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sabato 25 agosto 2018

La religione per gli atei SAGGIO

La religione per gli atei

Al fine di chiarire come ci vedono gli atei (almeno quelli che più rispetto) rispolvero gli appunti presi nel corso della lettura di “The Elephant in the Brain: Hidden Motives in Everyday Life” scritto da Kevin Simler e Robin Hanson
  • All’ateo ingenuo la religione appare a prima vista un enorme sprecodi risorse, anche se compiuto in buona fede. Gran parte dei rituali tipici – mutilazioni, auto-flagellazioni, circoncisioni, sacrifici, martirio – appaiono controproducenti in termini di salute, ricchezza e fertilità: Darwin ne resterebbe sbigottito.
  • Ma c’è un altro mistero che va oltre i comportamenti: gli affiliati sembrano credere cose piuttosto strane (dio, angeli, fantasmi, demoni, animali parlanti, vergini che partoriscono, profezie, esorcismi, reincarnazione, inferni, paradisi, rivelazioni magiche, transustanziazioni, passeggiate sull’acqua…). Come mai persone ragionevoli arrivano a tanto?
  • La spiegazione tradizionale fornita dagli interessati è chiara: crediamo a Dio quindi andiamo in Chiesa. Crediamo nell’Inferno quindi preghiamo. Potremmo chiamare questo modello “credenza innanzitutto” CI. D’altronde, le nostre credenze determinano i nostri comportamenti in molti campi.
  • Il tipico dibattito tra religiosi e atei verte sulla ragionevolezza della fede ma molti atei (più saggi) valutano come fondamentalmente superflua una simile discussione poiché non credono nel modello CI. Per loro la fede non è infatti qualcosa che riguarda la credenza.
  • Ecco allora il loro modello alternativo: noi aderiamo a una religione perché siamo creature sociali. Potremmo definire questo modello come “religione strategia sociale” RSS. E’ chiaro che se si crede in RSS il dibattito sulla ragionevolezza della credenza è superfluo e va sostituito con il dibattito sulla funzionalità della credenza.
  • Primo indizio a favore del modello RSS: molte religioni non mettono grande enfasi sulla dottrina, si interessano poco a cio’ che realmente crede il fedele nel suo privato. In questo senso il Cristianesimo e l’ Islam sono eccezioni, Greci e Romani non avevano certo un atteggiamento simile. Induismo, Ebraismo e Shintoismo sono tradizioni culturali più che credenze in un essere soprannaturale. Tra gli ebrei, per esempio, sono molti gli atei che continuano ad osservare i rituali.
  • Altro indizio: molte attività non religiose che anche gli atei accettano come “normali” sono in realtà molto affini a quelle religiose. Quando alle Olimpiadi si suona l’Inno nazionale sembra di assistere ad una cerimonia religiosa, anziché di “fede” parliamo però di “patriottismo” ma cambia poco. Pensiamo poi al comunismo dei bei tempi o alla Nord Corea di oggi: lì tutto è liturgia. Ma i “culti” abbondano ovunque. Dai brand commerciali (Apple) all’ideologia politica, dai gruppi musicali al tifo calcistico… Ci sono poi religioni considerate unanimamente tali che non contemplano alcuna credenza in esseri soprannaturali.
  • Il fatto che la religione sia un’illusione non significa che sia dannosa, come ritengono i nuovi-atei (NA). In genere le persone sanno cosa è bene per loro cosicché le prediche dei NA suonano particolarmente fuori luogo. Oltretutto, la gran parte delle persone che va in Chiesa è socialmente ben inserita, rispettata, responsabile e ottiene risultati sopra la media in molti campi cruciali: fumano meno, fanno più volontariato, sono più generosi, hanno relazioni sociali più solide, vivono di più, si sposano di più e divorziano meno, hanno più bambini, guadagnano di più, sono meno depressi, sono più felici e realizzate. Insomma, se la religione è illusione, sembrerebbe un’illusione particolarmente proficua.
