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martedì 16 marzo 2010

Nostalgia delle passate stitichezze

Quanti musici girano oggi tecnicamente dotati quanto Mendelssohn? Legioni.

Quanti poeticamente al suo pari? Un' infinità. Anzi, due.

Naturalmente nessuno "riscrive" le sinfonie di Mendelssohn, si sentirebbero e sarebbero bollati come manieristi marcescenti. Da quei talenti così amorosamente coltivati ci aspettiamo l' arte del nostro tempo senza che si perda tempo in sterili esercizi.

Ma sul punto non insisto oltre, è impossibile dire se Pierre Boulez, o Morton Feldman, o Barry Guy, o george Lewis, o Charles Mingus, o... abbiano prodotto "più o meno bellezza" rispetto a Mendelssohn. Mi basta rilevare il rapporto numerico di 1:1000.

Anche perchè la reale differenza rispetto al passato la fa la diffusione: la società dei consumi ci ricopre di "bello" doc per il modo geniale in cui lo "trasporta".

Taglio la testa al toro con un quesito: l' amante del bello preferirà nascere oggi o coevo di Mendelssohn?

Sciagurata colui che sceglie la seconda opzione!

Se proprio il suo animo delicato non riesce a penetrare l' arte di Tim Hodgkinson, se proprio non ce la fa a capire che Cornelius Cadrew è un ottimo sostituto di Mendelssohn, con pochi euro puo' tenersi in casa tutte le sinfonie del venerato Idolo eseguite in modo fantastico e ascoltabili tutte le sere.

Miracolo? No, società dei consumi. Fine del discorso.

Vediamo ora quei campi in cui la semplice tecnica non fa finire tanto brutalmente il discorso.

Moby Dick? Capolavoro.

Ma mi vengono in mente almeno un centinaio di libri del novecento al suo pari. Se ci penso ancora un po' me ne vengono in mente altri 100, ne sono certo. Riflettendo trenta secondi sugli ultimi anni sono a quota 15. Tutti libri a cui manca quel centinaio di pagine di troppo che c' è in Moby Dick e che spero salterai indirizzando in modo più proficuo la tua sete di bellezza.

Nell' ultimo anno, tanto per mantenere il mare come scenografia, l' afflato epico, e la potenza poetica basterebbe l' antillano Derek Walcott. Oppure l' australiano Les Murray. Oppure... Sono prodotti letterariamente molto più sofisticati rispetto a Melville, ma altrettanto d' impatto.

Più sofisticati e ricercati? Ma è ovvio! Ascolta Harold Bloom: i grandi del passato sono grandi per il valore genealogico della loro opera prima ancora che il valore assoluto. Dunque i nostri sono nani sulle spalle di giganti? Direi nani su una colonna smisurata di nani con qualche gigante qua e là. Sta di fatto che sono nani altissimi ma soprattutto nessun gigante è tanto alto quanto il nano che si siede sulle sue spalle. E nani del genere per nostra fortuna proliferano come formiche al campeggio.

Anche qui basta schioccare le dita. Miracolo? No, società dei consumi.

Ri-fine del discorso.

Ultima perplessità da fugare: di fronte all' evidenza, come spiegare la posizione del "pessimista culturale" (pc).

Cowen cita i tre bias cognitivi del pc. Ho fretta, c' è troppa bellezza in giro e rischio di perderla, lascia che dedichi un rigo per ogni centuria di pagine:

1. Il pc ama cio' che gli hanno insegnato ad amare e cio' che ha imparato ad amare. Nel giudicare, poi, non tiene conto di questo fatto elementare. Premessa finale: imparare costa.

2. il pc confronta il "meglio" del passato - l' unico dato a disposizione - con il "complesso" dell' oggi. Mele con Pere, insomma. Non dategli addosso, non ha alternative. Vedi punto seguente.

3. Il consumo della cultura contemporanea è inefficiente: procediamo a tentoni, perdiamo tempo, non sappiamo dove stia il meglio. Per il passato la pappa è pronta, mille inteligenze ce l' hanno per-masticata.

C' è poi il pessimismo culturale degli artisti: la concorrenza furibonda rispetto al passato è davvero scocciante.

c' è il pessimismo culturale dei marxisti (Scuola di Francoforte): siccome a New York non spuntano i Soviet, ecco che a New York fa schifo tutto, produzione culturale compresa.

C' è il pessimismo culturale dei religiosi: siccome NY è secolarizzata, a NY tutto è demoniaco.

C' è il pessimismo culturale dei conservatori: siccome la società cambia e non sta ferma mai, il cambiamento imbarca solo schifezze e degrado.

C' è il pessimismo culturale dei multiculturalisti: siccome il darwinismo culturale s' inghiotte intere "culture", le digerisce e le restituisce irriconoscibili, allora non è abbastanza "culturale".

C' è il pessimismo culturale delle elite: siccome la cultura si diffonde troppo, allora fa schifo per definizione (è la posizione consueta di chi batte cassa).

Ci sono tanti pessimismi culturali, tutti frutto di una logica fallace con i fatti che se ne vanno per conto loro completamente trascurati.

***

Ma su una cosa posso essere d' accordo. La nostra capacità di assorbire bellezza potrebbe essere limitata. Averne troppa a disposizione potrebbe dunque produrre solo effetti negativi: costo opportunità e costo di concentrazione.


Ecco l' unica via per arrivare alla meta agognata, ovvero per rimpiangere la stitichezza del passato.







giovedì 4 marzo 2010

Gli incontentabili

"... le musiche atonali e seriali sono ulteriori segnali della divisione del lavoro produttivo presente in tutte le società avanzate. Il mondo è divenuto così ricco e differenziato che alcuni compositori creano della musica che piaccia solo a persone con un senso molto particolare e raffinato. Un gruppo talmente sparuto ed elitario che prima non poteva essere "radunato" e soddisfatto senza costi iperbolici. Questo è il modo migliore di pensare a molte forme artistiche che magari detestate..."

