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mercoledì 22 novembre 2017

Senza fisco non c’è civiltà

Senza fisco non c’è civiltà

Si può scrivere la storia del fisco in una paginetta?
No, però si può fallire onorevolmente, quindi ci provo.
***
Però, in quel quarto d’ora, l’hanno fatta da protagoniste. Senza tasse non c’è stato e senza stato non c’è cio’ che noi chiamiamo civiltà.
In quel quarto d’ora viene sostanzialmente sistematizzata la pratica (già conosciuta in passato) della schiavitù, di cui l’imposizione fiscale e parte integrante.
In cambio di lavoro lo schiavo riceve vitto e alloggio. In cambio di denaro il tassato riceve “beni pubblici”.
Dietro le prestazioni di schiavo e tassato c’è una cosiddetta “proposta di Corleone”: o lo fai, o lo fai. Non si puo’ trattare.
Più tardi si cercherà di differenziare le due pratiche introducendo una rotazione tra i governanti cosicché il tassato puo’ nutrire la remota speranza di diventare un giorno tassatore.
Non si puo’ dire che le cose siano migliorate: del resto il proprietario cura la casa meglio dell’affittuario. In altri termini: i re perlomeno avevano cura della loro gallina dalle uova d’oro, il governante occasionale è un barbaro che passa di lì e tende a razziare.
Sta di fatto che senza schiavitù e fiscalità non sarebbe mai nata la civiltà. Ma oggi la schiavitù è stata abolita. Sarà mai possibile abolire anche le tasse?
Dopo averla creata, la relazione tra tasse e civiltà merita si è evoluta e merita un approfondimento.
***
Qualcuno ha mai visto nella storia una civiltà indebolirsi perché le tasse diminuivano? No.
Al contrario, molte sono collassate per la tassazione esosa.
Le tasse sono il motore della storia umana più recente, più del clima, più della guerra, più delle invasioni. Sono sempre presenti nel bene e nel male.
Il modo in cui tassiamo determina se siamo liberi o schiavi, ricchi o poveri, buoni o cattivi.
Le rivolte fiscali sono le più frequenti e le più letali: come preludio hanno sempre un’ alta evasione.
A volte la sottomissione del popolo alle tasse sembra inspiegabile, ma ad un certo punto la pentola esplode, e spesso l’accelerazione che porta dalla relativa tranquillità ai disordini è impressionante.
La stessa etimologia fiscale è imbarazzante e segnala l’origine dello stato come cosca vincente.
Dietro un termine come “esazione”, per esempio, sta il termine “estorsione”: torcere, estrarre fuori con la forza.
Detto questo, non esiste una civiltà senza tasse. Tuttavia, nel dire questo, consideriamo come una forma di civiltà anche la mafia. Il crimine organizzato è pur sempre organizzato.
Già nell’antico Egitto gli scribi erano onnipresenti costituendo una burocrazia più invasiva di quella sovietica.
I condoni erano atti filantropici concessi graziosamente dal sovrano: la stele di Rosetta ne celebra uno.
L’evasione era combattuta con il metodo più efficiente: quello delle taglie e dello spionaggio (whistleblowing).
La schiavitù di Israele nei confronti degli Egizi fu soprattutto fiscale, non dimentichiamolo.
Il conflitto tra chiesa e potere laico è stato esacerbato dalle esenzioni fiscali. Gli esattori hanno da sempre dovuto girare al largo dai templi per non fomentare la rivolta dei fedeli.
Burocrazia ipertrofica e tasse esose sono all’origine della decadenza egizia.
La parabola delle tasse sembra ripetersi in molte civiltà: si parte con tasse moderate e ben investite; si continua con processi ambiziosi finanziati da tasse crescenti, dove convivono buone intenzioni e incapacità di controllo; e si finisce con tasse insostenibili e alta evasione/corruzione. L’impero spagnolo e quello olandese meriterebbero analisi accurate perché specificano in modo opportuno  la parabola appena descritta.
Una buona medicina per stoppare la parabola è stata la concorrenza istituzionale: l’anarco-federalismo di Israele ha mantenuto le tasse a livelli accettabili facendo prosperare un popolo (colpito da altri guai). Per 400 anni gli israeliti non ebbero né un Re, né un sistema accentrato. Questo li mise al riparo da un sistema fiscale troppo vorace.
Del resto Israele è sempre stato un popolo in lotta contro tributi oltraggiosi: da Nabucodonosor a Hitler.
Babilonia riservò loro un vero e proprio terrorismo fiscale. Hannuka nasce come “festa della liberazione fiscale”.
[… è una grazia per una nazione nascere da una rivolta fiscale: gli USA sono l’unica superpotenza contemporanea anche grazie alla loro origine…]
Poi ci furono i romani, il “dare a Cesare” era la loro domanda trabocchetto: rispondere con un no significava morte.
La storia ebraica si ripete molte volte nell’ultimo quarto d’ora della storia umana: un popolo intraprendente disperso per il mondo fa emergere ovunque va una classe facoltosa senza agganci politici che viene tartassata, a volte fino all’esproprio. Seguono schiavitù e sterminio.
Gli ebrei sono probabilmente i maggiori ribelli fiscali della storia, la leggenda di Davide e Golia instillava in loro la mentalità del “resistente” al fisco. Tuttavia, la loro era anche una storia di sconfitte, cosicché, alla fine, abbracciarono il consiglio dei profeti: abbassare la testa e pagare il tributo.
