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lunedì 18 novembre 2013

mercoledì 13 novembre 2013

martedì 24 settembre 2013

Infanzia romana

Riccardo Mariani:

'via Blog this' https://www.facebook.com/riccardo.mariani.585/posts/10202312314876411 https://kindle.amazon.com/work/detto-addio-italian-edition-ebook/B009SBGTOI/B009RP6AYO

mercoledì 19 giugno 2013

La droga perfetta

Infinite jest: Amazon.it: David F. Wallace, E. Nesi, A. Villoresi, G. Giua: Libri:

'via Blog this'

Come cambierà il mondo quando sarà sintetizzata la droga perfetta? Ovvero la droga che 1) ti fa star bene, 2) costa poco e 3) non dà inconvenienti.

Ora sì che il concetto di "decrescita felice" assume un senso e vale la pena di essere pensato.

  • Riccardo Mariani Ora sì che il concetto di "decrescita felice" assume un senso e vale la pena di essere pensato!
  • Jack Lupowitz Ho visto solo ieri sera, per il cineclub del lunedì, Trainspotting. Inizia con uno: "Ho scelto di non scegliere la vita". (E prosegue: "Cosa c'è di meglio dell'eroina?")
  • Riccardo Mariani Parlando di eroina, a quella domanda possiamo rispondere col ditino alzato. Ma quando si parlerà dell’ infinite Jest (la droga perfetta)?

    L’ IJ farà concorrenza a tutte le merci contemporaneamente: il PIL collasserà e la qualità della vita migliorerà. 

    Noi oggi non riusciamo nemmeno a pensare che le due cose possano andare insieme e probabilmente i produttori delle altre merci (ovvero tutto il sistema produttivo) ci diranno che stiamo vivendo un dramma e un impoverimento.

    Con internet (che è prevalentemente un bene di consumo), qualcosa del genere è già successo, va sotto il nome di “great stagnation” ed è giudicato in modo molto differente, qui un giudizio positivo: http://econlog.econlib.org/archives/2011/02/existence_enhan.html


    econlog.econlib.org
    Another area that we ought to consider is the environment. My guess is that over...Visualizza altro
  • Riccardo Mariani Resoconti analitici, forse un po’ troppo. Mmmm, decisamente troppo, forse c’ è qualcosa che non va:

    “… gli altri ragazzi sono rispettivamente seduto, in piedi, in piedi, seduto e fuori dalla mia periferica visiva… il 62,5% delle facce nella stanza è r
    ivolto verso di me”

    Propensione a distrarsi:

    “… sembra avere più sopracciglia del normale…”

    Proprio il prototipo del maestro di Tennis…

    … i cui denti splendono contro la violenta scottatura del viso…

    Autocontrollo problematico:

    … cerco di mettere insieme quello che da fuori dovrebbe essere visto come un sorriso… e mi raddrizzo il cinturino dell’ orologio già dritto di suo…

    Sorpresa!:

    … le sopracciglia si fanno circonflesse…

    Disgusto:

    … mi fissa con uno sguardo orribilmente mite…

    Non sapevo si chiamasse così:

    … guardo con attenzione il nodo kekuliano della sua cravatta…

    Il grassone americano:

    … con quella vocina assurdamente stridula considerato il faccione da cui sortisce…
  • Jack Lupowitz (SBAGLIATO POST... Infinite Jest, immagino)
  • Riccardo Mariani Sì. Una doppia maledizione grava sul protagonista: 1. non riesce a farsi capire da nessuno e 2. non riesce a smettere di parlare.

    Di sicuro la “fuori” non succede quello che lui ci racconta.

    ***


    Nel pallone:

    … uso una grande energia per rimanere completamente silenzioso, vuoto, sulla sedia, gli occhi due grandi zeri pallidi…

    Esperienza ben nota a noi pendolari:

    … mi lascio scivolare nella sedia ancora calda del tepore del sedere di T.C….

    A quattr’ occhi:

    … riesco a vedere i suoi tic oculari e le reti di capillari che attraversano le borse sotto gli occhi, sento bene l’ odore dell’ ammorbidente della giacchetta e di una mentina per l’ alito ormai inacidita…

    Attesa:

    … seduti con i gomiti sulle ginocchia nella posizione defecatoria tipica degli atleti che si riposano…

    Trucchi:

    … puoi leggere libri o limitarti a logorarne le costole…

    Non si possono non amare i bagni degli uomini:

    … l’ odore di limone delle pasticche deodoranti nei lunghi pisciatoi di porcellana… le file di sottili lavandini sorretti da tubature a vista dalle forme vagamente alfabetiche… il freddo marmo di piastrelle dal disegno a mosaico che sembra quasi islamico…

    Arizona:

    … quaggiù la gente non fa che muoversi in branchi da un posto con l’ aria condizionata all’ altro…

    Contesto:

    … mentre lassù un caccia supersonico troppo distante per essere sentito affetta il cielo da nord a sud…
    2 ore fa · Mi piace · 1
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 Ieri leggevo la descrizione che DFW (Infinite Jest) dà del cocainomane che attende in casa l’ arrivo dello spacciatore con le dosi. Sono meticolosamente descritte le evoluzioni di un insetto che entra ed esce da un buchetto dei tubi degli infissi: ora sporge un antenna tremolante, ora una zampetta vibrante, ora fa tre giri dentro e fuori a rotta di collo... Il tutto sotto l’ occhio vigile dell’ “addicted” (quando non guarda l’ orologio). Uno potrebbe dire: che accuratezza in queste descrizioni! Ma la grandezza di DFW non sta affatto nell’ accuratezza osservata (un manuale scientifico descrive molto più accuratamente l’ insetto in questione) sta nel far aleggiare un vago legame tra le contorsioni dell’ animale e le contorsioni che avvengono nella testa del drogato in spasmodica attesa che vuol darsi un tono. Si tratta di realtà talmente vaghe che potrei anche sbagliarmi nell’ indicarne l’ esistenza, in ogni caso si tratta di un’ operazione “artisticamente” riuscita.
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CONTINUA QUI: https://www.facebook.com/riccardo.mariani.585/posts/10201571762643068

sabato 5 gennaio 2013

I benefici dell’ ingiustizia

Nel corso delle feste natalizie ho letto un libro mica male: Una donna di cuore, di Alice Munro.

