A cosa serve la Storia?
No, non serve ad ammaestrarci per il futuro, serve ad ammaestrarci per il presente, in particolare a sopire i nostri bollori moralistici. Serve a farci vedere la terra dalla luna, serve a spiegarci, per esempio, che certi comportamenti che oggi tanto ci oltraggiano, ci indignano moralmente e ci fanno rivoltare l'anima, in passato erano la regola. Non solo: erano una regola giustificata razionalmente! Razzismo, sessismo, xenofobia e bla bla bla erano la regola, ed erano una regola giustificata! La libertà e l'eguaglianza tra gli uomini non sono un progresso, sono invece un lusso che ci siamo concessi quando abbiamo potuto permettercelo, ovvero in un contesto mutato (magari grazie a quelle forze che gli indignati di professione disprezzano. Dobbiamo quindi 1) gioire per questo fatto e 2) capire chi conserva certi atteggiamenti che in passato erano comunque la regola giustificata. Il libro di Koyama, a prescindere ci sia accordo o meno, porta esempi illuminanti, ma uno svetta e riguarda la nascita delle società libere.
Come sono emersi i moderni stati liberali? Gli economisti si sono tradizionalmente concentrati sulla produzione della ricchezza mentre gli scienziati della politica su questioni relative a democratizzazione e stabilità politica. Ma c'è un fattore che è stato trascurato da tutti: la religione.
Questa negligenza è facile da capire. Nel mondo sviluppato la libertà religiosa è così radicata nelle istituzioni che la diamo per scontata.
Il primo passo di questo ragionamento consiste nel non confondere libertà religiosa e tolleranza religiosa. Oggi sono praticamente sinonimi. Ci riteniamo tolleranti quando non giudichiamo o condanniamo gli altri per le loro scelte di vita, ma questo non è il significato originale latino di "tolere". Fino al XVII secolo tollerare significava sopportare qualcosa con cui non si è d'accordo. Si trattava di un principio pratico piuttosto che morale, ed era contingente e soggetto a revisione arbitraria. C'è quindi una certa differenza tra tolleranza e autentica libertà religiosa.
Perché questa distinzione è importante? Troppo spesso gli storici lodano le società che non hanno perseguitato attivamente le minoranze religiose e le chiamano "tolleranti". Ma l'assenza di persecuzioni non implica che gli individui fossero liberi di perseguire il miglioramento economico o sociale adorando il loro dio. L'ipotesi che il dissenso potesse invitare alla repressione da un momento all'altro era sufficiente a creare un clima in cui i pensieri potenzialmente sovversivi non fossero espressi liberamente. Né l'antica Roma né gli imperi islamici o mongoli avevano libertà religiosa. Spesso si astenevano dal perseguitare attivamente le minoranze religiose, ma erano anche spietati nel reprimere queste difformità quando la cosa si adattava ai loro obiettivi politici. La libertà religiosa è un'esclusiva della modernità post-1700. Perché?
E qui arriviamo al punto. Alcuni studiosi hanno introdotto la fertile distinzione tra "regole personali", "regole identitarie" e "regole generali". Le prime comportano un trattamento differenziato a seconda delle caratteristiche individuali. La legge cambia da persona a persona. Questo funziona quando la comunità è minuscola e i membri si conoscono personalmente, possono fidarsi l'un l'altro ed avranno interazioni future. Perché Ronaldo riceve un trattamento speciale nello spogliatoio della Juve? Perché tutti sanno chi è e cosa fa. Non solo, possono sempre tenerlo d'occhio e verificare che continui a rispondere alle aspettative. Le regole personali hanno tuttavia una grave lacuna, sono di scarsa utilità nel trattare con estranei.
Con il passaggio all'agricoltura, le organizzazioni politiche sono diventate più estese e i sistemi legali più sofisticati, le leggi hanno assunto la forma di regole identitarie, ovvero dipendevano dall'identità sociale dei gruppi coinvolti. Ogni gruppo aveva la sua legge. Ci si poteva riferire al clan, alla casta, alla classe, all'affiliazione religiosa, il sesso o all'etnia di un individuo. Gli aristocratici avevano regole diverse da quelle comuni. Gli schiavi avevano regole diverse rispetto ai liberi. Il Codice di Hammurabi, ad esempio, prescriveva una punizione basata sullo status del colpevole e/o della vittima. Le regole identitarie erano comuni perché più pratiche di quelle personali quando le dimensioni del gruppo si ampliavano e la conoscenza reciproca diminuiva. Poiché l'identità religiosa era particolarmente saliente, si differenziava spesso in base alla religione.