Il tramonto di Roma secondo Edward Gibbon: si introdusse la schiavizzazione dell’evasore e cominciò la decadenza.
Il paradiso fiscale dei romani, del resto, era il mondo barbaro: in molti passarono con loro per questo motivo.
In Cina Confucio moderava l’esattore: mai spingersi oltre il 10%. La decima biblica era in linea con questa pratica.
La civiltà delle tasse subisce un duro colpo con l’introduzione dell’imposta sul reddito: inizia lo spionaggio fiscale, la cultura di molti popoli viene violentata da una guerra tutti contro tutti. Nasce un esercito di funzionari dotati di ampi poteri intrusivi.
Del resto l’imposta sul reddito puo’ rivendicare anche successi notevoli che la sdoganarono: innanzitutto sconfisse Napoleone.
Le ambizioni guerrafondaie del corso erano limitate dalle scarse risorse, nel frattempo l’Inghilterra introduceva l’imposta sul reddito che consentiva di incamerare una notevole ricchezza da tradurre prontamente in armamenti.
L’imposta sul reddito è essenzialmente un’imposta di guerra: si afferma con le guerre per non lasciarci mai più. 
Ma limitò anche la minaccia marxista: grazie all’impiego dei proventi in senso redistributivo rese meno appetibile la rivoluzione operaista.
L’imposta sul reddito ha una chiara natura pragmatica: la sua base imponibile è arbitraria (prova a definire cosa sia “reddito”!) e consente un di spremere il arrestandosi sulla soglia della rivolta.
E’ anche una tassa occulta: innanzitutto – grazie al meccanismo della ritenuta – la si paga con scarsa consapevolezza, ma è soprattutto il meccanismo dell’incidenza che non fa capire bene  chi paga nella sostanza. Il vessato spesso è un bastonato spesso felice perché ignaro.
Il pragmatismo truffaldino dell’imposta sul reddito la rendeva invisa agli idealisti. Anche a idealisti perversi quali i giacobini! Furono loro, infatti, a preservare la Francia fino alle guerre mondiali. Ma di fronte alla guerra la diga dell’idealismo crollò e l’imposta sul reddito fece la sua irruzione tra lo sdegno un po’ di tutti.
La Francia che rifiutava l’imposta sul reddito era la stessa che donava agli Stati Uniti la statua della libertà. Non un caso.
Il passo dall’imposta sul reddito al imposta progressiva sul reddito fu breve. La progressività consentiva di isolare una minoranza e “schiavizzarla”, ovvero, vessarla senza il suo consenso. Già Adam Smith l’aveva bollata come imposta estorsiva.
Noi siamo al riparo dagli abusi solo quando le leggi promulgate dal legislatore si applicano anche a lui. Per questo una democrazia ordinata richiede leggi astratte (ovvero applicabili a tutti). “La legge è uguale per tutti” diciamo con orgoglio. Ebbene, l’imposta progressiva rompe con questa regola aurea aprendo a leggi speciali destinate unicamente a minoranze.
L’introduzione dell’imposta progressiva inaugura un dibattito epocale in cui gli argomenti dei difensori echeggiavano in modo imbarazzante quelli dei segregazionisti.
Il parallelo è facile da cogliere: mentre i segregazionisti volevano isolare gli appartenenti ad una razza per riservare loro un trattamento particolare, i sostenitori dell’ imposta progressiva intendevano isolare una classe sociale per riservare ad essa un trattamento particolare. Dal punto di vista del diritto a entrambi occorreva superare il principio per cui la legge è uguale per tutti.
Ma di là delle questioni ideologiche, spesso solo un pretesto, il concetto di imposta progressiva passò per l’umore tipico dell’epoca (siamo all’inizio del ventesimo secolo). La denuncia dei monopolisti (robber baron) trovava terreno fertile nei populismi e si  mischiava  al romantico sogno del “sol dell’avvenire”.
Con l’imposta progressiva sì arrivò ad aliquote vicine al 90%. Ditemi voi ora se si potrebbe mai passare dal 2 al 90% con una tassa sulla proprietà! Per questo parlavo prima di pragmatismo.
Solo l’imposta sul reddito poteva venire opportunamente occultata e concentrata sulle classi invise alla popolazione affinché potesse raggiungere certi livelli abnormi.
***
Oggi praticamente tutti gli obiettori fiscali sono stati condannati dal giudice, le basi costituzionali che hanno scelto per difendersi erano fragili. Ma lo stesso poteva dirsi anche di chi si ribellava all’ancien regime. La storia si ripete, e questo ci dà una flebile speranza.
I sistemi fiscali premoderni – anche per mancanza di tecnologia adeguata – erano basati sull’ onore, viene da chiedersi se oggi un simile fondamento  sarebbe possibile. La domanda retorica  mette in evidenza una verità imbarazzante: oggi l’evasione è proporzionale alla possibilità di evadere. Il che sottolinea la sostanziale estraneità tra sistema fiscale e società, un fenomeno che la storia ci hanno insegnato a temere. L’alta evasione ha sempre preannunciato un declino, come nel caso degli imperi di Spagna e Olanda.
Un tempo l’evasione contraddistingueva il cittadino poveroma oggi contraddistingue solo il cittadino che può evadere. L’inclinazione ad evadere infatti è sostanzialmente la medesima per ricchi e poveri.
L’alta evasione potrebbe avere anche effetti positivi, per esempio potrebbe avere un effetto benefico sull’iperbolica spesa pubblica: con poche risorse in mano spenderò meno.
