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sabato 25 gennaio 2020

LA RELATIVITA’ SPECIALE E’ MOLTO MENO SPECIALE DI QUANTO SI CREDA.


LA RELATIVITA’ SPECIALE E’ MOLTO MENO SPECIALE DI QUANTO SI CREDA.


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Per il senso comune:
1) Esiste il libero arbitrio (almeno un cicinin).
2) Un fenomeno o 1) NON esiste ancora, o 2) esiste, o 3) NON esiste più o 4) NON esisterà mai. Ergo: le cose esistono solo al presente.
3) Il tempo è irreversibile.
Per la scienza (relatività speciale):
1) Tutto è determinato in anticipo.
2) Un fenomeno puo’ essere contemporaneamente nel presente, nel passato e nel futuro. Ergo: le cose nel passato e nel futuro esistono.
3) Si puo’ viaggiare anche indietro nel tempo.
Non è facile comprendere come mai la scienza giunga a simili bizzarre conclusioni. Un modo per intuirlo è quello diimmaginare che esistano tanti “sistemi di riferimento” differenti che offrono punti di vista differenti sulle cose, tutti oggettivi (ma relativi). Esempio, per me che appartengo ad un certo sistema l’evento E è nel passato, per te che appartieni ad un altro sistema l’evento E è nel presente. Siccome sia io che te siamo osservatori oggettivi, concluderemo che l’evento E è sia nel passato che nel presente. Non solo, siccome il passato rende l’evento E determinato (una cosa già successa non si puo’ cambiare), e siccome un evento non puo’ essere sia determinato che indeterminato, allora il libero arbitrio non puo’ esistere visto che si dovrebbe espletare in eventi che per molti osservatori sono già nel passato. Non solo, siccome io e te vediamo la stessa cosa ma in tempi diversi, basterà che io mi sposti nel tuo sistema di riferimento per viaggiare nel tempo, anche all’indietro!
Ma scienza e senso comune sono in qualche modo riconciliabili? Forse sì, pensiamo a cosa succede quando leggiamo l’Odissea. Tutti noi pensiamo ad Ulisse come a un uomo libero, il fatto che viva le sue avventure nel passato e che quindi siano in qualche modo già scritte – un po’ come il fato -non ci crea problemi logici. Aggiungo, per prevenire obiezione, che anche nel mondo immaginato dalla scienza non è possibile un’azione di interferenza tra sistemi di riferimento differenti, cosicché l’analogia sembra reggere. Anche il fatto che l’incontro con Polifemo avvenga “per noi nel passato” e “per Ulisse nel presente”, non ci crea alcun problema. Oltretutto, nella mia lettura trasognata posso anche immaginare di essere vicino ad Ulisse senza per questo dover credere alla reversibilità del tempo. Insomma, basta trasformare l’universo della relatività speciale in una “storia” e la scienza si riconcilierebbe senza problemi con il senso comune: quello che la scienza chiama “tempo relativo” è solo il fatto che per un “osservatore del presente” l’evento E accade nel passato mentre per un “osservatore del passato ” lo stesso evento E accade nel presente. Detto così cio’ che accade nel fantastico mondo della “relatività speciale” risponde all’esperienza che facciamo tutti i giorni, il che ci consente di dire che solo le cose presenti esistono. Non sembrerebbero sorgere gravi problemi.
Eppure la storia ci dice che di problemi ne sono stati sollevati, che l’inconciliabilità è stata sollevata a più riprese. Chi sono i “colpevoli”? Io ne individuerei due su tutti:
1) IL FILOSOFO SOFISTA. Al resoconto di cui sopra un filosofo agguerrito potrebbe replicare che i fautori del senso comune si sono limitati a uscire dalla trappola trasformando l’ “osservatore ordinario” in 1) “osservatore presente” + 2) “osservatore passato” + “osservatore futuro”. Comodo. Ma quanto detto per l'”osservatore ordinario” puo’ essere ripetuto per tutte le figure derivate. Insomma, la scappatoia escogitata per riconciliare senso comune e scienza puo’ essere elusa riproponendo le paradossali tesi di partenza alle nuove figure di osservatori. Questo è vero, com’è vero che sarà sempre possibile replicare a questa contro-mossa nel medesimo modo, e così via in un regresso continuo. A questo punto occorre chiedersi a chi nuoce il regresso continuo delle ragioni, e la risposta è facile: al sofista, ovvero a chi nega il senso comune. E’ infatti lui che deve spiegare perché mai la realtà dovrebbe deviare da cio’ che appare di senso comune, e poiché il regresso continuo non spiega nulla – visto che propone solo ragioni senza fondamento – è lui a ritrovarsi con il cerino in mano.
2) LO SCIENZIATO ADORATORE DELLA MATEMATICA. La matematica è uno strumento miracoloso di conoscenza, talmente miracoloso che molti “scienziati esteti” si dimenticano che è solo uno strumento, e non l’oggetto della conoscenza stessa. In questi casi da strumento, diventa un culto. Il fatto che la matematica mappi bene il territorio fa sì che molti scienziati/filosofi la confondano con il territorio. In questi casi il modello matematico cessa di essere una mappa da interpretare per orientarsi agevolmente sul territorio e diventa essa stessa un territorio da contemplare senza più il filtro di un’interpretazione. Ecco allora che se il modello matematico propone un’astrazione atemporale, per gli adepti al culto anche l’universo diventa automaticamente una realtà atemporale dove passato, presente e futuro coincidono e dove il tempo si trasforma in una variabile come le altre, una sorta di spazio che possiamo percorrere in tutte le direzioni. Ecco, per tornare al senso comune basta liberarsi da questo culto estetico e sfatare un incanto seducente ma fuorviante.
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domenica 5 gennaio 2020

UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


Non avremo più scienziati come lui. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più domanda di geni. Mi spiego meglio.

