sabato 17 febbraio 2018

IL GRUMO

Una giusta battaglia per la ragione, quella che Pinker ingaggia nel suo nuovo libro.
Unico punto debole: nella creatura umana c'è qualcosa di irriducibilmente irrazionale che da qualche parte bisogna pur collocare.
Ecco, se lo si trascura e si progetta di far piazza pulita si rischia che questo grumo oscuro finisca laddove fa più danni.

"My new favorite book of all time." --Bill Gates "A terrific book...[Pinker] recounts the progress across a broad array of metrics, from health to wars, the environment to…
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L'oppio degli intellettuali

Nella cattolicissima Francia il marxismo (in salsa hegeliana) è stato una sorta di religione in cui sprofondarsi per colmare il vuoto lasciato dalla vecchia. Questo, almeno, secondo Raymond Aron quando medita sulla brutta fine del suo ex amico Sartre.
L' Oppio Degli Intellettuali
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La maledizione del finto bar

La maledizione del finto bar

Il guaio di Facebook è di essere considerato un bar senza esserlo.
Se spiegassi a un marziano autistico cos’è Facebook, quello alla fine lo penserebbe come il mezzo ideale per discutere e approfondire: la scrittura facilità l’analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, la possibilità di interagire mantiene una fresca dialettica, ovvero la presenza di più voci che si stimolano a vicenda. Una specie di epistolario plurale dove si ha modo di accedere, ordinare e soppesare le ragioni reciproche.
Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l’interlocutore di fronte alle sue parole (di cui magari si è già dimenticato), puoi verificare le tue ribadendo dei concetto o facendo le dovute precisazioni…
Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di predisporre una replica facendola decantare qualche ora – se non qualche giorno – affinché affiorino le imperfezioni, di ricalibrarla ulteriormente e poi, solo dopo, di postarla? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza. Non siamo al bar ma ci comportiamo come se lo fossimo.
Per chiarire ulteriormente la tesi descrivo la tipica esperienza frustrante in cui mi imbatto gironzolando per i social.
La stragrande maggioranza delle “persone social”, come dicevamo, si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla nell’illusione che gli altri restino bloccati dove li lasciamo a delibare la nostra genialità; il bar, in effetti, consente e facilita una simile illusione, se uno avesse contezza di come commenta la cassiera quando hai chiuso la porta per andartene tutto tronfio, probabilmente faresti marcia indietro e anche i bar diventerebbero un ring sfibrante anziché catartico. Tuttavia, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmente diversa dal bar, il lanciatore di battute puo’ sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola (quel rompicoglioni!) voglioso di vagliare quanto affermato con tanta sicumera. Qui scatta un momento delicato poiché il battutista da bar – per questioni che pertengono il carattere umano – in genere non è disposto a credersi tale, in genere va orgoglioso della sua “brillante” battuta, che non ritiene affatto priva di sostanza, e spesso nemmeno priva di punti deboli o soggetta ad eccezioni. Da un lato, quindi, non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare immantinente, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle meglio a fuoco ne tantomeno di difenderle analiticamente. Il nervosismo cresce e non resta che rifugiarsi nell’aggressività, che diventa subito reciproca; ecco allora che la potenziale discussione viene abortita e rimpiazzata da una sequela di stucchevoli stratagemmi retorici, quelli tipici della lite da cortile, tanto per intenderci: la proiezione, l’allusione, l’equivoco posticcio, la vaghezza ad hoc, le alleanze strumentali in cui ci si dà manforte…
***
Ma c’è un di più che spiega il ricorrente scazzo facebookiano. Qualcuno ha detto che senza un buon “cattivo” non puo’ nascere una storia interessante, e per me questa è una sacrosanta verità.
Analogia: senza un disaccordo non puo’ nascere una discussione, e chi ama le discussioni è attirato dai disaccordi. Ma poi, trascinato da questo pericoloso amore, capita che ti ritrovi spesso a cavalcare una tigre.
Nelle discussioni tradizionali buona norma vuole che, prima di infliggere il colpo, si ripetano con cura gli argomenti dell’interlocutore evidenziando le concordanze con i nostri, si elogino con sussiego l’espressiva esposizione che l’altro ne ha fatto enfatizzando quanto ci ritroviamo nelle sue parole. Poi, finalmente, tranquillizzato il nostro “avversario” si isola con delicatezza il punto di frizione e su quello si innesca una rispettosa discussione sempre intervallata con riconoscimenti reciproci.
Ma su Facebook, come su qualsiasi social, è difficile riprodurre la noiosa ma salutare manfrina del preambolo più o meno ipocritamente omaggiante, cosicché si parte in quarta con la sostanza, ovvero con i disaccordi e l’accidentata discussione che ne segue.
Concentrandosi solo sul disaccordo e parlando sempre e solo di quelli, le parti, potenzialmente vicine, cominciano a sentirsi estranee l’una all’altra, il che puo’ facilmente degenerare in aperto conflitto, basta una parolina sbagliata e l’equivoco esplode.
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Il bar che non era un bar

Fa rabbia soprattutto il fatto che il mezzo sarebbe l'ideale per discutere e approfondire. La scrittura facilità l'analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, mantiene la dialettica, ovvero l'interazione con altre voci.

Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l'interlocutore di fronte alle sue parole (di cui si è già dimenticato), puoi verificare le tue.

Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di farlo decantare affinché affiorino le imperfezioni, di calibrarlo ulteriormente e poi, solo dopo, di postarlo? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza.

Descrivo la mia tipica esperienza spiacevole. Su Facebook la stragrande maggioranza delle persone si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla, il bar consente e facilita una simile strategia. Ma, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmene diversa dal bar, il lanciatore di battute puo' sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola e vuole approfondire quanto ha detto. Qui scatta un momento delicato poichè il battutista da bar - per questioni che pertengono il carattere umano - non è disposto a considerarsi tale, da un lato non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle a fuoco e difenderle. A questo punto non resta che rifugiarsi nell'aggressività reciproca, e allora lo scazzo e gli equivoci da inconveniente diventano un'arma.

Hacker russi e falsificazione delle preferenze

A quanto pare siamo riluttanti ad esprimere una posizione ideologica, se collocati in un contesto ostile dove siamo minoranza e rischiamo lo stigma sociale; ce la teniamo per noi occupandoci d’altro. In casi estremi ricorriamo ad alcuni singolari meccanismi psicologici in grado di occultarla anche a noi stessi.
Il fenomeno ha un nome ben preciso, si chiama “falsificazione delle preferenze”. Spiega molte cose, per esempio l’imprevedibilità delle rivoluzioni, la cui dinamica ricorre: accade sempre qualcosa di minimo che innesca poi un effetto domino nel corso del quale le preferenze a lungo falsificate dalla popolazione si disvelano via via.
Penso ora alla propaganda degli hacker russi, poniamo si siano limitati ad inondare la rete con messaggi estremisti postati sotto falso nome. Ebbene, così facendo avrebbero condizionato l’opinione pubblica, ma, e qui sta il bello, nel senso di renderla più autentica: l’ elettore estremista – ingannato - si sarebbe sentito meno solo e quindi in condizione di non “falsificare” più la sua preferenza ma di esprimerla in modo sincero.
Naturalmente questo puo’ essere un male, e io penso che lo sia, ma lo penso poiché penso che la democrazia stessa – nella sua forma più autentica -sia deleteria per noi.

The Social Consequences of Preference Falsification
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Il potere della monetina applicato al crimine

A quanto pare la lunghezza della pena non incide sul comportamento dei criminali allorchè usciranno di prigione.
I duri si consolano: tenere al fresco i criminali rende tutti più sicuri e non produce danni alla persona.
I miti si consolano: l'argomento della deterrenza è quantomeno pompato.
Ma i più entusiasti sono i "secchioni", orgogliosi per come si è giunti ad una simile conclusione.
È bastato assegnare ai giudici i processi a casaccio.
In questo modo è possibile stabilire quali sono i giudici più severi e quelli più miti. L'assegnazione casuale equivale Infatti all'assegnazione dello stesso caso a tutti. È come se esistesse un solo condannato (il caso elide le differenze) che vive contemporaneamente in una moltitudine di universi paralleli del tutto identici tra loro tranne che per la pena inflittagli.
Magia dei grandi numeri, potere della monetina!
Basta quindi raggruppare i condannati a seconda del giudice che li ha processati per verificare e raffrontare poi il loro comportamento una volta usciti di galera. Fine.
Ma c'è un ulteriore motivo di orgoglio per i "secchioni". I ricercatori non hanno nemmeno dovuto progettare l'esperimento fatto, hanno sfruttato un provvedimento preso dalle autorità per ben altri motivi, ovvero il sospetto che alcuni processi venissero indirizzati verso certi giudici ben precisi.
Why would a casino try and stop you from losing? How can a mathematical formula find your future spouse? Would you know if a statistical analysis blackballed you from a…
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Commenti
Riccardo Mariani I dati però non confermano, le recidive di chi accede ai permessi di lavoro non calano. Forse, semmai, giovano talune terapie cognitive che insegnano a "contare fino a 10"https://fahreunblog.wordpress.com/.../la-rieducazione.../Gestire
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RispondiRimuovi anteprima9 hModificato
Antonio Lodola Il criminale rieducato una volta uscito dovrebbe essere trasferito in un luogo diverso da quello che lo ha visto crescere come criminale e non dovrebbe avere piu' alcun contatto con la gente che frequentava prima. Inoltre una volta trasferito nessuno dovrebbe sapere che si tratta di un ex criminale altrimenti sarebbe presto e facilmente discriminato
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Antonio Lodola Io ho lavorato con ex criminali e francamente niente da dire . Il problema piu' duro per loro era il fatto d'esser diventati tossicodipendenti in carcere ed una volta usciti , pur reinseriti, non riuscivano a contenere la loro dipendenza che cercavano di nascondere con tutti i mezzi. Erano dei poveracci molto soli e faticavano a ricrearsi una vita sociale normale .
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Antonio Lodola Devo dire che ho avuto l'impressione che il reinserimento risulti piu' facile ad un assassino che ad un criminale sessuale
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