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martedì 5 dicembre 2017
Aborto e fertilità
The Power of Abortion Policy http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2017/12/power-abortion-policy.html
giovedì 21 luglio 2016
Perché i bambini servono e perché non ne facciamo più
Perché i bambini servono e perché non ne facciamo più
Segno dei tempi numero 1: le vendite deipannoloni hanno superato quelle dei pannolini.
Segno dei tempi numero 2: esistono più campi da golf che McDonald.
Insomma, siamo ricchi e vecchissimi.
Il fatto è che probabilmente siamo vecchissimi proprio perché siamo ricchi.
Ma andiamo con calma, poniamoci almeno i due quesiti fondamentali: 1) i bambini ci servono davvero? 2) perchè non ne facciamo più?
Alla prima domanda è facile rispondere in modo corretto con motivazioni sbagliate, per esempio: sì, i giovani servono, altrimenti chi subentra in quelle “catene di sant’Antonio” che sono i sistemi pensionistici?
Ma qui il guaio non è la mancanza di giovani bensì le politiche scellerate di una classe dirigente in cerca di “trucchetti” elettorali del tipo: ora arraffiamo, domani qualcuno pagherà. Se ci siamo affidati a meccanismi truffaldini da cui anche la nonna ci ha sempre messo in guardia, non possiamo certo prendercela con chi non fa figli. Chi è causa del suo male pianga se stesso.
Tuttavia, quel “sì” di risposta è probabilmente corretto: se una popolazione invecchiata vuole mantenere un elevato tenore di vita ha bisogno comunque di lavoratori (giovani) che la servano (e che pagherà con i suoi risparmi).
Una società giovane, inoltre, è sempre più dinamica e innovativa. I giovani sono più inclini a sperimentare sia nell’offerta che nella domanda. I vecchi sono più inclini a tutelare le loro rendite di posizione preservando lo status quo rendendo così la vita più difficile ai giovani che vorrebbero emergere.
Ma c’è anche un’altra motivazione a me particolarmente cara: più teste ci sono in giro, più problemi risolveremo. Se ieri una persona era considerata uno “stomaco”, oggi possiamo permetterci di considerarla un “cervello”. Questa è la più grande conquista dell’umanità: sfruttiamola!
Certo, gli immigrati potrebbero essere i bambini che non abbiamo avuto, ma c’è il problema dell’integrazione, la cultura non è uno scherzo, un problema forse arginabile ma chiaramente irrisolvibile se non sulla lunga distanza (si parla di secoli). E una società disgregata è una società sempre a rischio.
Veniamo alla seconda domanda: perché non facciamo più bambini?
Perché mancano gli asili nido? Difficile: di solito quando c’ è una domanda si crea l’offerta, non viceversa.
Perché siamo troppo poveri? Difficile: non siamo mai stati tanto ricchi.
Perché c’è la pillola? Non penso che il problema stia lì: la tecnologia non sceglie, siamo noi a farlo. Inoltre, oggi, oltre alla pillola abbiamo tecnologie che consentono di avere bambini anche a chi ieri era fuori gioco.
***
Scartate le risposte zoppicanti, vengo alle due più promettenti: una di ordine psicologico, l’ altra di ordine economico.
Per introdurre la prima potrei sfruttare unadomanda retorica: perché oggi siamo tremendamente più apprensivi verso i figli sebbene vivano nell’ambiente più sicuro di sempre? La cosa appare decisamente assurda, forse c’è una distorsione cognitiva che dobbiamo correggere.
Oppure posso fare un’ analogia col cane: se penso di prenderne uno mi chiedo chi lo porterà fuori la sera per i suoi bisognini. Ci sono dei costi, posso permettermeli? Ebbene, se invece penso ad un bambino di domande me ne pongo almeno 1250, tutte per me cruciali, pesantissime e angoscianti: ce la farò questo, quello e quell’altro? Mio nonno se ne poneva un paio (se se le poneva) e se le dimenticava subito per la stanchezza: i bimbi venivano su praticamente da soli.
Ma ci sono motivi oggettivi per essere in apprensione, per porsi tante domande, per sentirle in modo così angosciante? No, dobbiamo tornare alla leggerezza dei nostri nonni e saper pensare “que sera sera…”. Dobbiamo correggere il nostro blocco psicologico facendo appello alla ragione: i bambini, una volta amati, vengono su praticamente da soli.
Passiamo ora alla seconda risposta, quella di ordine economico. Probabilmente facciamo meno bambiniperché siamo ricchi e i ricchi odiano i bambini. Bè, insomma, calma… Vediamo di chiarire meglio: per i ricchi i bambini non sono un investimento remunerativo, bensì un bene di lusso da consumare con estrema moderazione.