Inoltre, potrebbe avere un effetto calmierante sui politici tassatori: annunciare nuove tasse ha un costo politico, se poi non riesco, causa evasione, a raccogliere e spendere le risorse che mi prefiggo, allora il gioco non vale la candela. E’ lo stesso meccanismo per cui i paradisi fiscali tengono bassa la tassazione ovunque. In questo senso l’evasore – con la sua azione rischiosa – tutela anche il tartassato.
***
Il fisco contemporaneo ci appare sempre di più una sacca di tirannia all’interno di un sistema sostanzialmente libero.
Vale la pena di ricordare che secondo il giudice Blackstone, ma anche secondo Montesquieu, l’evasione non può essere considerata alla stregua di un reato penale poiché non è un “crimine naturale” ma solo la mancata osservanza di una convenzione umana. Parliamo di un’epoca in cui bestemmiare era punito con la morte, non di un’epoca lassista. Oggi – in epoca di imposta progressiva – si può andare oltre e sottolineare che la convenzione umana violata  non è stata sottoscritta dai “violatori”, nemmeno con la formula anodina del voto a maggioranza.
Il fisco oggi è sostanzialmente un’ arma di controllo politico, specie in Italia. Per esercitare al meglio il proprio potere la legislazione deve rendere ricattabile ogni cittadino in modo da tenerlo sempre sotto schiaffo. Ebbene, il fisco con le sue complicazioni e i suoi arbitri si presta meravigliosamente a questo obiettivo.
Non è un caso se oggi la burocrazia fiscale è il vero potere forte nei nostri sistemi.
La cosa più odiosa dell’imposta sul reddito è che legalizza tutta una serie di evasioni chiamandole deduzioni/detrazioni. In questo senso, si istituiscono una sequela infinita di privilegi che, oltre a fissare trattamenti diversi, aprono la strada alle lobby e alla concessione di favori. Ogni anno in periodo di “finanziaria” si apre il cosiddetto “assalto alla diligenza”. Ma oltre a questo, complicano maledettamente il calcolo e il pagamento dell’imposta, al punto che dobbiamo avvalerci di un esercito di professionisti per portare a termine l’obbligo fiscale.  Siamo arrivati al punto che il cittadino oggi auspica una “semplificazione” prima ancora che una “riduzione”.
Alcuni paesi hanno particolarmente sofferto l’alta fiscalità, penso al Giappone. Le riforme fiscali degli anni 80 introdussero imposte esose in presenza di un popolo con una moralità fiscale da Samurai. La difficoltà ad evadere, dovuta soprattutto all’etica integerrima, contribuì al declino di un paese fino ad allora raffigurato come una rampante tigre asiatica. Fortunatamente, l’Italia non ha avuto di questi problemi, anzi, il nostro povero Meridione ha in modo perspicace ha trovato un certo sollievo proprio grazie alla capacità di ridursi le imposte da sé senza aspettare la politica.
***
Come limitare il fisco rapace? È ormai evidente che la clausola del “bene comune” non funziona: è troppo vaga! Tutto può essere considerato bene comune, basta usare la giusta retorica.
Nemmeno funziona la clausola del bilancio in pareggio. Si fanno lievitare le spese cosicché la scusa per tassare è bella e  pronta. Non resta che introdurre in costituzione dei limiti espliciti di spesa o di tassazione.
Bisognerebbe poi separare il potere di tassare da quello di spendere, in questo senso però è difficile poi impedire una collusione tra i due poteri.
Bisognerebbe poi tornare al glorioso slogan “no taxation without representation” che si sostanzierebbe in un’ abolizione della progressività, ovvero di tasse in grado di colpire minoranze che non le hanno votate.
Un’altra riforma auspicabile è quella che favorisce le imposte di scopo. In questo modo è più facile assimilare le imposte ad un prezzo di mercato e quindi mirarle su chi utilizza quei servizi specifici.
Tutte le forme di depenalizzazione del diritto tributariosono le benvenute per i motivi nobilmente esposti da Blackstone e Montesquieu.
Introdurre poi il reato di estorsione fiscale con risarcimento danni, nonché un’azione civile per persecuzione fiscale: consentirebbe un più equo confronto con lo strapotere dell’ Agenzia delle Entrate in sede di contenzioso.
Doveroso è anche limitare l’invasività del fisco puntando sullatassazione delle cose anziché delle persone. Imposte di questo genere sono anche più difficili da occultare ricorrendo al sistema delle ritenute.
Orientare l’imposizione sul consumo anziché su reddito consentirebbe di agevolare i soggetti più meritori, ovvero i produttori.
Riassumendo: un buon sistema fiscale contraddistinto da 1) aliquote basse, 2) uguaglianza di trattamento tra i contribuenti, 3) semplicità del sistema e 4) salvaguardia della privacy. 
Possiamo ben dire che oggi, specie in Europa continentale, tutti e quattro questi fattori sono disattesi e siamo quindi molto lontani dal l’ideale.
A questo punto ci tocca sperare solo che la storia non si ripeta?
Forse no. Rispetto al passato, c’è una differenza non da poco: oggi siamo immensamente più ricchi, e la ricchezza potrebbe avere un utilità decrescente.
Penso che la nostra straripante ricchezza abbia scongiurato parecchie rivolte fiscali e preannunci tasse e spesa pubblica ancora più elevatesia in senso assoluto che percentuale.
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venerdì 25 agosto 2017