Qui riserverò la mia attenzione solo al primo racconto della silloge nella speranza di dare un’ idea approssimativa di questa autrice contemporanea in odore di Nobel da parecchi anni.

Una letterata affida il suo messaggio allo stile ed è difficile rendere uno stile a parole, la cosa migliore, in casi del genere, consiste nell’ accumulare citazioni dirette e indirette, ed è proprio quello che farò.

C’ è stata un’ epoca in cui “senso del dovere” e “lealtà alla parola data” erano vissuti alla stregua di gabbie claustrofobiche da cui evadere alla ricerca di esprimere una più autentica “spinta vitale”. Oggi, in tempi di corruzione e volgarità diffusa, la cosa puo’ apparire singolare ma chi viene da una cultura puritana sa bene di cosa parlo. Noi cattolici, per capire meglio, possiamo ricorrere alla buona letteratura, a cominciare da questa prova della Munro.

***

Ma partiamo pure con la storia. Nella prima parte alcuni ragazzini scoprono il cadavere del Sig. Willens in una palude.

La loro è un’ escursione in stile “stand by me” con uno scopo ben preciso:

… poter raccontare di aver nuotato nello Jutland prima ancora che si sciogliesse tutta la neve per terra…

Un nevaio “basso e testardo” rende meno proibitiva l’ impresa.

Ho detto “nuotare”? Diciamo meglio “agitare scompostamente gambe e braccia per fuggire poi frettolosamente a riva”. Tanto l’ importante è:

… il sollievo di sapere vera la propria fanfaronata…

Se nel racconto c’ è un leitmotiv, questi è “la schiavitù che impone il dovere della sincerità”.

Inutile precisare che l’ ambiente non è cattolico ma puritano. Enid, l’ eroina della Munro, sembra  uscita da un racconto di Flannery al solo scopo di fiondarsi in un film di Van Triers.

Il gran finale sarà costruito intorno alle capacità catartiche della bugia, o meglio, della reticenza:

… quanti benefici poterono sbocciare dal suo silenzio… era in quel modo che si rendeva abitabile il mondo…

Ma torniamo ai ragazzi, sulla via del ritorno, forse galvanizzati dal segreto che custodiscono, fanno mille progetti sul futuro sognando a occhi aperti:

… nessuno sembrò accennare agli impegni scolastici…

Durante queste gite i nomi propri dei protagonisti sembrano banditi:

… per attirare l’ attenzione reciproca si limitavano a dire “ehi”…

L’ infanzia “campagnola” mi facilita nel capire le risonanze di questo passaggio. Da un lato provo il piacere di cogliere una sfumatura, dall’ altro l’ inquietudine di chi constata che se le allusioni sono tanto sottili, per una che ne intercetti, dieci te ne sfuggono.

Veniamo alla lezione numero uno di una qualsiasi scuola di scrittura creativa: la condizione psicologica dei personaggi deve essere resa solo mediante la descrizione di comportamenti. L’ esempio in corpore vivi qui si sostanzia nei bimbi che tornano in paese latori della ferale notizia:

… sulla via del ritorno camminarono in fretta. Di quando in quando accennavano a un trotto, senza mai rompere in una corsa vera e propria… oppressi dal peso della meta e dal dovere da compiere…

Il paese: bisogna figurarsi i paesi di una volta, quelli in cui la gente si saluta e saluta anche i bambini, forse per rispetto ai genitori:

… replicando i ragazzi non si degnavano mai di alzare lo sguardo oltre la borsetta delle signore e il pomo d’ Adamo degli uomini…

In famiglia. A pranzo. I due criteri da osservare prima di servire in tavola un paio di uova:

… nere di pepe e rugginose sugli smerli…

Abbozzo del tradizionale papà alticcio sempre a caccia di un pretesto per pestare. Mi ha colpito la fenomenologia della sberla: prima ti dice “fai il furbo eh? Meglio se fai attenzione…”:

… dopodiché, se gli restituivi lo sguardo o magari se non glielo restituivi, se posavi la forchetta o magari se proseguivi a mangiare… era facile che lui intonasse il breve ringhio che precede lo scatto del corpo…

Dopo le botte furiose ando-cojo-cojo (mamma compresa) e la casa a soqquadro, qualcuno suona sempre il campanello (di solito un amico del bar). Lui apre inventandosi un’ ilare fesseria che giustifichi sommariamente lo strepito appena cessato:

… non gli importava essere creduto. Diceva così per trasformare in burla tutto quanto accadeva in famiglia…

Poi se ne andava al bar, ma anche quando non era più in casa permaneva sempre il ricordo e la minaccia della sua presenza pazzoide.

Intanto, in quelle stesse case, le mamme dai ricci “lucidi come lumache” andavano perdendo le forze giorno dopo giorno limitandosi a dire: “mi preparo una borsa d’ acqua calda e me ne torno a letto”:

… lo ripeteva praticamente sempre, ma lo annunciava ogni volta come fosse un’ idea improvvisa…

E i bimbi cominciano a scoprire la vita annusando… la mamma…

… quell’ odore invitante e nauseabondo della sua biancheria intima…

Altrove, presso focolari più civili, i genitori mostrano invece “una severità esperta” e soprattutto non modificano il proprio atteggiamento una volta entrati in casa. Oltre a cio’, le mamme non giudicano i comportamenti dei figli solo in base agli effetti sui padri. Ma queste sono case in cui non si allestiscono nemmeno brande in sala da pranzo.