Le persone credono a tutto. Si fanno ingannare da bugiardi, truffatori, seduttori, demagoghi, imbonitori, e chi più ne ha più ne metta. Ma le persone posseggono anche il “logos”: sanno ragionare. Riflettendoci, la prima caratteristica discende dalla seconda: è solo perché ragioniamo, pensiamo e usiamo il linguaggio che possiamo essere ingannati.

Ma c’è di più: se il cristiano devoto ha ragione, allora indù, ebrei, buddisti e atei hanno torto. Dal che discende che ad ingannarsi è quasi sempre la maggioranza. L’inganno è così diffuso che probabilmente rappresenta un vantaggio evolutivo anche in chi “ci casca”. Ci sono inganni che perdurano a lungo senza ragione apparente. Ci sono inganni con cui conviviamo bene, che non siamo affatto interessati a sfatare. Qui vorrei raccontare una storia particolare. No, non riguarda qualche religione dai dogmi inverosimili, riguarda la la meccanica quantistica.

Non pretendete troppo da me, non riesco a tracciare una storia rigorosa, non sono un fisico, non ne ho gli strumenti adatta; dirò comunque qualcosa di generico – spero corretto – cercando di approfondire solo la questione che mi interessa veramente.

Che nelle particelle delle onde elettromagnetiche ci fosse qualcosa che non andava (che non si conciliasse bene con la gravitazione universale) lo aveva già capito Max Planck, il quale però lasciò cadere la cosa sperando si forse che si risolvesse da sé. Nel 1905 Albert Einstein fece un passo decisivo con la sua analisi dell’effetto fotoelettrico, certi fenomeni legati al calore e alla luminosità si manifestavano solo sotto certe frequenze di luce. Perché? Boh. Passo successivo: nel 1913 Niels Bohr ideò l’atomo di Bohr. Gli elettroni orbitano attorno al nucleo proprio come i pianeti che orbitano attorno al sole. Tuttavia, a volte l’elettrone salta su un’orbita differente emettendo luce. Si trattava di capire quando cio’ avveniva. Bohr non riuscì a comprendere bene quale legge governasse questi salti quantici. E con questo enigma si chiudeva il periodo della “vecchia” teoria quantistica.

Poco dopo, 1925, Il formalismo matematico di Heisenberg (a base di matrici) ottenne le previsioni che Bohr aveva cercato, erano di una precisione incredibile, ma restavano di natura statistica. L’enigma si riproponeva in altra veste: perché a volte le cose vanno in un modo e altre volte in un altro? E perché in condizioni differenti ma ininfluenti gli esiti cambiano?

Di fronte a queste domande Bohr avrebbe potuto dire che la teoria non era ancora matura per rispondere, invece prese una decisione diversa e alquanto strana, disse: non è possibile visualizzare ciò che l’elettrone sta facendo perché il micromondo dell’elettrone non è, in linea di principio, visualizzabile. Solo gli “oggetti classici” sono visualizzabili. La definizione di “oggetto classico”, purtroppo, non l’abbiamo. In altri termini, se non sappiamo le cose, la colpa non è nostra ma delle cose. Se le nostre conoscenze sono solo probabilistiche cio’ non implica che siano limitate: è il mondo (il micromondo) ad avere natura probabilistica. C’è una differenza tra una fotografia sfocata e una foto della nebbia. Per Bohr la nostra foto è perfetta, ma stiamo fotografando la nebbia. Di fronte ad una simile posizione l’accusa di sofistico sarebbe scattata immediatamente, ma, per il prestigio dello studioso, non scattò. Anzi, la scuola di Copenaghen si propose come la maggior candidata all’ortodossia.

Nel 1926 Erwin Schrödinger produsse un formalismo matematico differente dal precedente, il suo era a base di equazioni, più classico. Ma era comunque equivalente al precedente. Se le matrici di Haisenberg parlavano di particelle, le equazioni di Schrödinger parlarono di funzioni d’onda. In questo senso il nuovo approccio era più tradizionale e intuitivo. Le onde, stando al linguaggio di Bohr, sono visualizzabili. L’equivalenza dei due formalismo la dobbiamo a Paul Dirac: entrambi i sistemi fanno esattamente le stesse previsioni osservabili.

Piccola digressione epistemologica: per un positivista logico le due impostazioni non sono distinguibili poiché una teoria si definisce in base alle previsioni osservabili che consente di fare. Il positivista si disinteressa di cio’ che non puo’ essere osservato. Il positivismo logico è praticamente una teoria semantica: una teoria non dice altro che le sue conseguenze osservabili. All’epoca tutti erano “positivisti logici”, il positivismo logico emergeva spontaneo nelle menti degli scienziati; ogni volta che veniva “ucciso” risorgeva puntualmente. Se il mondo delle particelle subatomiche si presentava come assurdo, poco importava visto cio’ che consentiva di fare. La situazione, in un certo senso, si è riproposta nell’economia quando Milton Friedman propose di considerare i giocatori di biliardo come geometri, così facendo era possibile prevedere le loro mosse, ovvero i loro tiri. Ma al contempo si trattava di un’ipotesi assurda poiché era chiaro che nessuno dei giocatori di biliardo era geometra! Domanda: la verosimiglianza delle ipotesi conta? Per i positivisti logici no. Contano solo le conseguenze. Oggi nessuno sosterrebbe più una cosa del genere.

