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lunedì 14 dicembre 2015

Luca, nel mio intervento censuravo la decisione di evitare con la papamobile le vie dello shopping. Argomentavo dicendo che senza quelle vie il nostro pianeta avrebbe più poveri (da un punto di vista materiale). Tu fai presente che al Papa interessa invece un discorso morale e ti senti rassicurato da chi negli interventi successivi sottolinea le virtù della “povertà spirituale”. I conti non tornano perché quello della “povertà spirituale” è solo un ulteriore argomento che, lungi dal diminuire la mia censura, la rafforza: perché mai tagliare le vie dello shopping – ovvero le vie dove si espleta un’attività meramente materiale - quando a noi interessa solo l’aspetto spirituale della faccenda? Una volta appurato che fare shopping aiuta materialmente i poveri del mondo dobbiamo forse concludere che mina il nostro spirito? Bà, ad ogni modo, se anche fosse, curiamo lo spirito con cui facciamo le cose  anziché condannare le cose (in sé benefiche) che facciamo.

Insomma, al buon cristiano interessano i poveri e cerca di aiutarli. Come? Con amore, ma anche efficacemente. Nel momento in cui si accorge che lo strumento adottato è controproducente – magari perché gli viene detto dagli “economisti dello sviluppo” - non insiste su quella via perché l’amore che contrassegna la sua azione non giustificherebbe tale ottusità. Cambia via, e questo senza mai rinunciare al suo amore. 

lunedì 10 marzo 2014

Raccolta commenti

I miei commenti in giro per il web

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Ammettiamolo, è faticoso rintracciare una continuità nella vicenda dell’ interesse. Il fatto è che la condanna all’ usura non era giustificata “dall’ entità delle somme richieste” o dal pericolo della “schiavizzazione del debitore”, bensì ripeteva Tommaso che ripeteva Aristotele: è contro natura generare denaro dal denaro. Senonché “generare denaro dal denaro” è quanto fa il sistema bancario dai suoi albori a oggi, in questo senso nulla è cambiato.  Quando i mercati finanziari divennero più competitivi, le pretese furono moderate dalla concorrenza degli operatori e i vantaggi per tutti furono innegabili. L’ improponibile condanna si attenuò fino ad essere ritirata, al punto che il termine “usura” oggi ha cambiato radicalmente il suo senso. Vogliamo dire che c’ è stata una virata sulle motivazioni anziché sulle conclusioni? Diciamolo pure, il sugo non cambia.
Non c’ è niente di più facile che razionalizzare quello che accade nel mondo, un’ ermeneutica creativa puo’ rintracciare continuità ovunque ma il buon senso non cesserà d’ instillare dubbi. Da Galileo alla “donna sottomessa” le virate (spesso virtuose) non mancano ma questo è davvero motivo d’ imbarazzo per un cattolico? In fondo la sua non è la religione del Libro ma la religione dell’ Uomo. Dell’ incontro con un Uomo. L’ atto di fede del cattolico è una sequela, il cuore della sua fede consiste nel seguire quell’ Uomo (finché riesce a sentirne la natura o l’ ispirazione divina) non nel razionalizzare i suoi detti, per questo l’ obbedienza diventa per lui una virtù primaria. Io stesso ho difficoltà con Francesco, quello che penso per conto mio spesso non coincide con il suo insegnamento, ma cosa devo fare? Non resta che obbedire e approfondire. Vorrà dire che su molte delle battaglie di questa fase anziché essere l’ ariete scalpitante che guida e difende il gregge contro i pericoli esterni sarò la pecora recalcitrante in ultima fila che segue a fatica. L’ importante è non perdersi.

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broncobilly08 settembre 2014 11:23
Una distinzione che genera molti equivoci è quella tra “classical theism” e “personal theism”, lo stesso Feser, collocandosi nel primo filone, vi dedica nel suo blog post estremamente interessanti.
I New atheist, facendo di tutta l’ erba un fascio, si accaniscono in realtà sull’ approccio “personal”, il più intuitivo, cosicché, Feser, da buon “classical”, ha buon gioco nel dire che costoro non sanno nemmeno di cosa parlano. Il dibattito intorno al concetto di “causa” è un buon esempio di questo corto circuito.
Un indizio che suffraga questa ipotesi è l’ inaspettata stima che Dawkins ha tributato a Richard Swinburne (un “personal” di rilievo). Forse sarà dovuta al fatto che è suo collega ad Oxford ma forse anche al fatto che con lui è potuto entrare più nel merito delle questioni anziché essere liquidato in partenza come un tale “che non ha capito niente” di cio’ che critica.