In un'epoca precedente agli stati nazionali la religione era una componente particolarmente importante dell'identità. Le credenze religiose condivise erano cruciali per mantenere l'ordine sociale. In queste condizioni la libertà religiosa era impensabile, si poteva giusto arrivare alla tolleranza. Ad esempio, nell'Europa medievale e nella prima modernità i giuramenti prestati davanti a Dio hanno svolto un ruolo importante nel sostenere l'ordine sociale. Gli atei, tanto per dire, erano fuori dalla comunità politica, poiché, come diceva John Locke, "le promesse, le alleanze e i giuramenti, che sono i vincoli della società umana, non possono avere alcuna presa su un ateo". Ma un'identità religiosa condivisa era anche cruciale per l'appartenenza alla gilda, che escludevano i musulmani, per esempio. Le corporazioni di Tallinn escludevano i cristiani ortodossi, altro esempio di Koyama. Gli ebrei poi erano sottoposti a leggi ad hoc e furono esclusi quasi ovunque.
Ma come siamo passati da un mondo di regole identitarie ad un mondo di regole generali in cui siamo "tutti uguali davanti alla legge"? Il potenziamento degli stati è stato decisivo. Per capacità statale s'intende la capacità di far rispettare le regole, e le regole identitarie sono un modo per facilitare questo compito. Il singolo va facilmente fuori dai radar e si imbosca impunito ma la comunità no. Quando il radar si potenzia l'espediente della regola identitaria non serve più.
Facciamo un esempio di come le regole identitarie potevano facilitare la convivenza con beneficio reciproco: i primi governi moderni usavano spesso le comunità ebraiche come fonte di entrate fiscali, al contempo ne tutelavano l'esistenza. Le restrizioni all'usura, per esempio, rendevano i prestiti interdetti ai cristiani. Tuttavia, i prestiti realizzavano profitti tassabili, cosicché i sovrani potevano sopperire a questa lacuna concedendo i diritti legati al prestito agli ebrei senza violare precetti religiosi. A loro volta, i tassi di interesse applicati dai finanziatori ebrei erano alti e gli utili venivano tassati dagli stessi sovrani che incameravano cospicue entrate. Certo, questa esclusiva alla lunga ha esacerbato l'antisemitismo preesistente tra la popolazione cristiana. Ciò a sua volta ha reso relativamente facile per i governanti minacciare gli ebrei nel caso in cui non intendessero pagare le enormi tasse a loro carico. Ora, fintanto che i governanti si affidavano al denaro "giudeo" come fonte di entrate, gli ebrei rimasero intrappolati in questa morsa che li rendeva quasi-liberi e vulnerabili allo stesso tempo. La loro posizione migliorò solo quando gli stati svilupparono sistemi finanziari e di tassazione più sofisticati, allora divennero cittadini tra tanti. Insomma, la limitata capacità statale implica potenti regole identitarie. Inoltre, la religione è una comoda fonte di legittimità per gli stati deboli. Ciò dà origine a una collaborazione tra stato e chiesa. Lo stato impone la conformità religiosa (privilegi) in cambio del sostegno dell'autorità ecclesiastica.
La modernità è l'epoca in cui lo stato si emancipa dalla religione, la sua potenza rende desuete le regole identitarie, e quindi anche il ruolo sociale della religione. Ma il passaggio non fu indolore, la storiella semplificata degli ebrei che ho appena raccontato non inganni. Dopo la Riforma, la violenza religiosa fu più estrema proprio laddove lo stato era forte, ovvero dove la regola identitaria - e quindi la tolleranza - non aveva più senso. La ratio è chiara, se la religione non serve più ad organizzare la società non ha più senso "tollerare" le minoranze religiose. Al contrario, in paesi come la Polonia, dove lo stato era debole, le persecuzioni religiose furono limitate nonostante la diffusione del protestantesimo. Le Guerre di religione non erano tanto legate a controversie confessionali e dottrinali. I principali stati europei si stavano spostando da regole identitarie a regole generali, avevano bisogno di un popolo omogeneo e proteiforme, i nuovi gruppi si sarebbero dovuti formare spontaneamente sul mercato senza ricorrere a identità pre-costituite. Il contratto (tra parti anonime) diventava metafora del sociale. Il passaggio da uno status fisso a una società fluida (contrattuale) ha contribuito a mettere in moto una serie di sviluppi, tra cui la crescita dei mercati e una più ampia divisione del lavoro. Ma ebbe la conseguenza non intenzionale di diminuire l'importanza politica della religione, e ciò rese il liberalismo possibile. La libertà religiosa si diffonde perché la religione conta sempre meno.
Non esiste alcuna relazione necessaria tra forza dello stato e liberalismo. Gli orrori del XX secolo furono condotti tutti da stati Leviatano. Ma il liberalismo è fragile, artificiale e altamente vulnerabile in assenza di uno stato potente. Quando manca lo stato si torna alla legge dei clan, ovvero delle comunità religiose.