lunedì 18 dicembre 2017

Ha ah ah…

Ha ah ah…

Sono convinto che la maggior parte degli illustri filosofi che ha scritto trattati sul riso e sul comico non ha mai visto un bambino ridere
Max Eastman
L’uomo è proprio una bestia strana, ogni tanto erutta una sequela di asmatici singulti ritmici e di grugniti sincopati volti a segnalare un picco di piacere. Contorce poi in modo spasmodico la sua faccia deformandola e ansimando quasi fosse in preda all’ angoscia.
Non è angosciato. Sta ridendo.
Il riso è in lui un comportamento innato e inconsapevole.
Impariamo a ridere ben prima di imparare a parlare o a cantare.
In tutte le culture il riso si presenta con modalità molto simili e le “traduzioni” non servono.
Il riso è un atto involontario: il cervello si mette in azione da solo. Un po’ come il respirare.
Anche se lo pratichiamo di continuo, qualsiasi sia la funzione del riso noi non la conosciamo intuitivamente, dobbiamostudiarla.
In questo senso le speculazioni abbondano: Platone, Aristotele, Cartesio, Darwin… tutti hanno detto la loro.Sbagliando!
Molti – specie gli antichi – hanno creduto alla teoria della superiorità: il riso come forma di derisione dall’alto in basso. Un modo per sentirsi superiori.
E il solletico?
E come si spiega poi che noi non ridiamo affatto quando incontriamo chi ci chiede l’elemosina?
Per Freud ridiamo per scaricare una tensione nervosa che si accumula nel cervello. Ma l’energia nervosa di cui parla Freud non sembra esistere. Nel nostro cervello non esistono processi “idraulici”. Taluni ormoni, per esempio il cortisolo, potrebbero essere un equivalente a cio’ che un tempo si chiamava “energia nervosa”, sia come sia le risate non dissipano affatto queste presenze.
Per Kant e Schopenhauer ridiamo quando le nostre attese sono violate. Ma perché dovremmo produrre suoni? Perché poi la risata è utilizzata socialmente?
Robert Provine è forse lo studioso contemporaneo che è andato più a fondo del problema.
E’ partito da alcune osservazioni empiriche.
Primo, noi ridiamo in compagnia, quasi mai da soli. E’ il motivo per cui alla TV le risate sono preregistrate.
Secondo, la risata è una vocalizzazione, un suono. In questo senso è una forma di comunicazione.
Terzo, chi parla ride molto di più di chi ascolta (50% in più). Si tratta quindi di una forma di comunicazione attiva.
Da queste semplici osservazioni ne ricaviamo che il riso non sembra affatto una reazione psicologica, bensì un messaggio.
La mamma tocca il suo bambino che sorride. Lo tocca ancora e lui ride sempre di più. Tra i due si è instaurata una comunicazione. Con un estraneo le cose sarebbero andate diversamente.
Anche altri animali ridono: tutte le grandi scimmie, per esempio. Più le specie sono geneticamente simili, più le loro risa si presentano simili.
***
La risata segna i confini tra gioco e serietà. Questo è quanto ci dice la scienza oggi.
Se rido e poi faccio una faccia terribile, il bambino riderà. Ma senza la risata inaugurale la reazione sarebbe stata ben diversa.
Riso e gioco sono inseparabili.
Il gioco ci serve ad esplorare il mondo, e la risata segnala che siamo in questa fase.
Il gioco è un’attività senza scopo (diretto), un’oasi che il riso contrassegna e presidia.
Noi giochiamo anche da soli ma ridiamo solo in presenza degli altri, poiché solo in questo caso dobbiamo comunicare la nostra volontà di giocare.
Nelle altre specie la risata è sostituita da altri comportamenti: il cane tende le zampe anteriori in modo parallelo alzando il didietro. Alcune scimmie spalancano la bocca in modo scomposto, altri animali si agitano compiendo movimenti esagerati e non necessari.