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broncobilly | martedì, 9 settembre 2014 alle 3:05 pm |
Distinguerei due problemi:
1) perché laddove dovrebbero stare le “belle” troviamo delle “brutte”?
2) perché stanno lì da così tanto tempo?
Il primo è il più semplice: se la moda serve ai consumatori per competere in termini di status, il legame con la bellezza diventa del tutto secondario. Anzi, la passione un po’ perversa (per le anoressiche) è per pochi, genera proiezione élitarie.
Il secondo è più ostico: in una società talmente ricca come la nostra la competizione per lo status esige una variabilità di canone ben più celere. In epoca pre-capitalista la panzona rubensiana poteva permettersi durate vicine al secolo, tuttavia non si capisce perché le anoressiche di Versace debbano persistere tanto.
Ma forse siamo al “riciclo”, francamente non seguo molto. La parola agli esperti.
In conclusione vorrei solo dire che… comunque Kate Moss è una gran gnocca.

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6 commenti a “I SALSICCIOTTI CALDI DI AMAZON”
Lo leggevo giusto ieri. http://www.amazon.com/forum/kindle/ref%3Dcm_cd_tfp_ef_tft_tp?_encoding=UTF8&cdForum=Fx1D7SY3BVSESG&cdThread=Tx3J0JKSSUIRCMT
Certo che se Amazon fa propaganda la fa bene, l’ altro giorno ho comprato un e-book del 1998 a 15 euro e ancora fremo di rabbia, guardacaso proprio per i motivi elencati nel link! Ecco, uno è già un po’ incazzato per certi prezzi, e poi si sente anche dire che a pretenderli così alti sono gli editori, i quali attaccano Amazon perché non vorrebbe mai superare una certa soglia…. beh, come minimo non sono nelle condizioni psicologiche adatte per “lottare contro il monopolio”, ho piuttosto la netta sensazione che un salsicciotto caldo (non vagamente promesso ma già servito in tavola) mi sia stato sfilato dal piatto.
“Ma se poi il libro l’ hai comprato allora gli editori in fondo avevano ragione…”. Nel mio caso sì ma in generale sembrerebbe di no. Questa ricerca ( http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=450220) per esempio conclude che “… a 1 percent drop in price — a mere 25 cents on a $25 book — increased the number of units sold by 7 percent to 10 percent…”.
Che poi Amazon - con self-publishing, bundling e quant’ altro si inventerà - faccia bene anche agli autori non è affatto certo: la torta sarà più grande ma non è detta che lo sia anche la loro fetta. L’ importante è che faccia bene al consumatore, di cui il lavoratore (creativo e non creativo) è al servizio. Ma forse questa è ideologia.
Certo che capisco gli editori, si preoccupano per la distribuzione al dettaglio che si assottiglia e ora devono anche preoccuparsi della fuga degli autori. E nemmeno la “fuga” di argomenti che possano far presa su persone neutrali non gioca certo a loro favore.
Gridano: “monopolio”. Ma il concetto di “monopolio” produttivo è piuttosto vago se preso in sé, non sappiamo bene nemmeno quali prodotti siano in concorrenza tra loro: ieri sono andato al negozietto per comprare il Corriere ma poi ho visto la Nutella in occasione e ho investito tutto nel barattolone famiglia. Non mi sarei mai aspettato che Corriere della Sera e Nutella fossero in concorrenza ma ieri ne ho avuto la riprova. E allora non basta lanciare allarmi su concetti vaghi (monopolio, bibliodiversità…), per smuovere l’ antitrust bisogna indicare i danni reali ricevuti dal consumatore.
Postato giovedì, 31 luglio 2014 alle 10:32 am da broncobilly