Una parola va spesa per la collocazione temporale della storia. La Munro ama i passati non troppo remoti, l’ ideale per far risuonare la nota melanconica che ha nelle corde. Qui, per esempio, siamo nell’ epoca in cui…

… i Sabati erano ancora un avvenimento…

 

I ragazzi si decidono a denunciare il loro macabro ritrovamento ma l’ operazione sfuma. E’ Bud, il più ciarliero, a mandare all’ aria tutto quanto. Quando lo sceriffo ancora sonnecchiante si alza in piedi dietro la scrivania, gli viene naturale rettificare l’ esordio preparato sostituendolo con queste parole:

… ha la bottega aperta…

Per poi scappare trattenendo una risata convulsa.

Mi è piaciuto molto anche il passaggio in cui i ragazzi interrompono discretamente il classico “sonnellino sul lavoro” dello sceriffo:

… la sua espressione impiegò un attimo per mettere a fuoco il luogo, l’ ora e le persone. Poi estrasse di tasca un vecchio orologio, come se contasse sul fatto che i ragazzini vogliono sempre sapere che ora è…

***

Nella seconda parte del racconto la badante Enid assiste la Sig.ra Queen (27 anni) fino alla fine dei suoi giorni.

puritan-woman

Mi sembra giusto dire fin da subito che Willens fu ucciso da Rupert, il marito della Sig.ra Queen, dopo essere stato sorpreso a fare lo sporcaccione con la moglie. Enid lo apprenderà dalla signora stessa che ricorda molto bene quel giorno:

… l’ odore dei vestiti zuppi di sangue bruciati nel camino dette alla signora un voltastomaco tale da indurla a credere che il suo star male iniziò da lì…

Ma andiamo con ordine: la Sig.ra Queen è una malata impegnativa:

… anche nel corso della conversazione più banale si mostrava enormemente esigente e tesa…

Per quanto nessuno dei due fece mai accenno a questo fatto, Enid ricordava bene Rupert, il marito della malata era stato suo compagno di scuola:

… quello era esattamente il sorriso che sfoderava Rupert al tempo del liceo, per difendersi da possibili prese in giro…

Enid e le sue amiche lo punzecchiavano continuamente; era per loro piacevole…

… guardargli il collo farsi rosso…

Perché allora volevano vederlo umiliato?

… solo perché avevano il potere di farlo…

Lui era al banco proprio di dietro e quando capitava che le appoggiasse un dito sulla spalla per richiamare la sua attenzione e chiedere un suggerimento…

… lei si sentiva… perdonata…

Ora l’ abbronzatura del contadino aveva preso il posto dei rossori.

Alle amiche di scuola è infine riservato il ricordo di un ricordo:

… successivamente ne aveva aiutate alcune a partorire in casa per ritrovarle piegate nella loro sicumera…

I rapporti con la malata. Enid, tanto per allentare la tensione, racconta alla Sig.ra come lei e sua madre se la cavassero benissimo anche senza uomini in casa…

… intendeva buttarla sullo scherzo ma non funzionò…

I malati vanno sempre presi un po’ in giro:

… crede forse che non abbia mai visto un sedere prima d’ ora?…

I malati hanno il vizietto di ripetere a voce alta quel che pensano che gli altri pensino:

… ma quando la farà finita questa qui?… quando potremo finalmente buttarla via come un gattino morto?…

Sapeste quanta energia preziosa sprecano i malati per inveire contro i sani! L’ acrimonia trasfigura la loro fisionomia e ce ne vuole prima che si sistemino sui binari della loro agonia.

… tornavano a galla antiche faide, vecchie rampogne e persino un castigo ingiusto subito settant’ anni prima…

Le tette della malata:

… piccole sacche vuote con due acini d’ uva passa come capezzoli…

***

Qui cade un inciso fondamentale dove si narra di come Enid dovette rinunciare al sogno della sua vita: diventare infermiera professionale. Mentre il padre moriva all’ ospedale di Walley, le disse con tono calmo e razionale (era un agente immobiliare): “non mi piace che tu possa lavorare in un posto come questo”.

… si era messo in testa che il mestiere di infermiera rendesse la donna volgare… la dimestichezza con la nudità maschile modificava una ragazza così come modificava la considerazione che avrebbero avuto gli uomini di lei…

Il Padre chiede dunque a Enid, già avviata in modo  promettente a quegli studi, di rinunciare.

Il carattere della madre di Enid è vividamente descritto riportando la sua reazione alla richiesta, non occorre altro:

… Eh dài. Tu promettiglielo. Che differenza vuoi che faccia?…

Enid la ritenne una frase sconvolgente ma non fece commenti, era coerente con il modo che aveva sua madre di vedere un sacco di cose.

Rinunciò agli studi dedicandosi unicamente ai moribondi (quello non poteva essere considerato un lavoro da infermiera):

… e così, senza intoppi di sorta, ancora giovane, scivolava dentro quel ruolo essenziale, socialmente cruciale, ma anche solitario…

E adesso, eccola lì la nostra Enid:

… impegnata a consumare la vita fingendo che non fosse così…

***

Il marito della malata, ovvero l’ assassino, è un contadino, uno che a furia di lavorare non riesce più a levarsi di dosso il sudore invecchiato:

… uno con cui ha senso scambiarsi solo frasi frettolose e esclusivamente di ordine pratico…

Per convivere con tipi del genere è necessaria la conoscenza di certi codici, fortunatamente Enid li domina:

… e lei gli chiedeva se avesse voglia di una tazza di tè… naturalmente lui rispondeva che non era il caso, e lei glielo preparava lo stesso intuendo che quella risposta poteva benissimo coincidere con un sì espresso secondo le buone maniere di campagna…

Guardandolo ora era davvero impossibile immaginarselo sottolineare con la penna rossa “l’ editto di Nantes” mettendoci accanto la nota N.B.

