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giovedì 2 luglio 2020

COME ESSERE FORTUNATI.
Sembra una domanda impossibile e invece è facile. Sostanzialmente il trucco è semplicissimo: prova e riprova.
Se ci provi di continuo alla fine riuscirai. Esempio: se ci provi con tutte prima o poi ti fidanzerai con una bellissima ragazza, e gli altri diranno ingenuamente: "che fortunato!".
Il segreto, allora, è costruire quell'energia motivazionale (stamina) che non ti fa desistere e che non abbatte la tua autostima di fronte ai fallimenti.

giovedì 5 dicembre 2019

CONTARE I CORPI

Gli economisti predicano che gli incentivi pesano, e questo è in buona parte vero. Ma la pretesa della meritocrazia va oltre, pensa che gli incentivi siano quantificabili. E questo è decisamente meno vero. Le statistiche fuorvianti sono la premessa a cattive organizzazioni, e tutte le statistiche sono fuorvianti se non vengono saggiamente interpretate.
Vogliamo controllare tutto e cadiamo nell' "illusione del controllo". Durante la guerra del Vietnam, il segretario alla Difesa Robert McNamara fece affidamento su misure quantitative, incluso il famigerato "conteggio dei corpi". I corpi dei Viet-cong segnalando ai comandi il "progresso" delle operazioni militari. Poi si è scoperto che questi erano indicatori sbagliati, ma la guerra era ormai perduta.
Purtroppo, gli indicatori meritocratici sono quasi sempre sbagliati. Dirlo non offende il meritevole, offende il meritocratico, una cosa ben diversa.
In città furoreggiava una scuola elementare in cui i punteggi medi dei test erano i più alti del comprensorio. Si erano addirittura alzati i prezzi delle case di quel quartiere! Si è scoperto che il risultato veniva ottenuto dagli amministratori della scuola dicendo agli studenti più deboli di rimanere a casa il giorno del test. Il provveditorato pubblicizzando i punteggi dei test pensava di incoraggiare una sana competizione tra le scuole, pensava cioè di promuovere la "meritocrazia". E guai a chi si opponeva.
I problemi con i target quantitativi sono ben noti. Il primo è ciò che Muller chiama "deviazione dagli obiettivi". In una situazione complessa, come la guerra del Vietnam, ci sono molti obiettivi intermedi da raggiungere. Puntare l'attenzione solo su quelli "quantificabili" azzera l'attenzione sugli altri, che magari sono anche più importanti. Contare i cadaveri dei viet-cong è facile ma misurare quanto fanno i soldati per conquistare i cuori e le menti della popolazione locale molto meno. Se dalla macchinetta conta-cadaveri dipende la tua carriera di soldato, le energie per farsi ben volere dagli indigeni vengono dirottate sulla mitragliatrice.
L'altro problema è quello che Muller chiama "corruzione", qui l'obiettivo numerico viene raggiunto imbrogliando. L'esempio della "scuola modello" parla chiaro.
Sia la "deviazione" che la "corruzione" hanno avuto un ruolo importante nella crisi finanziaria del 2008. La "deviazione" è cominciata fissando come obbiettivo misurabile il numero di mutui concessi affinché si rendesse il bene "casa" più accessibile (un desiderio della politica). Ma questo ha distolto l'attenzione sulla valutazione di affidabilità del mutuatario. La "corruzione" si è resa visibile nel modo in cui le banche hanno aggirato le incasinatissime norme sulla consistenza patrimoniale imposte dall' autorità di regolamentazione con le solite risibili formulette.
La "meritocrazia" non ha grande spazio nel privato. In effetti, la maggior parte delle aziende non fa affidamento solo sulle formule per stabilire i compensi. Di solito viene data ai supervisori la libertà di giudizio nel fissare i bonus e gli adeguamenti salariali dei dipendenti. Questo perché le formule non possono catturare tutti gli obiettivi incorporati nella complessa vita aziendale. I supervisori più vicini al dipendente sono in una posizione migliore per valutare vari fattori, soprattutto i contributi difficili da quantificare. E anche quando si lega in parte il compenso a una formula, si armeggia su quella formule di anno in anno. Più a lungo si persiste con la medesima formula, più modi verranno escogitati per aggirare il sistema.
L'organizzazione scolastica americana - quella che più ha puntato sui test - si è comportata come se le scuole avessero un controllo completo sull'apprendimento degli studenti, e che quindi la loro opera si riflettesse nei punteggi dei test, ma la ricerca suggerisce il contrario. I politici americani hanno agito sotto la classica "illusione del controllo". A mio parere gli insegnanti non dovrebbero essere responsabili nei confronti di un ufficio statistico centralizzato, meglio sarebbe invece che siano valutati da colleghi, superiori e genitori. In particolare questi ultimi, ovvero i clienti. Se lascio mio figlio nelle mani di un cattivo insegnante, sono il primo a pagarne le conseguenze (se invece un sistema burocratico non riesce a rimuovere un cattivo insegnante, il progettista del sistema non subisce conseguenze). Obiezione fondata: ai genitori interessa più il voto della preparazione! Vero, ma questo è un problema che riguarda la funzione della scuola - i dubbi che abbia una reale funzione formativa sono legittimi - non la meritocrazia.
Gli esseri umani sono individui autonomi difficili da controllare con una macchinetta. I manager di successo lo comprendono e imparano a convivere con le limitazioni implicite alla loro condizione di boss. Sanno che non possono misurare le prestazioni dei sotto posto con precisione o progettare un sistema di incentivi perfetto. Invece di attenersi rigidamente ai sistemi formali, i dirigenti di successo danno l'esempio e incoraggiano i subordinati a esercitare la loro autonomia e il loro giudizio. Ma per i lavoratori dello stato l'autonomia di giudizio diventa più facilmente arbitrio e favoritismo, per questo lì la propensione all'utilizzo delle formule per determinare i compensi è tanto diffusa. Non essendoci rimedi sarebbe meglio limitare i compiti da affidare a organizzazioni del genere. Considerato che questa alternativa è un po' troppo radicale, forse il criterio dell'anzianità resta quello che fa meno danni.
Sfortunatamente, i politici che mostrano sicurezza e dominio della situazione vengono premiati dall'elettore e gli economisti che attraggono maggiormente questi politici sono quelli che brandiscono con sicumera le formulette verso cui questo libro lancia l'allarme. Un allarme che per me sembra inutile visto che il vero nemico, ovvero cio' che viene chiamata "illusione di controllo", è un realtà lo stendardo principe di chi si presenta alle elezioni.
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AMAZON.IT
How the obsession with quantifying human performance threatens business, medicine, education, government—and the quality of our livesToday, organizations of all kinds are ruled by the belief that the path to success is quantifying human performance, publicizing the results, and dividing up...

