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giovedì 8 marzo 2018

Contrordine: Facebook ci rende meno estremisti

Contrordine compagni: stare su Facebook ci espone alle opinioni altrui e stempera il nostro estremismo. https://www.tandfonline.com/…/10.1080/1369118X.2018.1444783…&
(2018). Facebook news and (de)polarization: reinforcing spirals in the 2016 US election. Information, Communication & Society. Ahead of Print.
TANDFONLINE.COM

martedì 6 marzo 2018

Più Cartesio sui social

Senza la capacità di dividere i problemi e affrontarli separatamente ci si ritrova di continuo nella palude di fronte a un super-mega-blob dall'aspetto inquietante.
È chiaro che di fronte a un simile "mostro" ognuno può dire quello che gli pare, per questo la lacuna di cui sopra più che un errore a volte mi sembra una strategia.

lunedì 5 marzo 2018

Tipi da rete


TIPI DA RETE

A volte in rete discuti con strani soggetti e ti accrgi quanto sia diffusa una spaventosa “mentalità legalistica”. E' più un riflesso pavloviano che una mentalità, provo a spiegarmi meglio: qualsiasi questione venga sollevata la loro prima mossa (ma anche la seconda) consiste semplicemente nel “descrivere cosa dice la legge” in merito. Spesso nemmeno tentano di difenderne la saggezza, la cosa non sembra loro di rilievo, semplicemente te la espongono quasi fossi capitato lì perché bisognoso di una consulenza giuridica. E’ come se ti esortassero ad uniformarti o a cambiarla. Insomma, se vuoi aver ragione devi cambiare un certo decreto legge che loro hanno scovato. Per loro affrontare un problema qualsiasi (logico, etico, scientifico...) si riduce a capire quali siano gli ordini legittimi a cui uniformarsi, l'unica autorità a cui danno credito è quella politica così come interpretata dalla magistratura. Ho come l'impressione che con costoro la scuola di stato in questo senso abbia funzionato fin troppo bene.

L'immagine può contenere: 1 persona, spazio all'aperto

sabato 17 febbraio 2018

La maledizione del finto bar

La maledizione del finto bar

Il guaio di Facebook è di essere considerato un bar senza esserlo.
Se spiegassi a un marziano autistico cos’è Facebook, quello alla fine lo penserebbe come il mezzo ideale per discutere e approfondire: la scrittura facilità l’analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, la possibilità di interagire mantiene una fresca dialettica, ovvero la presenza di più voci che si stimolano a vicenda. Una specie di epistolario plurale dove si ha modo di accedere, ordinare e soppesare le ragioni reciproche.
Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l’interlocutore di fronte alle sue parole (di cui magari si è già dimenticato), puoi verificare le tue ribadendo dei concetto o facendo le dovute precisazioni…
Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di predisporre una replica facendola decantare qualche ora – se non qualche giorno – affinché affiorino le imperfezioni, di ricalibrarla ulteriormente e poi, solo dopo, di postarla? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza. Non siamo al bar ma ci comportiamo come se lo fossimo.
Per chiarire ulteriormente la tesi descrivo la tipica esperienza frustrante in cui mi imbatto gironzolando per i social.
La stragrande maggioranza delle “persone social”, come dicevamo, si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla nell’illusione che gli altri restino bloccati dove li lasciamo a delibare la nostra genialità; il bar, in effetti, consente e facilita una simile illusione, se uno avesse contezza di come commenta la cassiera quando hai chiuso la porta per andartene tutto tronfio, probabilmente faresti marcia indietro e anche i bar diventerebbero un ring sfibrante anziché catartico. Tuttavia, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmente diversa dal bar, il lanciatore di battute puo’ sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola (quel rompicoglioni!) voglioso di vagliare quanto affermato con tanta sicumera. Qui scatta un momento delicato poiché il battutista da bar – per questioni che pertengono il carattere umano – in genere non è disposto a credersi tale, in genere va orgoglioso della sua “brillante” battuta, che non ritiene affatto priva di sostanza, e spesso nemmeno priva di punti deboli o soggetta ad eccezioni. Da un lato, quindi, non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare immantinente, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle meglio a fuoco ne tantomeno di difenderle analiticamente. Il nervosismo cresce e non resta che rifugiarsi nell’aggressività, che diventa subito reciproca; ecco allora che la potenziale discussione viene abortita e rimpiazzata da una sequela di stucchevoli stratagemmi retorici, quelli tipici della lite da cortile, tanto per intenderci: la proiezione, l’allusione, l’equivoco posticcio, la vaghezza ad hoc, le alleanze strumentali in cui ci si dà manforte…
***
Ma c’è un di più che spiega il ricorrente scazzo facebookiano. Qualcuno ha detto che senza un buon “cattivo” non puo’ nascere una storia interessante, e per me questa è una sacrosanta verità.
Analogia: senza un disaccordo non puo’ nascere una discussione, e chi ama le discussioni è attirato dai disaccordi. Ma poi, trascinato da questo pericoloso amore, capita che ti ritrovi spesso a cavalcare una tigre.
Nelle discussioni tradizionali buona norma vuole che, prima di infliggere il colpo, si ripetano con cura gli argomenti dell’interlocutore evidenziando le concordanze con i nostri, si elogino con sussiego l’espressiva esposizione che l’altro ne ha fatto enfatizzando quanto ci ritroviamo nelle sue parole. Poi, finalmente, tranquillizzato il nostro “avversario” si isola con delicatezza il punto di frizione e su quello si innesca una rispettosa discussione sempre intervallata con riconoscimenti reciproci.
Ma su Facebook, come su qualsiasi social, è difficile riprodurre la noiosa ma salutare manfrina del preambolo più o meno ipocritamente omaggiante, cosicché si parte in quarta con la sostanza, ovvero con i disaccordi e l’accidentata discussione che ne segue.
Concentrandosi solo sul disaccordo e parlando sempre e solo di quelli, le parti, potenzialmente vicine, cominciano a sentirsi estranee l’una all’altra, il che puo’ facilmente degenerare in aperto conflitto, basta una parolina sbagliata e l’equivoco esplode.
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Il bar che non era un bar

