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martedì 22 novembre 2022

 COME (NON) HA FUNZIONATO LA FILOSOFIA


La filosofia vuole "conoscere" ma, da quando è in preda all'ossessione di definire i concetti, le è venuta la malsana idea di definire con precisione anche il concetto di "conoscenza". Sembra facile: "conoscere è credere in modo giustificato qualcosa di vero". Fine? No. Salta su un tal Edmund Gettier a dire: "se sono le sette e io, guardando un orologio rotto che segna casualmente le sette, dico che "sono le sette" ho una credenza vera e giustificata ma non ho una reale conoscenza di che ore sono poiché tutto il mio sapere è casualmente casuale". Ha ragione, cazzo. Comincia una crisi di settore da cui non ci si è più ripresi. Si cercano definizioni alternative del concetto di "conoscenza" ma Gettier, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra e, cacciato dalla finestra, rientra dalla porta. Oggi il meglio che possiamo dire è la versione astrusa di una banalità del tipo: "è conoscenza una credenza vera e giustificata che non rientra nei casi di Gettier" (*). Più che una definizione assomiglia una tautologia inservibile.

Morale: decenni di fosforo dilapidato, con le intelligenze migliori della generazione applicate a definire - senza riuscirci - concetti che, intuitivamente, tutti conoscono già. Un lavoraccio di cui nessuno sentiva l'esigenza. Non arrivo alla conclusione populista per cui si tratta di mani rubate all'agricoltura ma lasciate che le consideri per lo meno menti rubate ai problemi che contano, tipo "esiste Dio?", "Dobbiamo pagare le tasse?", "Posso uccidere un uomo per salvarne quattro?", eccetera. Tutti temi consegnati ai genetisti, ai biologi o ai commentatori social.

E dall'altra parte non andava molto meglio, al rigore sprecato si sotituiva l'arbitrio sfrenato, con i vari "Severino" che, dopo quattro pensierucci sulla reversibilità del tempo, si ritenevano autorizzati a pontificare sui destini dell'Occidente.

#filosofiaincrisi

(*) Toppa 5. Il soggetto crede anche a una degiustificazione ( = ragione per dubitare della sua giustificazione).

Critica: la degiustificazione ha una sua degiustificazione che la invalida e così via all'infinito. Quindi non sapremo mai se parlare di conoscenza poichè non riusciamo a definire un degiustificatore genuino.

Il soggetto crede a degiustificatori in modo giustificato. Ok, ma queste giustificazioni sono a loro volta soggette a giustificatori. E' una catena infinita e noi non potremo mai sapere qual è il primo membro.