  • A che serve allora la religione? Risposta atea: a creare comunità. La religione “fa squadra”. Una comunità ordinata fa bene a tutti ma la si puo’ erigere solo rinunciando a parte del nostro egoismo, cooperare infatti è difficile perché la tentazione di “tradire” è sempre in agguato. Ma come si minimizzano i tradimenti? Scovandoli e punendoli, ma la religione ha altri assi nella sua manica, dei trucchi particolarmente utili quando scovare e punire è particolarmente difficile. Il fatto che in passato questa operazione fosse praticamente impossibile spiegherebbe l’universalità della credenza religiosa e come essa s’indebolisca solo nelle società tecnologicamente più avanzate.
  • Ma come si “crea comunità” attraverso la religione? Come si crea il cemento comunitario, ovvero la fiducia? Innanzitutto, la religione esalta e richiede dei sacrifici a prima vista insensati. A guardar bene però il sacrificio ha sempre un valore comunitario: chi consideriamo come nostro migliore alleato? Chi è leale e si sacrificherà per noi nel momento del bisogno. Ebbene, la religione ci chiede dei sacrifici rituali pubblici da compiere “in nome” del gruppo. Tali sacrifici hanno un costo (non sono facilmente falsificabili) e segnalano quindi a tutti in modo attendibile il proprio impegno per comunitario. Lo scambio sotteso è questo: ci si sacrifica personalmente in un certo ambito personale (tempo, denaro, salute…) per ottenere benefici in termini di capitale sociale in altri (fiducia). Questi ultimi ha un’utilità generale oltre che personale! Se per essere musulmano e incassare la fiducia dei correligionari bastasse dire “sono musulmano” il segnale fornito sarebbe facilmente falsificabile e quindi senza valore. Un sacrificio costoso invece non è falsificabile e puo’ riguardare il cibo (sacrificio di animali), il denaro (la decima), il tempo (la Messa), la salute (flagellazione), il piacere (castità), lo status (prostrazione), la fertilità (celibato). I sacrifici sono ovunque (mia moglie non  ha fatto l’epidurale in nome di…) Esempio, se il Papa avesse dei figli la sua lealtà sarebbe divisa tra la comunità che guida e la sua famiglia, sacrificare la seconda aumenta il capitale personale investito sulla prima e quindi l’affidabilità del soggetto. Il personaggio più affidabile della Bibbia probabilmente è Abramo. Perché lo sappiamo? Semplice, perché sappiamo che era pronto a sacrificare suo figlio in nome di Dio. Per l’ateo “dio” è un sinonimo di “comunità”.  Non a caso Abramo fu un grande leader politico. La funzione sociale assolta oggi dalle agenzie di rating e dagli speculatori era assolta ieri dal sacrificio pubblico: chi accumula punti (reputazionali) a caro prezzo difficilmente li sprecherà poi con un gesto sconsiderato, il che fornisce una garanzia di affidabilità con un chiaro risparmio sociale in termini di monitoraggio dei comportamenti personali. Ancora oggi in paesi come gli USA, tanto per dire, difficilmente verrà mai eletto un Presidente ateo.
  • Molti comandamenti religiosi hanno un contenuto sociale evidente. Alcune proibizioni, per esempio, riguardano il furto, l’assassinio, la violenza, la disonestà. Vengono per contro celebrate la generosità, la magnanimità e la compassione. Oggi per far rispettare queste condotte ci limitiamo a scovare i trasgressori e a punirli, nelle comunità religiose la deterrenza era garantita per lo più dalla minaccia di scomunica. In questo senso la partecipazione a riti costosi è ancora una volta cruciale: chi per anni è stato solerte ai riti, si è ben inserito nella comunità e ha così accumulato un ingente capitale sociale vedrà nella scomunica uno spauracchio tutt’altro che banale. Gli altri lo sanno e si fideranno quindi di lui, il che è vantaggioso per tutti! E teniamo ben presente che ci riferiamo ad epoche storiche in cui “scovare e punire” non era un’alternativa praticabile poiché praticamente impossibile causa limitatissimo controllo del territorio.
  • Altre norme riguardavano sesso e famiglia. Nel modello tradizionale cattolico ci si sposa presto, si mette (almeno in teoria) l’amore al centro, si osserva la monogamia e si hanno molti figli. Un simile modello è particolarmente funzionale alle società piccole e senza stato, i vantaggi sono evidenti: 1) tanti familiari tanta fiducia, 2) pochi scapoli giovani più sicurezza 3) matrimonio amicale paternità certa. I nemici che interferiscono con questo modello sono noti: contraccezione, aborto, divorzio, adulterio.