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Certo che se l’ unica libreria rimasta al mondo tratta i libri come surgelati non deperibili, la cosa preoccupa. D’ altronde il bene del mercato, se ne fa, è sempre involontario, quindi le buone intenzioni contano poco.
Dunque, la contrapposizione luddisti/supertecnologici non funziona.
Funziona quella scrittori/lettori?
Un lettore oggi potrebbe dire: “acquisto a prezzi stracciati, su cataloghi sterminati a disponibilità immediata. In vita mia non ho mai goduto di una “bibliodiversità” tanto vasta. Perché mai dovrei scendere in trincea? Contro chi? Ho ben altri problemi, io. Ho problemi di abbondanza, ho la tavola perennemente imbandita e non so dove infilzare la forchetta”.
Tuttavia, si potrebbe anche ritenere miope un lettore che parla così: chi oggi lo coccola domani potrebbe levargli la pelle. Appena se ne convince la contrapposizione lettori/scrittori salta.
C’ è un’ altra dicotomia: scrittori che scrivono per farsi leggere/scrittori che scrivono per farsi pagare. Si, lo so, anche i primi vogliono farsi pagare e anche i secondi vogliono farsi leggere, tuttavia la dicotoma ha funzionato ed è già emersa chiaramente, almeno quando si è trattato, per esempio, di combattere l’ indicizzazione dei libri da parte di Google. Gli “scrittori che scrivono per farsi pagare”, fissati sul copyright, sono rimasti così soli nella loro lotta da far pena.
Postato venerdì, 25 luglio 2014 alle 3:22 pm da broncobilly

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Manlio Pittori non ha motivo di preoccuparsi troppo per gli Anasazi, sono sicuro che il buon Dio abbia approntato una “via speciale” anche per loro. Saranno giudicati soppesando anche il contesto. Lo traggo dal Catechismo (art. 847, quello dedicato a “quelli che senza loro colpa…”), mica da una bontà di cuore.
Invece le obiezioni del 4 settembre sono puntute, mi hanno toccato.
In sintesi: perché solo un’ incarnazione? Cosa osta.
Ipotesi 1: ammettiamo esista una civiltà aliena con cui non possiamo avere contatti (il razionalista che è in me non fatica ad accettarla).
Ipotesi 2: ammettiamo che il nostro sia il migliore dei mondi (universi) possibili (il credente che è in me non fatica ad accettarla).
Ipotesi 3: ammettiamo che questi alieni siano peccatori e bisognosi di salvezza (il razionalista che è in me l’ accetta appellandosi all’ induzione: poiché l’ unica vita intelligente che conosco è quella umana, se ne esiste un’ altra sarà probabilmente simile a quella umana).
Ipotesi 4: ammettiamo che Dio voglia offrire occasioni di salvezza alla civiltà aliena (il credente che è in me non fatica ad accettarla).
Domanda al credente, al razionalista e al credente-razionalista: come procederà Dio?
Ci sono due opzioni: 1) predisporre vie speciali 2) predisporre sia via speciali che una via generale (risposta alla chiamata di un Dio incarnato o di un suo rappresentante in terra).
Su quale scommettere?
La ragione cosa ci dice? Poco. Anzi, niente. Entrambe le vie sono compatibili con l’ ipotesi 2. La “mostruosa” analisi costi e benefici non è alla nostra portata, lasciamola alla mente di Dio.
Ma della ragione fa parte anche il senso comune, e quello in me parla abbastanza chiaro: avere un Gesù che ci viene incontro è sempre meglio.
Diversamente da Padre Funes scommetterei allora sulla seconda opzione.
Ma cosa osta alla seconda incarnazione? Boh, quindi confermo la scommessa.
Anche se le probabilità restano basse? Basta che siano superiori all’ alternativa.
In questo senso padre Funes non mi convince.
La cosa più probabile, comunque, è che civiltà come la nostra esistano. Anzi, più probabile ancora che siano esistite e abbiano già conosciuto la loro apocalisse (paradosso di Fermi). Magari sono già state anche giudicate. Più probabilmente aspettano la nostra fine, che del resto non dovrebbe tardare. E sul punto sono d’ accordo anche i razionalisti: http://meteuphoric.wordpress.com/2010/03/23/sia-doomsday-the-filter-is-ahead/
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Padre Funes mi convince ancora meno sul multiverso: ma il lavoro certosino di John Leslie non aveva sviscerato il problema in modo chiaro: se l’ universo è unico allora la spiegazione casuale diventa poco credibile (e ci guadagna l’ alternativa teista). Se gli universi sono molti, allora il nostro è solo uno dei tanti e non dobbiamo sorprenderci se siamo qui. C’ è da dire che l’ ipotesi dell’ universo unico è decisamente più semplice, quindi preferibile al di là del “fitting”.

campariedemaistre: i nostri fratelli extraterrestri

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"... se il “sommerso” potrà venire alla luce del sole con una più efficiente lotta all’evasione e con una legislazione fiscale più semplice, l’economia “criminale”, invece, non potrà mai emergere..." 

