martedì 8 ottobre 2019

STREET ART

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Io che frequento le stazioni lo so. Il guaio di questa "arte" è che non vai mai tu da lei. E' lei che ti viene a trovare, quasi sempre sgradevole, chiassosa, mai invitata da nessuno.

GENDER

Se posti di fronte a finti studi scientifici sulle differenze sessuali, sia gli uomini che le donne hanno maggiori probabilità di credere a quelli che affermano la superiorità femminile in qualcosa piuttosto che il contrario, questo anche se gli studi si presentano simmetrici ma identici.
PSYARXIV.COM
The primary aim of this study was to investigate how people react to research describing a sex difference, depending on whether the difference in question favors males or favors females. An additional aim was to see how accurately people can predict how the average man and the average woman will res...

DUE SOLITARI DI BUONA COMPAGNIA

DUE SOLITARI DI BUONA COMPAGNIA
Van Gogh e Gauguin, i due grandi solitari erano in realtà sempre in compagnia: “non posso fare a meno della relazione umana”, diceva uno di loro. E di relazioni ne avevano parecchie. Magari le troncavano di punto in bianco sparendo dalla circolazione, ma solo per riformarle altrove.
Il loro sodalizio non fu poi così patologico, solo caratteri incompatibili come capita spesso. Theo Van Gogh, la pecora bianca della famiglia, volle procurare un maestro al fratello svitato Vincent, che finalmente si era deciso in tarda età a far qualcosa nell'arte. Gauguin in questo senso offriva servigi a buon mercato non potendo vantare alcuna credenziale se non una certa esperienza.
I più grandi detrattori dei ritratti di Gauguin erano i suoi clienti, che si affrettavano a ripudiarli immediatamente, magari perché influenzati dai frizzi e lazzi dei colleghi del pittore.
Gauguin approda alla pittura vecchiotto, dopo una carriera di agente di cambio, non ebbe alcuna preparazione di tipo accademico, si limitò ad affiancare Pissarro e Cezanne. Imparò osservando ed esercitando il suo intuito. Il fatto di non possedere una tecnica da disimparare lo avvantaggiò nel mondo delle avanguardie.
Lo stile di Gauguin: “cloisonnism”. Praticamente si stende un contorno nero ben marcato e si riempie di un colore poco allettante (ma emotivamente esplosivo)la relativa superficie. Avete presente la "ligne claire dei fumetti di Tin Tin?
Gauguin ritraeva i suoi soggetti sulla base del ricordo. De Haan era morto da 7 anni quando Gauguin ne fece il ritratto. Quello che ritraeva non era il suo amico ma ciò che rappresentava per lui. Le persone si trasformavano in concetti metafisici: mortalità, fecondità, fede... Sono ritratti che dicevano poco dei modelli è molto del pittore. Quando gli chiesero come mai non aveva ancora immortalato la sua prostituta preferita rispondeva: “non mi è ancora tornata in mente…”.
Se la realtà era insignificante per Gauguin, era vitale per Van Gogh. Anche lui è un tipo senza arte né parte, senza nessuna formazione e senza una tecnica pittorica. In realtà anche senza alcuna fiducia da parte dei suoi familiari. Il fratello, mercante d’arte molto noto, non trattò mai un suo quadro.
L’unico consiglio artistico elargito da Van Gogh ai suoi pochi allievi: dipingi le cose più scure di come sono in modo che sembrino più naturali.

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NEWSTATESMAN.COM
For nine weeks in late 1888, two of art’s great loners lived together. The home and studio Paul Gauguin and Vincent Van Gogh shared was the small and unassuming “Yellow House”, just outside the northern city gate of Arles in the south of France. There was an imbalance to the arrangement. Van G...
Gauguin precursore dell’astrattismo? Un po' forzato ma perché no. Quando ti doveva fare un ritratto ti guardava fisso, dopodiché attendeva qualche anno per constatare come il tuo faccione “riaffiorava” nella sua memoria. Di solito “riaffiorava” in forma ovoidale, o di ellissi, o di disco, o di pizza… Se non riaffioravi proprio addio ritratto.
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For nine weeks in late 1888, two of art’s great loners lived together. The home and studio Paul Gauguin and Vincent Van Gogh shared was the small and unassuming “Yellow House”, just outside the northern city gate of Arles in the south of France. There was an imbalance to the arrangement. Van G...

lunedì 7 ottobre 2019

Da Zeman a Unabomber, il mondo ha sempre amato i perdenti di successo; in fondo spiegarsi la rispettabilità di cui godono ancora oggi nel mondo intellettuale personaggi come Joseph Stiglitz non è poi così difficile.