venerdì 21 giugno 2019

F la fortuna esiste

Perché le cose non si ripetono?

Per colpa o merito nostro sopraggiunto
Perché il contesto è cambiato
Perché la fortuna è qualcosa di reale.
Per regressione alla media.

domenica 13 gennaio 2019

I FATTI, I FATTI, I FATTI…

I FATTI, I FATTI, I FATTI…

C’è chi vive nel mito dei fatti.

I fatti il più delle volte non ci dicono un bel niente. Prendete questo: le famiglie più ricche di Firenze oggi sono le stesse che primeggiavano nel 1427. Lo dice un’analisi sui cognomi.

Come interpretare “il fatto”?

1) L’avvento della meritocrazia è solo apparente: il sistema dei privilegi è forte oggi come ieri.

2) L’avvento della meritocrazia è solo apparente: il merito si eredita ed esisteva ieri non meno di oggi.

Due posizioni antitetiche perfettamente in linea con i fatti.

P.S. Io preferisco la seconda.

https://feedly.com/i/entry/kdOsXsDOArv7NIUZyL/8ar97/yj7YWTRj5isT+3ueM4=_1683e5ed800:1bef54d:56b782f7

mercoledì 28 febbraio 2018

Il sistema metrico decimale e il naso di Cleopatra

Perché gli Stati Uniti non hanno mai adottato il sistema metrico decimale?
Probabilmente perché gli scienziati europei partiti per perorare la causa presso il Congresso americano furono rapiti dai pirati.
L’idea che il corso della Storia, come credeva Pascal, possa dipendere dalle proporzioni d’un naso fa di solito storcere il naso agli storici. Forse hanno torto.
To save his own life, Joseph Dombey had an idea. As two pirate ships surrounded the ship he was on in the Caribbean Sea in 1794, Dombey scrambled below deck, disrobing as he went. He appropriated the...
NIST.GOV

mercoledì 30 settembre 2015

Il Platonismo di Rawls

Quando Bolt vince le Olimpiadi e baca la medaglia d'oro tutti noi che guardiamo la TV pensiamo che se la sia davvero meritata. Sappiamo quanto conti il talento nel suo successo, eppure non riusciamo a declassarlo come uno dalla fortuna sfacciata. Eppure quando un filosofo politico come Rawls imposta tutto il suo sistema sulla "lotteria dei talenti" fa proprio questo. Perché una simile distanza tra il senso comune e un raffinato filosofo. Una risposta possibile: Rawls privilegia una concezione platonica dell'anima, il senso comune una concezione aristotelica. Per Platone le anime esistono a prescindere da qualsiasi forma assumano, di conseguenza la forma assunta diventa un'accidente (un colpo di fortuna o sfortuna). Poiché il talento innato è una delle forme assunte dall'anima di Bolt, è normale considerarlo un privilegiato dalla fortuna. Aristotele sponsoirizza invece la posizione immanentista: l'anima non esiste a prescindere dalla realtà ma emerge da essa identificandosi con la forma originaria del soggetto. Con una simile premessa il talento innato di Bolt è Bolt, equivale a Bolt, si identifica essenzialmente con Bolt, non è un accidente. In questo caso è assurdo dire che Bolt è fortunato per il semplice fatto che è metafisicamente inconcepibile l'alternativa di un Bolt sfortunato. La visione aristotelica dell'anima rende filosoficamente inconcepibile la filosofia politica di Rawls.

venerdì 10 aprile 2015

Merito o fortuna?