Non è del tutto vero. Basta legalizzare gioco, prostituzione, droga... Cosa, del resto, che molti chiedono da tempo. Legalizzare la prostituzione (per esempio) è una scelta politica. Proprio come sarebbe una scelta politica aumentare le tasse. Entrambe sono lì a disposizione del legislatore. E francamente non saprei nemmeno dire quale sia la più immorale.

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Niente di più facile che equivocare un tomista, Il quale ha poi gioco facile poi nel rintuzzare gli attacchi. Anzi, i pseudo-attacchi.

Ma se il tomista volesse proprio essere “caritatevole” nell’ interpretazione, una lezione potrebbe trarla: il suo Dio è terribilmente contro-intuitivo. 

Non solo per gli uomini di (pseudo) scienza ma anche per molti uomini di fede. E non è certo un caso se, specie nel mondo anglosassone frequentato fa Feser, si sono sviluppate diverse teologie analitiche (serie) su basi alternative a quella tomista.

Il fatto è che Dio non è l’ aritmetica, l' analogia regge fino a un certo punto. Di Dio ci viene detto che siamo “a sua immagine e somiglianza”, ci viene detto che  ha delle “intenzioni”, che “agisce”, che “interviene". Tutti attributi che ci guardiamo bene dall’ attribuire alla matematica ma soprattutto, tutti attributi che ci risulta cervellotico riconciliare con un essere collocato fuori dal tempo. 

Sugli esseri eterni ragioniamo ancora bene ma sugli esseri (personali) fuori dal tempo annaspiamo. 


Magari, allora, nessuna “irrazionalità”, nessuna “contraddizione” ma comunque il rischio di essere “cervellotici” e sganciati dal senso comune. Da qui la marea di equivoci che divertono tanto un tomista preparato come Feser ma che un pochino dovrebbero anche preoccuparlo.

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Giulio, ci fai notare delle imprecisioni nella campagna sull’ IVA ridotta. Penso che i tuoi rilievi siano da considerare sensati qualora denuncino incongruità rispetto allo scopo della campagna stessa. In caso contrario saremmo di fronte a trascurabili semplificazioni.
Premessa: l’ IVA ridotta viene accordata per promuovere la lettura poiché si ritiene che questa attività abbia un rilievo sociale.
Se uno mi dicesse: la lettura su libro elettronico non ha la valenza della lettura tradizionale poiché è più frammentata, meno orientata e bla bla bla… quindi non merita il privilegio dell’ IVA ridotta; io, data la mia esperienza personale, non sarei d’ accordo pur avendo compreso perfettamente il senso dell’ obiezione e come si colloca.
Tu invece fai notare che:
1) nel caso dell’ e-book la lettura su supporti elettronici avviene con una vendita di licenza d’ uso anziché di un oggetto.
2) i lettori “hanno il dovere di considerare gli editori come dei nemici” e quindi non collaborare alla campagna.
Data la premessa, il primo rilievo mi sembra non pertinente, il secondo semplicemente falso.
Per quanto riguarda il primo, certo, prestare libri puo’ creare un’ esternalità positiva che chi ha a cuore la lettura vede di buon occhio. D’ altro canto, ci sono molti contro-argomenti, tipo la condivisione dell’ account e la facilità nel riprodurre file amazon. Ma ce n’ è uno che si staglia netto: il costo di produzione di un libro elettronico è più basso. Il costo marginale (ma anche quello di stoccaggio) addirittura pari a zero!
Chi tiene alla diffusione di un bene esulta nel sapere che il costo di quel bene è ribassabile imboccando certe vie. Esulta e indirizza tutti verso quella via (magari attraverso la leva fiscale). Se avesse la bacchetta magica trasformerebbe l’ intero parco dei lettori tradizionali in lettori di libri elettronici.
E qui veniamo al secondo punto: io sono “nemico” del mio spacciatore solo quando c’ è da tirare sul prezzo. Qui invece si tratta di dividere la torta.
Quando per lui ci sono occasioni di risparmio – ed è il nostro caso – vedo la cosa di buon occhio e la favorisco poiché parte di quei benefici potrebbe trasferirsi su di me (il 100% in caso di mercato competitivo). Arrivo a dire che persino un aumento dei profitti – essendo la premessa per futuri investimenti – potrebbe arrecarmi benefici indiretti. Insomma, se sta lottando per procurarsi la “torta” tifo per lui, anche se poi magari la mia fetta è piccola.
n.b. sono perfettamente consapevole che queste siano solo discussioni accademiche poiché il fisco italiano – da anni – segue solo la LOGICA del rapinatore di banca: “andiamo a prendere i soldi laddove ci sono” e la PSICOLOGIA dell’ ancoraggio: “giusto o sbagliato, se pagano continua a farli pagare”.