Tyler Cowen

venerdì 15 febbraio 2008

Il potere della musica...brutta

Non solo Reagan e Wojtyla

"...Come Savonarola fu tra i più sensibili ricettori della grande arte fiorentina, allo stesso modo la burocrazia Sovietica produsse alcune sottili analisi della musica rock. Costoro capirono perfettamente le implicazioni di una musica che a loro appariva pro-capitalista, pro-commerciale, pro-individualista, pro-consumista e ostile al controllo sociale tanto auspicato dall' apparato socialista.

In Cecoslovacchia, il governo di allora concluse che il punk-rock non era altro che uno strumento manipolativo attraverso cui le società capitaliste istillavano il proprio messaggio nella gioventù rossa. E, infatti, i cittadini oppressi che amavano il punk rock erano anche quelli che più agognavano a stili di vita tipici dell' occidente. Il ruolo chiave della musica rock nel diffondere le idee del blocco capitalista fu confermato a posteriori da molti dissidenti.

John Lenon, che si auto-proclamava un collettivista, in realtà fornì una delle più formidabili campagne a favore del sistema economico in cui viveva. D' altronde è noto, e non è un' ironia, che nelle catene dei magazzini Nordstrom venisse fatta ascoltare ai clienti per invogliarli all' acquisto, una versione Muzak del supposto inno "comunista" di Lenon, Imagine.

Chi vede nero giudica la musica classica come portatrice di robusta salute culturale e il rock come prodromo al collasso sociale. Eppure i fatti suggerirebbero l' opposto. Le radici della musica classica, il genere favorito da chi scorge nella modernità solo la parte più degradante, affondano in quelle società che più tardi, nel XX secolo, ci regalarono il Nazismo e la seconda guerra mondiale. Sarebbe assurdo incolpare Mozart o Mahler di aver creato inconsapevolmente un Hitler, sta di fatto che non si vede alcun solido legame tra il diffuso supporto nei confronti della musica classica e la salute culturale di una popolazione. In realtà sappiamo pochissimo intorno alla musica più appropriata per fornire solide basi sociali. Sappiamo tuttavia che una società consumistica e libera offre terreno fertile alle musiche centrate sull' interprete e sul suo talento (rock, jazz...), fenomeno visto sempre con sospetto laddove il controllo sociale è molto più stringente..."

Tyler Cowen, In Praise of Commercial Culture.

lunedì 11 febbraio 2008

Finanziare l' arte e la cultura

Un occhio alla storia:

"...il mercato talvolta fallisce nell' individuare gli artisti che meritano, ma un' economia ricca, presa nel suo insieme, compie meno fallimenti rispetto ad un' economia povera nel proferire i suoi giudizi estetici. Un' economia ricca mette a disposizione degli artisti diversi canali attraverso cui finanziarsi. Fondazioni private, Università, fondi familiari e anche il lavoro ordinario. Jane Austen visse traendo i suoi fondi dalle ricchezze di una famiglia benestante, Rliot lavorò presso i Lloyd, James Joyce insegnava lingue, Paul Gauguin accumulo un capitale cospicuo attraverso la sua attività di agente azionario, Vharles Ives fu un amministratore assicurativo, Vincent Van Gogh fu supportato dal fratello commerciante, William Faulkner lavoro presso un impianto di produzione energetica e più tardi come sceneggiatore a Hollywood, Philip Glass conduceva il suo taxi a New York. Williams Carlos Williams lavorava come medico a Rutherford, NJ, e scriveva i suoi poemi tra una visita e l' altra. Wallace Stevens, poeta americano, intraprese una carriera a tempo pieno nel ramo assicurativo. declinò anche l' offerta di una cattedra di poesia ad Harvard pur di non compromettere la sua posizione lavorativa. Ma spostiamoci nella Francia del XIX secolo, molta ricchezza "borghese" finanziò l' arte anti-establishment. i fondi di famiglia, quasi sempre originati da attività commerciali, aiutarono, perlomeno nella prima parte sella loro carriera, personalità come Delacroix, Corot, Courbet, Seurat, Degas, Manet, Monet, Cezanne, Toulouse-Lautrec e Moreau, ma anche Baudlaire, Verlaine, Flaubert. Per non parlare di Proust, che potè segregarsi per curare la sua opera grazie alla ricchezza borghese dei suoi parenti, perlopiù originata dalla borsa di Parigi. Gauguin lasciò la Francia per Thaiti ma non smise mai di autopromuoversi insistentemente e dalle isole monitorava con assiduità il crescente valore delle sue opere a Parigi. I bohemien, le avanguardie e anche i nichilisti sono in gran parte il prodotto della società capitalista, costoro hanno perseguito forme di libertà e creatività concepibili e possibili solo in un mondo ricco come quello moderno. In passato gli artisti non agognavano certo la vita da bohem cercando invece il profitto anche in modo smaccato. L' artista rinascimentale, per esempio, era innanzitutto un uomo d' affari. Produceva per profitto personale, firmava contratti e non esitava a rescindergli qualora non trovava più convenienza nel suo lavoro. benvenuto Cellini affermava che "...lavorerei per chiunque mi pagasse bene...". Bach, Mozart, Haydn e Beethoven erano tutti ossessionati dal guadagno, come si evince dalla lettura della loro corrispondenza. Persino Chaplin alla consegna degli Oscar ebbe a dire: "...cominciai per denaro e alla fine l' arte crebbe da sè..."

TC in PCC p. 17-18.