Noi sorridiamo, ridiamo, ci agitiamo in modo scomposto, facciamo facce, emettiamo versi acuti.
A volte ridiamo per avvisare: il bambino colpisce il suo pari e poi ride.
A volte ridiamo per rassicurarci: se un bimbo ci colpisce ridiamo per capire se lo fa per gioco.
Quando il confine del gioco è certo ridiamo meno: non si ride giocando a Monopoli o ad altri giochi da tavolo con regole chiare.
C’è risata solo quando c’è un qualche pericolo: un doppio senso fa ridere se è su una materia delicata, per esempio il sesso.
Il cattivo umorismo spesso si caratterizza per essere “troppo” innocuo.
La prima volta che ho sparato con il fucile il rinculo è stato tremendo. Ho reagito ridendo un po’ istericamente. Sono cresciuto in una cultura dove non si spara, dove pensare alle armi induceva pensieri di morte e di tragedia. Forse con la mia risata volevo scacciare i demoni e dire  “tutto bene, tutto tranquillo”.
Se vostra mamma inciampa e cade a terra, lei sarà la prima a ridere. Non potete essere voi a farlo per primi – anche se vi rendete conto subito che è illesa – poiché far scadere a gioco una realtà che potrebbe essere seria non vi verrebbe perdonato.
Gli umoristi sono dei virtuosi del riso. E’ un po’ come se si sfidassero ad indurlo legandosi le mani con dei vincoli ben precisi.
Innanzitutto, si avvalgono di astrazioni come le parole o le immagini, non vi faranno mai il solletico!
In secondo luogo, emetteranno pochi segnali espliciti: per esempio non rideranno mai.
Il riso, avendo una funzione sociale, è contagioso: a risata corrisponde risata in segno di intesa. Ebbene, l’umorista non userà mai il trucchetto del contagio per indurre al riso.
L’umorista crea un mood, una connessione particolare con il suo pubblico. La connessione punta alla serietà per virare senza preavviso verso la comicità.
Segnare il confine tra gioco e serietà in modo “invisibile” è un virtuosismo in cui gli umoristi sono maestri. Per questo l’umorismo varia da cultura a cultura, perché si avvale di sfumature.
***
Ma l’ironia ha un suo lato oscuro.
La risata è un atto involontario, e questo ci rende “trasparenti”. In un certo senso abbiamo ragione di temerla.
Inoltre, se uno non studia la scienza della risata non ha ben chiare le funzioni del riso. Ma questa ignoranza, abbinata con l’involontarietà del gesto, puo’ essere strategica nelle relazioni sociali.
Le risate che facciamo consentono agli altri di investigare su di noi, sui nostri valori, sulle nostre relazioni sociali. Ma spesso noi non vogliamo affatto essere “investigati”. In questo senso la risata è nemica della privacy.
Innanzitutto il riso ci dice che considerazione abbiamo di talune  norme sociali.
I ragazzi ridono molto mentre prendono in giro una vittima. Da adulti si diventa più moderati e attenti a non violare le convenzioni. Alcune goffe violazioni ci esporrebbero a forme di ritorsione. Possiamo andare incontro a disapprovazione, censura e boicottaggio.
D’altronde, come dicevamo, l’ironia senza pericolo ha poco senso. Questo perché l’ironia serve ad “esplorare”. L’equilibrio è sottile e bisogna tener presente anche il lato oscuro.
I bambini ridono molto della cacca e dei peti, questo perché intuiscono che la materia è delicata e va indagata, sebbene con le dovute precauzioni.
Ma il concetto è generale: la situazione di pericolo è essenziale per produrre un effetto comico. L’ironia ci consente di parlarne potendo ritirarci in qualsiasi istante.
Esempio:
Io: come lo chiameresti un nero che guida un aereo?
Tu: … non lo so…
Io: Pilota! Che cosa pensavi, razzista!
Essere razzisti è socialmente proibito, ma esserlo in modo sottile ed ironico diventa accettabile.