Le istituzioni del futuro: contratti intelligenti e ipr-privatizzazioni a go go - cap. 15 (business)

New Institutions The Age of Em: Work, Love, and Life when Robots Rule the Earth
Robin Hanson
Note:@@@@@@@@

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scholars have long been puzzled to see surprisingly little use of pay-for-performance, as when a lawyer is paid a fraction of a lawsuit’s winnings.
Note:PAGARE AL RISULTATO

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Scholars are also puzzled to see that, when such performance rewards are used, they are only rarely corrected for outside influences over which the person has little control, such as in correcting the strike price of CEO stock options
Note:ROZZEZZA DEI CONTRATTI

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lack of pay for performance is a puzzling lack of published track records for professionals, and customer disinterest in such records.
Note:TRACK RECORD FANTASMA

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clients do not see lawyer win-loss records,
Note:cccccccc

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Instead of track records, customers prefer to rely on personal impressions, referrals from friends,
Note:PRESTIGIO

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bundle health and life insurance to make our doctors feel more concern
Note:DOTTORI E ASSICURAZIONI

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Parents and teachers might work harder if they owned a share of their childrens’ future income.
Note:LE AZIONI DELLO STUDENTE

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services could be usefully priced, with such prices varying more with context. For example, theaters, restaurants, and parking lots could have prices that vary more with internal location
Note:PREZZO E CONTESTO

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projects that offer diffuse value to large diverse groups might instead be funded via “dominant assurance contracts,” wherein donations are conditional on funding targets being met (Tabarrok 1998
Note:DAC

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vote selling where each buyer’s price of votes goes as the square of the number of votes purchased in each election (Lalley and Weyl 2014
Note:VOTI IN VENDITA

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income taxes might vary more with parameters that predict an ability to earn income, such as body height and beauty do today (Mankiw and Weinzierl 2010).
Note:TASSARE ALTEZZA E BELLEZZA

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transferable citizenships might let better citizens self-select into societies.
Note:CITTADINANZA

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By randomly choosing a small jury of voters who will then decide an election, one might greatly increase the incentives of the voters who have been chosen to become informed (Levy 1989
Note:SISTEMI ELETTORALI

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robust systems of secure anonymous decentralized transactions may be built on the recent innovation of block-chain
Note:BLOCKCHAIN... TRANSAZIONI MINIME E ANONIME

Yellow highlight | Location: 3,239
Such systems could support digital currencies, token systems, safe wallets, registration, identity, decentralized file storage, multi-signature escrow, consensus via rewarding those who best guess a consensus, financial derivatives including insurance and bets,
Note:SMART CONTRACT

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two more types of promising new institutions: combinatorial auctions and prediction markets.
PREDICTION MARKET