  • La sincronia crea comunità – la marcia militare rafforza il cameratismo, per esempio. Non chiedetemi perché ma è così, i curiosi si leggano l’abbondante letteratura in materia. All’IBM nel XX secolo e in molte corporation giapponesi ancora oggi si canta per iniziare la giornata di lavoro. Ebbene, nelle religioni la sincronia abbonda, gli Hare Krishna sono un caso estremo. I cristiani non danzano più come un tempo ma canti e preghiere recitate all’unisono sono usuali durante la Messa.
  • Nei sermoni il predicatore chiarisce ai fedeli i valori della religione. Ma il sermone ha un significato che va ben oltre a questa trasmissione di informazioni, non a caso viene tenuto nel corso del rito (la Messa). La nostra presenza pubblica sui banchi dice a tutti che stiamo ascoltando, che approviamo, e che riteniamo un’autorità chi lo pronuncia: il sermone non è l’intervento di un conferenziere a cui segue dibattito. I banchi della Chiesa non servono solo per ascoltare ma anche per farsi vedere da tutti che si sta ascoltando e per vedere chi ascolta. Fare tutto questo “insieme” è fondamentale. I teorici dei giochi direbbero che il sermone crea “conoscenza comune”, una risorsa comunitaria inestimabile. Paradosso: tutto cio’ ha valore persino se non si condivide il messaggio fondamentale e persino se tutti non condividono sapendo che tutti non condividono: l’importante, infatti, è sapere che tutti si comporteranno “come se” tutto sia “Parola di Dio” da condividere.
  • La religione fornisce anche una divisa (o un badge) in modo da distinguere chiaramente “chi è dentro” da “chi è fuori”, una funzione importante quando la società si allarga e i membri diventano anonimi. Il brand è importante anche oggi: quando Gucci mette il suo marchio su una borsa noi abbiamo una garanzia di qualità. Un cristiano che giura sulla Bibbia è più affidabile di un ateo che non ha nulla su cui giurare.
  • Ora sappiamo che Dio non è una mera superstizione ma qualcosa in qualche modo di utile: l’utilità non deriva tanto dalla credenza in sé ma dal fatto che gli altri credano che noi crediamo. Chi pensa di essere punito da Dio diventa affidabile agli occhi di chi pensa che lui pensi davvero ad una punizione divina. Questa fiducia è sia un bene pubblico che un bene privato cosicché è conveniente per noi far credere che crediamo, e il miglior modo per adempiere questa missione è… credere realmente. Ecco l’origine della fede in buona fede in un essere soprannaturale.
  • In questo resoconto restano fuori i grandi scontri sulle minuzie teologiche come per esempio la tansustanziazione o l’esatta natura della Trinità. Come possono essere spiegate adottando un modello per cui la credenza non sta al centro della fede? Ipotesi: potrebbero essere visti anch’essi come un badge, ovvero un impegno di lealtà per una confessione piuttosto che per un’altra. Poiché, come dicevo, è importante stabilire chi è dentro e chi è fuori marcare i confini è fondamentale e giustifica discussioni all’apparenza sofistiche. L’ortodossia adempie a questa funzione e lo farebbe quand’anche fosse arbitraria. Proprio quando non esistono particolari motivi per tifare Juve piuttosto che Inter la scelta di campo testimonia un impegno affidabile. Quand’anche la tua squadra non avesse nulla in più delle altre rimarrebbe pur sempre “la tua squadra”. Talvolta, più la credenza è stravagante più diventa affidabile chi vi aderisce pagando un prezzo elevato come il sacrificio del buon senso. Pensate a quanto sia affidabile un mormone che si comporta da mormone e a quanto questo sia prezioso per la comunità a cui aderisce.
  • Detto questo restano ancora da spiegare talune condotte religiose decisamente anti-darwiniane: il celibato e il martirio. Di certo si tratta di pratiche che arrecano prestigio nella comunità, è quindi comprensibile che esista un istinto in questo senso. Potremmo parlare allora di una “deriva”, ovvero di un istinto perfettamente spiegabile che in taluni soggetti si presenta in forma estrema al punto da arrecare un danno personale. La cosa è osservabile in molti contesti: lo zucchero (utile) induce anche obesità, la droga (piacevole) porta all’ overdose, senza il prezioso zelo militare non ci sarebbero i kamikaze, l’alpinismo serve a chi vive in montagna scatena anche passioni che mettono a rischio la vita umana. Adattamento e deriva evoluzionistica si presentano spesso in coppia senza contraddirsi.