mercoledì 12 febbraio 2020

HL Great Philosophers Are Bad Philosophers fakenous.net

PERCHE' I GRANDI PENSATORI PENSANO COSI' MALE?
In passato ho provato a leggere alcuni classici di filosofia, in particolare Platone, Hume e Kant. Non mi hanno fatto una grande impressione (salvo giusto Aristotele), diciamo che sono stato colpito fin da subito dalla loro scarsa lucidità. A volte sembravano violare la logica più elementare, commettevano non sequitur che anche uno principiante come me poteva cogliere. Altre volte (quasi sempre!), sembravano semplicemente stolti (ovvero, il contrario di saggi): proclamavano tutti contenti conclusioni assurde piuttosto che tornare indietro e mettere in discussione i loro punti di partenza.
In questo senso il nostro eminente Emanuele Severino - pace all'anima sua - è in buona compagnia. Ma davvero costui, lo uso come paradigma, quando afferma che tutto è eterno, che nulla scompare e nulla viene alla luce, che il cambiamento è un' illusione, che il divenire non esiste crede a quello che dice? Ma davvero? Qualsiasi sia il ragionamento a monte, e non voglio mettere in dubbio che sia altamente sofisticato, quando una persona assennata giunge a simili conclusioni come minimo torna indietro in cerca dell'errore e corregge qualcosa, che ne so, magari qualche premessa da cui è partito. Lui, come i suoi nobili colleghi, invece no. Lui tira dritto come se niente fosse. Lui afferma e difende per una vita intera le assurdità a cui è giunto.
Ma lo stesso vale per, che ne so, il "grande" Hume, il quale arriva costantemente a conclusioni assurdamente scettiche su praticamente tutto, e questo non sembra disturbarlo. Non fa una piega. Non si ferma a dire: "Wow, tutto cio' è semplicemente folle, forse i miei presupposti iniziali sono sbagliati". Il fatto è che questo dogmatismo e mancanza di buonsenso è incredibilmente diffuso tra i filosofi antichi e moderni. Che infatti finiscono regolarmente nelle barzellette.
Kant è forse peggio di Hume, una vera delusione; sì perché oltre ad essere implausibile è anche incasinatissimo e alquanto gergale, scrive per i colleghi più che per i lettori. Almeno leggere Hume è un piacere, Kant invece è una faticaccia, e quando ne tocchi i limiti e senti odore di truffa ti incazzi pure. Avete presente il famosissimo imperativo categorico? Quello per cui il comando morale va sottoposto al test dell'universalità: "cosa succederebbe se tutti facessero come te?". Ad esempio, se un assassino crudele armato fino ai denti bussa alla tua porta in cerca della sua vittima designata e la vittima si nasconde in casa tua, non puoi semplicemente mentire all'assassino e dirgli che la vittima è da qualche altra parte. No, non puoi. Che ne sarebbe infatti del mondo in cui vivi se tutti mentissero? Uh! Ma guarda, un comportamento del genere, del tutto ragionevole, ha problemi con il test kantiano (o forse è lui che ha qualche problemino e andrebbe ritoccato?). E che dire dell'argomento con cui Kant sostiene la sua famosa idea? Scommetto che non ne avete mai sentito parlare, vero? Questo perché quasi nessuno lo insegna in classe, e il motivo è semplice: è veramente poco poco poco convincente (uso un eufemismo). Ma per giudicarlo così va prima capito, un'impresa che va oltre le forze di molti, forse anche di Kant. Insomma, non vale la pena discuterne, se non per evidenziarne la prolissità e l'inconsistenza.
Non parliamo poi del guazzabuglio di Platone; Esempio fresco fresco di ieri: quando nella Repubblica Trasimaco obbietta a Socrate che i governanti pensano solo a se stessi e trattano la popolazione come un pastore tratta le pecore, ovvero tosandole e mungendole a proprio beneficio, io mi frego le mani perché finalmente si affronta un tema sempre attuale e mi accingo speranzoso ad ascoltare la risposta di uno degli spiriti più elevati dell'umanità intera. E invece Socrate prende la parola e parte con un pallosissimo trattato sulla pastorizia completamente fuori luogo (ma ha capito che quella di Trasimaco era solo un'analogia????), poi fa un parallelo con la medicina che c'entra come i cavoli a merenda e infine dice che per governare bene i governanti vanno pagati bene. Cosa per altro non vera (anche se magari ai suoi tempi era così) ma perlomeno con un minimo di attinenza all'argomento posto da Trasimaco, che nel frattempo si sarà addormentato. Certo che la delusione è stata massima. Non ho imparato nulla, molto più costruttivo guardare il grande fratello VIP e la lite tra la Volpe e la Rusic.
Potrei andare avanti per ore: ma perché i "grandi pensatori" pensano così male?
Ipotesi mia: perché per diventare un grande pensatore non devi pensare bene, devi essere, per l'appunto, "grande". I grandi filosofi più che filosofi sono "grandi".
La grandezza riguarda l'influenza che hai sugli altri. Devi farti leggere ma soprattutto devi far discutere. La gente deve trovarti interessante, se presenti idee semplici, chiare e ragionevoli, nessuno avrà voglia di discuterne. Se dici: "le cose tendono ad essere come sembrano", il dibattito muore. Molto meglio avere idee genialmente implausibili. Guarda a Kant: l'idea di collocare lo spazio e il tempo dentro di noi anziché fuori, quello sì che fa discutere! Purtroppo, la gran parte delle idee implausibili e provocanti sono tavolini a tre gambe, non si reggono in piedi, ed è proprio per questo, forse, che abbiamo una storia della filosofia fatta da mediocri pensatori.
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Great Philosophers Are Bad Philosophers
fakenous.net
Citation (APA): fakenous.net. (2020). Great Philosophers Are Bad Philosophers [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com

