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lunedì 11 luglio 2016

Una difesa della militanza

la retorica buoni cattivi e le etichette stereotipate sono un male o un bene. alcuni affermano che pensare in quei termini abbassa il vs IQ



 There are obviously many labels and many good-versus-evil stories that drain your effective IQ.  Think Leninist,  creationist, or astrologer.  But it is equally obvious that many labels and many good-versus-evil stories boost your effective IQ.  Think behavioral economist, Darwinian, or astronomer.  ("And yet it moves.")  Will and Tyler act as if these differences don't exist.


Yes, it's better to suspend judgment rather than embrace error.  But intellectual progress only occurs after someone discovers and publicizes good reasons to adopt an ism


Tyler's implicit good-versus-evil story is "the never-ending war between the good people who don't believe in good-versus-evil stories and the evil people who do."





Do Labels and Good-versus-Evil Stories Drain IQ?, Bryan Caplan | EconLog | Library of Economics and Liberty: "Why am I so inclined to defend labels and good-versus-evil stories?  Because when I review my life's work, I realize that I owe my life's work to my labels and stories.  You don't have to be a libertarian to appreciate The Myth of the Rational Voter, but without my libertarian goggles I would never have conceived the project.  The same goes for virtually everything I've written.  You might point to something like "Why I Am Not an Austrian Economist" as a counter-example, but you shouldn't.  I couldn't have written that piece if I weren't a lapsed Austrian, and wouldn't have written it if I didn't have a superior alternative (and label) to offer.
"