Fa rabbia soprattutto il fatto che il mezzo sarebbe l'ideale per discutere e approfondire. La scrittura facilità l'analisi, la scomposizione dei temi, la trattazione nel dettaglio e, al contempo, mantiene la dialettica, ovvero l'interazione con altre voci.

Scripta manent, per esempio, è una maledizione per alcuni utenti ma una benedizione per la discussione. Puoi riprendere e rileggere quel che è stato scritto, puoi mettere l'interlocutore di fronte alle sue parole (di cui si è già dimenticato), puoi verificare le tue.

Ma chi ha tempo e voglia di farlo? Chi ha tempo e voglia di scrivere un messaggio in cui esporre in modo ordinato il proprio pensiero, di farlo decantare affinché affiorino le imperfezioni, di calibrarlo ulteriormente e poi, solo dopo, di postarlo? La mancanza di tempo e voglia, però, non sono un difetto del mezzo ma del soggetto che lo utilizza.

Descrivo la mia tipica esperienza spiacevole. Su Facebook la stragrande maggioranza delle persone si comporta come al bar dove si lancia una battuta ad effetto per poi sparire nel nulla, il bar consente e facilita una simile strategia. Ma, purtroppo o per fortuna, Facebook è una piattaforma strutturalmene diversa dal bar, il lanciatore di battute puo' sempre trovare qualcuno che lo riprende per la collottola e vuole approfondire quanto ha detto. Qui scatta un momento delicato poichè il battutista da bar - per questioni che pertengono il carattere umano - non è disposto a considerarsi tale, da un lato non negozia sulle sue ragioni, e al contempo, avendo preso Facebook per la pausa caffè da cui rientrare, non ha nemmeno il tempo o la capacità di metterle a fuoco e difenderle. A questo punto non resta che rifugiarsi nell'aggressività reciproca, e allora lo scazzo e gli equivoci da inconveniente diventano un'arma.