Il confine è labile poiché non tutti condividiamo le medesime norme sociali, come sanno quelli di Charlie Hebdo. Tuttavia, pericolo e ironia sono inscindibili.
Se noi ridiamo di qualcosa, non abbiamo una grande considerazione di quella cosa, e questa potrebbe essere un’informazione sensibile da non far trapelare. Ma poiché 1) la risata è involontaria e 2) non sappiamo bene cosa segnala, le nostre difese diventano più vulnerabili.
Ridere è un po’ come mettersi a nudo. Ridendo, il nostro cervello rivela a tutti i nostri sentimenti più intimi.
Esplorare o preservare la nostra privacy? Privilegiare i benefici o il lato oscuro dell’ironia?
Ridere rivela anche una certa distanza psicologica dal soggetto del nostro riso.
Un incidente puo’ farci ridere, a patto non ci freghi nulla di chi lo subisce.
Mel Brooks diceva che la tragedia si realizza quando mi taglio il dito, la comicità quando tu cadi nel canale di scolo e crepi.
In una puntata di South Park ci si chiedeva quanto tempo dovesse ancora passare per fare battute sull’ AIDS. la distanza rilevante è anche temporale. La commedia è tragedia + tempo, diceva qualcuno.
Sul web c’è il sito dei Darwin Award che documenta le morti più stupide. Le vittime sono, e non potrebbero che essere, perfetti sconosciuti.
Si scherza amabilmente sugli stupri carcerari: “quando fai la doccia occhio se cade il sapone!”. Ovviamente lo fa solo chi è molto distante da quelle realtà.
Segnalare la propria distanza psicologica puo’ essere pericoloso, puo’ escluderci dalla compagnia. L’involontarietà della risata ci espone anche a questo ulteriore pericolo.
***
Ridere è essenzialmente pericoloso, ma non potrebbe essere altrimenti. Il riso ci serve per calibrare i vari confini sociali. Si tratta di un atto delicato che comporta continue correzioni, e solo i messaggi ironici sono correggibili.
Pensate solo alla vostra educazione sessuale. In genere vi è stata impartita dai vostri amici – o dagli adulti – a suon di battute. Perché? Perché si tratta di argomento pericoloso.
La funzione esploratoria dell’ironia puo’ essere estremamente fruttuosa, e non esiste strumento più appropriato.
Su certi argomenti il linguaggio canonico è troppo preciso, troppo perentorio, ci inchioda al già detto. In questi casi soccorre l’ironia, con la sua vaghezza, i suoi doppi sensi, la sua ritrattabilità.
Se qualcuno si offende per una nostra uscita ironica possiamo sempre replicare: “ma dài, e ridi un po’…”. La maggior parte dei terzi sarà subito dalla nostra parte. Ne uscirete illesi e con molte informazioni in più.
Il rapporto tra verità e ironia è quindi duplice: da un lato, molto spesso, la verità puo’ essere comunicata solo avvalendosi del registro ironico. Dall’altro, l’ironia è onesta: si ride involontariamente. La risata forzata si smaschera facilmente. In risu veritas, diceva james Joyce.
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venerdì 15 dicembre 2017

Terzo passo: Dio è pietoso (quindi incarnato)

Terzo passo: Dio è pietoso (quindi incarnato)

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, cheprobabilmente coincide con il Dio cristiano e che, anche se parliamo di un Dio d’amore, la presenza del male sulla terra è giustificato. Ora vediamo meglio come ci aspettiamo che agisca un Dio del genere.
Personalmente da una persona buona mi attendo che condivida il dolore di colui che ama. Mi sembra del tutto ragionevole.
Ragionando a priori direi che un Dio innamorato della sua creatura viva una vita umana per starci più vicino .
L’uomo purtroppo soffre, ma è un bene che soffra: la sua libertà vale più del suo dolore. Rinvio alprimo passo chi ha ancora dubbi in merito.
Noi, creature di Dio, siamo un po’ come i suoi figli (tanto è vero che lo chiamiamo Padre). Ebbene, unpadre a volte è tenuto a tollerare la sofferenza del figlio per giusti motivi.