I sogni della protagonista in quel periodo – lei li chiamava “lerciume mentale” - sono squisitamente puritani:

… atti sessuali o tentativi di atti sessuali (talvolta impediti da intrusi o improvvisi cambi di scena) con partner assolutamente proibiti o impensabili. Grassi neonati, o pazienti fasciati da bende, o sua madre…

Si risvegliava restando nel letto come una carcassa vuota. Finché la vera Enid, con tutta la sua vergogna e la sua incredulità, tornava a scorrerle nelle vene…

Per la Sig.ra Queen si avvicina la fine; breve visita (indotta) del rude consorte alla malata:

… Enid pensò di eclissarsi sulla veranda ma faceva troppo fresco, temeva di sentire involontariamente discorsi intimi, magari l’ accenno di una lite…

Due giorni prima della morte, Enid è padrona della situazione:

… una meno esperta di lei l’ avrebbe creduta morta…

Il giorno pima:

… l’ energia tornò a fluire nel corpo della malata in quel modo innaturale e ingannevole… la signora volle sedersi appoggiandosi ai cuscini…

Il giorno della morte.

Una “badante terminale” sa sempre qualche giorno prima quale sarà il giorno della morte, ovvero:

… il giorno in cui verrà offerta dell’ acqua che non sarà più considerata…

Enid fece dormire le due bambine della moribonda di sotto:

… si ricorderanno per sempre di aver dormito quaggiù…

Ci si ricorda sempre di quando da piccoli si è dormito in un posto diverso dal solito. Per Enid era importante fare di quel giorno un giorno speciale.

Tra le immagini allucinate dell’ agonia anche quella del corpo di Willens appena reduce dal pestaggio ricevuto:

… niente tagli né lividi… forse era ancora presto… la roba che gli colava dalla bocca non era nemmeno sangue… era rosa…

Il giorno dopo la morte.

Enid annuncia che se ne andrà nel pomeriggio:

… ora che i parenti, sollevati dall’ imminente partenza di chi stava così saldamente al timone della casa, si sentivano con le mani libere, cominciarono a fioccare i complimenti…

***

Nel finale, Enid, ormai tornata a casa sua deve decidere se mettere Rupert di fronte alla sua colpa. Una decisione travagliata:

… girarsi nel letto e muovere il corpo le scombussolava tutte le informazioni che aveva nella testa… per cui cercava di farlo il meno possibile...

Enid sa benissimo che chi sbaglia deve essere punito ma soprattutto sa a memoria il perché:

… per quanto si sta male altrimenti dentro di sè… se fai una bruttissima cosa e non vieni punito stai peggio, molto peggio che se vieni punito…

Enid si prepara per tornare alla casa del vedovo:

… si puntò i capelli con una treccia e si mise la cipria… le parevano cose tanto superflue, quanto irrinunciabili…

La conversazione di Rupert è, come al solito, afasica:

… a bloccarlo, quella volta, era lo stupore più che l’ ostilità…

Il finale della storia è ambiguo ma prevale la sensazione che per la prima volta in vita sua Enid non abbia “dato corso alla Giustizia”. Il passaggio chiave da cui si evince tutto cio’ l’ ho già citato ma vale la pena di ripeterlo:

… quanti benefici potevano sbocciare dal suo silenzio… era in quel modo che si rendeva abitabile il mondo…

L’ ultima immagine che ci viene data di Enid:

… era scoppiata a piangere. Non per dolore, ma per l’ ondata di sollievo che nemmeno sapeva di aver cercato.

***

Il libro si chiude ma tante domande restano aperte. Qualche esempio.

Enid ha rinunciato definitivamente ad agire contro Rupert?

Penso proprio di sì, anche se il racconto si chiude con i due che ancora discutono.

Enid “rinuncia” a fare giustizia per un senso di colpa che risaliva ai tempi del Liceo? Oppure il suo inatteso “lassismo etico” è una scelta a tutela delle figlie di Rupert?

Penso proprio di no. Enid vuole rompere l’ ossessione per la “schiena dritta” e la “rettitudine inflessibile” che le viene dalla sua cultura puritana: cio’ che ha rovinato la sua esistenza non deve fare ulteriori danni.

Potrei proseguire, ma ce n’ è già a sufficienza per una seconda lettura in cerca di conferme e/o rettifiche sulle ipotesi formulate.

***

Per chiudere due parole sull’ autrice, che poi sono due parole sull’ eterna questione delle genealogie.

C’ è un lato “mostruoso” nelle eroine della Munro, per questo mi è venuto da evocare le stramberie di Flannery e le ossessioni di Lars. Ma sarebbe una genealogia sbagliata poiché dimentica una figura di riferimento come Henry James. L’ omaggio al romanziere americano si sostanzia innanzitutto nella qualità enigmatica dei racconti: li leggi con la sensazione che presto o tardi qualcuno ti metta al corrente di notizie sconcertanti (e per un lettore è una sensazione piacevole). Poi c’ è la nota melanconica della voce narrante che sembra dire a ogni rigo: il tempo che passa lascia di te sempre qualcosa in meno e mai qualcosa in più.

 

 

 

martedì 6 novembre 2012

Brucia l' uomo nell' inutile valva di bellezza- Le poesie di Giovanni Testori.

Con un canto chiuso e disperato si rivisita il nulla che ci ha amato. I posti innanzitutto, prediletti gli angoli umidi di orina. Le persone poi, prediletta la madre che cuce e tace in cucina.