Parte introduttiva
Evidenzia (giallo) - Posizione 2
Great Philosophers Are Bad Philosophers
Evidenzia (giallo) - Posizione 5
Plato, Aristotle, Descartes, Hume, Kant.
Evidenzia (giallo) - Posizione 6
I was struck by how bad they were at thinking.
Evidenzia (giallo) - Posizione 6
bad at logic,
Evidenzia (giallo) - Posizione 8
extremely poor judgment, happily proclaiming absurd conclusions to the world, rather than going back and questioning their starting points.
Nota - Posizione 8
####### il caso severino
Evidenzia (giallo) - Posizione 10
These were not the best philosophers of the past that we were reading. They were merely the greatest philosophers.
Nota - Posizione 10
ipotesi
Evidenzia (giallo) - Posizione 12
Bad Thinking
Nota - Posizione 12
Tttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 14
Aristotle is perhaps the best at thinking. Most of his errors are pretty reasonable mistakes,
Nota - Posizione 16
Ttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 16
Plato
Evidenzia (giallo) - Posizione 17
Thrasymachus says that government leaders rule solely for their own good, and treat the populace the way a shepherd treats sheep, to be used for their wool and meat.
Nota - Posizione 18
Il dubbio di T. Socrate risponde in modo assurdo. Fa un parallelo con la medicina e comincia a parlare di pastorizia come se mm avesse colto l analogia
Nota - Posizione 27
Ttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 27
Hume
Evidenzia (giallo) - Posizione 28
The biggest problem with Hume was that he was constantly drawing absurdly skeptical conclusions, about almost everything, and this doesn’t seem to bother him.
Nota - Posizione 29
Le assurditá di Hume
Evidenzia (giallo) - Posizione 32
all ideas are copies of impressions.
Nota - Posizione 32
Il suo punto di paetenza
Evidenzia (giallo) - Posizione 33
Later, he notices that certain concepts really don’t seem as if they could have been formed by copying impressions.
Nota - Posizione 33
Esempio le veritá logiche
Evidenzia (giallo) - Posizione 35
What would a rational person say at that point? “Ok, so my hypothesis was false. I wonder what the right account is?” Not Hume. He just declares that we do not in fact have those concepts.
Evidenzia (giallo) - Posizione 39
he basically says, “Yeah, that’s a counterexample to my theory, but it’s a weird case, so let’s not worry about it,”
Nota - Posizione 41
Ttttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 41
Kant
Evidenzia (giallo) - Posizione 43
you always have to act in such a way that you could will that the maxim of your action was a universal law.
Nota - Posizione 44
La teoria dell imperativo categorico
Evidenzia (giallo) - Posizione 44
E.g., if a murderer comes to your door looking for his intended victim, and the victim happens to be hiding in your house, you can’t just lie to the murderer and tell him the victim is somewhere else. Because you can’t will that everyone always lie.
Nota - Posizione 46
Ma é quasi sempre falsa
Evidenzia (giallo) - Posizione 46
What about Kant’s argument for the Categorical Imperative? I bet you can’t say what the argument was, can you? That’s because almost no one covers it in classes or discusses it in the literature. And that’s because it’s completely unconvincing and not worth discussing, except to make points about bad arguments.
Nota - Posizione 48
Ma la sorpresa più grossa
Evidenzia (giallo) - Posizione 55
How Bad Is That?
Nota - Posizione 55
Ttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 59
Greatness What Is It?
Nota - Posizione 59
Tttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 62
Greatness, however, is more about influence. Western philosophy is a big, 2000-year + conversation. The “great” philosophers are the participants who had the greatest influence
Nota - Posizione 64
Def
Evidenzia (giallo) - Posizione 64
They said stuff that other people found interesting,
Evidenzia (giallo) - Posizione 66
The Greatness-Badness Connection
Nota - Posizione 66
Tttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 68
Think about how one goes about influencing a conversation, and getting other people to talk about oneself. It’s not by saying the most reasonable things. It’s by saying things that are interesting or enjoyable to discuss.
Evidenzia (giallo) - Posizione 70
it actually helps if your ideas are implausible.
Evidenzia (giallo) - Posizione 71
“Things are pretty much the way they seem
Nota - Posizione 71
Ecco una cosa che nn desta grande interessa
Evidenzia (giallo) - Posizione 73
look at Kant. His idea of locating space and time in us is startlingly original.
Nota - Posizione 73
Esempio
Evidenzia (giallo) - Posizione 74
Hume: isn’t it just outrageous and amazing how he argues against the justification of basically everything we know?
Nota - Posizione 74
Altro esempio
Evidenzia (giallo) - Posizione 75
But, of course, most ideas that are amazing or outrageous are also very badly wrong.
Evidenzia (giallo) - Posizione 79
Our Confusion
Nota - Posizione 79
Tttttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 84
the factors by which people were selected for inclusion need not involve truth or cogency of reasoning.
Nota - Posizione 85
Ordine spontaneo