Ma torniamo a noi. Nel 1926 la situazione era piuttosto confusa. In che modo il formalismo matematico utilizzato per rappresentare il sistema quantistico entra in contatto con il mondo come mostrato nell’esperienza? E’ l’indovinello “della misurazione”. Ma cosa stiamo misurando? Cosa esiste? La “strana” posizione di Copenaghen si fondava anche sul fatto che noi non abbiamo nessuna esperienza diretta con gli elettroni, come possiamo dire che il senso comune rimaneva sconvolto da certi comportamenti bizzarri? Il senso comune si forma con l’esperienza. Qui però la funzione d’onda di Schrödinger diventa decisiva poiché mostra come sia possibile risalire senza rotture dal mondo delle particelle a quello degli oggetti. In questo senso, anche un gatto, si disse, eredita le proprietà delle particelle subatomiche di cui è composto; anche un gatto, quindi, dovrebbe avere natura probabilistica In uno chema quantistico la sua essenza, almeno quando non lo osserviamo, è quella di essere sia vivo che morto (oppure né vivo né morto). Ma questa è una palese assurdità. La reazione di Bohr: qui si parla dell’invisibile, non di gatti. Ma a questo punto sorge il problema di distinguere gli oggeti classici (i gatti) dagli oggetti invisibili (le particelle). Formulandolo nei termini di Schrödinger: possiamo visualizzare il micromondo: è un’onda. Ma ad un certo punto, le onde ci appaiono come particelle. Quel punto critico è noto come “collasso d’onda” ed è importante conoscere le sue caratteristiche. Quando e come collassa la funzione d’onda?

Qui torna in campo Einstein – siamo alla drammatica quinta conferenza Solvay. Il genio pretende un chiaro resoconto di ciò che sta accadendo nel mondo fisico ma per Bohr è una pretesa assurda, una domanda insensata, è l’espressione “reale mondo fisico” che ha perso di senso: ripeto, contano soltanto le conseguenze prevedibili. Einstein in tutta questa faccenda gioca il ruolo dell’ anti-positivista. La sua posizione è spesso chiamata “realismo”, ma io la chiamerei “buon senso”: crede in un mondo oggettivo. La semplice previsione, non importa quanto precisa, non è sufficiente, manca la descrizione del reale.

Einstein e Bohr erano opposti polarmente nel loro approccio alla fisica, e la resa dei conti si ebbe in quell’epica conferenza. Einstein, un tempo radicale, era diventato un conservatore alla disperata ricerca di recuperare il determinismo classico. Ma come andarono le cose in quel duello finale? Nella vulgata, Einstein capì che doveva concentrare le sue obiezione in qualcosa di facilmente comprensibile e propose un esperimento mentale progettato per mostrare l’insostenibilità delle affermazioni di Bohr (ne ho parlato qui). Bohr gli rispose avvalendosi niente meno che delle armi del nemico, e tirò fuori a sorpresa la relatività. Einstein rimase spiazzato (come si resta di solito quando veniamo rintuzzati da una replica tanto sicura quanto ermetica). Una resa dei conti a valere nei secoli dei secoli. Einstein, sconfitto, trascinò il suo corpo ferito altrove, cambiò di umore, diventò una persona irritabile e smise di fare fisica in termini significativi.

Ma questo resoconto canonico non è molto fedele. Innanzitutto, Einstein non era infastidito più di tanto dall’indeterminismo della meccanica quantistica. Ciò che lo irritava – come diceva ripetutamente – era la “non-località”. Secondo la teoria quantistica di Bohr certi corpi erano in grado di influenzarsi a vicenda senza entrare in contatto. Esempio: se certi microeventi vengono osservati si manifestano in un certo modo, se non vengono osservati in un altro. E questo senza che ci sia un contatto fisico tra osservatore ed osservato. Un assurdità per Einstein. Tutto regolare per Bohr, che in nome delle “conseguenze” (ovvero della capacità predittiva) sarebbe stato disposto anche a credere ai fantasmi. Ma per Einstein, tra il “fatto bruto” di Bohr e i fantasmi non c’era molta differenza, quindi questo stato di cose andava sanato. Un altro modo per descrivere la non-località tira in ballo il collasso d’onda di cui sopra: se un’onda elettromagnetica viene incanalata attraverso un foro molto stretto, quando emerge si diffonderà in tutte le direzioni come le onde prodotte da un sasso scagliato in acqua. Ma nell’esperimento capita che lo schermo emisferico costruito per catturare l’elettrone ad un certo punto non riveli nulla di espanso, bensì un singolo lampo luminoso. Esiste cioè un punto in cui l’onda si trasforma in particella senza però che vi sia alcuna trasformazione descrivibile. Si tratta di una trasformazione istantanea: senza onda non c’è particella ma tra onda e particella non c’è alcuna mediazione fisica. In qualche modo, tutte le parti distanti della funzione d’onda scompaiono istantaneamente, come se viaggiassero più velocemente della luce, cosa impossibile. Si realizza così un’ azione spettrale a distanza, tipo paranormale. Miracolo? Fantasmi? A Bohr non interessa, è un “fatto bruto” che si limita a registrare. Einstein è invece è sconvolto, vuole una spiegazione. Oltretutto, il fenomeno aveva una sua regolarità, non era caotico, in un certo senso si poteva anche pianificare un percorso in grado di spiegare le cose (in seguito lo si farà, anche se in modo inaccettabile per Einstein). C’era qualcosa che stava agendo e metteva in contatto fisico i due fenomeni. Einstein cominciò a parlare di variabile nascosta senza mai riuscire ad esplicitarla.