giovedì 23 novembre 2017

Net-net

Net-net

E se vi proponessero un canone internet differenziato in funzione dell’ accesso a Facebook e Twitter, voi come la prendereste?
Molti (Facebook e Twitter compresi) la prenderebbero male.
Talmente male da aver costituito un movimento per il diritto all’accesso parificato universale.
Costoro immaginano un futuro distopico dove poche corporation controllano (i cavi e) il nostro pensiero indirizzandoci dove desiderano.
Internet viene considerata neutrale (net-net) se concessa priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi in modo che tutti possano andare ovunque pagando più o meno lo stesso canone.
Mentre il mercato sembra premere per superare net-net, c’è chi difende il diritto alla “libertà di accesso parificato”.
Poiché la banda larga è una risorsa limitata ci si chiede se sia meglio razionarla tramite la quantità (net-net) o i prezzi (no net-net). La questione è aperta.
Le voci di protesta si levano alte, ma i soldi? I soldi cosa dicono?
Sembrano non protestare: più volte le corti americane si sono pronunciate su net-net e la borsa  non ha reagito. Sembra disinteressata.
Walt Disney, Time Warner, Netflix, CBS e altre compagnie potenzialmente penalizzate dalla fine di net-net hanno fatto meglio dello S&P 500 proprio nel periodo più critico per l’aureo principio giuridico.
Barack Obama tiene un infuocato discorso in cui assimila enfaticamente net-net alla libertà di espressione? Le azioni di Netflix, Facebook e altri nuovi media scendono. Tutto il contrario di cio’ che si aspetterebbe, poiché queste compagnie sono le più ricattabili dai canoni differenziati.
Uno dice: ma i prezzi delle azioni tengono conto di molti fattori.
Appunto! La fine di net-net è solo uno dei tanti fattori, non enfatizziamolo troppo assimilandolo alla libertà di espressione.
Quando Trump promette di tagliare le tasse il valore delle azioni schizza. Voglio dire: se la novità è seria la cosa si vede immediatamente.
Amazon si unisce ai corifei di net-net ma poi propone ai suoi clienti Twitch.tv, una piattaforma per giochi, video, musica e sport che è tutt’altro che neutra ma prevede accessi differenziati. E il bello è che dice che funziona benone e che i clienti sono contentoni!
No-net-net già esiste, poi: chi ha un Kindle lo sa: il device è predisposto con una rete limitata. La cosa non sembra oltraggiosa.
I proprietari dei cavi forse sfrutteranno maggiormente il loro monopolio ma 1) c’è sempre la legge antitrust e 2) non vogliono certo avere clienti scontenti.
Per massimizzare il suo profitto il monopolista deve pur sempre vendere. La qualità del prodotto, poi, non si deteriora nei mercati più concentrati, l’evidenza sembra solida. E anche l’aneddotica: non è che de Beers venda paccottiglia ad alto prezzo solo perché monopolista.
Il fatto che gli slot sui cavi vadano all’asta non significa poi che i piccoli verranno tagliati fuori: quando qualcosa del genere è successa con l’ FM è sparita la frantumaglia ma molti piccoli sono stati avvantaggiati assumendo dimensioni più rispettabili. Spesso i piccoli soffrono di più in condizioni neutrali quando i grandi investono in modo spropositato sul brand e lo fanno valere a tutto campo.
L’antitrust non funziona? E perché dovrebbe funzionare meglio il regolatore per la neutralità visto che ha un compito ancora più delicato?
In queste condizioni è più saggio rinunciare ad astratti principi e lasciar fluire le cose per poi intervenire (con l’antitrust) laddove si creano problemi avvertiti in modo concreto dal consumatore.
Altra cosa: no-net avvantaggia le aziende più solide mentre net-net incentiva la polverizzazione. Vi piacciono i lavori stabili e gli stipendi decenti? Forse non vi conviene allora scendere in piazza per la neutralità. E’  voi progressisti che sto parlando!
Ma soprattutto: laddove la scelta viene demandata al consumatore la non-neutralità prevale.
Il consumatore preferisce vivere in un mondo non neutrale come Facebook. Preferisce i percorsi guidati delle App alla rete spoglia, selvaggia… e neutrale.
Le persone vogliono la non-neutralità e in un modo o nell’altro finiscono per introdurla nel mondo della rete. E’ paradossale che il divieto valga allora solo per pochi.
l’aspetto etico? Non vedo nulla di immorale nella scelta di un consumatore che compra solo 1/3 della rete.
La non neutralità avvantaggerebbe poi i servizi occasionali: video conferenze, chirurgia a distanza, VOIP, realtà virtuale e altre applicazioni ad alto consumo occasionale.
La battaglia per la neutralità ha un senso ma taglia molte possibilità commerciali che spesso avvantaggiano l’utenza arricchendo l’offerta. La neutralità non è affatto neutrale, non lasciamoci abbindolare dai termini. Il trattamento differenziato è odioso solo finché non ci accorgiamo che siamo differenti dagli altri.
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mercoledì 8 novembre 2017

