Non trovo convincente chi ricerca le radici del terrorismo islamico nella povertà economica. I terroristi provengono in genere dalla classe media o al più medio-bassa. Chi ha ruoli di comando è di solito istruito (soprattutto facoltà scientifiche) e appartiene a famiglie agiate. Molti terroristi, poi, provengono dall’ Arabia Saudita, un paese con un welfare generoso sempre a disposizione dei suoi cittadini più in difficoltà.
Con questo non voglio dire che le condizioni materiali siano irrilevanti, contribuiscono pur sempre ad alimentare una frustrazione di fondo, tuttavia l’elemento spirituale mi sembra pesare molto di più sulla scelta terroristica.
Altri rinvengono nella natura della religione islamica una componente decisiva per spiegare il fenomeno. Anche in questo caso nutro qualche dubbio.
E’ pur vero che Maometto fu a capo di una milizia e che una buona parte del Corano, essendo scritta in quella fase della sua vita (Corano di Medina), pullula di riferimenti alla violenza legittima contro l’infedele. E’ anche vero che il Corano non ha mai conosciuto una riforma paragonabile a cio’ che i Vangeli o il Vaticano II sono stati rispettivamente per l’Antico Testamento e la Chiesa Cattolica. Tuttavia, c’è un elemento che mi lascia perplesso: la gran parte dei terroristi è semplicemente ignorante in materia religiosa. Certo, parliamo pur sempre di musulmani praticanti, ma spesso siamo di fronte a conversioni recenti e a dir poco frettolose, a vite precedenti spese, quando va bene, in un’osservanza superficiale ed estemporanea delle norme religiose. Anche per questo i terroristi sono sempre alla ricerca di Ulema radicali che sappiano predicare la Jihad avendo un’infarinatura accettabile dei sacri testi.
A questo punto è legittimo chiedersi quale sia la relazione tra Islam e terrorismo islamico. Per spiegare meglio l' ipotesi che privilegio descrivo in astratto e in modo grezzo il processo attraverso cui si diffonde una religione.
Una cerchia ristretta di fedeli comincia a credere a certe Verità e sacrifica molto di sè in loro nome. Il tentativo di metterle a punto in modo ordinato e coerente si ripete nel tempo finché non si raggiunge una certa stabilità soddisfacente. Se le Verità sono plausibili e se il sacrificio dei fondatori desta ammirazione, altri si avvicineranno unendosi a loro o ai loro eredi diretti, poi altri ancora finché verrà a crearsi una vera e propria comunità ben coesa. Il processo puo’ continuare al lungo e la comunità locale trasformarsi in una Comunità universale.
Ora, mettiamoci nei panni di un individuo che, ad uno stadio avanzato del processo, deve decidere se unirsi a quel nutrito gruppo di persone. Cosa prenderà in considerazione per effettuare quella scelta? Molte cose ma essenzialmente due: 1) credo nella Verità che mi viene prospettata? 2) quanto mi giova far parte di una Comunità tanto forte e coesa?
Lasciamo perdere il punto 1) e concentriamoci sul punto 2). Ebbene, per un individuo è decisivo entrare in una comunità, restare soli significa essere spacciati. La Comunità, quindi, assume un valore a se stante, non è semplicemente un effetto collaterale della Verità. Cio’ significa che molti aderiranno piuttosto formalmente alla Verità pur di entrare nella Comunità e non viceversa. Cio’ non significa disinteressarsi alla Verità ma non destinare molte energie per correggerla o indagarla sul serio.
E’ comunque credibile pensare che molti affiliati alla Chiesa (qualunque chiesa) partecipino per avere una comunità di appartenenza più che per avere una fede doc che vada molto al di là di una semplice intuizione generica dell’esistenza del Dio insegnato dalla dottrina. Francamente, tra i miei conoscenti cattolici, ma qui faccio solo un esempio, non vedo un grande arrovellarsi dietro l’enigma dell’esistenza reale della Trinità, o della presenza reale nella Comunione, si compra tutto il pacchetto e morta lì, specie se rinunciare ad una parte di esso pregiudicasse il tuo diritto ad “appartenere”.
Torniamo allora ai terroristi e al nostro dilemma: come mai persone che sacrificano la vita in nome della religione conoscono tanto poco quella religione? Ora abbiamo un embrione di risposta: perchè sono più interessati alla Comunità che alla Verità, e la cosa non è priva di senso, è quello che, senza i drammi legati del terrorismo, spesso capita anche a noi cattolici. Il senso dei loro gesti estremi lo ricevono dalla condivisione comunitaria prima ancora che dalla Verità che professano. L’Islam è solo una tradizione millenaria autorevole e rispettata che, riciclata in modi più o meno leciti, agevola comunque la tanto agognata aggregazione comunitaria.
Chi è allora il terrorismo islamico? Ora possiamo tracciarne un identikit che è abbastanza in linea con i profili dei terroristi conosciuti. Il terrorista islamico è un frustrato che non ha trovato il suo posto al mondo e deve crearsene uno. Ognuno di noi ha bisogno di una Comunità che lo riconosca in qualche modo, ognuno di noi deve avere un posto al mondo, l’identità conta: alcuni la trovano facendo e accudendo i figli, altri svolgendo un certo lavoro, altri ancora, come mia nonna, vincendo il concorso dell’oratorio per la migliore torta di mele, altri sentendosi “occidentali”. La maggior parte di noi trova il suo “accreditamento” al mondo mettendo assieme tanti pezzettini di vita simili a quelli appena elencati. Purtroppo, però, c’è anche chi resta fuori, chi il suo posto nel mondo non lo trova, magari perché, e qui ho in mente la seconda generazione degli immigrati, ha creduto troppo nelle “promesse” dell’occidente, magari perché non si è appassionato abbastanza al rap, magari perché a scuola non sei un genio e in molti ti passano davanti. Cosa c’è di male a sentirsi insoddisfatti? Per qualcuno è addirittura un pregio, un segno di maturità. Ecco allora la possibilità data a costoro di diventare nientemeno che "eroi", di trasformarsi in martiri ammirati, con tanto di Comunità bella e pronta in grado di riconoscerti come tale.
A mio parere la molla che spinge verso il terrorismo islamico non è né economica né religiosa, è una molla spirituale, qualcosa che al fondo abbiamo tutti e tutti possiamo facilmente riconoscere.
APPENDICE
C’è qualcosa che infastidisce nell’”umanizzazione” del terrorista islamico, bisogna ammetterlo. Qualcuno potrebbe obiettare: ma la crudeltà dei terroristi islamici li rende comunque obbiettivamente diversi, direi radicalmente diversi da noi. Attenzione: il terrorista combatte una guerra asimmetrica, in casi del genere è strategicamente razionale che chi è in posizione di minorità crei una leggenda nera sul suo conto, e per farlo sono necessari gesti che vadano ben al di là della crudeltà reale di chi li compie. Pensiamo solo ai pirati del XVIII secolo: torturavano e sterminavano in modo disumano ma solo per agevolare il perseguimento del loro fine ultimo nelle condizioni date, in particolare perché, propagando la leggenda nera sulla loro crudeltà, le vittime non opponessero grande resistenza prestandosi ad immediata sottomissione senza dispendioso spreco di energie e sangue.