domenica 5 gennaio 2020

PERDITE DI TEMPO: LA STORIA DEL PENSIERO

Non mi piace molto la storia, è talmente complessa che ho sempre l'impressione si possa dire quel che si vuole, tanto qualche argomento da qualche parte lo si raccatta sempre. Non so perché ma gli storici scrivono sempre libroni enormi, se l'autore non è uno squisito stilista - e ce ne sono - diventano subito papponi illeggibili. Forse pensano che chi scrive il libro più alto abbia ragione? Quasi quasi trovo più adatti al compito certi giornalisti.
E non faccio eccezione per la storia delle idee, anzi. Per me, ragioniere, è stato un sollievo apprendere che al liceo non si studiava filosofia ma "storia della filosofia". Di colpo le mie frustrazioni sono svanite, da paria sono assurto a uomo libero; non so davvero a cosa serva studiare "storia della filosofia". Non capisco nemmeno perché esista una materia del genere, o per lo meno perché esistono degli specialisti.
Non voglio essere equivocato, i famosi filosofi del passato sono generalmente interessanti, quello che non capisco bene è perché ci siano degli specialisti che si arrovellano tanto su di loro, perché cioè un campo della ricerca accademica sia dedicato alla materia.
Cosa stanno cercando di scoprire questi studiosi? Forse cercano negli archivi degli scritti dimenticati dai geni del passato? In genere no. Forse tracciano le radici storiche di idee particolari? Direi di no. Forse vogliono capire se particolari teorie proposte da personaggi storici siano vere o false? Mmmm... No. Sappiamo già che sono quasi tutte false.
Nella mia esperienza questa gente legge l'opera di un grande filosofo del passato, quindi sceglie un passaggio particolare in uno dei libri e ne discute all'infinito con i suoi pari. Sperano di trovare un'interpretazione nuova, qualcosa a cui nessuno aveva pensato prima. In genere trovano molto divertente negare che il filosofo abbia mai detto qualcosa per cui va famoso.
Le loro tesi sono di questo tenore: "ora sappiamo cosa intendeva il filosofo P con l'espressione E. Voleva dire X e non Y, come vi hanno raccontato". La cosa non ha una grande importanza filosofica, e tu magari hai letto per ore e ore (in effetti, come tutti gli storici, anche gli storici della filosofia scrivono libri dalla lunghezza record).
Certo, potresti pensare che, poiché il grande filosofo pensava X, questa è almeno in parte una prova che X sia vero. Ma sarebbe una prova estremamente debole. Sarebbe infatti molto meglio considerare direttamente quali ragioni filosofiche serie ci sono per credere a X: per un'indagine approfondita basterebbe un libro che sia la metà della metà della metà di quello scritto sul filosofo P. Inoltre, sapere quali pensieri attraversavano il cervello di una certa persona non ha un interesse storico notevole. Lo sforzo non vale la candela: cio' che conta è la ricezione storica di Aristotele, non cio' che lui "pensava veramente".
E così si spendono una marea di energie intellettuali su questioni di poco conto. Non è un problema secondario, parliamo qui di persone intelligenti, ovvero di una risorsa estremamente scarsa. Un vero spreco.