C’era una volta il web

C’era una volta il web

Il web sta morendo.
Anzi, è già morto (nel 2014).
Voi che a cavallo del millennio avete avuto la fortuna di conoscerlo lo racconterete ai vostri figli come fosse una fiaba.
Era un posto anche brutto, certo: pieno di angoli oscuri, di sorprese indesiderate, di anonimato ambiguo, di tarocchi, di scambi di identità, di virus, di pornografia, di violenza…
Ma era anche un luogo eccitante.
Era anche metafora del mercato e di come il mercato muore (e risorge dalle sue ceneri).
***
Il mercato è una sfida, ma una sfida che avviene contemporaneamente su più livelli.
Mentre c’è chi gioca in campo per guadagnarsi la coppa, c’è chi gioca altrove per guadagnarsi lo stadio dove gli altri si sfidano per la coppa. E così via.
Il concorrente “nidifica” ovunque, e spesso non la vedi nemmeno (sta sopra e sotto anziché di fianco).
Il ciclo tecnologica di solito ha tre fasi: 1) concorrenza su beni2) concorrenza su piattaforme 3) cannibalismo. Per i particolari rivolgersi a Tim O’Reilly.
  1. Una piattaforma apre e  gli imprenditori di beni e servizi cominciano a giocarci su per vedere cosa accade. È toccato negli anni 70 ai personal computer, negli anni 90 a internet e nel nuovo secolo agli smartphone
  2. Comincia una competizione per appropriarsi della piattaforma stessa: il sistema operativo nel caso dei pc, i portali nel caso della rete e i social (o altri attrattori di attenzione) nel caso degli smartphone
  3. I vincitori della fase 2 realizzano che giocando in modo neutrale i loro ricavi non sono più destinati a salire, così che inaugurano un’azione di cannibalismo, ovvero cominciano ad inclinare il piano dove si gioca la partita in senso favorevole a loro. Così facendo, quando esagerano, pongono anche le premesse per la creazione di una piattaforma alternativa.
A quanto pare viviamo oggi in questa terza fase, motivo per cui possiamo dire che ormai il web è morto. È morto da almeno tre anni.
Tre anni fa erano in molti ad usare Google (G), Amazon (A) e Facebook (F). Oggi sono ancora in molti a usare il GAF ma soprattutto sono moltissimi ad usare servizi connessi al GAF.
Andare sulla rete significa essenzialmente passare per il GAF.
Prendi il sito del Corriere. Da dove pensate che arrivi il suo traffico? Dal GAF.
E se il GAF s’incazza… addio Corriere.
Già oggi le relazioni tra GAF e media tradizionali non sono rose e fiori. F ha già saggiato un’offensiva con FPaper e FInstant Arrticles. G ha fatto lo stesso ma i tempi e la giurisprudenza non sembrano ancora maturi. Il Corriere e gli altri si sono messi a frignare alzando un retorico grido di dolore (”e la democrazia di qua e la democrazia di là”). Ma hanno capito che è iniziato il conto alla rovescia.
Se tutto passa dal GAF prima o poi scatta il pedaggio.
Due parole sul GAF.
F è focalizzata sulle relazioni (una notizia che arriva in mano a F, se F lo vuole, schizza all’istante in tutto il pianeta). G è focalizzata sull’intelligenza artificiale (quando parlerai con qualcuno – che ti influenza – molto probabilmente starai parlando con G senza neanche saperlo). “A” se ne infischia del reddito per concentrarsi su ricavi alfine di espandersi il più possibile (presto sarà l’unico negozio sul pianeta… tutto sarà una sua succursale).
Sono esagerazioni, ma serve a capire.
Una volta c’era il WEB, oggi c’è il GAF.
Il GAF ha un’influenza tale sul web da averlo fagocitato.
I creatori del web – per esempio Tim Berners-Lee – lo immaginavano come un luogo anarchico, dove l’anonimo partisse alla pari della multinazionale. Un idillio peer-to-peerdove uno vale uno. Anche per questo sono i primi a dichiararlo morto.
Questa roba c’è stata. Dagli anni 90 agli anni 10 c’è effettivamente stata. La sua diversità e sregolatezza ha permesso a molti di cominciare da zero e di prosperare.
Dal 2014 abbiamo cominciato a perdere questi benefici, oltre ai molti inconvenienti.
Il GAF, intendiamoci, ha anche bonificato il web. Ieri non ci avrei mandato su mia figlia, oggi è diverso, ci sono ampi stimolanti corridoi a sicurezza garantita.
Presto, però, qualcuno comincerà a stabilire quale trafficoarriverà sui vostri device.
Vi proporranno tariffe più elevate per accedere a fette di rete più ampia (in Portogallo è già così).
Per le imprese non ci sarà più nessuna convenienza ad avere un sito (basterà un account… sul GAF).