Esempio: alcuni genitori pretendono che i loro figli frequentino la scuola locale anche se malfamata, questo per contribuire a rinforzare i legami comunitari.
Detto questo, è inevitabile che chi ama l’uomocondivida il suo dolore standogli accanto eaiutandolo finché ritiene giusto farlo.
L’ incarnazione divina rappresenta la condivisione del dolore umano da parte di Dio.
Descritta in questo modo la dottrina dell’Incarnazione appare la più ragionevole, date le premesse, ovvero i “passi” precedenti.
La morte del Dio incarnato per i nostri peccati, poi, rappresenta l’aiuto dato all’uomo nelle giuste forme. Questa è la dottrina della Redenzione, ma procediamo con ordine focalizzandoci sull’Incarnazione.
Ma come puo’ Dio diventare uomo visto che la sua natura non gli consente di smettere di essere Dio? Il concetto di consustanzialità entra in campo a questo punto.
Dio si incarna acquisendo un corpo umano e una modalità umana di pensare, purché tutto cio’ siaun’ aggiunta alla sua natura divina e non una sostituzione.
Il concetto di uomo/dio ci appare contraddittorio. Dio e gli uomini hanno un modo di pensare e di vedere le cose radicalmente diverso: il pensiero umano è condizionato, per esempio, dall’avere un corpo.
L’uomo e razionale, buono e libero, ma lo è in una forma estremamente limitata rispetto a Dio. Come possono due nature convivere in un’unica persona?
Se facciamo attenzione, già la nostra esperienza terrena ci consente di intuire questa strana realtà: almeno dai tempi di Freud noi sappiamo che due menti possono convivere nella stessa persona in modo dissociato.
Una stessa persona puo’ avere due sistemi di credenze distinte e in qualche misura indipendenti tra loro. Sebbene entrambi i sistemi siano accessibili alla medesima mente, di fatto l’accesso viene dissociato.
C’è una “mente” nella Franzoni che sa di aver ucciso suo figlio ma l’altra mente, quella che la Franzoni utilizza di fatto quando interrogata, lo nega in buona fede. Come è possibile? Semplice,due menti convivono nella stessa persona e si auto-ingannano a vicenda.
In una certa misura l’auto-inganno è fisiologico poiché ci aiuta ad operare meglio: se ci credi dai di più. Se sei il primo a crederci mentirai in modo molto più abile, per esempio.
Nel caso della Franzoni l’autoinganno è patologicoma noi dobbiamo limitarci ad osservare che il processo di “convivenza” di due coscienze nella stessa persona è comprensibile anche all’intelletto umano, è un’esperienza comune (anche se in grado limitato): non dobbiamo necessariamente rinunciare ad un sistema di credenze per abbracciarne un altro, i due sistemi possono sussistere contemporaneamente.
La coscienza divina comprende quella umana, che non comprende quella divina. Ed entrambe convivono nella stessa mente.
Tutti i giorni facciamo questa esperienza anche in prima persona: in me c’è quella che vorrebbe mangiare il cioccolatino e quella che – per motivi dietetici – consiglia di evitare per motivi dietetici. Anche qui in nuce c’è uno sdoppiamento.
Ora è più chiaro quanto sia inconsistente l’accusa fatta al Padre di sacrificare il Figlio: sarebbe come rimproverare all’ io-prudente (che consiglia di limitare il consumo di cioccolato) di essere vessatorio nei confronti dell’ io-desiderante (che vorrebbe papparselo). Si tratta della stessa persona!
Il Dio incarnato sarà sottoposto a desideri e sofferenze tipicamente umane: freddo, fame, angoscia.
Questo significa che il Dio incarnato potrà fare anche il male?
Il male puo’ essere oggettivo o soggettivo. Nel secondo caso è intenzionale, per esempio quello che commette il ladro quando ruba. Un Dio incarnato che vive una vita perfetta non cadrà mai in tentazioni di questo tipo, non sceglierà mai di fare il male.