E' difficile che un lavoro del genere trovi una sua retribuzione, in genere si impara la storia della filosofia per poi insegnarla poi ad altri, magari nei licei pubblici, dove la materia è obbligatoria e quindi non occorre trovarsi una clientela. Quando si intende avviare un corso di storia della filosofia, di solito si assume qualcuno specializzato in storia della filosofia. In realtà basterebbero i filosofi ordinari. Lo storico specializzato si pone rebus interpretativi complicati e sottili che rischiano di confondere la platea disinteressata che ha di fronte, piuttosto che renderla edotta.
Ma c'è di più, e scusatemi se arrischio questa analogia un po' provocatoria. Prendiamo una persona religiosa: c'è una buona possibilità che il libro sacro contenga errori o passaggi fuorvianti che l'adepto tenta di razionalizzare a posteriori. Ebbene, gli storici di solito trattano le figure storiche da loro scelte con più rispetto e deferenza di quanto trattino una qualsiasi figura contemporanea che avanza obiezioni su un argomento specifico, questo facilita gli errori.
Siamo nani sulle spalle di giganti, quindi siamo molto più alti dei giganti, vediamo più lontano di loro, vediamo più chiaramente, è del tutto normale che quanto i giganti ci riferiscono di aver visto sia il più delle volte inattendibile ed errato. In passato, la conoscenza umana nel suo insieme era in uno stato completamente diverso. Duecento anni fa nemmeno esisteva la scienza! Era molto più difficile l'accesso al lavoro dei filosofi precedenti e l'interazione fruttuosa con i contemporanei, anche la formazione era meno rigorosa.
Ci sono persone che ancora oggi si dicono seguaci di Aristotele. Ma se Aristotele vivesse oggi, probabilmente non sarebbe un aristotelico. Essere un grande pensatore, anche il più grande, non è così importante come avere accesso alla conoscenza umana accumulata negli ultimi 2000 anni. Questo è il motivo per cui il lavoro di pensatori molto meno grandi nati oggi ha più probabilità di essere corretto rispetto al lavoro di Aristotele. I tomi di logica vergati da Aristotele oggi sono sintetizzabili in quattro paginette.
Nella visione di Aristotele, il mondo è composto da cose che hanno per loro destino una funzione naturale. Noi, invece, vediamo il mondo popolato da oggetti e soggetti (coscienze). Non esiste un destino particolare, almeno per la materia. Questa cosa della teleologia è un po' stupida se vivi nel XXI secolo. L'idea di teleologia - scopi o "funzioni" che esistono in natura - non contribuisce più a nulla oggi. Tutti i fenomeni materiali sono spiegabili per causalità meccanicistica.
Ma perché uno spreca tanto tempo con la storia della filosofia? Boh, forse piace quel senso di insularità che garantisce: entri nel mondo di un autore e vivi protetto in quell'universo, non esiste altro. Se sei un semplice filosofo, le obiezioni fioccano da tutte le parti come bombe, ti contendi uno spazio che tutti vogliono. Il tuo mondo è aperto e continuamente invaso da altri. Lo storico non sta sostenendo che una certa tesi sia vera, sta solo dicendo che alcune tesi filosofiche sono supportate dai testi. Uno storico della filosofia puo' permettersi di vivere con la guardia bassa. La filosofia, per lui, è relax e archivistica, non duello e riflessione.
In conclusione, penso che le persone debbano porsi le grandi domande della filosofia, non perdere tempo con la storia della filosofia. Dovrebbero pensare, ad esempio, a qual è la cosa giusta da fare, non a ciò che Kant reputa la cosa giusta da fare; dovrebbero pensare a ciò che è reale, non a ciò che Platone ha detto essere reale.