C' è chi crede nella fortuna (lotteria dei talenti) e chi nel duro lavoro. Voi che ne pensate?

A complicare la faccenda c' è il fatto che "credere nel duro lavoro" aiuta a lavorare duro.

Penso che il duro lavoro conti ma a sua volta la predisposizione genetica influisce anche su questa attitudine.

Forse il fattore esterno che più incide è la capacità di motivarsi, in questo senso la competizione è un fattore decisivo.

venerdì 6 marzo 2015

Just desert, merito e lotteria dei talenti - Nozick contro Rawls

  •  Contro la lotteria: l'argomento della schiavitù. Secondo Rawls noi partecipiamo ad una lotteria dei talenti, la nostra posizione nel mondo è da attribuire ad un evento fortunato. Secondo Nozick questa posizione è rischiosa: se non riconosciamo l' esistenza di un merito, e quindi di un libero arbitrio, il nostro corpo e il nostro talento è di tutti e non avrebbe senso opporsi alla schiavitù, almeno quando ha scopi egalitari, ma la schiavitù ripugna alla nostra ragione. Non resta allora che ripiegare su una teoria della giusta ricompensa la quale distingue tra lotteria dei talenti, merito e giusta ricompensa. La nostra posizione nel mondo dipende da fortuna e merito, il principio del just desert (il male non implica ingiustizia, il merito è indistinguibile dalla fortuna e quindi il fortunato non va punito come un colpevole) ci garantisce così una condanna della schiavitù: noi non sappiamo come si mescolano merito e fortuna ma sappiamo che accettare il mix è corretto. Il just desert è sostenibile solo se: 1) il merito, e quindi il libero arbitrio, esiste e 2) gli effetti di merito e fortuna si mescolano inestricabilmente. Il mix inestricabile si fonda su tre considerazioni: 1) io posso allenare la mia volontà ma da dove deriva la volontà di allenare, e via così in un regresso infinito 2) fino a che punto il carattere di una persona coincide con quella persona e fino a che punto invece "appartiene" a quella persona? Io sono brillante o possiedo una brillantezza? 3) fino a che punto i tratti che eredito dipendono da scelte dei miei antenati? Una cosa è certa: senza libero arbitrio la teoria della giusta ricompensa non sarebbe plausibile

Landsburg pone invece due critiche a Rawls:
  • perché nel suo contratto non tiene conto delle istituzioni: con istituzioni imperfette il contenuto realizzato del contratto cambierebbe: chi agisce dietro il velo d'ignoranza dovrebbe conoscere questo elemento distorsivo e soppesarlo nelle sue scelte;
  • perché nel suo contratto non tiene conto di altre diseguaglianze: così come giustifica il furto (per ridistribuire la ricchezza da chi la produce a chi non la produce) potrebbe giustificare lo stupro (per ridistribuire il godimento dai fortunati che ne hanno in abbondanza ai brutti che non se lo possono permettere). Ma una cosa del genere ci ripugna. Perché? Evidentemente sentiamo lesa la ns dignità, ovvero: sentiamo che il nostro talento è nostro e solo nostro, così come il nostro fascino e la nostra bellezza.
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La formula anti-Rawls: If taxes were for sex instead of money, would you call it rape? If so, why aren't taxes theft?

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Quando Bolt vince le Olimpiadi e becca la medaglia d'oro tutti noi che guardiamo la TV pensiamo che se la sia davvero meritata. Sappiamo quanto conti il talento nel suo successo, eppure non riusciamo a declassarlo come uno dalla fortuna sfacciata, ci sembra assurdo anche il farlo partire due metri indietro. Tuttavia, quando un filosofo politico come Rawls imposta tutto il suo sistema sulla "lotteria dei talenti" fa proprio quello che a noi sembra abbastanza assurdo. Perché una simile distanza tra il senso comune e un raffinato filosofo. Una risposta possibile: Rawls privilegia una concezione platonica dell'anima, il senso comune una concezione aristotelica. Il senso comune giudica le storie di fantasmi una fantasia (non possono esistere anime indipendenti dai corpi) ma giudica il libero arbitrio qualcosa di ragionevole (l'anima esiste). Ora, per Platone le anime esistono a prescindere da qualsiasi forma assumano, di conseguenza la forma assunta diventa un'accidente (un colpo di fortuna o sfortuna). Poiché il talento innato è una delle forme assunte dall'anima di Bolt, è normale considerarlo un privilegiato dalla fortuna che non ha meriti (o li ha depotenziati). Aristotele sponsoirizza invece la posizione immanentista: l'anima non esiste a prescindere dalla realtà ma emerge da essa identificandosi con la forma originaria del soggetto. Con una simile premessa il talento innato di Bolt è Bolt, equivale a Bolt, si identifica essenzialmente con Bolt, non è un accidente. In questo caso è assurdo dire che Bolt è fortunato per il semplice fatto che è metafisicamente inconcepibile l'alternativa di un Bolt sfortunato, se proprio non vogliamo considerare la sua vittoria alle olimpiadi un frutto genuino del merito, chiamiamola "giusta ricompensa" (just desert): non ruba nulla chi si limita ad essere cio' che è, ruba chi si prende cio' che non ha.. Conclusione: la visione aristotelica dell'anima - e quindi il buon senso - rende filosoficamente inconcepibile la filosofia politica di Rawls