Mi spiego meglio.
Un tempo i bambini erano un’ assicurazione per il futuro.
Ma se sei ricco e ti serve un’ assicurazione stipuli una polizza, mica fai un bambino. La polizza non ti sveglia la notte.
I bimbi erano un investimento, il bastone della vecchiaia.
Ma se sei ricco e previdente contrai un piano pensionistico, mica fai un bambino. I piani pensionistici non fanno caciara, e stanno buoni dove li metti.
I bimbi erano braccia a disposizione dei genitori.
Ma se sei ricco e hai bisogno di un collaboratore lo affitti sul mercato del lavoro, mica hai bisogno di un figlio. Inoltre, il collaboratore la sera torna a casa sua e non devi imboccarlo sudando sette camicie.
Un tempo i bimbi morivano come mosche, per questo se ne facevano tanti.
Ma se sei ricco vivrai probabilmente in uno dei posti più sicuri del pianeta.
Un tempo avere molti figli diversificava il rischio: uno era forte, l’altro bello, l’altro generoso, e l’altro tenace…
Ma se sei ricco il rischio te lo diversifica il tuoprivate banker, certi problemi non li hai.
Un tempo i bimbi “crescevano da soli”: i pochi sforzi richiesti favorivano l’acquisto all’ingrosso.
Ma il ricco non vuole bimbi qualunque, vuole bimbi di alto livello e spesso tra qualità e quantità pensa che ci sia un chiaro trade off (lo pensa a torto, secondo me).
Non voglio dire che avere dei bambini non procuri soddisfazioni, anzi, dico solo che con l’arricchimento della società il pargoletto si è trasformato da imprescindibile bene investimento a bene voluttuario e di lusso.
Oggi i suoi concorrenti sono i cagnolini e i gattini, cosa inammissibile se solo si pensa al figlio come bastone per la vecchiaia.
Da notare che gattini, cagnolini e pesciolini hanno molti vantaggi rispetto al bambino, in sintesi:rompono meno e costano meno. Sarà per questo che se oggi esci di casa a fare un giro è più facile trovare un parrucchiere per cani che per bambini. Anche la nuova etica animalista deriva probabilmente dal fatto che i cuccioli siano diventati “i nostri bambini”. Peccato che i cuccioli non risolvano i problemi affrontati nella prima sezione. Soluzioni?
Policy 1
Difficile proclamare: “impoveriamoci tutti così avremo più figli”.
Tuttavia, si puo’ intervenire per limitare quelle misure che spiazzano il bene/prole e contemporaneamente impoveriscono la società: mi riferisco al welfare state. Ridurlo ci consentirebbe di cogliere due piccioni con una fava.
Mi spiego meglio: un bambino viene al mondo anche per dar corpo ad una famiglia e da sempre la funzione economica di una famiglia è anche quella di costituire una rete di sicurezza per i suoi componenti: più la famiglia è numerosa, più la reteè ampia.
Oggi questa funzione è stata demandata al welfare state che così diventa un concorrente della famiglia che non serve più. Ma il welfare ha un difetto: costa tantissimo e puo’ essere mantenuto grazie ad una tassazione elevata che – colpendo necessariamente il lavoro – impoverisce la società. E allora: meno welfare, più famiglia, più ricchezza.
Il caso Langone
Tempo fa il buon Camillo Langone ebbe l’ardire di associare istruzione femminile e sterilità. Mal gliene incolse ma diceva una sacrosanta verità:l’istruzione femminile è forse il contraccettivo più potente.
Vuoi diventare ricca? La ricetta è facile: studia a più non posso, magari fino a 25 e rotti anni, poi buttati a capofitto nel lavoro, sfonda, fai carriera e magari arrivi. Alla fine, se sei ancora in tempo, fai un bimbo, massimo due. Educali, ma in fretta, anzi, guarda, delega che fai prima, sì perché poi ti tocca subito tornare al lavoro se non vuoi buttare tutto il tuo “capitale umano” dalla finestra.
E’ chiaro che una ricetta del genere implica pochi figli, meglio se nessuno.
Morale: se per l’uomo i figli si sono trasformati da bene di investimento in bene di consumo, per le donne sono diventati un bene di lusso, ovvero un bene che pagano carissimo in termini di costo-opportunità. E siccome in materia di figli è la donna che comanda (se non te li fa lei non te li fa nessuno), per tutti noi i bambini sono un lusso.