Ma il Dio incarnato è (anche) un uomo perfetto, per cui non sbaglia nei suoi giudizi: perché mai dovrebbe commettere un male soggettivo? No, il suo comportamento è esemplare e l’imitazione di Cristo è una strada sicura per la perfezione.
Detto questo, il Dio incarnato è affetto dai limitidella sua condizione per cui una decisione difficile, per quanto alla fine necessariamente corretta, sarà pur sempre fonte di angoscia e tribolazioni.
Una vita perfetta ma sofferta, quindi. Anche se il suo discernimento e i suoi poteri restano intatti, tutto deve passare attraverso i limiti del suo corpo.
Fin qui il ragionamento a tavolino su come ci attendiamo che Dio reagisca di fronte alla sua creatura che soffre e combatte sulla terra. Ora veniamo alla dottrina cristiana dell’incarnazione.
Nel Credo affermiamo che il Figlio discese dal cielo e si incarnò sulla terra diventando uomo. Sembra proprio che questo individuo – il Cristo – conservi le due nature. Non che la cosa sia stata esente dadisaccordi.
Fu il Concilio di Calcedonia a cimentarsi con il problema. La formula ortodossa fu rigettata deiMonofisiti (oggi essenzialmente i Copti), i quali propendevano per un’unica natura del Cristo, e iNestoriani, che consideravano il Cristo e Dio come persone differenti. Ad ogni modo oggi non ci sono disaccordi sostanziali.
Ma perché acquisire un corpo? Che necessità c’era?Per Platone, tanto per dire, l’essenza dell’uomo è la sua anima, non il suo corpo.
Diciamo allora che con il cristianesimo uscito da Calcedonia vince Aristotele.
Per Aristotele l’anima non è una parte distinguibile della persona ma la forma dei corpi, il modo in cui la persona agisce e pensa. Non puo’ pensarci un’anima completamente svincolata da un corpo. A Calcedonia vince Aristotele, per questo l’acquisizione di un animo umano implica l’acquisizione di un corpo.
Ricapitolando, Gesù è uno di noi, tranne che per il fatto che non puo’ sbagliare: è infallibile! La sua vita è perfetta, ma si tratta di una perfezione che costa sangue. Fu perseguitato, crocifisso e sepolto: tutto questo ha comportato una grande sofferenzaper lui.
Gesù nacque da Maria. Perché non ebbe due genitori come tutti noi?
Avere come madre Maria e come padre Dio (e non Giuseppe) è un simbolo potente che rinvia alla natura dell’uomo/Dio.
D’altronde, non è un grande miracolo per Dio derivare due set di cromosomi partendo da ununico ovulo, ovvero quello di Maria.
Anche per questo, forse, Dio è di solito immaginato come maschio.
Gesù non muore ma ascende al cielo. Perché? Anche qui c’è un simbolo potente in azione: come era disceso dal Cielo acquisendo anche una natura umana, allo stesso modo, al termine della sua missione, vi ascende tornando alla sua natura divina.
Gesù ascende al cielo collocandosi alla destra del padre. Anche qui l’espressione presa alla lettera non ha senso poiché Dio non ha una dimensione spaziale, va intesa piuttosto nel senso che Gesù si colloca sul versante della giustizia e della salvezza.
Milano, al Museo Diocesano il Capolavoro per il 2017 è del Perugino: l'Adorazione dei pastori
al Museo Diocesano fino al 28 gennaio L’adorazione dei pastori del Perugino – noi ci siamo andati Domenica scorsa, una figata.

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, cheprobabilmente coincide con il Dio cristiano e che, anche se parliamo di un Dio d’amore, la presenza del male sulla terra è giustificato. Ora vediamo meglio come ci aspettiamo che agisca un Dio del genere.
Personalmente da una persona buona mi attendo che condivida il dolore di colui che ama. Mi sembra del tutto ragionevole.