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Ok Giulio. Il “comizietto” mi contesta l’ argomento del prezzo sul lato della domanda (rispondo sotto), tu sul lato dell’ offerta.
Un tale diceva: “non é dalla generosità del macellaio che spero di ottenere il mio pranzo…”. Il resto è noto.
Allo stesso modo dico che non è da “promesse generose” che spero di ottenere la mia fetta (una volta che altri si saranno procurati la torta).
L’ iva al 4 si applica al prodotto, non al produttore. la cosa è indifferente solo se esistesse un unico produttore per quel prodotto.
Ecco, tu parli del settore editoriale come di un monopolio assoluto. Solo in questo caso avresti in parte ragione.
E dico “in parte” perché un fornitore con più risorse da investire nei libri potrebbe comunque arrecarmi benefici indiretti.
Chiudo con due osservazioni.
La prima sull’ ambiente.
C’ è gente che ricicla i rifiuti con l’ acribia di un miniatore e rastrella le città alla ricerca di banane a km zero con la foga di un nazista. Poi scopri che questa stessa gente si ostina sul “cartaceo” :-(. È un po’ come professarsi animalisti e girare in visone. Quando c’ è un’ alternativa con zero trasporti e zero carta chi ha un minimo di coscienza ambientale non se la lascia sfuggire. Così come non dovrebbe restare indifferente il legislatore: basterebbe solo affiancare all’ IVA una banale carbon tax e si vedrebbero invertiti di fatto i carichi fiscali tra cartaceo ed elettronico.
La seconda su prezzi e diffusione.
Se il nesso non esiste, l’ “argomento prezzo” cade. Il buon “comizietto” dice che nel suo caso il nesso è lasco. Per me è leggermente diverso: ho appena rinunciato a un acquisto librario perché caro. Francamente penso che il mio caso si presti meglio alla generalizzazione: altrimenti perché non alzare l’ iva dei libri al 22%? La cosa non produrrebbe nessun inconveniente alla diffusione della preziosa merce, solo vantaggi alle casse dello stato. Devo precisare che per farsi un’ idea corretta in merito è al “libro marginale” che bisogna guardare, non certo al “libro della vita”. Se persino la domanda di cocaina ha una sorprendente elasticità, penso proprio che i libri non facciano eccezione. Oltretutto, l’ offerta di consumi culturali oggi è molto più vasta di ieri: se il tizio che pubblica non sta ben attento a come prezza il suo libro mi scarico dalla rete i suoi papers e amen (oppure me ne vado al museo virtuale, o al festival della letteratura, o a vedere la juve…).

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Tre idee su libri e monopolio. Guarda caso tutte e tre smaccatamente a sostegno della mia tesi :-)
Il libro non è un bene fungibile, d’ accordo, ma per fortuna non è nemmeno necessario che lo sia per avere “concorrenza”.
Infatti, basta una qualsiasi pubblicità glamour per togliere “fungibilità” persino a un banale dentifricio. Dopodiché, l’ antitrust non si sente certo chiamata in causa.
Se volessi esagerare racconterei quanto mi è capitato al supermercato: mi fiondo determinato verso lo scaffale dei libri, poi, con la coda dell’ occhio, vedo la Nutella e investo lì il mio budget residuo. Chi l’ avrebbe mai detto che libri e Nutella fossero in concorrenza? Eppure, almeno in parte, è stato così.
Dipende molto dalla curvatura ma tra Leopardi (il bersaglio mirato) e la Nutella Ferrero (il bersaglio centrato) ci potrei far passare l’ universo.
Ma c’ è di più: i libri contengono “informazione”, anche se un’ informazione di tipo particolare. Chi vende “informazioni” non puo’ esporre troppo in vetrina la propria merce altrimenti la regala ancora prima di averla venduta. Tutto cio’ facilita la concorrenza.
Faccio un esempio per chiarire un po’ meglio. Questa estate, contrariamente alle mie abitudini, volevo avvicinare qualche narratore italiano, così ho chiesto in giro a chi ritengo ferrato. Mi hanno fatto il nome di tale Mari, sembra una penna interessante a giudicare da come si scaldava il referente. Poi si è fatta largo la figura di un certo Pecoraro, voce con altri colori ma altrettanta qualità, in più onusta di freschi e prestigiosi premi. Ora devo decidermi e ammetto che questi due autori sono per me in sanguinosa competizione tra loro. Non escludo a priori di far redimere la questione al prezzo o ad altri dettagli.