La sua grande passione è sempre stata Hugo Chavez, il presidente ingiustamente accusato di essere populista che invece, grazie al suo modo originale di affrontare la globalizzazione, ha portato istruzione e sanità alle masse di poveri venezuelani. I frutti della impressionante crescita economica che ha saputo generare con le sue politiche socialiste, hanno trovato così una più equa distribuzione. Inutile dire come questa romantica storia si sia conclusa, ma questi sono particolari secondari. Intendiamoci, non che in sciagurate prese di posizione del genere lo Stiglitz fosse l'unico pirla in campo, poteva godere della rispettabile compagnia del Guardian, oppure del New Yorker, così come della BBC (i radical chic non ti deludono mai). Ma mentre questi soggetti hanno fatto doverosa pubblica ammenda per l'abbaglio, lo Stiglitz, come è nel suo stile, ha tirato dritto facendo finta di nulla. Ve lo immaginate uno Sgarbi che chiede scusa?

D'altronde, alzate di ingegno del genere non sono una novità per lui,  nel 2007 prese una cotta per il dittatore etiope Meles Zenawi, noto per sparare sulla folla e trattenere nelle sue casseforti gli aiuti internazionali destinati ad alleviare la carestia del paese. Ma noto anche per praticare un economia centralizzata di quelle che piacciono tanto al nostro, sebbene producano iperinflazione a go go, interessi negativi, dazi iperbolici e un severo controllo dei prezzi, di quelli già a suo tempo compresi dal Manzoni dell'assalto ai forni.

La difesa del salario minimo da parte di JS è veramente una storia curiosa. Nel momento in cui optò per questa misura - aveva posizioni di responsabilità nell'amministrazione Clinton - trascurò completamente quanto scriveva nel suo manuale di economia, ovvero che se una cosa diventa più costosa (il lavoro) probabilmente se ne acquisterà di meno (rischio disoccupazione). Insomma, il salario minimo rischia di creare disoccupazione. Messo di fronte al JS Dr. Jackil, il JS Mr. Hyde liquidò la faccenda considerando gli effetti negativi poco significativi. Quanto poco non sembrava interessarlo. Anche perché, e qui sfoderò l'arma segreta - un  salario elevato motiva i lavoratori generando maggiore produttività. Ma perché di questo strano meccanismo non si erano mai accorti gli imprenditori? Risposta di Stiglitz: perché sono miopi e bisognosi della guida governativa.

Poi c'è la storia della crisi finanziaria del 2008. La posizione di Stiglitz fu prevedibile: i mercati falliscono e i regolatori devono "ripararli" prendendoli sotto tutela. Bisogna dare più potere a regolatori incorruttibili e abbastanza intelligenti per fare sempre la cosa giusta. Ma dove possono essere rintracciati questi  soggetti provvidenziali su cui riporre una così grave responsabilità? E qui JS risponde facendo praticamente il suo ritratto senza mai menzionarsi, anche se non manca di definirsi come "specialista in crisi finanziarie". Qui però lo specialista dimentica un suo studio del 1996 quando falli completamente nell'anticipare l'imminente crisi delle tigri asiatiche. Ma dimentica anche  un suo studio del 2002 commissionato dagli istituti finanziarie parastatali Fannie Mae e Freddie Mac, nel quale valuta come estremamente improbabile il rischio di default. Proprio queste istituzioni furono l'epicentro del futuro collasso finanziario. Lo studio sparì subito dal sito personale di Stiglitz così come da quello di Fannie Mae e Freddie Mac. Uno dice: "ma nel 2002 era impossibile anticipare il crack".  Secondo l'American Enterprise Institute, che approfondì la questione, la cosa era invece chiaramente visibile già allora.