Ragionando a priori direi che un Dio innamorato della sua creatura viva una vita umana per starci più vicino .
L’uomo purtroppo soffre, ma è un bene che soffra: la sua libertà vale più del suo dolore. Rinvio alprimo passo chi ha ancora dubbi in merito.
Noi, creature di Dio, siamo un po’ come i suoi figli (tanto è vero che lo chiamiamo Padre). Ebbene, unpadre a volte è tenuto a tollerare la sofferenza del figlio per giusti motivi.
Esempio: alcuni genitori pretendono che i loro figli frequentino la scuola locale anche se malfamata, questo per contribuire a rinforzare i legami comunitari.
Detto questo, è inevitabile che chi ama l’uomocondivida il suo dolore standogli accanto eaiutandolo finché ritiene giusto farlo.
L’ incarnazione divina rappresenta la condivisione del dolore umano da parte di Dio.
Descritta in questo modo la dottrina dell’Incarnazione appare la più ragionevole, date le premesse, ovvero i “passi” precedenti.
La morte del Dio incarnato per i nostri peccati, poi, rappresenta l’aiuto dato all’uomo nelle giuste forme. Questa è la dottrina della Redenzione, ma procediamo con ordine focalizzandoci sull’Incarnazione.
Ma come puo’ Dio diventare uomo visto che la sua natura non gli consente di smettere di essere Dio? Il concetto di consustanzialità entra in campo a questo punto.
Dio si incarna acquisendo un corpo umano e una modalità umana di pensare, purché tutto cio’ siaun’ aggiunta alla sua natura divina e non una sostituzione.
Il concetto di uomo/dio ci appare contraddittorio. Dio e gli uomini hanno un modo di pensare e di vedere le cose radicalmente diverso: il pensiero umano è condizionato, per esempio, dall’avere un corpo.
L’uomo e razionale, buono e libero, ma lo è in una forma estremamente limitata rispetto a Dio. Come possono due nature convivere in un’unica persona?
Se facciamo attenzione, già la nostra esperienza terrena ci consente di intuire questa strana realtà: almeno dai tempi di Freud noi sappiamo che due menti possono convivere nella stessa persona in modo dissociato.
Una stessa persona puo’ avere due sistemi di credenze distinte e in qualche misura indipendenti tra loro. Sebbene entrambi i sistemi siano accessibili alla medesima mente, di fatto l’accesso viene dissociato.
C’è una “mente” nella Franzoni che sa di aver ucciso suo figlio ma l’altra mente, quella che la Franzoni utilizza di fatto quando interrogata, lo nega in buona fede. Come è possibile? Semplice,due menti convivono nella stessa persona e si auto-ingannano a vicenda.
In una certa misura l’auto-inganno è fisiologico poiché ci aiuta ad operare meglio: se ci credi dai di più. Se sei il primo a crederci mentirai in modo molto più abile, per esempio.
Nel caso della Franzoni l’autoinganno è patologicoma noi dobbiamo limitarci ad osservare che il processo di “convivenza” di due coscienze nella stessa persona è comprensibile anche all’intelletto umano, è un’esperienza comune (anche se in grado limitato): non dobbiamo necessariamente rinunciare ad un sistema di credenze per abbracciarne un altro, i due sistemi possono sussistere contemporaneamente.
La coscienza divina comprende quella umana, che non comprende quella divina. Ed entrambe convivono nella stessa mente.
Tutti i giorni facciamo questa esperienza anche in prima persona: in me c’è quella che vorrebbe mangiare il cioccolatino e quella che – per motivi dietetici – consiglia di evitare per motivi dietetici. Anche qui in nuce c’è uno sdoppiamento.
Ora è più chiaro quanto sia inconsistente l’accusa fatta al Padre di sacrificare il Figlio: sarebbe come rimproverare all’ io-prudente (che consiglia di limitare il consumo di cioccolato) di essere vessatorio nei confronti dell’ io-desiderante (che vorrebbe papparselo). Si tratta della stessa persona!