venerdì 1 marzo 2013

SAGGIO Apologia di Cimabue

Il bizzarro compito dell’ economia è di dimostrare quanto poco sappiamo di quel che pensiamo di sapere.
August Frederich Von Hayek – La presunzione fatale

Il nuovo libro di Tim Harford è ispirato da una semplice considerazione:
… ci vorrebbe una vita per costruire un tostapane… eppure, cosa incredibile, se ne trovano sotto casa di affidabili ad un costo che non supera l’ ora di lavoro…
Thomas Twaites qualche anno fa tentò di realizzarne uno partendo da zero, e mal gliene incolse. In fondo, pensava il tapino, basta solo mettere insieme 400 pezzi.
… decisi di semplificarmi la vita copiando il modello più rudimentale… per il ferro mi recai nelle miniere del Galles… devo ammettere che ne approfittai per una vacanza… per il rame, dopo un contatto abortito con i cileni, ripiegai sull’ elettrolisi applicata alle acque inquinate presso un vecchio impianto di Anglesey… Il nickel tentai di procacciarmelo fondendo delle monete d’ epoca e riciclando il materiale filamentoso presso i laboratori messi graziosamente a mia disposizione dal College. Alla mica rinunciai facendomela spedire direttamente da produttori inglesi… per la plastica chiesi il permesso alla BP di recarmi su una piattaforma e ottenere così petrolio greggio, permesso rifiutato… mi detti così da fare con l’ amido di patate… un’ esperienza allucinante… alcune lumache si divorarono tutto nottetempo… ma alla fini riuscii a ottenere una quantità minima…
Nonostante anni di lavoro frustrato, sforzi erculei e  molti compromessi, il prodotto finito era di forma piuttosto… “amorfa”:
… ma funzionava!… almeno in certe condizioni: quando lo attaccavo a una batteria il tostapane scaldava… purtroppo quando l’ ho attaccato alla corrente si è… auto-tostato…
Morale: viviamo in un mondo complicato dove anche la produzione di un articolo banale come il tostapane va al di là di ogni umana comprensione. Oltretutto questo genere di problemi è da classificare tra i “semplici”:
… è difficile che il pane assuma per sé un ruolo attivo… non risponde alle tue strategie… non mette in campo contro-mosse, non cerca di fregarti come farebbe una squadra di banchieri d’ investimento… non cerca di ucciderti come potrebbe fare una cellula terroristica… non interagisce… sta semplicemente lì ad attendere la tua soluzione… in un certo senso si potrebbe dire che lui, poverino, “collabora”…
Inoltre:
… su piazze importanti come Londra e New York vengono offerti dieci miliardi di prodotti diversi, spesso molto più complicati di un tostapane…
Che dire?
La conclusione è che ci sono dei veri e propri “miracoli laici” a cui ci siamo abituati e che ora diamo per scontati.
Costruire un tostapane è un’ impresa titanica, come del resto costruire una matita quale la conosciamo (chiedere a David Thoreau).
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE]