sabato 10 febbraio 2018

RICETTA CONTRO LA POVERTA'

Ricetta antipovertà garantita al limone:
1) diplomati,
2) trova un lavoro,
3) sposati,
4) fai dei figli. 1, 2, 3... fino a 4 va bene.
Difficile? Direi di no, ma fai tutto per benino e nell'ordine che ho detto.
E mi raccomando, non divorziare!
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Commenti
Antonio Lodola Questa ricetta funziona benissimo in Francia ma non e' necessario sposarsi ooiche' esistono altri tipi di contratto piu' flessibili. Inoltre dai 3 figli in su gli aiuti economici diventano davvero interessanti
Gestire


Rispondi12 h
Riccardo Mariani Ad ogni modo, i dettagli statistici della "ricetta" si trovano nel lavoro di Ron Haskins e Isabel Sawhill: "Creating an Opportunity Society" (Washington, DC: Brookings Institution Press, 2009).

DISCUSSIONI INQUINATE

Rigiratela pure come volete, trovate tutti gli aneddoti che volete, ma la tendenza generale è chiara: nascere e crescere in una famiglia instabile ha in prevalenza conseguenze negative.
Negative sia per l'interessato, che per la società.
Purtroppo questa elementare verità non può essere pronunciata, se la affermi diventi in automatico un bigotto che vuole restaurare il patriarcato per tornare agli anni 50.
La discussione su famiglia ed economia è continuamente inquinata da fattori moralistici. E da questa maledizione non si scampa.
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martedì 17 ottobre 2017

Padri sciagurati

Padri sciagurati

Il “padre sciagurato” ci parla di paternità e di  “povertà non meritevole”. Vale la pena di mettere una lente su di lui per vedere come pensa e come agisce.
La lente a cui accenno sono le 110 interviste a padri sciagurati fatte da Kathryn Edin/Timothy J. Nelson e raccolte nel volume “Doing the Best I Can: Fatherhood in the Inner City”. Una miniera.
***
Il padre sciagurato è giovane, povero, vive nella periferia degradata  e non sposa la donna che gli dà un figlio.
Su di lui corrono molte leggende da cui è bene guardarsi.
In genere è visto come un egoista, un tale che mette incinta la sua ragazza e poi scappa.
L’uomo assente per antonomasia.
Un tale che in modo incurante schiva le sue responsabilità.
L’eterno ragazzo che non cresce mai. Una piaga della società.
Secondo il ritrattino di prammatica questi ragazzi sono interessati solo al sesso. Rifuggono invece paternità e responsabilità.
È gente che semplicemente se ne frega.
Di lui si dice in modo icastico che “colpisce e scappa“. La sua condotta è bollata comerapace.
Lo si pensa come uno che ha 6 figli da 6 donne diverse e che non usa preservativo perché “alle donne non piace“.
Lo stereotipo gli fa dire “quando una donna ha un figlio e lei che se ne deve occupare”.
Si crede che una volta sparito non si faccia più vivo e non contribuisca in nessun modo alla crescita del piccolo: “tanto c’è il welfare”.
Eppure lo stereotipo sembra più una caricatura che la realtà.
Non c’è nessun “cattivo egoista” che pensa solo a se stesso quanto piuttosto uno stupido che non sa vedere lontano.
O ancora meglio una persona senza forza di volontà che quando arrivano le vere sfide soccombe.
Parliamo di una persona con una scarsa istruzione, spesso non è nemmeno diplomato.
Il suo stile di vita è immorale più che obbligato. È un “povero non meritevole” a tutti gli effetti.
Fa danni: il figlio abbandonato andrà male a scuola fino ad abbandonarla presto per lavoretti “di merda”. E’ probabilissimo che delinqua.
Nella sua vita tutto è precario: le  relazioni sentimentali, il  lavoro, e anche il legame con i figli.
La legge che governa la sua vita:  “da cosa nasce cosa“. In fondo a questa catena c’è il suo bambino, nato in quanto “ultima cosa”.