Noto a tutti è il  disprezzo con cui Joseph tratta i colleghi che non la pensano come lui (quasi tutti). Le sue accuse agli economisti del FMI sono epiche (gente di terza fila che arriva da università di prima fila), arrivando ad insinuare come un marco Travaglio qualunque - ovvero senza prove - una compromissione di  Stanley Fischer con Citibank. In una lettera aperta a lui indirizzata Kenneth Rogoff ebbe modo di raccontare a tutti un paio di aneddoti spassosi che immortalano il  gigantesco ego di quest'uomo ("... dimmi Kenneth, ma Volker è davvero intelligente? Intendo intelligente come noi...". Altri preferiscono mettere in evidenza la sua cocciutaggine sottolineando come non impari mai dai suoi errori. La sua splendida carriera, ad ogni modo, viene presa a riferimento per dimostrare come sia possibile combinare credenziali di primo livello, brillante creatività teoretica con i bias più colossali dell'estrema sinistra e la crassa ignoranza della storia.

Ma attenzione,  il pericolo Stiglitz non ha finito di imperversare, dopo essere stato accantonato da Obama, recentemente si è legato alla senatrice di estrema sinistra Elizabeth Warren, candidata alle prossime elezioni. E chissà che non ce lo ritroveremo splendido 80enne consigliere del presidente.

Per completare il quadretto è utile fare un raffronto con il suo più noto compagno di fazione, Paul Krugman. Secondo me c'è qualcosa che li divide profondamente, negli alterchi di PK si sente una voglia di rivalsa, è la passione che lo acceca e gli impedisce di fare un passo indietro al momento opportuno. Al contrario, JS, anche nella diatriba più infuocata, sembra sempre convinto delle sue idee. Procede regolarmente i mperterrito (verso il baratro). Nulla lo smuove, nulla lo turba. A voi scegliere quale sia il caso più disperato.

domenica 6 ottobre 2019

L’ORGOGLIO DELLA VITTIMA

L’ORGOGLIO DELLA VITTIMA
Va diffondendosi una cultura per cui la “vittima” non va solo compensata ma privilegiata e rispettata nel suo “diritto alla sensibilità”. È anche una cultura imperniata su sentimenti arcaici come quello della “colpa collettiva”.
Facciamo un po' di chiarezza attraverso la genealogia. All'inizio fu la Shoah a interrogare l’intellettuale: come non replicare una tragedia del genere? Si puntò tutto sul linguaggio, occorreva edulcorarlo sapientemente per evitare la formazione di una valanga di risentimenti destinata inevitabilmente a sfociare nelle camere a gas.
A seguire ci fu l'appello al “trauma” e alle sensibilità degne di tutela. I primi “malati di trauma” furono i soldati, in particolare i veterani del Vietnam - e qui la battaglia per il politicamente corretto si spostò dall'Europa agli Stati Uniti. L'opposizione militante al conflitto e l'indagine psicologica sui ragazzi spediti in guerra procedettero di pari passo, ben presto la sindrome post traumatica entrò nel manuale diagnostico dei disordini mentali diventando uno strumento a tutela di qualsiasi “vittima”. Il ricordo spiacevole divenne malattia facendo sorgere un “diritto alla salute”. Dire “codardo” a un imboscato non era più un’opinione ma un atto violento che intaccava il legittimo diritto alla salute mentale della persona.
Fin da subito ai soldati si aggiunsero i civili sopravvissuti alla guerra, poi i poliziotti esposti sulla strada ai conflitti violenti, poi le vittime di crimini, in special modo quelli di natura sessuale, infine praticamente tutti, anche quelli morsi dal cihuahua.
Nel corso di questi passaggi la vittima si trasformò da soggetto con diritto ad un risarcimento a soggetto con diritto alla cura. Essere vittima divenne una condizione permanente da sfoggiare con orgoglio e rivendicare. Il diritto alla lamentela prese poi la forma del diritto di difendersi per vie legali dalle parole e dal pensiero altrui. Su un soggetto "traumatizzato" parole e pensieri ostili divennero a tutti gli effetti una forma di violenza.
Ben presto tutto questo apparato concettuale si saldò con l'idea di colpa collettiva e di diritto alla "riparazione" maturata da alcuni gruppi umani nel corso della loro storia. Per esempio, i neri avevano subito l'oppressione schiavistica dei bianchi, le donne avevano subito l'oppressione patriarcale degli uomini, i paesi del terzo mondo avevano subito l'oppressione coloniale dei paesi occidentale. La riparazione dovuta prese ben la forma di privilegio generico (quote, censura…).
L'ultimo passo per instaurare la cultura del vittimismo fu la sua istituzionalizzazione. Gli studiosi militanti che popolarizzarono questi concetti erano generalmente affiliati alle scuole d'élite americane, allorché l'Ivy Legue cominciò a fissare politiche e precedenti, le altre università si adeguarono. Psichiatri e avvocati furono in prima fila nello spianare la strada al movimento, se una strategia si rivelava feconda per tutelare una minoranza veniva ben presto estesa a tutte grazie al concetto di “intersezionalità”. Ma un ruolo di primo piano lo ebbe l'amministrazione degli atenei, settore che ben presto divenne ovunque preponderante rispetto alle facoltà stesse. Fu questa parabola che trasformò, per esempio, il black power in black studies. Una volta impiantata, la cultura del vittimismo si diffuse al punto che gli studenti delle famiglie più privilegiate giungevano nelle università d'élite con aspettative già radicate e richiedendo conformità alla nuova ortodossia; in un mondo che li vede più che altro come consumatori sono loro i boss. Oggi, nell’era dell’università di massa, gli atenei vanno sempre più distinguendosi in due gruppi: quelli dove vai per imparare e quelli che “formano il cittadino modello”.
La cultura del vittimismo si plasma negli Stati Uniti per essere poi esportata in tutto il mondo. Con il suo portato di censure, privilegi ed ingegneria sociale è di fatto una cultura autoritaria. Gli antidoti più efficaci per fronteggiarla restano una strenua difesa della libertà di espressione centrata sul valore della diversità.
HETERODOXACADEMY.ORG
Erstwhile reformers of higher ed institutions should seek deeper knowledge about the origins of the concepts and methods that currently dominate.