Ma accettare la posizione di Einstein significa rifiutare la completezza della meccanica quantistica. Bohr si disinteressò della cosa e la sua posizione/non-posizione stava decisamente vincendo la guerra della propaganda. L’anarchismo trionfava. L’oscurantismo filosofico si propagava ovunque. L’incoerenza segnata dal “principio di complementarità” veniva sdoganata. Trionfava l’alleanza tra positivismo soggettivista e dialettica antilogica. Un abbassamento senza precedenti degli standard critici per le teorie scientifiche diveniva norma. Ciò ha portato a una sconfitta della ragione e al culto anarchico dell’ incomprensibile e del caos.

La storia successiva è piuttosto anodina. Nel 1932 la presunta prova matematica di John von Neumann attestava che la meccanica quantistica è completa, non si poteva aggiungere nulla, non c’era spazio per “variabili nascoste”. Nel 1935 Grete Hermann scopre difetti fatali nella prova di von Neumann. Successivamente Einstein ripropone, nel famoso argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR), le sue obiezioni; segue risposta incomprensibile e svogliata di Bohr. Nessuno sembra più interessarsi del dibattito teorico, si sfruttano invece le capacità dell’algoritmo quantistico. Bohr vince e diventa l’ortodossia, non perché il suo modello fosse superiore ma perché il suo disinteresse per un modello adeguato incontra bene il disinteresse della comunità scientifica tutta presa a sperimentare l’algoritmo.

Il profano pensa che a tanti anni di distanza le cose si siano messe a posto, che il casino sia stato ricomposto. Ma non lo è mai stato. Negli anni 50 e 60 il misticismo di Copenaghen si era congelato in un comando minaccioso: zitto e calcola (con l’algoritmo che ti abbiamo dato!). Chiunque tentasse di elaborare una teoria migliore faceva una brutta fine in termini di carriera.

Il primo rinnegato fu David Bohm, ipotizzava un’onda pilota in grado di guidare le particelle lungo percorsi prefissati in modo da aggirare la non-località e giungere a una teoria completamente deterministica. Si potrebbe pensare che almeno Einstein potesse accogliere con favore il suo tentativo ma non fu così, probabilmente perché il modello si conciliava male con la relatività (violava, diciamo così, certi limiti di velocità). Ad ogni modo il lavoro di Bohm fu ignorato ed efficacemente soppresso. Circola voce che Oppenheimer abbia detto: “se non possiamo confutare Bohm, allora dobbiamo ignorarlo.”

Un altro rinnegato fu Hugh Everett, sosteneva che per rendere coerente lo schema di fondo occorreva moltiplicare gli universi di riferimento. Il gatto di Schrödinger non doveva essere sia vivo che morto ma vivo in un universo e morto in un universo differente. Bohr si rifiutò di benedirlo e lui lasciò per sempre il mondo accademico.

Il terzo rinnegato fu John Stewart Bell. In realtà agì su un piano diverso, dimostrò cioè che l’imbarazzante “azione a distanza” era inevitabile, mettendo così chiaramente in luce il lato inaccettabile della cosiddetta “teoria” quantistica. Talmente inaccettabile che oggi i filosofi della scienza tentennano nel chiamarla “teoria” preferendo considerarla una lista di postulati con cui ricavare un algoritmo previsionale. Bell dimostrava una volta per tutte che le paure di Einstein erano qui per restare. Come ha reagito la comunità dei fisici a questa scoperta epocale? Con un’alzata di spalle. Sostiene che il risultato di Bell dimostra che l’indeterminismo è inevitabile, dimenticando che Bell stesso era il sostenitore più convinto della teoria deterministica di Bohm.

Certo, il lavoro di Bell ispirò una generazione di fisici teorici ad esaminare i fondamenti della fisica, in questo senso registrò un piccolo successo. Tuttavia, la soppressione della più genuina curiosità scientifica è sicuramente il punto di approdo di tutta la vicenda. Da allora la conoscenza della fisica è diventata secondaria per un fisico, l’unica cosa che conta è andare a Ginevra e infilare la testa nell’ennesimo accelleratore costato milioni di euro e giocare agli autoscontri.

Concludo allora come ho iniziato: non avremo più scienziati alla strega di Einstein. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più nessuna domanda di geni. E spero ora di aver spiegato perché.

IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO



IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO





Il conflitto tra il resoconto scientifico del mondo e il “buon senso” sembra essere la regola, Copernico, per esempio, propose che, invece di tenere ferma la terra, si tenesse fermo il sole. Assurdo, visto che tutti constatiamo quotidianamente che la terra è ferma mentre il sole si muove. Ma il buon senso puo’ essere riconciliato pensando ai diversi piani di riferimento: se siamo su un treno e l’altro si muove, chi si sta muovendo in realtà? Il buon senso coglie bene questo enigma e, quindi, finisce per afferrare bene anche l’ipotesi di Copernico. Altro esempio: la terra gira su se stessa. Assurdo: se la Terra gira così velocemente, ci si chiede, come potrebbero gli uccelli in volo tenere il passo? Per risolvere il conflitto si dovette introdurre il concetto di inerzia: gli oggetti messi in movimento tendono a rimanere in movimento per conto loro.

Il buon senso è una raccolta di credenze ampiamente condivise che nascono spontaneamente dall’interazione quotidiana; qui sostengo la tesi di come sia logicamente impossibile per qualsiasi scienza empirica liberarsi completamente del buon senso. In altri termini, il buon senso non puo’ mai essere “liquidato”, deve essere sempre “riconciliato”. Se la riconciliazione è impossibile, la teoria non è una teoria valida. Ma perché?