Ogni suo passo è compiuto sulla base delprecedente senza che un chiaro percorso sia stato delineato con un minimo di anticipo.
Per lui il bambino non è l’espressione di un impegno preso con la sua ragazza ma è la fonte di un impegno. Non fa parte di una storia condivisa, non è il frutto di un unione, non è un obiettivo comune ma è il punto di partenza per galvanizzare l’unione.
Nella fase iniziale  lavora duro per tenere insieme la “famiglia”, qualcosa di cui è tremendamenteorgoglioso.
Si propone di non fare più “cazzate”. E allora giù promesse solenni e commosse. Ma sincere, eh.
Purtroppo il legame “familiare”, tutto incentrato sul bambino, è troppo debole per realizzare la trasformazione richiesta.
Lei comprende tutto molto presto e non ci pensa due volte a lasciarlo indietro. Ci mette una pietra sopra: sa che sarà un ostacolo più che un aiuto.
Ma lui rifiuta il ruolo di bancomat (che del resto nemmeno è in grado di assolvere): vuole “essere padre”! Vuole “esserci”, va fiero del sui nuovo status. Buone intenzioni, ma velleitarie.
Per lui, alla fine, “essere padre” significa di fatto diventare “il migliore amico” del figlio. Il resto è troppo faticoso.
Ma questa definizione del proprio ruolo lascia tutto il lavoro duro  sulle spalle della donna.
Mantenere la famiglia, impartire una disciplina, fornire una guida morale… tutto sulle spalle di lei. Lui è l’amicone che passa ogni tanto di lì a dare buoni consigli quando non puo’ più dare cattivi esempi.
Magari su diversi figli disseminati per la città riesce anche ad essere un buon padre per uno di loro. Questo basta e avanza per sentirsi riabilitato. Scatta l’autassoluzione da tutto.
È orgoglioso di non aver mai declinato esplicitamente le sue responsabilità.
L’impegno che ha in mente è grandioso ma l’ impegno di fatto consiste nel dare una grattatina al pancione della sua donna in attesa.
Quando – durante la gravidanza – pensa al suo futuro è cautamente ottimista. È sempre così infondatamente ottimista!
A qualche mese dal parto la comunicazione con la compagna dà i primi segni di stanca. Lui comincia a vedere “altre persone“.
Non lascia recapiti, si assenta per giorni.
Vede il figlio di rado, solo quando il piccolo visita la nonna paterna. Sì, è’ tornato a vivere con la mamma.
A proposito della famiglia di origine: non era poi malaccio, anche se di bassa estrazione: su di lui c’erano grosse aspettative.
Quando tocca il fondo si pente e vuole ricominciare.
Realizza che sta sprecando la sua vita ed esprime solenni promesse di redenzione. Comincia a battere le strade per cercarsi un nuovo lavoro. Si iscrive alle serali. Addirittura si compra una casa. Non è granché ma è sempre la sua casa. La sua vita èun’altalenasempre un su e giù.
La ragazza che mette  incinta è una sua collegavolubile giù al “lavoro di merda”, una che ha mostrato interesse per lui.
Tra i due tutto avviene in modo veloce e senza programmi. “Abbiamo cominciato a parlare e poi ci siamo messi insieme. Dopo un po’ è arrivato anche il bambino”. È naturale che sia così, è come se agisca il destino, non ci sono “decisioni” da prendere in una storia del genere.
Non è un donnaiolo senza scrupoli, questa relazione è la più significativa della sua vita, dopo quella con la mamma.
Nel raccontarla usa un linguaggio burocratico, è succinto, termina in pochi secondi, è piuttosto freddo, non vengono utilizzate parole di amore, non ci si sofferma molto su di lei per descrivere cosa lo aveva colpito in particolare, per menzionare qualche sua qualità. Si sono semplicemente “messi insieme”.
E che sia chiaro che nel periodo del concepimento lui stava “insieme” alla sua donna, non si trattava di un semplice abbordaggio.
D’altronde, chi non usa il preservativo ha tutto il diritto di chiamare “compagna” la donna con cui va. Sono le puttane che che chiedono il preservativo.
Il bambino è concepito all’interno di un legame. Il bambino ha una madre è un padre. Un legame bolso ma un legame. Una roba che non è né casuale né seria.