La tesi-Langone dell’università-contraccettivo è stata sommersa da critiche viscerali ma secondo me molti dei suoi critici sono d’accordo con lui, almeno sui punti chiave. L’indignazione veniva dall’oltraggio irrazionale più che da un disaccordo razionale. Per dimostrarlo propongo unesperimento mentale.
Ammettiamo di concordare sulla diagnosi fin qui svolta: i bimbi servono alla società e se non si fanno è perché oggi servono molto meno ai genitori, specie se benestanti e con tanti piccoli svaghi da soddisfare.
Ebbene, in questo caso una policy coerente potrebbe essere quella di elargire un premio a chi fa figli. La mia previsione è che molti si opporrebbero ma nel farlo denuncerebbero la loro adesione implicita alla tesi-Langone.
Per verificarlo ammettiamo che questa somma elargita non sia irrisoria, anzi, a mero scopo sperimentale supponiamo che sia enorme, tanto per ingigantire con una lente i meccanismi sottostanti e vederli in modo nitido. Dunque, poniamo allora 100 mila euro per il terzo figlio, 200 mila euro per il quarto e 500 mila per il quinto. O qualcosa del genere, chi vuole puo’ aumentare a piacimento.
Ebbene, cosa dovremmo aspettarci?: probabilmenteun crollo nelle iscrizioni universitarie da parte delle ragazze. Di sicuro meno donne in carriera. Il fatto è che si aprirebbero “altre carriere” molto interessanti.
Del resto, fateci caso, perché l’urlo di battaglia “asili per le lavoratrici” non viene sostituito con un ben più razionale “soldi alle mamme”? Perché si vuole la mamma al lavoro (e quindi istruita, e quindi al potere). Dio non voglia che se le metti in mano un congruo gruzzoletto possa pensare di fare la mamma a tempo pieno.
L’ultima obiezione riguarda chi sostiene che la donna meno istruita è un impoverimento per l’intera società. Questo è vero, ma resta un osservazione ingenua, il confronto non è da farsi tra una donna istruita e una donna meno istruita bensì tra una donna meno istruita e, per esempio, cinque uomini istruiti che non sarebbero altrimenti mai esistiti.
Policy 2
Il “caso Langone” mi spinge anche ad altre considerazioni in tema di policy
Per capire come spingere la fertilità, infatti, giova anche constatare cosa l’abbiastoricamente compressa. E qui ci imbattiamo in una sorpresa.
Langone ha le sue ragioni ma non “arretra” abbastanza nella sua analisi: la donna studia e lavora, va bene. Ma puo’ farlo solo grazie ad una minuziosa programmazione familiare ieri impossibile.
Per capire quel che intendo torno alletrasformazioni sociali del ventennio 60/70.
Sono in tanti a pensare che la pillola sia stata alla radice della rivoluzione sessuale.
Con la rivoluzione sessuale sono arrivati imatrimoni tardivi, l’uguaglianza sul lavoro tra uomo e donna el’abbassamento della fertilità.
Quante volte abbiamo sentito dire che “la pillola ha cambiato il mondo!”.
Ma la migliore ricerca non conferma. E’ piuttosto il libero e indiscriminato accesso all’aborto ad aver fatto la differenza.
La storia ci insegna che la fertilità fluttua in modo considerevole anche in assenza di tecnologia contraccettiva.
In Giappone, per esempio, il tasso di fecondità è precipitato ben prima dell’introduzione della pillola (tardi anno novanta).
La tecnologia della pillola non è di per sé molto affidabile: nel primo anno i fallimenti sono del 9%.
I ricercatori ci dicono che nel suo complesso l’uso della pillola fa aumentare l’attività sessuale, il checompensa gli effetti sulla fertilità femminile.
L’aborto invece si è dimostrato un contraccettivo sicuro e prima non disponibile i dosi così massicce. Distinguendo tra chi lo vieta, chi lo consente solo agli adulti e chi lo consente a tutti garantendo l’anonimato, risulta chiara una sua correlazione sia con l’età del primo matrimonio che con quella del primo figlio, due variabili a loro volta strettamente connesse con la carriera scolastica e lavorativa della donna.
Alla radice del crollo storico della natalità non possiamo mettere quindi, lo studio, e nemmeno la pillola. Dobbiamo metterci l’uso estensivo dell’aborto.
Se così stanno le cose – per l’evidenza rinvio ai lavori di Caitlin Knowles Myers – restringere l’accesso all’aborto sarebbe quanto mai auspicabile per chi ha a cuore la fertilità.
vedi anche Todd Bucholz: The Price of Prosperity
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