 Eppure, proprio quando ne abbiamo bisogno, sia il tostapane che la matita sono lì che ci aspettano a pochi metri da casa nostra e a costi irrisori. Chi ha realizzato l’ impresa? Chi ha coordinato la miriade di persone coinvolte nel progetto? Sarebbe bene scoprirlo visto che questo genio ci ha arricchito come non mai nella storia dell’ uomo.
Certo che, al di là del mistero, c’ è da essere orgogliosi:
le società del passato, dal feudalesimo all’ economia pianificata, avevano tentato di perseguire questo obiettivo fallendo miseramente…
Ma anche preoccupati:
… il tostapane e la matita sono simboli di quanto sia sofisticato il mondo che abbiamo costruito ma anche degli ostacoli che attendono chi intende cambiarlo…
Veniamo ora alle possibili risposte.
Forse il segreto sta nello studio. Con tutte le università, i professori e gli scienziati che circolano, i problemi, anche i più ostici, si sciolgono come neve al sole, dove il sole è rappresentato proprio da cotante intelligenze e dalla moltitudine di biblioteche a loro supporto.
Errato. Le soluzioni  di cui parliamo non possono stare in una testa, e nemmeno in poche e selezionate teste chiamate a interagire in una torre d’ avorio.
Perché, faccio per dire, Obama o Berlusconi hanno deluso?
… tutti si aspettavano troppo da un unico essere umano o dal pool di esperti che costui poteva mettere insieme… abbiamo un tremendo bisogno di credere nell’ efficacia di un leader… quando la sfida è complicata cerchiamo un genio che l’ affronti in nostra vece… l’ errore non sta nell’ avere eletto i candidati sbagliati ma nel sovrastimare le reali possibilità che una leadership nel mondo moderno ha di raggiungere certi obiettivi…
Philip Tetlock, in vent’ anni di ricerche, ha indagato a lungo i limiti dell’ expertise in politica:
… nel verificare le previsioni raccolte abbiamo notato errori sistematici… sintomo delle difficoltà incontrate dal “professionista” nel comprendere e dominare la complessità sociale… certo, la differenza con il profano è evidente… tuttavia, sulla base di un qualsiasi standard oggettivo, i benefici dell’ expertise restano davvero modesti…
Se uno legge Tetlock, sembra emergere chiaramente una lezione talmente radicale che l’ autore stesso è restio a trarre: “pensa con la tua testa!”.
Se con la politica andiamo male, con il management andiamo anche peggio. Vi ricordate il libro di Peters e Waterman “Alla scoperta dell’ eccellenza”?
… in uno studio accurato sull’ eccellenza nel mondo degli affari… i due guru misero assieme una serie di giudizi creando una lista di 43 imprese governate in modo eccellente…
Solo 2 anni dopo Business Week pubblicò un articolo intitolato: “Oops… e adesso chi è eccellente?”. Delle 43 aziende un terzo era fallito o versava i gravi guai finanziari.
C’ è da meravigliarsi?
… no… Leslie Hanna stilò una lista delle aziende più potenti del 1912… dieci delle prime cento sparirono nel giro di un decennio… e più della metà negli ottanta anni successivi…
Eppure è proprio il mondo delle imprese che con un suo bidibibodibibu tutto particolare realizza sia il miracolo del tostapane che quello della matita! La lezione da trarre:
… sembra che il fallimento sia parte integrante di un mondo in grado di risolvere problemi sofisticati… e il bello è che i tassi di fallimento sono ancora più elevati nei settori nuovi e dinamici…
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=2E3dNqhXndE]
Ma perché un sistema vincente è così ricco di fallimenti?
… in parte perché i problemi sono complicati, lo abbiamo visto… in parte perché per sopravvivere non è sufficiente essere bravi, bisogna essere i migliori… se sei solo “bravo” l’ estinzione è il tuo destino…
C’ è spazio per pochi, come sul podio delle Olimpiadi.
I settori economici “tranquilli” sono anche i più stagnanti:
… l’ industria di maggior successo degli ultimi 40 anni, quella informatica, è stata costruita un fallimento dopo l’ altro… proprio come il tostapane che ha mandato in tilt Thomas Thwaites, è a sua volta il risultato di tentativi ed errori… il mercato trova a tentoni la via giusta…
I biologi hanno una parola per descrivere quel processo che seleziona il meglio grazie agli insuccessi: evoluzione.
L’ evoluzione ha qualcosa di sconcertante…
… data la nostra istintiva convinzione che problemi complicatissimi richiedano soluzioni a tavolino progettate da cervelloni altrettanto raffinati… rimaniamo spiazzati nell’ apprendere che l’ evoluzione… ovvero lo sciogli-nodi più potente in natura… sia così semplice e in gran parte casuale:… applichi una variante a cio’ che hai, elimini gli errori e ti tieni i successi, e così all’ infinito…
Il “prova e sbaglia” non è altro che l’ algoritmo evolutivo:
… l’ unico in grado di raggiungere un buon compromesso fra la scoperta del nuovo e lo sfruttamento di cio’ che è già noto…
E’ un algoritmo che ci ha regalato molte “soluzioni”:
… in biologia la fotosintesi, l’ occhio, il latte della mamma… nel commercio la contabilità a partita doppia, la cambiale, il 3 X 2…
Molti, forse a causa degli stipendi profumati, pensano che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere grandi qualità. Ma come si concilia la “meritocrazia” con la “cecità” evolutiva?