Non si puo’ escludere che il padre sciagurato abbia un padre sciagurato.
Non si puo’ escludere che disprezzi i suoi genitori, anche se resta attaccato alla mamma.
Il padre sciagurato ha mollato gli studi passandodal tedio della peggiore scuola della città a lavoretti “di merda” con salario minimo.
Arrotonda spacciando erba.
Se gli capita di accumulare un gruzzoletto se lobeve e se lo fuma. Poi passa qualcosa anche a lei… perché è pur sempre un padre con delle responsabilità.
I suoi guai non derivano dal fatto che sia un “gran figlio di puttana”. E’ che i guai più grossi sembra si divertano a finire sulle spalle di chi è meno equipaggiato!
Di solito ruba la ragazza al suo migliore amico. In realtà, esiste un gruppo di ragazzi e ragazze che stanno insieme provvisoriamente turno. Un gioco combinatorio a livello di isolato.
La ragazza da cui ha un bambino non sembra molto diversa da quelle precedenti. Non sembra affatto una “prescelta“. È capitato con lei.
Fa le cose e le nega, fa cazzate e si autoassolve grazie a un cavillo. Si badi bene a non articolare troppo le accuse nei suoi confronti perché se anche solo una minima parte non regge appieno lui la prende a pretesto per autoassolversi da tutto.
Alla fine si sente come  “incastrato” dalla sua donna. Praticamente una vittima. Per fortuna che lui “sente” di essere responsabile e non intende abbandonarla quando potrebbe tranquillamente farlo.
La sua donna non è la donna ideale, avrebbe tanto voluto “innamorarsi” ma qualcosa non è scattato
Quando riferisce a sua mamma del bambino lei lo apostrofa definendolo “testa di cazzo e cretino”.
Riconosce il figlio orgogliosamente. Altro orgoglio: non aver spinto la sua donna ad abortire. Avrebbe potuto farlo!
“Stare insieme” significa passare del tempo insieme che non sia sbaciucchiarsi o scopare. È una condizione più seria dell’abbordaggio: per “finire” occorre che qualcuno molli l’altro. Ci si aspetta fedeltà, almeno in teoria (ma molto in teoria). Ecco, dentro un legame del genere nasce il figlio dei padri sciagurati.
La neo-mamma vive nel suo condominio, èun’amica di sua sorella oppure la ex di un suo amico. Il legame è breve e tenue… finché accade l’inevitabile.
Il padre sciagurato afferma con orgoglio: “qui i bimbi vengono trattati bene, non ci sono abusi”. Odia con tutto il cuore chi tratta male i bimbi. Un pedofilo se lo mangerebbe vivo.
Rimpiange quel suo insegnante che teneva la classe con pugno di ferro: “lì ti spaccava nel culo”, dice con tono di approvazione. Sembra quasi implorare una severità dall’alto che lo tenga in riga. Sente che la sua salvezza può arrivare da una disciplina imposta.
Ricorda che le cose sono cominciate ad andar malequando è arrivato in città. Le mille tentazioni della città.
Si fidanza ma non smette di guardare le altre. Guarda le altre senza essere un Casanova, intendiamoci.
Si sono trovati senza grandi sforzi, senza unacaccia: non c’è selezione dietro il loro incontro.
Non c’ è voglia di evitare una gravidanza, non c’è pianificazione nella loro vita.
Si ricorda esattamente il giorno del concepimento, per lui è un momento significativo. Ha sempre voluto essere padre. Nel momento in cui viene a sapere che lei aspetta lui si trasforma.
La paternità lo rende felice, è come una vacanza da una vita di fallimenti. È un punto di ripartenza.
Non che sia soddisfatto perché desideroso di affermare la sua virilità, piuttosto perché il bambino gli sembra qualcosa di puro e innocente: qualcosa di bello che può essere ricondotto a lui e solo a lui.
Il piccolo e è una replica ripulita di se stessi. Qualcosa di bello da cui ripartire. Anche se molti, lo abbiamo visto più sopra, lo descrivono come un cattivo, lui si pensa come un eroe.
Travolto da troppe aspettative, innanzitutto quelle che nutre lui, dopo le prime difficoltà si cade. Ci si èsopravvalutati, come sempre.