E non dimentichiamo la valenza didattica: un ottimo esempio di realismo non naturalista che offre un' ottima occasione per indagare la differenza (mai capita, a scuola) tra i due concetti.



Qui Testori si commuove ascoltando Leo Ferré che musica una sua poesia.


martedì 24 aprile 2012

Il giornalista come nemico pubblico numero uno

Se getto la maschera e metto al bando ogni forma di cerchiobottismo ipocrita, non posso limitarmi a dire che il mondo dei media e dell’ informazione politica sia inquinato da evidenti faziosità, devo andare fino in fondo e precisare che è fazioso perché pencola vistosamente “a sinistra”.

Qui, da noi, come ovunque nel mondo occidentale.

Ora, come sempre. (*)

E penso che la sensazione sia condivisa da qualsiasi liberale degno di questo nome, nonché da qualsiasi persona di buon senso che si sottoponga ad un minimo di introspezione credibile.

Senonché, quantificare lo sbilanciamento è alquanto difficile, come si fa?

Il tentativo più articolato di procedere a una misurazione lo si deve a Tim Groseclose, i risultati di un lavoro durato anni sono in parte prevedibili: la distorsione esiste; e in parte sorprendenti: è molto più ampia di quel che ci si dava per scontato.

Nel fuoco della lente c’ è l’ informazione a stelle e strisce: per farsi un’ idea su come siano messe le socialdemocrazie europee basta moltiplicare le distorsioni rilevate per tre o per quattro (ciascuno scelga il fattore amplificante che preferisce).

Inutile entrare qui in noiosi particolari, mi limito ad un indizio che parla da sé:

… the bias shouldn’t be surprising given the political views of reporters… Surveys show that Washington correspondents vote for the Democratic candidate at a rate of 85 percent or more… Studies of contributions to presidential campaigns have found that more than 90 percent, and as many as 98.9 percent, of journalists who contribute to a  presidential campaign give to the Democratic candidate…  that mean residents of left-wing academic communities like Cambridge, Mass. and Berkeley, Calif. are, on average, much more conservative than Washington media correspondents…

Sembra incredibile ma è così: in fatto di predisposizione alla partigianeria si puo’ persino far peggio rispetto all’ accademia saldamente in ostaggio dal politically correct. E sono proprio i giornalisti a riuscire nell’ improba impresa.

Il “cane da guardia” sembra allora abbaiare a comando:

newspaper

… cani e vecchie riviste…

Ok, ma questa potente distorsione alla fin fine conta davvero? Cambia le nostre vite?

Sì, risponde a sorpresa TG: Obama non sarebbe nemmeno stato eletto senza la spinta dei media schierati a suo favore in modo tanto squilibrato.

Francamente, lo ammetto, ero convinto del contrario; mi tocca dunque rettificare la posizione originaria a cui, per altro, ero tanto affezionato? E perché no? In fondo non farei che seguire le orme di TG, il quale si è rivelato su questo punto abbastanza onesto: data changed his mind.

D’ altronde basterebbe l’ acume di un Tolstoj qualsiasi per capire come si formano le opinione politiche nella testa di persone pur sempre consapevoli e persino di una certa levatura:

… si atteneva fermamente alle opinioni a cui si attenevano la maggioranza e il suo giornale, e le cambiava solamente quando la maggioranza e il giornale le cambiava, ovvero, per dir meglio, neppure le cambiava, ma inavvertitamente cambiavano esse in lui

… non sceglieva né le tendenze, né le opinioni, ma queste tendenze e opinioni venivano a lui, esattamente come egli non sceglieva la foggia del cappello o del soprabito, ma prendeva quella che si usava portare…

… avere delle opinioni, per lui che viveva in una certa società, posto il bisogno di una certa attività del pensiero che solitamente si sviluppa negli anni della maturità, era altrettanto necessario che avere un cappello…

… se pur v’era una ragione per cui preferiva la tendenza liberale a quella conservatrice, alla quale pure si attenevano molti del suo ambiente, questa non stava nel fatto che egli trovasse più ragionevole la tendenza liberale, ma perché essa si confaceva di più al suo modo di vivere. Il partito liberale diceva che in Russia tutto andava male ed effettivamente… lui aveva molti debiti e decisamente difettava di denaro… il partito liberale diceva che il matrimonio era un istituto superato e che era necessario riformarlo, ed effettivamente la vita familiare gli procurava poca soddisfazione e lo costringeva a mentire e a fingere, il che repugnava alla sua natura… Il partito liberale diceva, o meglio sottintendeva, che la religione era solo un freno per la parte barbara della popolazione, ed effettivamente lui non poteva sopportare senza aver male alle gambe neppure un breve Te Deum…

Ce n’ è abbastanza per convincersi dei danni potenziali del cosiddetto “media bias”: il principale sovvertitore della vita pubblica – oggi - sarebbe dunque la masnada di Gruber e Costamagna che, circonfuse dall’ hubrys dell’ informazione, ci inseguono come baccanti per “notiziarci” a dovere… e con un Feltri che segue ramingo a distanza.

Mi sembra una posizione degna di essere considerata: la presenza vociferante di una classe di giornalisti consente di barare al gioco democratico in modo socialmente rispettabile. 

Per ora lasciatemi ancora credere che sia il “sindacato politicizzato” la lebbra più tignosa che ammorba la vita politica, ma l’ azione pervertitrice del “giornalismo” non andrebbe comunque sottostimata.

Soluzioni

1. Censura? A un liberale ripugna. Punto.

2. Disclosure? E’ la soluzione per cui simpatizza TG ed è adottata da alcune riviste (Slate, per esempio). Non la vedo molto praticabile.