sabato 28 dicembre 2019

LA FILOSOFIA DEL RAGIONIERE

Poiché sono un ragioniere non ho mai studiato filosofia, e questo è stato sempre un mio cruccio. Qualcuno potrebbe parlare di frustrazione. Poi però ho scoperto che nemmeno al liceo si studiava filosofia, piuttosto "storia della filosofia", qualcosa di cui francamente faccio volentieri a meno. Per me una scoperta del genere è stata un vero sollievo.
La confusione tra filosofia e storia della filosofia è molto diffusa e si riflette indirettamente in una distinzione comune nella filosofia contemporanea tra stile "analitico" e stile "continentale".
La cosiddetta filosofia analitica si pratica principalmente nei paesi di lingua inglese (Inghilterra, USA, ecc.). I filosofi “analitici” pensano che il compito principale della filosofia sia quello di risolvere i problemi, di spiegare i significati delle parole e analizzare i concetti. Il loro obbiettivo è sostanzialmente quello di esprimere chiaramente le loro tesi, di fornire argomentazioni logiche a supporto e di rispondere poi alle obiezioni formulate da chi non è d'accordo con loro. Facile, puo' capirlo anche un ragioniere. Se un filosofo analitico sta discutendo di giustizia, per esempio, di solito comincia specificando cosa intende con la parole "giusto" e come collega il concetto di giustizia a quello di equità o correttezza.
I "filosofi continentali" sono generalmente molto meno chiari su ciò che stanno dicendo. Ad esempio, non definiranno esplicitamente i termini prima di procedere. Usano molti riferimenti indiretti senza alcuna spiegazione letterale. E' come se dessero molte cose per scontate, come se preoccupazioni del genere siano risolte dalla conoscenza della "storia della filosofia". Oppure si aspettano che le cose assumano una loro forma più definita nel corso della discussione che loro stanno iniziando. Quando avanzano un'idea, in qualche modo danno pure degli argomenti per sostenerla, ma è difficile isolare le premesse e le fasi successive di quel ragionamento che li ha condotti ad affermare cio' che sostengono. Un autore continentale non ti direbbe mai che il suo ragionamento si fonda su tre premesse, per poi elencarle come (1), (2), (3) (un passaggio obbligato per gli "analitici"). Nemmeno affrontano direttamente le obiezioni. In genere scrivono libri lunghissimi e molto discorsivi. Hanno un loro gergo ma non sembra giovi molto alla sintesi o alla comprensione. Autori del genere fanno crescere la frustrazione del ragioniere pagina dopo pagina. Quando non capisci un autore analitico sai che devi studiare di più, ma se non capisci un autore continentale sei in mezzo alla palude, non sai bene cosa devi fare, il dubbio è che tu debba realmente conoscere tutta la storia della filosofia, ovvero fare il liceo. Le opere della filosofia continentale, inoltre, spesso flirtano con il soggettivismo o l'irrazionalismo.
I filosofi generalmente tendono politicamente a sinistra, come un po' tutti gli intellettuali. Ma i filosofi continentali hanno inclinazioni ancora più pronunciate. Heidegger, il padre della filosofia continentale moderna, era letteralmente un nazista. Diciamo che i "continentali" hanno maggiori probabilità di avere opinioni politiche estreme, folli, orribili. Tra loro i comunisti e i fascisti spuntano come funghi. Non si può menzionare la distinzione analitico/continentale senza menzionare il disaccordo tra Martin Heidegger/Rudolf Carnap. Il secondo considerava i capolavori del primo un misto di banalità e nonsense.
La differenza tra le due scuole è innanzitutto di stile. Gli analitici sono più naive, offrono tesi chiare, argomenti logici e rispondono alle obiezioni. Il loro scopo ideale è quello di migliorare la conoscenza e la comprensione del mondo. Il filosofo non deve, ad esempio, confondere le persone, impressionarle con una prosa rutilante o per come padroneggia la storia della filosofia, non deve esporlo alla contemplazione di frasi ben tornite inducendolo a tacere e smettere di interrogarti. Per aumentare la conoscenza e la comprensione filosofica di un lettore, si deve generalmente dargli buone ragioni per credere a ciò che si sta dicendo. Se, invece, il lettore adotterà il tuo punto di vista a causa della tua abilità retorica, magari perché colpito dalla squisita raffinatezza di una prosa in grado di sopire ogni dubbio, allora non avrà acquisito conoscenza e comprensione della materia trattata.