sabato 6 maggio 2017

Una valanga di imposte

La valanga d’imposte - La tirannia fiscale di Pascal Salin
Che cos’è il reddito di una persona?
Quando non ci penso lo so, quando ci penso non lo so più.
Di certo è un concetto più sfuggente di quel che percepiamo di primo acchito.
Su questa ambiguità il fisco gioca la sua partita.
Cerchiamo di chiarire meglio il concetto partendo da una diatriba che dilania i fiscalisti da sempre: a parità di gettito, meglio un sistema ad imposta unica o un sistema con molte imposte?
***
Avete presente come funziona l’IVA?…
… L’IVA è stata creata e adottata per evitare una valanga d’imposte sulla stessa materia imponibile. È noto, infatti, che l’imposta riscossa ad ogni tappa del processo di produzione e dello scambio ricade sul valore monetario del prodotto venduto; ma colui che paga l’imposta può dedurre l’IVA pagata nei precedenti stadi della produzione…
Un bel passo in avanti rispetto alla vecchia IGE
… Se l’imposta colpisce un bene quando viene scambiato, alcuni beni possono venire ipertassati rispetto ad altri, tenuto conto del più o meno ampio circuito di scambi che percorrono… Potrebbe accadere, ad esempio, che un bene finale prodotto da una ditta integrata che assicura tutti gli stadi della fabbricazione, dalle materie prime alla vendita al commerciante al minuto, subisca solo un’imposizione limitata… il medesimo bene sarebbe sottoposto ad una tassazione di gran lunga superiore nel caso in cui il processo di fabbricazione fosse assicurato da più ditte…
Cio’ non toglie che l’ IVA colpisca il medesimo imponibile dell’imposta sul reddito.
In un certo senso è una sopratassa. Ve ne eravate mai accorti? No? Forse perché neanche voi sapete bene cosa sia un reddito.
***
Il bello è che l’imposta sul reddito è spesso una sopratassa di se stessa, lo è nel momento in cui colpisce anche i redditi di capitale. Il perché lo sappiamo bene
… Il caso dell’imposta sul reddito, esaminato nel capitolo III, costituisce un esempio d’imposta a valanga, poiché il risparmio subisce due volte l’imposta sul reddito…
Il rischio di doppia tassazione aumenta con il numero di tasse, visto che inevitabilmente si colpisce la stessa grandezza…
… i consueti sistemi fiscali tanto meno facilmente schivano questo eccesso di tassazione quanto più moltiplicano le differenti imposte…
Se tutte le tasse sono sul reddito, l’unica questione rilevante riguarda l’entità delle aliquote effettive.
Avere più tasse consente di occultare meglio l’aliquota effettiva e di differenziarla – sempre in modo occulto – tra i diversi contribuenti.
Cio’ non toglie che la moltiplicazione delle imposte (a parità di gettito) abbia le sue ragioni
… In linea di massima si giustifica tale moltiplicazione, invece del ricorso ad un’unica imposta “perfetta”, affermando che così è più semplice reperire la materia imponibile, sia perché le differenti imposte consentono un reciproco controllo (conoscere il capitale dà indicazioni sul reddito), sia perché diminuiscono le possibilità che una fetta della materia imponibile sfugga ad ogni imposta…
Chi evade agevolmente un’imposta – in effetti - potrebbe non poter evadere l’altra. Da qui il detto “imposta unica, imposta iniqua”.
Ma supponiamo che non esista possibilità di frode o d’evasione fiscale. Si ha motivo di ritenere che l’imposta unica sia da preferirsi.
Quel che non si coglie: di fatto esiste già una sola imposta (sul lavoro)…
… non esiste che un’unica materia imponibile: quella che deriva dall’attività degli individui…
Quando colpisci il lavoro colpisci la divisione del lavoro (specializzazione)…
… Essa spinge difatti gli individui a sostituire con attività fuori mercato le attività che passano per lo scambio. Ma lo scambio è un motore essenziale del progresso… È evidente che in questi paesi si sviluppa un’economia sotterranea, unico mezzo per aggirare l’ostacolo fiscale…
Ma perché di fatto esiste già l’imposta unica? Che differenza c’è  tra le varie imposte?…
… le varie imposte non sono altro che metodi amministrativamente differenti per tassare una medesima materia imponibile…
Torniamo alle ragioni per moltiplicare le imposte…
… La tesi secondo cui la moltiplicazione delle imposte moltiplica anche le possibilità di colpire la materia imponibile e facilita il controllo per l’amministrazione fiscale sembra decisiva. E, poiché si ritiene ingiusto che un individuo possa sfuggire all’imposta mentre un altro la subisce, a parità di risorse, si sarebbe pronti ad accettarla…
Ragioni piuttosto deboli, direi…
… Eppure, la moltiplicazione delle imposte non risolve affatto la diseguaglianza di trattamento tra contribuenti: è forse giusto far pagare ad un contribuente due imposte sulla medesima materia imponibile, nella speranza che il suo vicino, sfuggito alla prima imposta, non sfugga alla seconda?…
In sintesi: la moltiplicazione delle imposte crea doppia e tripla tassazione ma limita l’evasione. Come soppesare vantaggi e benefici?