3. Depotenziare l’ ideologia facendo pesare di più gli interessi. Ci sono molti modi per farlo; per esempio, tanto per stare d’ attualità, azzerando il finanziamento pubblico ai partiti. Chi teme questa via la presenta come il bau bau: “solo i ricchi potranno fare politica”, e invece chissà che non sia un fattore in grado di raddrizzare le storture provocate dall’ informazione. Si coglierebbero due piccioni con una fava.

 

(*) Lo so che così dicendo vengo a mia volta considerato fazioso; cerco allora di rifarmi una verginità dicendo, per esempio, che, a mio avviso, la corruzione alligna di più a destra. Contenti?

(**) Fonti nobili d’ ispirazione:

- Tim Groseclose – A mesure of media bias.

- Lev Tolstoj – Anna Karenina.

Fonti ignobili d’ ispirazione:

- L’ Infedele di ieri sera (ma uno a caso va bene lo stesso).

venerdì 23 marzo 2012

Conati maccheronici

Carlo Emilio Gadda – Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.

Un immagine che s’ impone…

… quella del nodo, del groviglio, del gomitolo… dello “gliuommero”… ma anche, perché no?, la Cattedrale incompiuta…

gadda

… tra le categorie mentali dell’ Autore…

… ve n’ era una curiosa… quella del fico secco… comprendeva tutto cio’ che è arido, ingeneroso, rattrappito…

… paradigmi sul rigo gaddiano…

… procede con spostamenti spastici, tra una sincope e un’ apoplessia maccheronica, non racconta in linea retta ma finge di perdere il filo… lo scopo è quello di minare lo schematismo cachettico delle idee seriose facendo ricorso alle armoniche sapienti del romanesco…

Filosofia di fondo:

… sentita vocazione antiaccademica e diffusa sfiducia nella lingua codice…

Veniamo ora al romanzo. Innanzitutto, strano finale:

… il romanzo deve considerarsi letterariamente concluso poiché il commissario capisce chi è il colpevole… e questo anche se il lettore non capisce o non capisce che lui capisce… [cio’ non toglie che l’ autore si irritò ferocemente con Garzanti il quale osò apporre la parola Fine in conclusione del volume]

Sul Gran Lombardo, il marchio manzoniano…

… facile da rinvenire in quell’ amore istintivo per il formicolio della vita…

A pag. 2 entra il protagonista…

… con quel suo fare un po’ tonto come di persona in combattimento contro digestioni laboriose… l’ abbigliamento tradiva una paga statale…

… le laconiche sentenze del commissario…

 

… rivivevano poi nei timpani della gente a distanza di ore, di giorni, di mesi, dall’ annunciazione: come dopo un misterioso tempo incubatorio…

… ragazze che passano per la via…

… co’ la treccia appennollone…

… appunti mentali sulla servetta…

… dal di lei collo, ancora piuttosto lungo sotto la capigliatura, veniva fuori quella vocina fatta di sì e di no, come le poche note del lamento di un clarino…

… presagio…

… Ingravallo notò che due o tre volte, a mezza voce, aveva detto mah… chi dice mah cuor contento non ha…

… un attimo prima dell’ annuncio…

… Don Ciccio stava per vedere il fondo dell’ ultimo per così dire calice – un cinque anni bianco extra secco ora del Cavalier Bianchi Empedocle & Figlio, Albano Laziale, da sognarseli perfino in questura, il vino, il bicchiere, il Padre, il Figlio e il Lazio… – e quando il bianco secco ancora gli titillava il velopendolo, lei parlò…

… convenevoli…

… “dottor Ingravallo” bofonchiò Ingravallo spiccicandosi appena dalla sedia, e stringendo quasi a malincuore, la mano che quello gli porgeva…

… presentimenti…

… una voce… una voce poco fa già gli sussurrava in cassa, nella cassa, non sapeva neanche lui se del cervello o del cuore…

gaddaa

… un’ occhiata alla casa…

… e quella zuccheriera d’ argento memore delle vacche grasse… con una ghianda d’ oro e due foglioline d’ argento sul coperchio. Già: per tirarla su.

… l’ offerta…

… accettò una polputa sigaretta dal Balducci (che gli squadernò il portasigarette d’ oro sotto il mento con un tatràc repentino)…

… ingresso in sala da pranzo del quadrupede…

… fece solo una carezzaccia alla canina: che da quei béf béf così stizzosi, cattiva!, trascorse a dei ringhi decrescenti, come d’ un temporalino in ritirata, al fine si chetò…

… arrivano ospiti…

… l’ annuncio un po’ canoro un po’ pecoraro dell’ Assunta nascondeva un rossore sottocutaneo impercettibile…

… dopo la disgrazia, l’ immancabile folla dei curiosi…

… un portalettere in istato di estrema gravidanza, più curioso di tutti, dava, della sua borsa colma, in culo a tutti: che borbottavano mannaggia, e poi ancora mannaggia, mannaggia, uno dopo l’ altro, man mano che il borsone provvedeva a urtarli nel didietro…

… non solo bipedi…

… torno torno, un barboncino bianco scodinzolava eccitato e de tanto in tanto… stritolato dalle relatrici… abbaiava puro lui: il più autorevolmente possibile…

… i Bottafava…

… avevano gridato “al ladro, al ladro” per primi ed esigevano ora adeguato riconoscimento… lui nell’ inseguimento (per la verità appena accennato) aveva anche estratto un grosso revolver che volle esibire chiedendo spazio agli astanti…

… verbalizzare le testimonianze…

… omise i “Gesù”, “Gesù mio bello"! “Sor commissario mio”… e altre interiezioni-invocazioni di cui la “signora” Manuela Petacchioni non tralasciava d’ inzeppare il suo referto…

… la derubata…

… un tono languido in tutta la traumatizzata persona… un négligé un po’ imprevisto tra giapponese e madrileno… un baffo bleu sul volto piuttosto vizzo… la pelle pallida come d’ un geco infarinato… e poi…un sottointeso: “una donna sola ha sempre paura ad aprire”…