Mi sembra chiaro che un ragioniere intimorito di fronte al colossale corpo di conoscenze filosofiche prodotto dall'umanità nel corso dei secoli, si rivolga agli analitici, ovvero a coloro che considerano la "storia della filosofia" qualcosa di completamente diverso dalla filosofia, un po' come uno scienziato considera la storia della fisica qualcosa di completamente diverso dalla fisica. Se si puo' infatti essere ottimi fisici senza conoscere la storia della fisica, se si puo' addirittura vincere il premio Nobel senza sapere nulla della fisica di Aristotele; allora, forse, si puo' comprendere un filosofo anche senza aver fatto il liceo o conoscere autori superati come Platone e Aristotele.
L'altra cosa da sottolineare è che le tesi più comunemente associate ai filosofi continentali sono sbagliate, a volte persino sconcertanti. Questo non li rende molto attraenti per un semplice ragioniere assetato di verità.
Per esempio, la filosofia continentale nega spesso l'esistenza di una realtà oggettiva. A volte sembra dire, ad esempio, che quando chiudo gli occhi, il resto del mondo esca in qualche modo dall'esistenza. Come se il mondo esistesse solo se percepito dagli uomini o comunque da un osservatore. Per la persona comune e per i filosofi analitici un mondo che esiste indipendentemente dagli osservatori è invece facilmente immaginabile e ipotizzabile. Negarlo sembra assurdo. L'errore dei continentali sta nel confondere l'affermazione che un determinato oggetto della conoscenza è rappresentato da una mente particolare con l'idea che il suo essere rappresentato da quella mente fa parte del contenuto stesso della rappresentazione. In altre parole: dal fatto che posso immaginare la Terra solo usando la mia mente, non consegue che posso immaginare la Terra solo come immaginata da me.
Uno si chiede il perché di simili gaffe che perpetuano gli stereotipi verso il filosofo con la testa nelle nuvole. Lo strano soggettivismo dei continentali serve forse per alimentare un poetico scetticismo che troppo spesso li seduce ispirando loro pagine su pagine dotate di un certo afflato più che di un contenuto reale. Come nel loro stile, l'idea centrale non è mai espressa in modo rigoroso, ci si limita ad evocarla all'incirca così: "è impossibile per noi sapere qualcosa senza usare le nostre menti, i nostri schemi concettuali, i nostri occhi... pertanto, non ha senso parlare delle cose come sono in se stesse, e nemmeno ha senso l'idea di "realtà oggettiva"..."
Insomma: "poiché abbiamo occhi con cui vedere, siamo ciechi". L'argomento degli "occhi" percorre la filosofia continentale in lungo e in largo, viene riproposto ossessivamente trattando dei temi più disparati. Un continentale non ti dirà mai che ritiene una certa sua affermazione vera al 40%. Farà invece la sua affermazione corredandola con il pleonastico argomento degli occhi. Il filosofo australiano David Stove ha battezzato questo argomento "The Gem" bollandolo come "il peggior argomento mai concepito nella storia della filosofia".
I filosofi continentali non amano molto la razionalità. Inutile dilungarsi sul perché invece un filosofo dovrebbe costituire l'epitome della razionalità, penso che sia fondamentalmente una tautologia: il pensiero razionale non è altro che il pensiero senza errori. Per essere onesti, poche persone diranno apertamente: "ehi, sono irrazionale, e dovresti esserlo anche tu!". Ma puoi leggere molti autori continentali che rifiutano i principi centrali della razionalità, come quello dell'obbiettività e della coerenza.