Come se esistessero due situazioni tra cui scegliere: 1) tassati + evasori o 2) tassati più tartassati.
E’ davvero preferibile la seconda situazione?
D’altronde, per combattere l’evasione ci sono altri mezzi
… In altre parole, non si può combattere l’evasione e la frode fiscale aggiungendo un’imposta, bensì migliorando le procedure d’informazione o, meglio ancora, diminuendo la “redditività” della frode…
Una finalità occulta del perché scegliamo la proliferazione delle imposte…
… evitare la formazione di un’opposizione compatta dei contribuenti, separando gli uni dagli altri gli interessi di differenti categorie di contribuenti…
Una specie di “dividi et impera”. Quanto pago? Boh. In un marasma del genere il contribuente è scisso anche da se stesso…
… Così, nessun contribuente sa bene quante tasse paga in complesso, tanto più che alcune di esse vengono pagate solo in occasione di particolari operazioni (come i diritti di registrazione). Inoltre, la rivolta fiscale è tanto meno realizzabile quanto più divergono gli interessi dei contribuenti: perché la massa dei contribuenti dovrebbe ergersi contro l’esagerata progressività dell’imposta sul reddito? In che modo i debitori dell’imposta patrimoniale possono far capire di venir spogliati più degli altri? Come potrebbero tutti i risparmiatori chiedere una modifica dell’imposizione del risparmio, quando alcuni di essi beneficiano di privilegi (esoneri e tassi preferenziali)? “Dividere per meglio regnare”, “prendere il denaro dove c’è…
***
Il sistema ad imposta multipla non è un sistema che tassa cose diverse ma un sistema a sovrapposizione d’imposta.
Pensiamo solo a IVA e imposta sui redditi, ovvero a due tra le tante imposte che tassano la stessa cosa. Cerchiamo di capire con un esempio la sostanziale uguaglianza tra i due tributi…
… Supponiamo, per chiarire, che inizialmente non esistano imposte e immaginiamo il caso di un produttore che venda un bene il cui valore sul mercato sia di FF1000. Questo produttore acquista materie prime per FF500, vale a dire che il valore aggiunto è FF 500. Tale valore aggiunto si traduce in una ripartizione di redditi pari, ad esempio, a FF400 di salari e FF100 di profitti. Supponiamo allora che lo Stato s’inventi un’imposta sul reddito del 10%. Coloro che ricevono un salario di FF 400 pagheranno FF40 d’imposta sul reddito, e il potere d’acquisto netto che resterà sarà di FF 360. Ugualmente l’imprenditore, che ricava FF 100 di profitto, pagherà FF10 d’imposta sul reddito e tratterrà, pagata l’imposta, FF90. Cosa sarebbe successo se invece di creare un’imposta sul reddito al tasso del 10% lo Stato avesse introdotto un’IVA al medesimo tasso? Il produttore non può aumentare il prezzo di vendita, fissato dalle condizioni del mercato (e, anche, dai prezzi mondiali). Più precisamente, se la quantità di moneta che circola in un paese è costante, non è possibile che aumentino tutti i prezzi in denaro.2 Di conseguenza, il produttore, che vende il suo prodotto sul mercato a FF1000, dovrà sborsare il 10% d’IVA (cioè FF50) e non gli resteranno che FF450 di valore aggiunto da dividere tra i fattori di produzione, cioè, nel nostro caso, tra i salariati e se stesso. Se si presume che la ripartizione tra i due rimanga costante, il produttore pagherà FF 360 di salari e tratterrà FF90 di profitto. Il potere d’acquisto derivante al salariato e quello trattenuto dall’imprenditore sono dunque esattamente gli stessi, che l’imposta sia sul reddito o un’IVA…
L’eterno equivoco sull’IVA
… l’IVA non è, contrariamente a ciò che si ritiene, un’imposta sui consumi, ma un’imposta sui redditi dei fattori di produzione… è identica all’imposta sul reddito, ma il sistema utilizzato dall’amministrazione per prelevarla è diverso…
Calcoliamo il tasso reale di imposizione in un caso del genere…
… Se lo Stato preleva il 20% d’IVA, chi produce per un valore di FF 100 non ne riceve di fatto che 80. E se, inoltre, esiste un’imposta sul reddito pari al 50%, pagherà FF 40 sugli 80 che ha ricevuto e non ne conserverà che 40. Il tasso reale d’imposta è dunque del 60%…
Una valanga di imposte genera aliquote assurde. Ma occulte! Quindi si tira avanti.
Il caso dell’ingegnere spaziale che si imbiancò la casa
… L’economista belga Alain Siaens, da parte sua, ci fa il seguente esempio:3 Prendiamo il caso limite di un ingegnere che abiti a Genk, città del Belgio in cui le addizionali comunali del 19% battono ogni record; il tasso marginale d’imposta raggiunge il 90%. La sua casa ha bisogno di essere pitturata. L’imbianchino gli sottopone un preventivo di FB100.000, suddiviso in FB 10.000 per i materiali, FB 30.000 per la mano d’opera e FB 60.000 tra tasse e carichi sociali. L’ingegnere calcola che il suo reddito dovrebbe essere di un milione di franchi belgi perché l’imbianchino possa avere un reddito netto di FB30.000. Lo scarto, tolti i FB10.000 per i materiali, arriva a FB 960.000. È l’accumulo dei carichi fiscali e parafiscali. L’ingegnere decide di dipingere lui stesso la casa. Ne deriva che l’imbianchino resta senza lavoro e che l’ingegnere occupa le sue ore libere in un compito in cui si rivela poco abile, invece di dedicarle ad un aggiornamento nei corsi serali, come avrebbe voluto e come la collettività si aspettava da lui. Tutti ci rimettono, compreso il fisco, senza che tuttavia ci sia frode. Forse l’ingegnere, in seguito a ciò, opterà per una pensione prematura…