Il Dio incarnato sarà sottoposto a desideri e sofferenze tipicamente umane: freddo, fame, angoscia.
Questo significa che il Dio incarnato potrà fare anche il male?
Il male puo’ essere oggettivo o soggettivo. Nel secondo caso è intenzionale, per esempio quello che commette il ladro quando ruba. Un Dio incarnato che vive una vita perfetta non cadrà mai in tentazioni di questo tipo, non sceglierà mai di fare il male.
Ma il Dio incarnato è (anche) un uomo perfetto, per cui non sbaglia nei suoi giudizi: perché mai dovrebbe commettere un male soggettivo? No, il suo comportamento è esemplare e l’imitazione di Cristo è una strada sicura per la perfezione.
Detto questo, il Dio incarnato è affetto dai limitidella sua condizione per cui una decisione difficile, per quanto alla fine necessariamente corretta, sarà pur sempre fonte di angoscia e tribolazioni.
Una vita perfetta ma sofferta, quindi. Anche se il suo discernimento e i suoi poteri restano intatti, tutto deve passare attraverso i limiti del suo corpo.
Fin qui il ragionamento a tavolino su come ci attendiamo che Dio reagisca di fronte alla sua creatura che soffre e combatte sulla terra. Ora veniamo alla dottrina cristiana dell’incarnazione.
Nel Credo affermiamo che il Figlio discese dal cielo e si incarnò sulla terra diventando uomo. Sembra proprio che questo individuo – il Cristo – conservi le due nature. Non che la cosa sia stata esente dadisaccordi.
Fu il Concilio di Calcedonia a cimentarsi con il problema. La formula ortodossa fu rigettata deiMonofisiti (oggi essenzialmente i Copti), i quali propendevano per un’unica natura del Cristo, e iNestoriani, che consideravano il Cristo e Dio come persone differenti. Ad ogni modo oggi non ci sono disaccordi sostanziali.
Ma perché acquisire un corpo? Che necessità c’era?Per Platone, tanto per dire, l’essenza dell’uomo è la sua anima, non il suo corpo.
Diciamo allora che con il cristianesimo uscito da Calcedonia vince Aristotele.
Per Aristotele l’anima non è una parte distinguibile della persona ma la forma dei corpi, il modo in cui la persona agisce e pensa. Non puo’ pensarci un’anima completamente svincolata da un corpo. A Calcedonia vince Aristotele, per questo l’acquisizione di un animo umano implica l’acquisizione di un corpo.
Ricapitolando, Gesù è uno di noi, tranne che per il fatto che non puo’ sbagliare: è infallibile! La sua vita è perfetta, ma si tratta di una perfezione che costa sangue. Fu perseguitato, crocifisso e sepolto: tutto questo ha comportato una grande sofferenzaper lui.
Gesù nacque da Maria. Perché non ebbe due genitori come tutti noi?
Avere come madre Maria e come padre Dio (e non Giuseppe) è un simbolo potente che rinvia alla natura dell’uomo/Dio.
D’altronde, non è un grande miracolo per Dio derivare due set di cromosomi partendo da ununico ovulo, ovvero quello di Maria.
Anche per questo, forse, Dio è di solito immaginato come maschio.
Gesù non muore ma ascende al cielo. Perché? Anche qui c’è un simbolo potente in azione: come era disceso dal Cielo acquisendo anche una natura umana, allo stesso modo, al termine della sua missione, vi ascende tornando alla sua natura divina.
Gesù ascende al cielo collocandosi alla destra del padre. Anche qui l’espressione presa alla lettera non ha senso poiché Dio non ha una dimensione spaziale, va intesa piuttosto nel senso che Gesù si colloca sul versante della giustizia e della salvezza.
Milano, al Museo Diocesano il Capolavoro per il 2017 è del Perugino: l'Adorazione dei pastori
al Museo Diocesano fino al 28 gennaio L’adorazione dei pastori del Perugino – noi ci siamo andati Domenica scorsa, una figata.