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lunedì 14 gennaio 2013

In lode del fazioso

La professoressa Nancy Rosenblum ha recentemente dato alle stampe un libro in cui si rivaluta la partigianeria politica: o di qua o di là.
E’ decisamente un’ operazione azzardata visto che mai come oggi l’ osservatore indipendente dei fatti politici è ricercato e apprezzato:
… Il disgusto per il partigiano si diffonde rapidamente e ovunque… da più parti la sua è ritenuta una forma “degradata” di cittadinanza… non mancano giudizi aspri che lo vogliono ora ignorante, ora inerte, ora succube dei leader e via dicendo… una persona dedita a sfigurare cio’ che altrimenti sarebbe una comunità politica perfettamente unita… e anche chi non giunge a questi eccessi, ovvero chi accetta di buon grado una consistente dose di pluralismo, considera comunque la partigianeria come un fattore divisivo creatore di conflitti… chi lo demonizza esalta poi la figura dell’ Indipendente mettendone in luce la superiorità etica…
Non è un caso che tutti gli esperti di settore anelino all’ indipendenza e a un certo ecumenismo:
… la continua interrogazione socratica e l’ imparzialità huemaniana sono quanto di più raccomandabile per l’ analista… anche i semplici votanti vengono spinti a fronteggiare i problemi politici con mentalità non-partisan… laddove i giudizi del “fazioso” vengono considerati squilibrati e minati da continue distorsioni percettive, quelli dell’ “imparziale” vengono raffigurati come limpidi, empirici e ragionati…
Peccato che tesi del genere non reggano un serio scrutinio:
… ben lungi dall’ essere più attenti, interessati e informati, gli “indipendenti”, come gruppo, tendono ad avere una conoscenza più approssimativa dei problemi politici, un’ immagine infantile delle personalità politiche, il linguaggio della politica spesso è per loro un gergo incomprensibile, il loro interesse al dibattito è inferiore così come inconsistenti sono le loro preoccupazioni sull’ esito di molte vertenze… L’ “indipendente puro” è la figura meno interessata alla politica… il più ignorante in merito… nonché, tra i votanti, il più superficiale… Tutto cio’ è perfettamente plausibile, se ci pensate: il militante spende molto più tempo nell’ approfondimento e ha anche più agganci quando si tratta di reperire informazioni… Il pragmatismo dell’ Indipendente -  nascosto dietro la maschera di un generico “interesse civico” -  è spesso caotico e sfocia in soluzioni ad hoc quasi sempre dannose per la costruzione di un sistema coerente… come se non bastasse, molte volte la sua posizione “equilibrata” sfrutta opportunisticamente i precedenti e fertili conflitti originati dalle varie fazioni…
A cio’ si aggiunge l’ incapacità di incidere, così tipica del Terzista:
… Ignazio Silone aveva ragione nel dire che l’ essenza del giudizio democratico sta nella “scelta dei compagni”… L’ Indipendente non coglie questa essenza quando, geloso della propria originalità, recalcitra allorché è chiamato a “coordinarsi” con il prossimo… si consegna così a un atomismo che, da un lato lo esonera dalle responsabilità del compromesso, ma dall’ altro lo rende, sì puro, ma anche irrilevante…
D’ altro canto, il settario:
… con il suo rifiuto della visione altrui pone linee chiare di demarcazione, accettando il conflitto delle idee s’ impegna a regolarlo sempre meglio, mette a fuoco i punti di dissenso ma anche quelli di possibile convergenza… in mancanza di partigiani i benefici della dialettica faticherebbero a emergere soffocati da un magma di visioni indistinte e mai in chiara opposizione l’ una con l’ altra…
Ma che dire a chi ci fa notare quanto il Partigiano tenda ad adottare acriticamente il Vangelo della sua tribù rifiutando spesso l’ evidenza palmare che confuta certe credenze? Secondo chi sostiene l’ accusa, il Partigiano rischia sempre di essere passivo ed eterodiretto.
… molti di questi difetti si riscontrano anche nell’ Indipendente, si riscontrano in chiunque professi una propria ideologia, e vale la pena qui di ricordare che “essere indipendenti” non significa essere svincolati dall’ ideologia ma piuttosto costruirsene una su misura… del resto il supporto ideologico sembra essenziale alla comprensione del reale, per dirla con le parole di Shumpeter: “l’ ideologia ci nasconde gran parte della realtà ma senza ideologia saremmo del tutto ciechi”… quanto alla presunta “passività” dell’ affiliato, recenti ricerche hanno dimostrato come le organizzazioni politiche siano sensibili alle preferenze latenti dei membri e anche più elastiche di quanto si pensi nel cambiare la posizione ufficiale in conformità con l’ opinione ufficiosa nel frattempo diffusasi tra i militanti…
Altro dubbio: ma la partigianeria non rischia di fomentare l’ estremismo?
… No. L’ estremismo deleterio non ha nulla a che vedere con le specifiche posizioni politiche di un partito ma piuttosto con la condotta di una frangia di militanti… l’ estremismo è un epifenomeno che emerge allorché si fa strada la frustrazione di non poter mobilitare dei voti, e questo diventa tanto più probabile quanto più si indeboliscono i partiti… gli estremisti spesso hanno una piattaforma accettabile [molti condividono gran parte dei volantini delle BR]… l’ estremismo è una prassi, non un’ idea…
Secondo molti se la faziosità politica dovesse diffondersi il Paese resterebbe bloccato, sono gli “indipendenti” a renderlo dinamico e sempre pronto a invertire la rotta. Sbagliato:
… Hillygus e Shields, nel loro libro “Chi persuadere?” hanno dimostrato che a cambiare voto sono per lo più ex partigiani delusi prima ancora che gli indipendenti. Come se non bastasse, è qui il caso di affermare che su molte “issue” il partigiano la pensa in difformità con il suo partito [si parla degli USA]…
La faziosità fomenta l’ interesse, ok, ma c’ è da chiedersi se davvero un’ “interesse” tanto morboso sia preferibile la quieta apatia di molti indipendenti:
… su questo punto pesano le contingenze. Al momento attuale vedo l’ apatia come la maggior fonte distorsiva del sistema. Colpisce soprattutto i poveri, sono loro a non votare e, come ha dimostrato uno studioso del calibro di Larry Bartels, la struttura delle preferenze dei poveri è molto differente rispetto a quella degli altri gruppi sociali, cio’ significa che una gran parte della società non è rappresentata nel voto democratico…
Conclusione:
… non abbiamo bisogno di più indipendenza ma di una sempre più leale partigianeria con un agone efficiente dove far competere idee contrapposte…
D’ altronde, era chiaro fin dall’ inizio che per la Rosenblum il tratto partigiano è consustanziale alla democrazia:
… il luogo comune per cui un sistema democratico intelligente e funzionante richieda ai suoi membri indipendenza di giudizio e spirito non fazioso è palesemente falso… nel mio libro ho intenzione di proporre la “militanza” come primario valore democratico ed etico…
partig
Convinti? Io non del tutto. Penso che almeno un paio di critiche restino inevase, e per me sono quelle decisive.
Prima.
Chiediamoci: cosa serve affinché emerga la preziosa “wisdom of the crowd”, che è poi il sale di ogni democrazia?
Indipendenza di giudizio.
Cosa mina innanzitutto l’ appartenenza zelante a una Chiesa?
L’ indipendenza di giudizio.
Conclusione: nell’ aggregare i giudizi abbiamo bisogno di tutti i generi di errore affinché si elidano meglio tra loro. La partigianeria ci spinge pericolosamente a fare lo stesso errore degli altri, e questo puo’ essere un guaio.
Spesso, diciamolo, un’ ignoranza capronesca, specie se umile, è molto meglio di un cervello all’ ammasso.
Secondo.
Il “partigiano” coltiverà anche una grande passione civile dedicando molto tempo all’ informazione e all’ approfondimento delle varie “issue”, non sembra però che questo gli giovi granché quando forma le sue credenze. I bias cognitivi lo perseguitano più di quanto non facciano con l’ indipendente.
Sul punto, a me piace portare questo esempio sull’ effetto serra, lo traggo da Andrew Gelman:
… su un campione di soggetti intervistati, il 19% dei Repubblicani con un’ istruzione superiore credeva che le attività umane fossero la causa del riscaldamento globale, mentre si saliva al 75% tra i democratici, sempre limitandosi a quelli in possesso di laurea o titolo superiore… se invece non consideriamo in alcun modo il grado di istruzione la percentuale dei Repubblicani sale al 31% e quella dei democratici scende al 52%! A prima vista un risultato del genere è parecchio strano: verrebbe naturale pensare che quanto più elevata è l’ istruzione, tanto più si converge sul consenso scientifico, magari i laureati sono più scettici e meno creduloni ma qui tra Rep. e Dem. c’ è un movimento opposto nelle percentuali. Eppure, se guardiamo a questi dati da un’ altra angolazione, tutto prende senso: tra i laureati la percentuale di militanti è molto più elevata che tra i non-laureati e questo è confermato dalle ricerche che riscontrano una maggiore “polarizzazione” politica tra gli “istruiti”. Nel caso di specie, quindi, la forte divergenza sarebbe da attribuire a bias ideologici…
Non da ultimo, diciamolo, il Partigiano è spesso persona sgradevole, la sua “sordità” infastidisce. Va bene, è giusto riconoscergli una “funzione sociale”, ma questa spetta anche alla prostituta e all’ usuraio, passare dal “riconoscimento” all’ elogio è un salto mortale doppio, c’ è il rischio di rompersi il collo.
Certo comunque che se giudico dalla mia esperienza i sorprendenti dati della Rosenblum escono abbastanza confermati.
Di fronte a qualsiasi diatriba ritrovo puntualmente tre gruppi di persone: 1) gli indipendenti superficiali che affrontano il problema giusto al bar come pretesto per socializzare 2) i militanti che hanno una passione morbosa e che cercano di realizzarsi come paladini della verità 3) gli indipendenti sofisticati tutti indaffarati nell’ attribuire priorità e pesi in modo da bilanciare torti e ragioni.
Chi appartiene alla categoria 1 offre solo un interesse simulato e fuggevole alle questioni, i problemi non vuole risolverli ma solo scacciarli dalla propria mente, oppure esibire in pubblico la propria personalità, oppure li usa come pretesto per socializzare. Il passaggio da 1 a 2 si compie, in genere, quando siamo toccati personalmente da cio’ di cui parliamo. Il passaggio da 2 a 3 comincia quando cessa la paura del “nemico” – il che va di pari passo con una crescente sicurezza delle proprie posizioni - e si desidera approfondire il suo punto di vista, magari per meglio rintuzzarlo.
Vogliamo quantificare questi tre gruppi? Fatto cento il campione, il gruppo 1) conta settanta membri, il 2) venticinque e il 3) cinque.
Bè, se i numeri sono davvero questi – e io li trovo plausibili – le generalizzazioni della Rosenblum, anche se controintuitive, non sono campate in aria. Resta da valutare il fatto se un “interesse morboso” sia meglio di un “interesse simulato” o di un “disinteresse”. Probabilmente lo è solo quando rappresenta una tappa verso ulteriori sviluppi.
Chiudo con due considerazioni, spero non troppo fuori tema, frutto ancora della mia piccola esperienza. In esse rivaluto la partigianeria, ma in ambito culturale più che politico.
A.
Quando leggo un libro trovo utile porsi con un atteggiamento di sfida: “io la penso così, prova a convincermi del contrario se ci riesci”. Sarebbe impossibile lanciare seriamente queste sfide se la faziosità fosse bandita.
B.
E’ buona pratica, dopo essere stati “catechizzati” da chi ne sa più di noi, chiedere: “mi puoi citare un paio di personalità che rispetti e che su questo stesso tema sostengono tesi antitetiche alle tue?”. Conoscere visioni differenti illumina la visione che ci viene propinata e aiuta a giudicarla.
Recentemente ho fatto questa domanda alla psicologa dell’ asilo dopo l’ incontro che abbiamo avuto sui temi educativi. Mi ha sorriso ma non mi ha risposto (forse non era la sede per impelagarsi in certi discorsi). Me lo sono fatto bastare.