***
Plusvalenze (immobiliari): ennesimo doppione per attrarre i privati che non pagano laddove le imprese pagherebbero. Immaginatevi un privato che rivende con profitto la sua casa…
… come si può giustificare l’aggiunta di un’imposta sui plusvalori ad un sistema fiscale che già comprende una tassa sul valore aggiunto ed una sul reddito? Il problema che troviamo qui è esattamente uguale a quello già visto a proposito della tassa sul capitale: poiché la base sia della tassa sul reddito che di quella sul valore aggiunto è mal definita, si aggiunge un’imposta supplementare, ritenuta valida per compensare i difetti delle altre imposte… L’istituzione dell’imposta sulle plusvalenze mira dunque a compensare un difetto nella definizione della base dell’IVA o dell’imposta sul reddito…
L’imposta sulle plusvalenze è un tappabuchi del sistema traforato poiché fondato su concetti maldefiniti, esempio quello di reddito.
Altro effetto delle imposte duplicate: legislazione complessa e gioia dei commercialisti…
… la crescente complessità di una legislazione fiscale che tenta continuamente di compensare la cattiva definizione della base delle imposte…
Missione impossibile (ma essenziale): distinguere consumo da produzione
… le imprese hanno anche attività di consumo, nel caso in cui un proprietario o un dipendente si giovi di servizi quali l’uso di un’auto di rappresentanza per i propri spostamenti, i viaggi ed altri vantaggi in natura… Il fisco capisce bene che c’è una frontiera difficile da individuare tra quel che si raccoglie dall’attività produttiva dell’impresa, il cui scopo è soddisfare i clienti, e quel che si raccoglie dal fornire direttamente soddisfazioni ai dipendenti o ai proprietari… Certo non è facile definire tecnicamente la base delle imposte partendo da una distinzione tra attività di consumo e attività di produzione…
Conseguenza: impossibile capire cosa sia reddito.
Se mi piace il lavoro che faccio il mio reddito non è più misurabile dal mio stipendio. Eppure, l’ IRPEF – che pretende di essere un’imposta sul reddito - colpisce il mio stipendio anziché il mio reddito. In questa materie l’arbitrio regna sovrano…
… la legislazione fiscale è incapace di definire la base delle imposte. Tale definizione è necessariamente arbitraria…
Tesi: se l’imposta è arbitraria non è meglio che perlomeno sia bassa?
Il concetto di reddito è ambiguo…
… L’imposta sul reddito poggia su una base mal definita, perché il concetto stesso di reddito è privo di un preciso significato teorico ed è difficile da circoscrivere…
Quando l’imposta sul reddito è l’architrave, tutto il sistema fiscale si fa ambiguo.
Altra ingiustizia: rivela solo il mercato
… Inoltre, l’imposta sulle plusvalenze non raggiunge tutte le plusvalenze, dato che colpisce solo quelle che si realizzano sul mercato, quelle cioè che sono il risultato di una transazione. Quindi, il contribuente che accresce il valore del suo capitale ma ne consuma egli stesso i servizi – ad esempio l’abitazione – non subisce la tassa sulle plusvalenze…
Tassare le plusvalenze colpisce solo chi opera sul mercato creando ingiustizie palesi…
… due individui che dispongono di risorse identiche e di identici redditi sono tassati in modo differente, a seconda se desiderano o meno cambiare la struttura del loro patrimonio. Di conseguenza, colui che avrà il torto di voler passare le vacanze in montagna piuttosto che al mare dovrà pagare forti tasse, contrariamente al suo vicino che continua a possedere la casa in riva al mare…
Ma il culmine lo si raggiunge quando si tassano le intenzioni anziché i comportamenti…
… Il regime di tassazione, infatti, è più o meno severo a seconda che il plusvalore abbia caratteristiche più o meno speculative! È in parte l’intento speculativo a venir tassato, non l’esistenza di un reddito! Si arriva dunque a questa straordinaria innovazione della legislazione tributaria, che i cittadini non subiscono le tasse in funzione della loro “capacità contributiva”, ma in funzione delle loro intenzioni supposte… Simili provvedimenti farebbero sorridere, se non fossero di estrema gravità. Essi danno al fisco poteri di natura totalitaria, consistenti nello scandagliare e valutare le intenzioni…
Siamo all’imposta sui peccati
… L’imposta, allora, sembra avere una funzione moralizzatrice: colpisce i “cattivi”, gli speculatori, ed è più tenera con altri….
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Un sistema a imposta multipla è di fatto un sistema di imposte a valanga che rende occulte le sue aliquote. Non è più onesto nazionalizzare la ricchezza?…