Prendiamo la meccanica quantistica, ovvero la prima teoria che tenta una liquidazione del buon senso. Tuttavia, le affermazioni sugli stessi risultati sperimentali da cui tale teoria deriva traggono la loro autorità dal buon senso. Lo stesso Niels Bohr ha sottolineato esattamente questo punto in una delle sue discussioni in cui parla di interpretazione “classica” degli esiti sperimentali (nel suo gergo “classico” equivale a buon senso). In altre parole: la teoria liquida il buon senso per poi recuperarlo quando constata i dati sperimentali. Questo è un problema. Molti fisici, purtroppo, anzichè vedere il problema, sembrano deliziarsi nel portare all’estremo la “stranezza quantistica”. Esempio: il gatto di Schrödinger.

Nella fisica classica, informazioni complete sullo stato iniziale di un sistema, insieme alle leggi della fisica, consentono di derivare esattamente lo stato finale. L’incapacità della teoria quantistica di andare oltre semplici previsioni probabilistiche fu presa da Bohr e dalla sua scuola di Cpenaghen come un’indicazione che le leggi della fisica stessa sono probabilistiche. Di solito, di fronte ad una previsione probabilistica noi ammettiamo i nostri limiti, in questo caso no: abbiamo una conoscenza completa delle cose, sono LORO ad avere una natura “probabilistica”. Al buon senso gira la testa. Ma perché prendere una simile posizione così assurda? Molto più ragionevole la posizione di Einstein: la descrizione della realtà data dalla meccanica quantistica non è completa. E’ un bene che si possano fare previsioni accurate, ma la teoria non è completa, punto e basta.

Ma veniamo al gatto di Schrödinger. Lo studioso notò che certi comportamenti subatomici possono essere amplificati su scala macroscopica in modo da descrivere oggetti “normali” come per esempio un gatto. E fin qui nessun problema per il senso comune: se gli atomi sono i mattoncini che ci costruiscono, possiamo parlare di noi parlando di quei mattoncini. Ora, il senso comune non puo’ giudicare l’elettrone – non ha nessuna esperienza in merito – ma il gatto sì. Ora, dal fatto che lo status di una particella puo’ essere indeterminato ne deriva che anche lo status di un gatto chiuso in un box puo’ essere indeterminato. Cio’ significa che nell’istante X puo’ essere contemporaneamente SIA vivo CHE morto.

È essenziale notare che Schrödinger non stava proponendo di accettare una conclusione tanto bizzarra. Descriveva infatti l’esempio come un “caso ridicolo”, mostrava cioè che la comprensione di Bohr della teoria quantistica non poteva essere corretta. Ma per qualche oscura ragione, i fisici hanno cominciato ad usare il gatto di Schrödinger come illustrazione fedele della realtà.

I paradossi potevano essere spinti oltre: l’atto stesso dell’osservazione in qualche modo costringeva magicamente il gatto a “determinarsi” nella condizione di vivo o morto. Il buon senso vede in questo potere degli osservatori una specie di “storia di fantasmi”, un’azione spettrale a distanza tipo quelle che abbondano nel mondo paranormale. Fortunatamente c’è una via d’uscita, basta ammettere la propria ignoranza: non sappiamo ancora bene come vanno le cose. Copenhagen, invece, non batté ciglio: non c’è nessuno spettro, nessuna ignoranza, la natura è così, punto. I fisici di tutto il mondo erano chiamati a bersi anche la più comica delle bizzarrie. E lo fecero! Per loro – e in questo erano in linea con il positivismo logico che allora dominava – una teoria non deve “spiegare”, deve solo “prevedere”, è chiaro che se le cose stanno così andava bene tutto. Uno di loro arrivò a dire: “ora sappiamo che la luna non è lì quando nessuno guarda”. Ah ah ah. una lezione ce la portiamo a casa: ciò che il fisico medio ha da dire su questo argomento non sembra affatto affidabile. Ci sono infatti diversi modi più chiari e coerenti di dare un senso alla teoria quantistica – prima, per esempio, ho parlato di ignoranza – e nessuno di loro suggerisce che la luna non esista!

Ma se la teoria quantistica non ci dice che esistono gatti né vivi né morti, cosa ci dice?

La risposta è semplice: nulla. Nulla perché, molto semplicemente, non esiste alcuna teoria della meccanica quantistica, esiste al limite un semplice algoritmo con cui i fisici fanno le loro previsioni. Un algoritmo serve a quello, e a lui è giusto non chiedere altro. Una teoria, invece, deve dirci COSA ESISTE e COME CAMBIA. I fisici non hanno nulla del genere per l’infinitamente piccolo. Non hanno cioè un’interpretazione valida di quello che succede in quel mondo, anche se riescono a prevederlo. Certo che se prevedere è tutto – come per i positivisti logici – allora, contro il buon senso, l’algoritmo puo’ fungere anche da teoria. Si badi che l’algoritmo in sé è silente sulla natura delle cose, non ci dice se sono determinate o indeterminate, è la teoria che si assume questo onere.

Tuttavia, al di là dell’indeterminazione, è la presenza di fantasmi a sconcertare il senso comune, nonché Einstein (che l’indeterminazione l’accettava). Come se non bastasse, John Bell dimostrò più tardi che l’azione dei fantasmi (lui la chiamava “località” o “azione a distanza”) era inevitabile nella meccanica quantistica. Già Newton, in accordo con il senso comune, aveva risolutamente respinto l’idea di un’interazione non mediata tra oggetti. Certo, potremmo togliere un vincolo di velocità massima pari a quello della luce, ma in questo caso andrebbe in crisi la relatività.

da quanto detto traggo almeno due lezioni: 1) chi vuole fare predizioni se la cava, chi vuole conoscere è in mezzo al guado. Per questo i fisici si sono messi a sperimentare nel tentativo di predire, ma quanto a conoscenza non avanzano di un millimetro da decenni. 2) Il senso comune è regolarmente violato dalla scienza, ma questo non è un problema poiché c’è sempre un momento di riconciliazione. Quando la riconciliazione manca cominciano i guai. Ecco, nel caso della meccanica quantistica li vediamo tutti.

