritto"... la differenza è rilevante perchè è ben noto che in Italia i fuori corso abbondano... facendo le dovute conversioni la spesa italiana per studente ci colloca tra i paesi più generosi... Un metodo alternativo ma molto simile consiste nel calcolare, anzichè la spesa annuale per studente, la spesa complessiva per gli studi universitari dello studente medio... anche in questo caso risulta che l' Italia spenda più della media OCSE e comunque più di molti paesi con con cui è plausibile un paragone...

E ancora sulla qualità della ricerca in Italia: 



... c' è un' idea diffusa che nonostante la cronica mancanza di risorse l' Italia abbia una ricerca all' avanguardia... ma in genere si menzionano i buoni piazzamenti di una singola Università italiana senza tenere conto della sua enorme dimensione rispetto agli standard internazionali, oppure si trascura la qualità a vantaggio della quantità... aggiustando le classifiche anche solo per uno dei due fattori (dimensione/qualità) la posizione delle Università Italiane crolla...

Roberto Perotti – L’ università truccata

Recentemente Giuseppe De Nicolao ha criticato le posizioni di Perotti.

Dall' articolo le sue critiche erano incomprensibili, qui ho reperito una sintesi più compiuta del suo pensiero.

A me De Nicolao non convince: sui finanziamenti sembra contestare la mossa del Perotti dicendo che lo studioso, con la sua nozione di "spesa equivalente per studente", corregge i dati OCSE "solo per l' Italia".

Senonché, lo stesso Perotti spiegava che questa mossa si rendeva necessaria poiché l' Italia, e solo l' Italia, presentava all' istituto un dato disomogeneo.

Quando finalmente entrambi gli studiosi prendono in esame un dato comune (spesa complessiva per formazione terziaria dello studente medio), Perotti commenta asciutto che "la spesa resta più elevata della media OCSE", De Nicolao che "non sembra comunque un costo ai vertici mondiali". Mah, di sicuro ora è un po' più difficile parlare di "cronico sotto-finanziamento".

Passando alla delibazione qualitativa della ricerca italiana, De Nicolao non sembra convinto della misura (Fattore d' impatto standardizzato) utilizzata da Perotti e che consente, tenendo conto delle enormi dimensioni di taluni istituti, di collocare le università italiane in fondo alla classifica.

Detto questo, introduce delle condizioni restrittive sintetizzate in un "criterio di ammissibilità" con il quale, secondo me, si fa rientrare la quantità dalla finestra proprio quando lo scopo è quello di cacciarla dalla porta sterilizzandola. Tralasciare le bad performances di un ricercatore non sembra certo una grande idea, anche se fa comodo.

Un criterio restrittivo un po' troppo restrittivo per non pensarlo come "tortura" su dati restii a confessare quello che vorremmo sentirci dire.

Anche la riluttanza del De Nicolao a "pesare" la popolazione dei vari paesi confrontanti è quantomeno sospetta, chi negherebbe che la cosa conta? L' Argentina ha sempre avuto una nazionale di calcio più forte del Paraguay, e questo a parità di talenti; il motivo è semplice: pescare in un bacino più ampio di potenziali calciatori è un privilegio non da poco.

Diciamo poi una cosa: queste ricerche si compiono su un terreno sdrucciolevole visto che che le conducono dei professori/riceratori che, necessariamente, presentano forti conflitti d' interesse. E allora, un altro punto a favore del Perotti.

Che poi nella ricerca italiana manchino i capitali privati questo è un fatto. Solo che è un' aggravante qualora si consideri che una buona dose della colpa è anche dell' organizzazione che non riesce ad attrarli, nonché di una cultura diffidente che quando il "privato" si avvicina non sa far altro che lanciare l' allarme generale seguito dal lamento generale seguito dallo sciopero generale.