Si concilia male, molto male. E le ricerche del “fastidiosissimo” economista Paul Ormerod ce lo ricorda continuamente:
… Ormerod ha studiato le statistiche sulla morte dei giganti industriali e le ha comparate con  dati della storia dei fossili nell’ ultimo mezzo miliardo di anni… rilevando che la configurazione delle estinzioni è alquanto simile per picchi e frequenze… le estinzioni biologiche e quelle aziendali sono affini…
Piuttosto inquietante:
… se le aziende fossero davvero in grado di elaborare strategie di successo… allora l’ estinzione delle aziende dovrebbe assumere caratteristiche del tutto differenti dall’ estinzione biologica… che é in gran parte casuale…
L’ evoluzione casuale è migliore dei manager superpagati.
Sembrerebbe che la Apple possa sostituire Steve Jobs con una scimmia che gioca a freccette!
Le cose non stanno proprio così, anche se è buona cosa pensare al merito come a un algoritmo più che a qualcosa con nomi e cognomi o a prestigiose Università. Purtroppo o per fortuna il ruolo del caso nei successi personali tende a essere sottovalutato mentre la mossa decisiva sta proprio nell’ indirizzare correttamente questa forza a livello di sistema.
Per chiudere la sezione mi permetto solo di ricordare che l’ analogia evoluzione/mercato non bisognerebbe spingerla troppo oltre, altrimenti qualcuno pensa davvero che siano la stessa cosa e attacca la tiritera sul “capitalismo darwiniano”.
***
Procedere per “tentativi ed errori”, ecco il segreto per sciogliere i mega-nodi più tenaci. Ma perché siamo tanto restii ad applicare la ricetta che Madre Natura ci propone come la più efficace?
… la reputazione di “voltafaccia” sembra essere un insulto… ma se prendiamo sul serio il metodo empirico, cambiare opinione molto spesso dovrebbe essere la norma… una flessibilità da esibire con orgoglio… e invece c’ è chi si vanta perché “tira dritto” per la sua strada… o perché non fa mai “marcia indietro”… o “non tradisce” le sue idee…
Dovremmo allora valorizzare meglio la nostra “formula vincente”…
… in modo da sfruttarla per affrontare problemi all’ apparenza irrisolvibili: cambiamenti climatici, guerre civili, instabilità finanziaria… presto vedremo come…
***
La Storia ci mostra come l’ orrore per gli errori sia un errore madornale. Un esempio?
Si dice che l’ economista sia uno “scienziato senza laboratorio”, questo non è del tutto vero: l’ Unione Sovietica fu un immenso laboratorio:
… dire che l’ Unione Sovietica si è rivelata un disastro non è una novità, ma i motivi particolari per cui il progetto è fallito vengono spesso trascurati…
Persone crudeli hanno recentemente rispolverato i peana innalzati da Eugenio Scalfari ai successi che l’ Unione Sovietica ottenne in campo economico. Con un uomo anziano certe cose non si fanno, soprattutto se entusiasmi del genere erano condivisi da molti, negli anni cinquanta. Ok, Scalfari fu un mezzo fascista e un mezzo comunista, ma chi in Italia non lo fu? Pochi benemeriti che si contano sulle dita di una mano.
I fascio-comunisti a metà sono in genere dei moralisti tutto d’ un pezzo e la mostruosa macchia morale dell’ Unione Sovietica è ormai captata anche dalle loro sensibili antenne. Sul piano economico, invece, le cose restano ancora oggi molto più elusive:
… tendiamo a pensare che l’ economia pianificata sia crollata perché mancava l’ effetto galvanizzante della ricerca di un profitto… ma questo non è del tutto vero perché l’ URSS era pieno di personaggi creativi a prescindere dall’ esca… e non mancavano nemmeno le tecniche motivazionali e gli incentivi sia positivi che (orribilmente) negativi…
Le lacune endemiche del sistema vanno forse cercate (anche) altrove…
… in una patologica incapacità di sperimentare… per i pianificatori è impossibile tollerare un’ autentica varietà di metodi per risolvere un problema… l’ ingegnere sociale ha in mente solo problemi ingegneristici: un problema, una soluzione… il resto è “spreco” di risorse… nella città modello di Magnitogorsk esistevano solo due tipi di abitazione “A” e “B”, ed erano le uniche concessioni alla diversità che la città poteva offrire…
Basta? No:
… il pianificatore, per quanto entusiasta e in buona fede, fatica a decidere cosa funzioni e cosa no… per conoscere quali esperimenti hanno dato esito positivo bisogna contare su feedback affidabili… che nel caso dell’ URSS erano ferocemente repressi…
Qui si narrano le vicende dell’ Ing. Palchinsky, un pianificatore illuminato che a un certo punto “comprese” il nocciolo della questione stilando quei principi che lo condussero dritto dritto in Siberia:
… primo, testare nuove idee e provare strade alternative… secondo, sperimentare in modo da sopravvivere ai fallimenti… terzo, cercare riscontri e imparare dai propri errori… Il primo principio potremmo chiamarlo “variazione”, il secondo “sostenibilità” e il terzo “selezione”… Finì nel Gulag con un’ accusa terribile: sabotaggio della grandiosa industria sovietica con l’ intento di perseguire “obiettivi minimali”… Poiché era una testa dura alla Giordano Bruno, non ritrattò e fu condannato a morte…