Tutta la relazione è incentrata sul bambino, ma quando non funziona tra i due, presto non funzionerà nemmeno tra il padre e il piccolo. E comincerà l’allontanamento. Di fatto si rovescia il matrimonio tradizionale, quello in cui la relazione tra i coniugi precede quella filiale.
Sul matrimonio è cinico. Ma capisci subito che è la sua aspirazione.
Dice di cercare una compagna per la vita, un’ anima gemella, e si lamenta del materialismo gretto della mamma di suo figlio. E’ diventata così dura… prima non era così.
I suoi sogni banalizzano il reale e glielo fanno odiare. A volte sogna amori folli ed esprime un romanticismo patetico. La donna è vista come una puttana per la sua durezza e il suo eccessivo materialismo.
Mai direbbe che la madre deve caricarsi tutto quello che riguarda i figli! Tuttavia, se deveprecisare i suoi doveri è molto vago e di fatto si limita a contribuire sporadicamente, un po’ qui un po’ lì, ora sì ora no.
La sua ambizione principale è quella di essere un modello per i figli. Piuttosto che niente si propone come modello negativo mostrandosi e dicendo in modo patetico: “non fate mai come me”. E’ la strategia dell’esempio negativo, che è pur sempre un esempio. D’altro canto indica la mamma come esempio positivo: “fate come lei”.
Fallisce perché cade in tentazione (alcol, sostanze, donne, crimine…). Viene rimproverato e dopo una serie di umiliazioni c’è un momento in cui rinuncia, in cui si scrolla di dosso ogni responsabilità e sparisce..
Ma spesso è la mamma che lo scaccia e che gli proibisce di incontrare i bambini, le ragioni di solito sono valide… ma non sempre. Nella rinuncia conta anche la disposizione dei bambini, la fiducia che dimostrano verso di lui.
Il suo principale cruccio, dopo, è che può vedere i bambini solo quando ha qualcosa da offrire, un gelato, un regalino. Ma in genere ha ben poco da offrire.
Se un altro uomo ha preso il suo posto accanto la mamma soffre come una bestia.
Spesso resta però innamorato dei suoi figli, li aspetto fuori dalla scuola nascosto dietro l’angolo cercando di intercettarne un’occhiata.
A volte precipita in un barbonaggio nel corso del quale continua a pensare ai suoi figli come àncora di salvezza.
Solo il 7% dei padri sciagurati mostra una mancanza di interesse verso i figli.
Quando fallisce come padre preferisce riprovarci altrove anziché perseverare. Preferiscericominciare piuttosto che insistere.
Sorpresa: i padre sciagurati non sono sciagurati con tutti i loro figli, prima o poi succede che con uno di essi riescano ad essere dei padri meritevoli. In poche parole, sono dei “padri seriali” che si fermano finché non riescono.
Un tempo il buon padre nemmeno parlava a suo figlio. Il padre sciagurato è tutto il contrario, cerca una “relazione” umana costi quel che costi. In questo senso il padre sciagurato è estremamente moderno. Vede nel figlio la principale fonte di significato e di identità personale, da lì può sorgere quell’autostima che non ha mai avuto.
Il padre sciagurato ha avuto pochi amici, i suoi figli saranno i suoi amici. Il tempo passato con i propri figli, magari anche solo per insegnare a pisciare in un cespuglio, è visto come una ricchezza irrinunciabile. Sono i figli il vero valore al centro delle loro vite, non gli amici.
Per lui la paternità ha un grande fascino, è un modo per proclamare la propria esistenza. Qualcosa per cui non potrà mai essere negato: la presenza di un figlio impedirà di negare la sua.
Lo schiaffo più umiliante lo riceve quando il figlio gli dice a muso duro che il compagno attuale della mamma per lui è come un padre. A questo punto risponde alzando la voce che “di padre ce n’è uno solo e lui è suo padre, anche se non ha una lira in tasca”.
Avere un figlio significa avere una possibilità, e il classico padre sciagurato è un uomo perennemente a corto di possibilità.
Chiedetevi perché tanti figli partoriti da mamme sole vengono in realtà riconosciuti. Il riconoscimento porta solo grane, non è certo la strategia ottimale per chi vuole alleggerire i suoi pesi. Inoltre, non ti dà nemmeno molti diritti, la mamma e comunque riconosciuta come custode primaria del piccolo e mantiene praticamente tutti i diritti su di lui.
