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lunedì 23 agosto 2010

Caplan vs. Diana

Reduce dall' ultimo combattimento...

... Caplan si trova ora di fronte un avversario ben più temibile che lo fronteggia portandolo fuori dal suo terreno...

I fatti.

Il giovane professore ha recentemente anticipato uno stralcio del libro in uscita che riguarda il trattamento della disciplina nei ragazzini.

La sua impostazione sembra quella tipica dell' economista: regole, bastone e carota.

In altri termini: gli incentivi contano, sfruttiamoli.

E' il metodo delle tre "C": chiarezza, coerenza, conseguenzialità.

Diana avversa questo metodo e dice che di fronte ad una violazione delle regole da parte del ragazzino:

devi chiederti perché lo fa... e a quale gioco linguistico sta giocando, magari gliel'hai insegnato tu

Mi sembra quindi che Diana punti maggiormente sulla "ricerca delle cause": intervenendo sulla fonte di certi comportamenti spiacevoli potremo sradicarli.

Entrambe le strategie sono lecite, a questo punto andrebbero valutate in termini di efficienza, ma non è questa la sede.

Il punto è che Diana in passato, a più riprese, ha sottolineato l' esigenza di trattare i minori come dei "piccoli adulti" competenti. Il liberale dovrebbe cioè applicare la visione che ha del "mondo adulto" al "mondo dei bambini". Questo per la buona ragione per cui tra i due mondi non c' è affatto l' abisso che molti vogliono metterci.

Io personalmente non so fino a che punto i piccoli debbano essere trattati come dei veri e propri "soggetti", in fondo se fossero davvero tali non avrebbero bisogno di un tutore.

Ma lasciamo perdere questa questione, l' aspetto che desidero ora sottolineare è che gli auspici di Diana vengono paradossalmente realizzati dal metodo delle tre "C"... molto più che dal metodo proposto da lei stessa.

Solo il metodo delle tre "C" considera il ragazzino come RESPONSABILE delle sue azioni.

Detto in altri termini, solo Caplan assume che la motivazione decisiva per un certo comportamento sia interiore. E sull' interiorità di una persona non si puo' intervenire per plasmarla a nostro piacimento, altrimenti non sarebbe tale.

Sono proprio le lenti con cui il liberale guarda al "mondo adulto"!: un mondo popolato da soggetti responsabili che agiscono in forza di una motivazione interiore.

Il metodo proposto da Diana presuppone che i comportamenti siano determinati alla fonte da cause esterne. Sono queste a pesare molto più delle motivazioni interiori.

Presuppone insomma una psicologia causalista: interveniamo sulle cause e plasmeremo i comportamenti.

Ma l' assenza o la drastica riduzione di responsabilità del soggetto che porta con sè la psicologia causalista, è incompatibile con una visione liberale.

***

Forse ho esacerbato le posizione per rendere più chiaro il disaccordo, perchè a me, leggendo i commenti, sembrava che un disaccordo ci fosse. Attendo comunque fiducioso rettifiche e suggerimenti a questa mia prima impostazione dell' interessante match in corso tra due pesi massimi.

mercoledì 11 agosto 2010

Maestri del sospetto

La difesa del liberalismo va di pari passo con la difesa del buon senso, ce lo ricorda Raymond Boudon quando parla di psicologia:

"Il liberalismo concepisce l' uomo come un essere ragionevole mosso da passioni e interessi comprensibili, chiamerei questa psicologia "ordinaria". Da Aristotele a Smith l' approccio non cambia, anche Weber ha insistito sul fatto che le scienze sociali debbano considerare le credenze e i comportamenti come comprensibili. Secondo la psicologia ordinaria noi siamo in grado di "comprendere" le ragioni dei Romani come quelle degli Ebrei del I secolo, le ragioni dei calvinisti come quelle dei puritani, le ragioni dei santi e quelle degli assassini. Con Freud, qualcosa cambia, la "psicologia ordinaria" viene sostituita dalla "psicologia dell' inconscio": le credenze del soggetto verrebbero costruite dall' astrusa macchina dell' inconscio, la quale nasconde le sue astuzie al soggetto, ma non all' intellettuale. Anche il positivismo rafforzò questo genere di approccio: siccome la scienza si occupa solo del "visibile", non ha senso considerare gli "stati di coscienza". Il principio di fondo è lo stesso e consiste nel dire che le credenze e i comportamenti individuali hanno la loro origine in forze materiali che sfuggono al controllo del soggetto. Gli strutturalisti, in seguito, si uniformarono su questa linea: l' uomo è sovrastato da misteriose strutture sociali che lo guidano come una marionetta. C' è sempre qualcosa "dietro" quello che facciamo, i maestri anti-liberali sono sempre anche "maestri del sospetto e del complotto". L' antropologia non rimase indietro, e infatti la cosiddetta antropologia culturalista si appropria del paradigma anti-liberale postulando che l' essere umano sia il prodotto della cultura del suo ambiente. Per queste ragioni molti considerano oggi le scienze umane come mere discipline destinate a correggere il "senso comune". I "maestri del sospetto" hanno a lungo dominato la scena del Novecento scalzando i "maestri del liberalismo". Trascurando la nozione di "autonomia", tanto cara a Kant e al liberalismo, il positivismo sta dietro alla sua emarginazione. Si tratta di schemi di pensiero che valorizzano molto il ruolo degli intellettuali poichè solo l' intellettuale è in grado di superare gli illusionismi del buon senso e guidare le masse sulla retta via..."

Da quanto detto si capisce bene come mai gli economisti siano rimasti gli unici intellettuali a presidiare le posizioni liberali: l' Homo Economicus è l' uomo razionale per eccellenza.