***
Ma anche nelle grandi organizzazioni democratiche e commerciali dell’ Occidente liberale, il metodo del “prova e sbaglia” risulta a dir poco problematico nella sua applicazione:
… la “variazione” è sempre difficile per una tendenza intrinseca: la mania di grandezza… i grandi progetti attirano l’ attenzione e dimostrano che il leader porta a termine le cose…
Proviamo a prendere sul serio l’ idea di “variazione”:
… se la varietà è un valore… bisogna ammettere che standard qualitativi uniformemente alti (penso ora al sistema sanitario su base regionale), non solo sono difficili da ottenere, ma nemmeno sono auspicabili…
Terribile, nevvero?
Il fatto è che ci piace pensare al mondo come a un “problema risolto” anziché come a un problema che torna a riproporsi all’ infinito mettendoci alla prova in un’ apparente fatica di Sisifo.
L’ epitome del problema risolto è la Coca Cola (ramo bibite gasate), almeno per come compare nella famosa uscita di Andy Wharol:
… quando vedi in TV la pubblicità della Coca sai che anche il Presidente la beve e che anche tu puoi berla… una Coca è una Coca e nessuna somma di denaro puo’ darti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’ angolo della strada… ogni Coca è uguale a tutte le altre e ogni Coca è buona. Liz Taylor lo sa, lo sa il barbone, lo sai te e lo sa anche il Presidente…
Nel mondo cocalesco dipinto da Wharol tutto è fermo, bidimensionale, congelato, stabilizzato, pacificato. Tutto è risolto e tutti beneficiano della soluzione. Ma noi non viviamo né nella monumentale Unione Sovietica, né nella narcosi wharoliana, per questo abbiamo bisogno di dinamismo, di errori, di cadute, di differenze, di varietà e di irritanti diseguaglianze.
Ma non è solo la “varietà” a creare problemi:
… altrettanto difficile, per le organizzazioni tradizionali, è provvedere alla “selezione” di quel che ha funzionato sul campo…
Almeno metà dei progetti pilota fallisce e a un politico, per esempio, non piace molto mostrare in pubblico i propri fallimenti, verrebbe irriso quanto e più di Cimabue:
… dovremmo invece tollerare, se non celebrare, tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che molte non funzionano… ma in realtà non lo facciamo mai…
Come se non bastasse, c’ è un limite ai feedback sinceri che un boss vuole ricevere, anche per questo indoriamo la pillola fino a tramutarci in tanti yes-man:
… si arriva all’ estremo che persino quando il boss vorrebbe un riscontro onesto sulle sue scelte non riesce a riceverlo per quanto si impegni…
***
Ma lasciamo perdere le grandi organizzazioni e guardiamo per un attimo dentro noi stessi. Perché é così difficile imparare dai propri errori? I pokeristi sembrano i più titolati a rispondere:
… diversi giocatori professionisti mi hanno raccontato che il rischio di perdere il controllo non è particolarmente alto quando si vince un piatto consistente e fa capolino l’ euforia… ma quando si è appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata o per una strategia sbagliata… Perdere puo’ mandare in tilt anche il giocatore più freddo… riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’ unica cosa da fare, per quanto doloroso sia… il giocatore si mette invece a fare puntate folli per riequilibrare quella che ritiene essere solo una situazione temporanea… non è la perdita iniziale a rovinarlo ma le mosse successive…
E’ difficile “procedere per errori” quando non sappiamo affatto convivere con i nostri errori.
Il fenomeno si chiama “loss aversion”, da non confondere con la semplice “risk aversion”.  La prima è un bias cognitivo, la seconda una semplice preferenza sui rischi. Solo la prima produce comportamenti all’ apparenza assurdi come, per esempio, rinunciare a qualcosa solo perché in futuro potremmo perderla.
Fortunatamente gli esempi concreti per capire non mancano. Giusto l’ altro giorno, avendo comprato il biglietto per uno spettacolo a lungo atteso, volevo andarci anche se leggermente influenzato, non riuscivo davvero ad accettare l’ idea di sprecare i soldi. Anche se “sprecare” quei soldi era di gran lunga la strategia migliore di procedere nelle mie condizioni.
Vado avanti? Guardatevi la trasmissione dei “pacchi” su Rai Uno, spero sappiate le regole del gioco:
… statistiche alla mano, il comportamento più stupefacente è quello dei concorrenti inizialmente penalizzati dall’ estrazione di un pacco particolarmente munifico… costoro, nel prosieguo del gioco… raramente accettano le proposte del banco, anche quando sono molto ma molto convenienti… anche se in altri contesti le avrebbero accettate… e questo perché facendolo sentono di rimanere come “imprigionati” nella sfortuna che li ha colpiti in partenza… continuando a giocare invece sentono di avere una possibilità di riscatto… ma a loro sono riservate cocenti disillusioni…
Morale: il metodo “prova e sbaglia” è il migliore quando dobbiamo far fronte a problemi dove la calcolatrice s’ arrende, peccato sia tanto contrario al nostro istinto e al nostro benessere psichico.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=iZU0IKFSB_0]