… donne & armadi stagionati…

… come tutte le donne sole in casa, trascorreva le ore in stato d’ angustia, o perlomeno di dubitosa e tormentata aspettativa… da un po’ di tempo quel suo perenne pavore nei confronti del trillo del campanello s’ era intellettualizzato in un complesso d’ immagini e figurazioni ossedenti: uomini mascherati con suole di feltro ai piedi… irruzioni repentine per quanto tacite in anticamera… vittima già ipotecata con allegate eventuali “sevizzie”… parola questa che la riempiva di indicibili orgasmi contrastanti… con il commento di un batticuore per un crac improvviso, nel buio, di un qualche armadio più stagionato degli altri… il pensiero dominante, a ogni trillo, soleva coagularsi in quel “chi è”, belato o raglio abituale di ogni reclusa… il suo patema testimoniale ci mise davvero poco a deflagrare in epos… concluse la testimonianza che soffio’ il naso trombettando come una vedova…

… caldaie de Roma…

… la sacra fiamma d’ ogni impianto termico, a Roma, si estingueva a Marzo alle Idi, ma talvolta addirittura a le none quando non a le calende… negli inverni doppi a epilogo protratto… come fu quello del ventisette, la si alimentò per tutto il mese e la si lasciò smorire d’ un prolungato languore… non senza accademia e diatriba fra casigliani opinanti, roboanti, fra i volenti e i nolenti, gli squattrinati e i quattrinosi, fra micragnosi e scialacquatori…

… il reticente…

… er sor Filippo, alto, scuro a soprabito, co la panza un po’ a pera e le spalle incartocchiate e un tantinello pioventi, di viso tra impaurito e malinconico… e in mezzo un nasone alla timoniera da prevosto che doveva fare le gran trombe del Giudizio a soffiallo…

… i passi dell’ assassino…

… impercepiti dal passante distratto o che va di prescia…

… in calce…

… quell’ orribile e interminabile garbuglio della firma…

… congedo del testimone… la Petacchioni lascia la questura…

… sommovendo er culo come na’ quaja e ticchettando in difficile equilibrio sui tacchi delli scarpini boni… come una scrofona su quelli zoccoletti che cianno…

… la mezza…

… sopore d’ ufficio…

… il gentile clima del Cacco…

… un odorino sincretico, come di caserma o del loggione der teatro Jovinelli… tra d’ ascelle e de’ piedi… ed altri effluvi ed olezzi più o meno marzolini, che era una delizia annasalli…

… confessione…

… abbandonatosi a quella specie di logorrea a cui si danno vinte certe anime in pena…

… profonda malinconica nota…

… o cor mappamondo in aria, inchinate a soffiar er naso a un pupetto, o a toccà si s’ è bagnato: che è propio allore che je se vede er mejo… a la serva… tutta la salute sua…

… entra la coppia…

… la sposa, povera pupa, arrivò co’ lo sposo, preceduti da na’ panza come una mongolfiera a San Giovanni… lei arrossì, abbassò gli occhi sul ventre come l’ Annunziata quanno che l’ angelo se mette a spiegaje tutta la faccenda…

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… il Roma-Napoli nella campagna laziale…

… sopraggiunge con vivido terrore delle galline di guardia… il locomotore circondato da lividi lampi sul pantografo, alle sospensioni e ai giunti… e dietro tutto il fragore iterato, iterato ad ogni assale… da svellere ogni ago degli scambi… con quelle che seguitavano a starnazzare… levandosi a volo… strangullandosi ne’ loro straziati vocalizzi, regalando bianche piume al vortice…

… veduta suburbana…

… carovane bianche di nuvole trascorrevano a mezzo marzo nel cielo da nullo reale perseguite… anche loro però c’ era chi s’ incaricava d’ uncinarle… ed erano le vette argentate delle antenne… come punte di pettine di carda un’ ovatta… nel vello del fuggente niveo gregge…

… panino in trattoria a li castelli…

… col rosbiffe a comodo divano per fette di mortadella lì morbidamente adagiata in fette alterne a opera dei diti peritissimi e paffutelli del Maccheronaro: che le tegumentò alfine, un colpo d’ occhio a collaudo, uno a congedo, del pre-resecato, pre-accantonato, tetto o coperchio (er mezzo sfilatino de sopra): sporgendo lui er labbro sotto, ma un millimetro appena: intanto che la pappagorgia compressa e per così dire appiattita contro il colletto… finì per nascondergli tutta la cravattina di primavera, a farfalle… con piselloni verdi… la torpediniera d’ alto mare fu varata e porta con labbro sporgente al diletto cliente… “semo o non semo”… parve significare lo sguardo… il cliente mise il dente indove si meritava di metterlo… dopo un paio di mozzichi la bocca prese a somigliare a una molazza… nun ce la faceva a risponne… si quercune je domannava, quello girava gli occhi, due occhioni tonni tonni… co’ l’ aria d’ avé capito…

… il dottò medita il caso anche fuori orario…

… mandò giù qualche boccone alla meno peggio, cor capoccione sur piatto… di quelli spezzatini de muscolo de caucciù… il demone della “ricostruzione dei fatti” gli martellava sulle tempie… amoroso bersaglio d’ alcuni “ma che c’ è stasera dottore?”… della impareggiabile padrona tutta in ansie, in premure: che non finiva più di roteargli attorno, a lui, al servito…

… hop, hop…

… il cavallino, in discesa, dopo aver contrastato col culetto magro le strappate del biroccio… che gli sopravvennero sulle chiappe come schiaffi del mare sull’ arena… puntò le zambe sul sodo della strada senza più levarle… ormai spento, sdrucciolò un tantino… rivolgendo appena alla tirata di redini il capo… che sembro significare “acci tui e de tuo nonno in carriola… propio adesso che annavamo così bene”… nel frattempo sopraggiungeva il Pestalozzi con si poco fluente veicolo: una bici che era na scatola de musica… un cro cro ne li mozzi… pareva na machina per sgranocchià er torrone…