Per finire, cedo la parola a Democrito: povera mente, accumuli prove su di noi e poi cerchi di rovesciarci? Non capisci che il nostro rovesciamento è la tua caduta!
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martedì 26 marzo 2013

Potenza dello sguardo

Nel novecento i fisici hanno esplorato a lungo le meraviglie dei mondo infinitamente piccolo.
E quando dico piccolo intendo proprio piccolo:
Il loro stravagante resoconto non è poi così difficile da rendere ma resta comunque ostico da assimilare. Il profano che si affida mani e piedi all’ intuizione vacilla.
***
Per chi crede che la natura profonda delle cose ci parli di Dio, forse vale la pena fare un piccolo sforzo di concentrazione poiché autorevoli personaggi hanno sostenuto che proprio questa dimensione del reale sia quella più idonea per captare segnali interessanti.
Purtroppo non si puo’ prescindere dal “come”, dal “quando” e dal “perché” dei fenomeni fisici, quindi è necessaria un’ infarinatura generica. Una specie di meccanica quantistica per filosofi.
Di seguito assimilerò gli elettroni a palline da tennis allo scopo di spiegare (innanzitutto a me stesso) nel modo più intuitivo possibile l’ aspetto  sconvolgente della meccanica quantistica.
Consideriamo due proprietà dicotomiche degli elettroni: direzione (x o y) ed effetto (up o down). Diciamo quindi che le palline possono variare per colore (bianca/rossa) e per pelosità (pelosa/pelata).
Gli elettroni possono essere trattati mediante magneti che variano queste proprietà. Diciamo allora che anche le palline possono essere trattate facendo loro attraversare opportune scatole.
Ci sono due tipi di scatole: scatole rosse e scatole bianche.
Se 100 palline bianche entrano in una scatola bianca, usciranno nelle stesse condizioni in cui sono entrate. La scatola bianca è “neutrale” per le palline bianche.
Lo stesso dicasi della scatola rossa per le palline rosse.
Se 100 palline bianche entrano in una scatola rossa, usciranno 50 palline rosse pelose e 50 palline rosse pelate. Questo indipendentemente dalla pelosità delle palline entrate a suo tempo.
Lo stesso dicasi per le palline rosse che entrano in una scatola bianca.
In questi casi avviene una specie di “azzeramento” delle caratteristiche di partenza.
Quando dico che introducendo 100 palline rosse in una scatola bianca ne escono 50 bianche pelose e 50 bianche pelate faccio un’ approssimazione consentitami dalla legge dei grandi numeri. In effetti andrebbe rimarcato il ruolo rivestito dal calcolo probabilistico in queste faccende. Infatti, se introduco una sola pallina rossa pelosa in una scatola bianca, avrò il 50% di probabilità di vedermi uscire una pallina bianca pelosa e il 50% di probabilità di vedermi uscire una pallina bianca pelata.
L’ effetto delle scatole sulle palline trattate è certo perché replicato infinite volte in sede sperimentale.
Ampliamo gli esperimenti e costruiamo adesso uno scatolone in cui inserire delle palline.
Lo scatolone è cosi costruito: all’ ingresso è posizionata una scatola bianca che deve essere attraversata dalle palline introdotte. All’ uscita è posizionata una scatola rossa che deve essere attraversata dalle palline espulse.
Ora introduciamo nello scatolone 100 palline bianche. Come usciranno?
Secondo quanto detto in precedenza la prima scatola dovrebbe essere neutrale mentre la seconda dovrebbe essere azzerante. Dovrebbero quindi uscire 50 palline rosse pelose e 50 palline rosse pelate.
Dando corso all’ esperimento si vedrà che le previsioni saranno confermate in pieno.
Adesso introduciamo nello scatolone 100 palline rosse. Come usciranno?
Secondo quanto detto in precedenza la prima scatola sarà azzerante, la seconda neutrale. Dovrebbero uscire quindi 50 palline rosse pelose e 50 palline rosse pelate.
Dando corso all’ esperimento le previsioni vengono smentite. Infatti, se le 100 palline rosse introdotte erano pelose, verranno espulse 100 palline rosse pelose, quasi che entrambe le scatole posizionate all’ ingresso e all’ uscita dello scatolone fossero entrambe neutrali.
Che strano. Cosa è successo dentro lo scatolone? Dove sta l’ inghippo?
Ammettiamo di poter entrare nello scatolone con una microspia per capire come sono andate le cose là dentro.
In presenza della microspia proviamo di nuovo ad introdurre 100 palline rosse pelose, constateremo che in effetti l’ ingresso è azzerante, ovvero produce all’ interno dello scatolone 50 palline bianche pelose e 50 palline bianche pelate. Ma poi, all’ uscita? Ecco, ora che possiamo vedere le cose con i nostri occhi non noteremo nulla di particolare poiché constateremo che pure l’ uscita è azzerante – proprio come secondo i nostri calcoli iniziali - tanto è vero che escono 50 palline rosse pelose e 50 palline rosse pelate.
La cosa sconcertante è che il secondo esperimento ha dato un esito completamente diverso dal primo anche se si tratta dello stesso identico esperimento, salvo che il secondo lo abbiamo osservato dall’ interno con una microspia.
Insomma, se osserviamo come vanno le cose all’ interno dello scatolone, tutto si svolgerà secondo le regole generali. Se invece trascuriamo di osservare come vanno le cose all’ interno dello scatolone avremo l’ eccezione descritta in precedenza.
I fatti sono questi e sono talmente accertati che ormai nessuno più li mette in dubbio. Si tratta solo di darne un’ interpretazione.