… L’imposta sul plusvalore, che colpisce una fetta del valore del capitale, per certi contribuenti si assomma evidentemente non soltanto ai diritti di vendita, ma anche alla patrimoniale, all’imposta sul reddito – che ha colpito il risparmio a monte del capitale, come pure i suoi eventuali rendimenti – e a quella di successione, a quella fondiaria, o all’IVA… Non è difficile, a queste condizioni, trovare numerosi casi in cui l’imposta che grava sul capitale superi, e a volte di parecchio, il 100%. Di fronte a questa enorme spoliazione del capitale che dura da molti anni, si può sottolineare ancora una volta che le nazionalizzazioni…
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Che fare?
Ripiegare su un’imposta unica fondata su concetti non ambigui al fine da non creare doppioni.
Un esempio: imposta sui consumi,  imposta unica. La nozione di consumo è meno ambigua di quella di reddito, in altri termini: consente di evitare le duplicazioni di imposta.
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Ultima appendice: ma chi paga le imposte?
L’imposta è sempre pagata da chi vende, ovvero da chi produce. L’imposta sul lavoro, per esempio, è pagata dai lavoratori, non dalle imprese. Per agevolare le imprese meglio abbassare le imposte sugli investimenti.
La scienza della finanze dedica una delle sue branche allo studio sull’ “incidenza dell’imposta”. E’ una materia intricata in cui sono centrali concetti come quello di elasticità della domanda e dell’offerta.
Noi – per giustificare la risposta precedente - ci concediamo una semplificazione e guardiamo al sistema nel suo complesso anziché settorializzato.
Immaginiamo allora un sistema economico di libero mercato in equilibrio: non c’ è disoccupazione e ogni venditore strappa il prezzo massimo.
Viene introdotta una tassa sugli scambi. Chi la paga?
Il venditore/produttore del bene scambiato, ovvio. Come tutte le tasse.
Perché?
Perché sul libero mercato il prezzo previgente era già massimo, non puo’ essere ulteriormente alzato per trasferire parte dell’imposta. Dietro – è chiaro - ci sono tutte le assunzioni del modello classico: operatori egoisti e ragionevoli.
In altri termini: se il prezzo sopportasse un aumento, questo aumento ci sarebbe già stato, in omaggio al principio per cui un mazzetto di banconote incustodito non sta mai molto tempo sul marciapiede.
Ma perché allora a volte assistiamo al fatto che i prezzi aumentano e che di fatto pagano anche gli acquirenti/consumatori?
Perché non tutti i produttori hanno pari efficienza.
Mi spiego meglio: un produttore inefficiente puo’ essere mandato fuori mercato allorché gli piomba tra capo e collo una nuova tassa da pagare. E la cosa si realizza anche se i produttori sono di pari efficienza e la nuova situazione è insostenibile per tutti: alcuni usciranno prima degli altri.
E’ chiaro che, a questo punto, se la produzione diminuisce causa uscita dal mercato di alcuni produttori, il prezzo del prodotto aumenta.
Ma aumenta perché si produce meno, non perché i produttori trasferiscano parte della tassazione sui consumatori. Anche se è vero che nella sostanza nulla cambia per il consumatore che si trova a pagare di più.
Le tasse – a rigore - sono sempre pagate dai produttori che vendono beni e servizi.
Senza dire – ma questa è solo un’ipotesi contingente - che i produttori espulsi dal mercato tartassato possono rientrare in un altro mercato diminuendo il prezzo in formazione. In questo senso ci sarà un gruppo di consumatori beneficiati che compenseranno i consumatori danneggiati. I consumatori – intesi come categoria - non soffrono.
E la tassa sui consumi chi colpisce?
Colpisce sempre i produttori. In particolare quei produttori che non reinvestono nella produzione.
La tassa sui consumi usa i consumi come misura di riferimento al fine di non produrre doppia tassazione.
Cio’ non toglie che se rilassiamo le ipotesi di cui sopra una parte delle imposte possa ricadere anche su soggetti diversi dai produttori di beni e servizi.
Gli assunti di cui sopra di fatto ipotizzano un libero mercato. Tuttavia,  spesso la politica conta più del mercato, basta notare il peso del sindacato. In casi del genere il ragionamento appena svolto non vale più.
Prendiamo la benzina, ammettiamo che il prezzo sia in gran parte dettato dalla politica: non si vuole “esagerare” nello spremere gli automobilisti che si rivolterebbero. In casi del genere (molto frequenti) quel che a noi interessa è la presenza nel prezzo effettivo di un margine per trasferire sui consumatori parte di una nuova eventuale tassa. Spesso gli automobilisti si lamentano che una nuova tassa alza il prezzo dei carburanti ma non si rendono conto che in teoria cio’ è possibile solo perché il prezzo del carburanti è tenuto artificiosamente basso. Dico in teoria perché la politica interviene su più livelli nel settore, per esempio anche mettendo barriere all’entrata e garantendo quindi di fatto i cartelli delle compagnie, queste misure lavorano in senso opposto alle misure di prezzo calmierato.