Non farete neanche più ricerche, G – che vi conoscerà meglio di vostra madre – cercherà per voi e vi offrirà già l’esito preconfezionato all’apertura del device.
Al massimo premerete il tasto generico “dammi informazioni utili”.
Il GAF sa chi siete, sa dove siete, sa che ore sono, saprà anche cosa vi interessa! E ve lo dirà (in modo opportunamente orientato), visto che a voi sfugge.
Chi vorrà continuare a spendere risorse inutili cercando in prima persona sarà in ogni caso indirizzato.
Si potranno redigere dei “piani culturali quinquennali”.
Esempio banale: se si deciderà che la molestia sessuale è da bandire senza “se” e senza “ma” o che la famiglia tradizionale non esiste, per cercare un’opinione eccentrica dovrete sudare sette camice, sarà più facile tornare in biblioteca.
Siamo in piena terza fase. Siamo in fase “cannibalismo”, G sa bene che come arbitro neutrale ha già massimizzato i suoi profitti, ora deve inclinare il campo per andare oltre.
Un tempo “navigavate sulla rete”, oggi la rete non esiste più, esistono le App che vi fanno navigare, ma con il pilota automatico incorporato. Su “A” ormai è tutto una App.
Già oggi sono in molti a comunicare tra loro via Appaggirando il web e consegnandosi al vento soffiato dal GAF.
All’interno del web si crea un web virtuale da cui non si esce. E intanto il web autentico avvizzisce.
Non muore di botto, intendiamoci. Come tutte le tecnologie muore perché viene gradualmente messo da parte, non offre più granché, diventa sempre meno attraente.
In sintesi potremmo dire che il GAF ha “melificato” il web.
Il precursore del GAF è infatti Apple: con il suo mondo chiuso fatto solo di brand loyality ha dettato la linea, e ben presto non ci sarà più alcun mondo aperto.
Internet sopravvive al web, ovvio: il GAF funziona ancora con quei cavi sottomarini! Ma su quei cavi ora viaggia il GAF (o Trinet, come lo chiama qualcuno), non più il web.
Non siamo ancora abituati al GAF, abbiamo ancora unamentalità da internauti, ci pensiamo come liberi, non adottiamo le dovute correzioni mentali, diamo per assodata l’anonimia e il controllo assoluto su cio’ che condividiamo, diamo per scontata la facilità con cui far partire una start up con tanto di server indipendenti.
Dimentichiamo che il web non c’è più, che, per esempio, essere permanentemente bannati da F avrà sempre più gli effetti di una scomunica della chiesa cattolica medievale. E nessun tribunale potrà mai reintegrarci perché noi non abbiamo nessun diritto ad un account su F.
Che fare? Tornare indietro? Stare fermi a colpi di sentenze “democratiche”?
Per molti – quelli della difesa delle piccole librerie, tanto per capirsi – la soluzione è quella: museificare il passato e congelarlo così.
Tuttavia, la parte finale del punto 3 offre una soluzione diversa, in particolare quando dice che: “il cannibalismo esagerato incentiva l’emergere di nuove piattaforme”.
E allora ecco: che la politica non si spenda per la difesa del vecchio ma casomai per l’emergere del nuovo. 
Meno regole, più piattaforme.
E se le nuove piattaforme non emergeranno, vorrà dire che il GAF avrà saputo autolimitarsi. Bene!
Bene! Sì, bene. bene perché non ho certo l’intenzione di suonare catastrofista: sia chiaro che, così come mi fido più delle lobby che del parlamentimi fido più del GAF che delle istituzioni democratiche.
Si puo’ vivere bene anche sotto il regno del GAF. Non mi sembra che Apple abbia rovinato chi si è rintanato nella sua bolla.
Saranno contenti poi i “piangina” della “società liquida”, quelli per cui l’ “atomizzazione”, l’ “isolamento” e l’ “individualismo cieco” e bla bla bla.
Ora che saremo tutti irregimentati nel GAF la smetteranno di frignare. [Non penso proprio: 1) è nella loro natura e 2) la società del piagnisteo continuerà a premiarli]
***
Tanti anni fa (più di dieci), quando eravamo ancora in piena epoca web, sul forum della trasmissione radiofonica Fahrenheit si discuteva ogni 2 giugno di repubblica e monarchia. Ero l’unico a perorare la seconda ipotesi stando ben attento a precisare che i monarchi che avevo in mente non erano quelli tradizionali, che non si trattava quindi di tornare indietro, che non ero certo un reazionario. Tutti allora mi chiedevano con insistenza: “ma a chi pensi dunque?” Allora non sapevo esprimermi con chiarezza. Oggi è più facile: avevo in mente qualcosa tipo il GAF.
Con questa precisazione, chi più di me è titolato a dire “si puo’ vivere bene anche sotto il GAF”? Chi più di me non è imputabile di catastrofismo’
morte del web