http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2019/10/learning-from-night-lights.html

sabato 5 ottobre 2019

PSEUDOADDISCTION

Avevo torto, le parole contano. Un tempo pensavo fossero mere formalità a cui non dedicare troppa attenzione.
Prendetene una, inserite il prefisso "pseudo" e potrete innescare una guerra culturale (non si sa bene su cosa).
È appena successo negli USA dove Big Pharma ha opposto al concetto di "dipendenza" da oppiacei quello di pseudo dipendenza.
La differenza concettuale è abbastanza oscura ma quella pratica no: se un paziente ha sviluppato una "dipendenza" da oppiacei il medico, anche dietro richiesta insistente, non dovrebbe aumentare le dosi prescritte. Se invece la sua è una "pseudo-dipendenza", allora può.
La cosa si fa seria nella terapia del dolore: se un paziente si lamenta perché la morfina ricevuta non è più sufficiente a lenire la sua sofferenza, lo fa perchè   ha sviluppato una dipendenza o una pseudo dipendenza? A seconda della risposta il medico si regolerà.
Insomma, Big Pharma ha notato che le prescrizioni gli oppiacei erano troppo prudenti (i pazienti soffrivano troppo),  così ha reagito inventando una parola  e risolto il (suo) problema. Il fatto è che probabilmente nel merito ha ragione. Naturalmente, i guerrieri in servizio permanente effettivo contro Big Pharma si sono rivoltati ed è partito così un conflitto sui giornali e in TV, ma non si sa bene su cosa.

LA PACE DEI LIBERALI

LA PACE DEI LIBERALI
A che serve il liberalismo?
Essenzialmente, a non fare della politica una “guerra”.
Senza fiducia reciproca la politica degenera in guerra, e in una società diversificata è difficile giustificare le norme che si adottano in modo convincente per tutti, in questo senso la “società aperta” che tanto piace ai liberali sarà sempre a corto di fiducia reciproca.
Fortunatamente, esistono anche norme neutrali, ovvero di mero coordinamento. Per esempio: tenere la destra quando si guida è una norma che non tira in ballo la morale e quindi la questione della fiducia.
Ecco, la società liberale si limita a norme di questo tipo, in tal modo elude le “crociate” politiche.
Qualcuno parla di " concezione ludica della società", ovvero: sostituire le “leggi” con mere "regole del gioco".
GLOBAL.OUP.COM
Americans today are far less likely to trust their institutions, and each other, than in decades past. This collapse in social and political trust arguably fuels our increasingly ferocious ideological conflicts and hardened partisanship. Many believe that our previously high levels of trust and bipa...