… boschi lontani…

… da un leccio alla scure superstite giungeva il disperato dittongo del chiù… e come appello intermittente, l’ implorante giambo del cucù…

… arrivo in cascina…

… furono accolti dai furibondi latrati d’ un bastardaccio di cui quasi non si vedevan gli occhi… ma i denti radi e canini con paura… tant’ era irsuto… mezzo spinone, mezzo maremmano, mezzo fottut’ in gulo… ma per buona sorte a catena…

… zuffa tra le belle di notte…

… sei una mignotta… una spia… disse in un sudor diaccio… smaniosa che il litigio non avesse fine… con un tentato bisbiglio che gli riuscì granuloso di catarri… guardando oltre le punte delle orecchie del cavallo… che gli servivano quasi da mirino per inquadrare il nulla della campagna…

… il mondo percepito dalla cameretta…

… raggiunta in una sonnolenza rischiarata da brevi lampi… tra un battere e l’ altro del sangue agli orecchi… raggiunta dal verso della moto del maresciallo… quelo grosso… la si udiva sparacchiare in lontananza un po’ per tutto lungo strada e stradina… e fremere ai passaggi chiusi indispettita in un corruccio…

… collina romana…

… i diedri delle case la coronavano al sommo… in basso, i popolati paesi… il tramme e la via consolare…

… zone franche in caserma…

… quelle stanze ove si esplicavano al meglio le tecniche ciondolatorie e distratte… quando che si liberano quei sbadigliacci che magari girano per ore nella gola… come leoni in gabbia…

… fancazzisti al mercato…

… esprimeva il suo dinoccolato ottimismo sufolando in sordina… atteggiando appena i labbri… o sostando chiotto chiotto… le mani in tasca e la gobba infreddolita sotto il pastrano… un pastranuccio da mezza stagione fasulla… contribuiva all’ immagine da bellimbusto assonnato in cerca di una cicca da poté fumà…

… banchi…

… pervenne alfine al reame di Tollo e Anco dove adagiate sul tagliare, prone, più raramente supine o addormitesi di lato, le porchette dalla pelle d’ oro esibivano i lor visceri di rosmarino e timo…

… consigli per gli acquisti…

… la porca, la porca, signore c’ avemo la bella porca d’ Ariccia co’ n bosco de rosmarino in de la panza! Co le patatine de staggione! (la stagione se la sognava lui, erano le patate vecchie fatte a pezzi tutte puntolini di prezzemolo… inficiate nella grascia de la porca…)…

… l’ arresto tra le massaie…

… gli si erano rizzati ai fianchi du figuri, du tipi de pizzichini un ber po’ più scuri de lui… uno de qua, uno de là, come i silenti gendarmi che Pulcinella percepisce dopo un po’ in uno sgomento improvviso… “la porca, la porca” sì la porca ho capito, pareva dire a se stesso mentre abbassava la voce “a por-ca” sillabò esangue “a por…” e quel po’ di fiato gli smoriva in gola come la fiamma d’ un moccolaccio quanno sbava cera e se strugge tutto in un lago de puzza cor codino fritto nel mezzo…

… buongiorno!…

… quando il trillo iracondo si sganciò tutt’ a un tratto nel silenzio della casa addormentata, erompendo inatteso da quel pataccone della sveglia semovente sul marmo (del tavolino) ad annunziare le nuove grane del giorno, ecco che due picchi ad uscio della padrona, discreti, autenticarono l’ ammonimento furioso dell’ imbecillissimo…

… abluzioni…

… si rigrattò il testone, si appressò alla vaschetta, e dato libero corso alle linfe s’ insaponò il naso e la faccia, il collo e le orecchie. Sgrullò il parruccone sotto il rubinetto alto del lavabo, con quei soffi e quele strombate de naso come di foca venuta a galla dopo mille rigiri sott’ acqua… ch’ ereno ogni mattina dar bagno “occupato” l’ indizio indefettibile della sua presenza…

… di traverso…

… lo prese uno strangullone, si fè paonazzo nel volto: le briciole nella trachea… a momenti sparava tutto dal naso… carbonchioli e caffelatte…

… auto di servizio…

… filò come poteva, coi budelli che abbottavano, benché molli molli, e al primo sasso che intrupparono ciavevano già voja de schioppà: la frizione facva caràche ad ogni svorta de strada, a ‘gni cane che se metteva davanti… in Via Giovanni Lanza tancheggiò e rollò nelle pozze per cento metri… imbattendosi in cunette non ancora verbalizzate dal Touring…

… a rapporto…

… si mise in ascolto dopo una battuta non sùbita e piuttosto molla dei tacchi…

… irruzione nelle baracche…

… “Polizia, vente a uprì… dovemo entrà”… ragazzi, polli, donne, du cagnoletti bastardo cor codino arrotolato in alto, a pastorale, che je scopriva tutta la bellezza: non finivano più di guardare, d’ abbaiare, du occhietti neri stupiti con la meraviglia nei volti… nelle gronde non vea canala, né parato alcuno detta “mantovana”… scheccherarono le dissennate galline…

… vassoio d’ entrata…

… fu introdotto tutto il rognoneggiante sincretismo di una portata di capretto…

… il morituro…

… una faccia ossuta e cachettica posava nel cuscino… nell’ immobilità rugosa dei fossili… d’ un giallo bruno da museo egizio… la quiete spenta della sua guardata si opponeva agli eventi straniando quel volta d’ atzeca… un lezzo ivi di panni sudici e di persone poco lavabili e poco lavate… di feci male accantonate nella degenza…