Solo una piccola aggiunta off topic sulla psicologia della “loss aversion”. Probabilmente sta proprio lì la chiave per capire l’ esistenza niente po’ po’ di meno che… dello Stato! Sì, perché questa è la mia teoria dello Stato preferita:
… molti filosofi della politica si chiedono perché tolleriamo dallo Stato coercizioni che non tollereremmo mai se a imporcele fosse chiunque altro… La mia ipotesi è che le persone siano mediamente molto più sconvolte da piccoli soprusi sporadici, anonimi e imprevedibili, piuttosto che da grandi soprusi costanti, identificabili e prevedibili… Gli anarchici sostengono che il Governo non si differenzia dal semplice bandito di strada, senonché il governo dopo averti rapinato senza indossare una maschera non scappa ma resta alle tue calcagna in attesa di rapinarti anche il giorno dopo… non si rendono conto che proprio questa caratteristica spiega il successo dello Stato moderno… infatti, una ragione per cui ci si sottomette alle coercizioni governative sta proprio nel fatto che esse sono relativamente costanti, che i leader di governo siano ben identificabili e le loro azioni abbastanza prevedibili…
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Se il nemico si chiama “loss aversion”, cosa si puo’ fare?
Forse niente. Oppure si puo’ “lavorare su se stessi” facendo dei proponimenti per l’ anno nuovo:
… nel 2013 combatterò risoluto l’ avversione alle perdite… mi riprometto di moltiplicare i progetti andando incontro a tanti piccoli fallimenti… il mondo è pieno di micro esperimenti che possiamo fare e a cui di solito rinunciamo a causa della “loss aversion”: andare a quella festa dove potremmo incontrare qualcuno d’ interessante… coltivare un nuovo hobby… avvicinarsi a un movimento politico… imparare a mettere insieme una torta al cioccolato… prendermi un personal trainer… oppure, se proprio sono a corto di idee, leggere il libro di Peter Sims “Little bets”… Il punto è che non mi aspetto affatto che la gran parte di questi progetti prenda una buona piega… il personal trainer probabilmente sarà uno spreco di denaro e di tempo… la festa presumibilmente sarà noiosa, non ho una gran voglia di mettermi ai fornelli e a casa mia sto sempre meglio che in piazza a gridare slogan… ma non importa perché le “perdite” a cui andrò incontro saranno comunque piccole e  ampiamente compensate quando uno solo di questi progetti si rivelerà pienamente soddisfacente e mi farà “svoltare”… quante più perdite sopporterò, tanto più probabilmente il gioco complessivo si chiuderà in attivo…
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A questo punto sarebbe bello trattare un problema concreto alla luce di queste scoperte. Si potrebbe iniziare con i cambiamenti climatici!
Direi che la “complessità” non manca, ma forse è meglio rinviare a un altro post.
Qui cerco invece di trarre un primo insegnamento da quanto detto.
L’ algoritmo evolutivo, l’ avrete notato, assomiglia molto alla canonica “soluzione liberale”.
Scopriamo quindi che quest’ ultima non dovrebbe essere confusa e messa in concorrenza con le altre soluzioni poiché essa consiste essenzialmente in un “passo indietro”, in una dichiarazione d’ ignoranza, in una rinuncia a “risolvere” e in una cessione di potere alle forze naturali che sbagliando, correggendosi e copiandosi ottusamente, faranno emergere una ricetta migliore e sempre migliorabile.
In questo senso, il liberalismo non puo’ essere considerato un’ ideologia, non consiste in soluzioni preconfezionate ma, al limite, in una meticolosa preparazione del terreno su cui si confronteranno i veri “cercatori di soluzioni”.
Il liberale deve usare la logica, ma non per edificare fragili costruzioni, bensì per far vacillare le più pretenziose e animare la concorrenza. Il liberale deve impratichirsi con la statistica, ma non per dimostrare l’ esistenza di arcane relazioni su cui fondare la Verità, bensì per revocare in dubbio quella più arrogante rigettandola nel maelstrom delle idee indimostrate. Insomma, è bene che il liberale sfoggi un certo genio, ma solo per indebolire il genio apodittico di chi vorrebbe parlare col megafono a nome di tutti.
Non manca un lato oscuro in tutto cio’: è naturale sentirsi e dichiararsi ignoranti? E’ naturale fare un “passo indietro”? E’ naturale ergere l’ errore a simbolo della conoscenza?
Direi di no, il “liberalismo” è contro-natura e difficilmente farà mai breccia nella massa.
Fiero allora di appartenere a un’ élite, il liberale dimentica subito le basi del suo credo e gonfia inopinatamente il petto: più arrogante di lui c’ è forse solo l’ “evoluzionista” militante! Non sorprende davvero apprendere da questo libro che i due siano cugini primi.