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Giulio, evidentemente è saltato qualche passaggio. Ecco allora una ricostruzione semplificata.

Avevi espresso un concetto chiaro:

“… c’è forse un impegno dell’Aie a ribassare i prezzi dopo la diminuzione dell’Iva?…”

Poiché hai continuato a dirlo anche nel commento successivo, c’ è da ritenere che questa idea sia centrale nella tua visione.

Sottolinei addirittura di averla ripetuta troppe volte. Eppure non era certo sfuggita, forse era sfuggita la risposta, che mi sembrava altrettanto chiara: L’ IMPEGNO CHE RICHIEDI E’ DEL TUTTO PLEONASTICO.

Che le cose stiano in questi termini, che l’ impegno richiesto fosse pleonastico, è chiaro da almeno un paio di secoli (a tanto risale l’ invenzione dell’ economia moderna come disciplina), da qui la citazione del macellaio di Adam Smith.

La tua richiesta ha senso solo se il mercato editoriale fosse un monopolio e i consumatori dei meri “price taker”. E poco importa se tu abbia parlato o meno di “monopoli editoriali” visto che sono necessariamente implicati affinché la tua lamentela abbia un significato.

Per questo poi il discorso è scivolato sulla relazione tra libri e monopoli: perché il sugo della storia è tutto lì!

Nessun monopolio, nessun impegno da richiedere a chi lotta per la parificazione. 

Nessun monopolio e la torta verrà giocoforza ripartita.

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Giulio, non avendo parlato di “rappresentanza sindacale” non vedo bene dove stia la “confusione” che denunci.

Certo, "sindacato" e "monopolio" sono da sempre concetti in simbiosi poiché il sindacato non è altro che un cartello: cerca di creare un monopolio per spuntare condizioni più favorevoli sul mercato. Sul punto, oltre al buon senso, concordano Richard Freeman, James  Medoff, Gregg Lewis, Morgan Reynolds e praticamente tutti gli studiosi del sindacato. 

Cio’ detto, continuo a non vedere la rilevanza della cosa sulla tesi centrale, e cioè: la tua richiesto di impegno ad abbassare i prezzi ha senso solo se sul mercato editoriale esiste un monopolio dell’ offerta, altrimenti impegni del genere sono del tutto pleonastici poiché, qualora la campagna vada a buon fine, intascherò automaticamente la mia fetta di torta.

Ora, l’ Aie ha la forza di imporre politiche di prezzo all' intero settore? Ognuno giudichi e ne tragga le conseguenze. 

Se risponde di no, partecipi pure a cuor leggero alla “campagna di parificazione”. 

Se invece risponde di sì: 1) partecipi ugualmente alla “campagna di parificazione” per i "benefici indiretti" di cui ai commenti precedenti ma soprattutto 2) denunci la sua scoperta all’ antitrust.

n.b. Una sola cosa sul “libro verde”: mica possiamo imputare a chi legge in ebook di essere connivente con la“rivoluzione digitale”, quella esiste a prescindere. Una volta data, possiamo al limite interrogarci su come un lettore sensibile alle questioni ambientali sceglie tra le alternative a disposizione. La mia fonte era un articolo del NYT:

“…  Cleantech study concluded that purchasing three e-books per month for four years produces roughly 168 kilograms of CO2 throughout the Kindle’s lifecycle, compared to the estimated 1,074 kilograms of CO2 produced by the same number of printed books…”

Il tutto senza considerare i costi di immagazzinaggio e smaltimento.

Possiamo discutere delle quantità (in rete c’ è di tutto) ma non penso che al “forte lettore” con coscienza ambientale siano lasciate molte scappatoie. 


http://green.blogs.nytimes.com/2009/08/31/are-e-readers-greener-than-books/

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