La battaglia dei sessi un po’ di questo tipo: da un lato c’è la mamma che si occupa praticamente di tutto, dall’altro c’è un padre spiantato che proclama di non essere solo un bancomat e di voler “fare il padre”.
I padri sciagurati sono tali anche perché l’asticella per loro si è alzata: dei doveri si sono aggiunti rispetto a prima, le compagne pretendono di più e loro hanno meno da offrire.
La dinamica è percepibile anche nelle classi alte, ci si sposa dopo che si è lanciata la propria carriera, il matrimonio diventa una ciliegina sulla torta ma se la torta non c’è tutto perde di senso.
Paradossalmente il padre sciagurati sono padri moderni, i lavoretti banali da fare in casa sono l’unica cosa che è rimasta loro. Visto che non possono preparare una torta offriranno la ciliegina. Un modo alternativo per sentirsi impegnati con la propria progenie. Ma ovviamente alle mamme non basta.
Assumersi il 100% della responsabilità finanziaria nella propria famiglia è stato rimpiazzato da un generico “faccio il meglio che posso” che di fatto si traduce in un “quando c’ho due euro mi faccio un bicchierino, una sigaretta e poi passo il quel che resta alla mamma”.
Il padre sciagurato è un padre alla Disney, un compagnone che schiva i compiti pesanti senza ammetterlo. Ha il ruolo dello  zio preferito. Ma non è quello che chiedono le madri, cosicché la relazione va a ramengo…
***
Da quanto detto possiamo tracciare in tre fasi una teoria della paternità moderna e della sua crisi.
Fase 1
Nel mondo agricolo la famiglia era unita e si lavorava senza spostarsi da casa. Il padre, capofamiglia, supervisionava tutto ed era sempre presente. Per i figli costituiva un modello da osservare in azione e da imitare. Ricopriva anche un ruolo vocazionale.
Fase 2
Nel mondo industriale il padre si assentava tutto il giorno limitandosi alla funzione di bancomat. I redditi erano modesti ma stabili. L’importanza delle entrate gli conferiva comunque un prestigio che lo manteneva in sella quale capofamiglia. Anzi, a volte l’assenza prolungata ricopriva d’aurea la sua persona.
Fase 3
Nell’era dei servizi la donna entra prepotentemente nel mondo del lavoro. I padri devono collaborare anche in casa. Fuori i lavori si fanno più flessibili e incerti.
***
Cominciamo con il dire che la crisi dei “padri” riguarda le classi medio basse, tanto è vero che in alto la famiglia tradizionale resta solida e spesso numerosa.
Ma perché la figura del padre entra in crisi nella fase 3? Due tendenze si incrociano:
1. La donna, imbevuta nella nuova cultura, si aspetta ora un doppio ruolo dal maschio:bancomat + “mammo”. Il mancato aiuto in casa crea dissidi, ma il bancomat crea l’allontanamento. Non c’è simmetria.
2. Molti uomini, obsoleti sul mercato del lavoro, difettano nel ruolo di bancomat e cercano di compensare con quello di “mammo”. Si illudono che i nuovi compiti del maschio possano essere“sostitutivi” anziché “aggiuntivi”. Si tratta dei “padri sciagurati” che le mamme respingono.
3. L’uomo privato della sua paternità è meno motivato a stabilizzare la sua posizione lavorativa, il che peggiora la sua posizione facendolo entrare in un circolo vizioso.
Riassumendo: il ruolo di bancomat si fa più duro e la necessità assoluta di un bancomat meno impellente, il doppio trend indebolisce il ruolo del padre.
In altri termini: rispetto a prima il lavoro flessibileconferisce alla donna più autonomia e all’uomo più precarietà. La mamma precaria sul lavoro è accettabile ma il “mammo” precario sul lavoro no: i padri vengono allontanati da madri sempre più esigenti.
Sembra che il messaggio culturale sul contributo domestico sia passato ma non passi quello per cui il padre debba essere accettato anche come bancomat incerto e spesso fuori uso.
Che fare?
Boh.
Si dovrebbe in qualche modo sfruttare la voglia di “essere padri” dei cosiddetti “padri sciagurati”, ma come?
papaa