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IC (interpretazione di Copenhagen) ci chiede di immaginare che le 100 palline rosse, una volta introdotte nello scatolone, assumano la condizione di [palline bianche pelose “o” palline bianche pelate] il che significa che all’ interno dello scatolone, in assenza dell’ osservatore, non ci saranno né [palline bianche pelose] né [palline bianche pelate] ma solo, come detto, palline [bianche pelose “o” bianche pelate].
Per le palline è una condizione metafisica un po’ strana che chiameremo “indeterminata”. Nel mondo fisico esisterebbero dunque realtà indeterminate.
La [pallina bianca pelosa “o” pallina bianca pelata] diventa a tutti gli effetti una [pallina bianca pelosa] o una [pallina bianca pelata] solo nel momento in cui con i nostri strumenti andiamo materialmente ad osservare le sue caratteristiche.
La determiniamo prendendole le misure.
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La logica di IC è leggermente diversa da quella classica. Nella logica classica [A o B] è incompatibile con [né A  né B] mentre nella logica quantistica le due proposizioni possono andare tranquillamente a braccetto.
Fatta questa precisazione, in sé abbastanza sconcertante anche se formalmente poco rilevante, la logica classica continua a valere per tutto il resto.
E’ sbagliato quindi ritenere che la meccanica quantistica con i suoi “salti” sia una teoria che al suo interno tollera delle incoerenze. E’ invece una teoria perfettamente coerente.
I problemi logici compaiono semmai dovendo riconciliare la fisica delle particelle con la fisica tradizionale (teoria della relatività). Non si capisce bene come due teorie tanto diverse possano mai convivere in una teoria del tutto, ma questo è un altro discorso.
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IC  è un’ interpretazione possibile ma non l’ unica. Bohm, per esempio, offre un’ alternativa
Per farla breve, Bohm ci chiede di immaginare  alcune particelle in continuo spostamento tra le palline. Secondo il fisico tedesco la presenza di un osservatore altererebbe in qualche modo l’ azione di questi corpuscoli di collegamento producendo le bizzarrie osservate.
Purtroppo l’ interpretazione di Bohm non è molto pratica e come sempre succede in queste diatribe un po’ fumose la soluzione più pratica è sempre quella vincente.
Con Bohm c’ è un altro inconveniente: considerando che le palline si muovono a una velocità vicina a quella della luce, le particelle di collegamento si dovrebbero muovere a una velocità ancora superiore, il che si concilia male con la teoria della relatività. Poco male, dirà qualcuno, tanto anche IC è incompatibile con la relatività. Ok, ma perché infierire?
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Il credente puo’ essere messo in crisi dalla meccanica quantistica? Lo chiedo perché c’ è chi ritiene che una scoperta scientifica metta automaticamente in crisi i credenti, i quali arrancano dietro alla scienza con la lingua di fuori.
Ma non parlo qui dello spiazzamento intellettuale che sente qualsiasi persona assennata al solo apprendere dell’ esistenza di realtà tanto bizzarre.
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Ci sono in effetti dei motivi per paventare una crisi di fede. La fisica quantistica fa largo uso del calcolo probabilistico, qualcosa che in ambiti più tradizionali viene contrapposto alle leggi di natura.
Quello di “legge di natura” è un concetto caro ai credenti poiché introduce in ambito scientifico un elemento che trascende la materialità del fatto bruto: la “legge di natura” che governa la materia ha qualcosa di rassicurante.
La probabilità sembra essere l’ alternativa alla legge naturale. Nella vita di tutti i giorni usiamo le probabilità per individuare a spanne delle regolarità che ci potrebbero essere utili.
Consideriamo il ricorso alle probabilità come un metodo empirico per sopperire pragmaticamente all’ assenza o alla mancata conoscenza di una legge naturale.
Tanto è vero che nella fisica classica si ripiega sulle probabilità per fare delle previsioni quando non possediamo informazioni sufficienti per applicare le rigorose leggi naturali.
Ma nella fisica quantistica le cose non stanno così, qui il calcolo probabilistico descrive perfettamente una realtà di cui possediamo informazioni complete.
Nel mondo delle particelle subatomiche è la realtà stessa a essere “probabilistica” e non tanto la nostra conoscenza della realtà. In questo senso la probabilità cessa di essere “un metodo empirico” per divenire una caratteristica della realtà. In ultima analisi possiamo continuare a parlare di “leggi naturali” anche in assenza di previsioni deterministiche salvando così un concetto caro ai credenti.
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Per un altro verso le leggi della meccanica quantistica possono confortare la fede.
Non direttamente, non suggeriscono infatti alcuna prova dell’ esistenza di Dio. Ma indirettamente, mettendo in crisi il materialismo, ovvero la filosofia che più si oppone alla fede.
Per la filosofia atea del materialismo tutta la realtà è un sistema chiuso riducibile a un’ interazione tra elementi materiali, non c’ è spazio per entità trascendenti come l’ anima, il libero arbitrio eccetera. Noi siamo delle “macchine di carne”.
La meccanica quantistica introduce una variabile impazzita che fa saltare il “sistema chiuso” dei materialisti rendendo la loro filosofia incompatibile con le leggi della fisica. L’ idea che una realtà possa essere descritta esclusivamente in termini materialistici non regge più. Eugene Wigner e Rudolf Peierls sono stati espliciti sull’ argomento.
Il fatto è che concetti come “realtà indeterminata” e “salto quantico”, così decisivi nel descrivere adeguatamente il mondo microscopico, non possono fare a meno di una figura come quella dell’ “osservatore”. L’ “infarinatura” dovrebbe averlo chiarito.
Ma il concetto di “osservatore” è necessariamente trascendente o puo’ essere sostituito con una realtà inanimata? Per esempio, perché non utilizziamo un contatore Geiger per rilevare le misurazioni?
Risponde von Neumann: se l’ “osservatore” fosse una semplice entità fisica, per esempio un contatore Geiger, potrei in linea di principio ricavare a tavolino una complessa funzione d’ onda in grado di descrivere l’ intero sistema fisico (osservato + osservatore) e poi risolverla secondo le equazioni di Schrodinger senza produrre “salti quantistici”. Morale: se fossero coinvolte solo realtà materiali, allora non possono essere riprodotti i caratteristici “salti” della meccanica quantistica. Se ne ricava che i salti quantici esistono in virtù di un “osservatore” trascendente.
Nella sezione precedente ho accennato al fatto che nell’ IC è la realtà stessa a essere probabilistica. Ora possiamo aggiungere che il concetto di probabilità richiama quello di soggettività. Nell’ IC la realtà subatomica non puo’ essere pensata e descritta in modo rigoroso senza incorporare un soggetto che la osservi e la misuri.
Ora, per il materialista c’ è solo un modo di sfuggire alla necessità di introdurre un osservatore trascendente: postulare l’ esistenza di infiniti mondi. Le famose “sliding doors”.
Per farla breve, se la matematica della fisica quantistica è corretta e se lo è anche la filosofia materialistica, allora esistono necessariamente infiniti mondi.
Ma un’ ipotesi del genere è piuttosto forte, un fardello non da poco.
Chi puo’ evitarlo la evita volentieri, peccato che il materialista non possa farlo.
Tutto cio’ sembrerebbe deporre in favore delle filosofie non materialiste, le uniche in grado di avvalersi dell’ interpretazione tradizionale (IC). Respingendo il materialismo sarà infatti più facile accettare che non tutto si riduce a materia in movimento.
Chiudo con una classica domanda da lasciare a penzoloni: ma se la mente umana trascende la materia che osserva non potrebbe esistere una mente che trascende l’ intero universo?
La fisica quantistica non risponde certo a una domanda del genere ma la rende particolarmente sensata. Il che non è poco.
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Lo strano comportamento delle particelle subatomiche puo’ far pensare a forme di creazione ex nhilo?
Per il credente sarebbe un problema, lui attribuisce al suo Dio il monopolio nel settore “creazioni ex-nhilo”.
C’ è stato chi ha visto nel “salto quantico” una forma di creazione autonoma della materia. Una “creazione” senza Dio.
Se non sbaglio il famoso scienziato Stephen Hawking, nel solco dei lavori di E. P. Tryon, ha ipotizzato qualcosa del genere.
Secondo E. P. Tryon potremmo assimilare il nostro universo a quei singolari fenomeni che accadono di quando in quando e che oggi possiamo osservare a livello microscopico. Anche nel vuoto, infatti, esiste un certo “fermento quantistico”, particelle fugaci con un bilancio energetico pari a zero che vanno e vengono senza che si sappia bene da dove spuntino.
Se anche l’ universo che abitiamo ha un bilancio energetico pari a zero potrebbe essere il frutto di un “oscillazione” del genere.
Creazione dal nulla?
Purtroppo non ho ben capito nemmeno io quello che ho scritto e sicuramente la cosa depone a mio sfavore ma forse un pochino anche a sfavore della teoria. Ovvero: non esiste proprio qualcosa di più semplice? E’ davvero necessario spingersi tanto oltre nelle elucubrazioni inverificabili?
Scherzi (fino a un certo punto) a parte, ci sono almeno un paio di problemini. Innanzitutto quel “nulla” è come minimo uno spazio ben strutturato poiché deve risultare composto da campi definiti, per quanto a bassissimo livello energetico.
E poi, come potremmo rendere conto del nostro particolare universo in questo modo? Difficilmente vedremo mai emergere la vita in questa maniera. E allora? Rinviamo tutto al puro caso?
L’ unica alternativa è ipotizzare che il singolare fenomeno si sia ripetuto miliardi di volte creando miliardi di universi differenti cosicché il nostro sarebbe spiegabile come un tentativo “riuscito” tra i tanti “falliti”.
Ci sono parecchi “se” e “ma” che rendono la speculazione ardita. Forse esiste davvero qualcosa di meglio.  
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P.S.
Il post, diversamente dai precedenti, non è costituito da appunti presi a latere di una lettura specifica. Mi sono invece temporaneamente appassionato all’ argomento e questo interesse mi ha fatto saltabeccare a seconda delle esigenze da uno scritto all’ altro.
Sono partito da una vecchio pezzo di Michael Huemer, Quantum Mechanics for Philosophers.
Per le questioni di logica quantistica ho rispolverato un vecchio testo di Michael Dummett: Le basi logiche della metafisica.
Naturalmente non poteva mancare il classico di Werner Heisenberg: Indetrminazione e realtà.
Ma più di tutto mi ha appassionato il saggio di Stephen  Barr: La fisica quantistica facilita la fede in Dio?
Per le speculazioni di Stephen Hawking e E. P. Tryon mi sono rifatto a un vecchio testo di John Leslie: Universes. Spero che gli aggiornamenti apportati dallo scienziato inglese nei lavori più recenti non siano decisivi.