Ma perché una simile sconcertante idiosincrasia? Il fatto è che se eludi la razionalità puoi continuare a sostenere le tue convinzioni sbagliate, in qualche modo, in questi casi, percepisci implicitamente che razionalità e obbiettività sono i tuoi nemici. Devi anche evitare di essere chiaro nella tua esposizione. La nebbia, la parzialità e la confusione sono elementi chiave per coltivare false credenze. L'esistenzialismo, una tipica filosofia continentale, ti lascia libero di credere e fare quel che vuoi, purché sia "autentico", ma per poter elargire un simile dono ai suoi adepti deve presentarsi come particolarmente confusa, disarticolata e zeppa di tesi ingiustificate. Direi che ci riesce benissimo, e non a caso nei licei europei è sempre andato fortissimo.
Ma anche la filosofia analitica nasconde una sua "miseria". Il suo problema principale è che è troppo... analitica.
Le affermazioni analitiche sono vere in virtù del significato delle parole che usano. Tipo: "tutti i rombi hanno quattro lati" e "il presente viene prima del futuro". Sarà per questo che i filosofi analitici passano gran parte del loro tempo a parlare del significato delle parole. Bello! Ma dopo un po' ti rompi i coglioni... e vorresti affrontare qualche problema sostanziale. Non so quante persone pensano ancora che il compito della filosofia sia di analizzare il linguaggio e roba del genere. Spero che non siano molti. Ma il passato pesa e ancora oggi ne circolano parecchi con questa sindrome: neuroni rubati all'agricoltura.
Il primo problema specifico della filosofia analitica è dato dal fatto che la gran parte delle sue analisi sono "infruttuose". La chiarezza non riesce a creare consenso: su quasi tutti i problemi maggiori si resta divisi, e quando le divisioni persistono per decenni è segno che non si saneranno mai. La conoscenza non si cumula, altro che scienza. Per contro, molte analisi semantiche sono così contorte che risultano di fatto inutili. Esempio, le analisi di cui ora discutono gli epistemologi sono così complicate e confuse che nessuno usa il termine "conoscenza" avendo in mente il loro lavoro. ma a che servono? Alla comprensione teorica dei filosofi accademici? È questo ciò di cui abbiamo bisogno? Un chiarimento dei termini che impegna decenni di riflessione per arrivare a conclusioni lontane dall'uso effettivo che viene fatto di quelle parole sembra uno spreco colossale.
Ad ogni modo, una buona dose di dibattito nella filosofia analitica, anche quando non si tratta direttamente dell'analisi semantica, degenera comunque in una noiosissima analisi semantica. niente di più palloso e inconcludente.
Esempio: quando un'affermazione è "giustificata"? Ci si divide tra internalisti ed esternalisti. I secondi ritengono che una credenza sia vera quando è verificata da una certa procedura descrivibile esteriormente. Gli internalisti invece pensano che il cuore della giustificazione sia il buon senso e l'intuizione, ovvero qualcosa che non si puo' descrivere se non come stato mentale dell'osservatore. "La neve è bianca" è vera solo se la neve è bianca. Ecco, questo scontro mi sembra uno scontro senza molta sostanza, uno scontro più sulle parole che sulle cose: l'internalista accetta buona parte di cio' che dice l'esternalista e viceversa, ma i due hanno modi diversi per esprimersi. E intanto la gente - scienziati compresi - continua tranquillamente a utilizzare il termine "giustificazione" senza aspettare di certo che i filosofi analitici decidano cosa significhi.
Altro esempio, ci sono dibattiti in metafisica sull'esistenza degli "oggetti compositi". Esistono veramente? C'è chi lo nega e pensa che se prendi alcune particelle elementari, non c'è nulla che tu possa farle per assemblarle e realizzare un oggetto autonomo. Quindi, per esempio, le tabelle non esistono, le persone non esistono, ecc. Altri filosofi affermano invece che gli oggetti possono comporre altri oggetti. Se hai un oggetto A e un oggetto B, allora c'è sempre un terzo oggetto che ha sia A che B come parti. Immaginatevi l'interesse delle persone per una questione del genere, immaginatevi l'ansia con cui si attende il verdetto, immaginatevi l'attesa con cui si attende che la filosofia analitica dirima la questione.
Ma c'è qualcosa di ancora più grave: i filosofi analitici, ahimé, decidono quali domande porsi in base alla possibilità di applicare o meno il loro metodo (definizione/deduzione). Risultato: parlano solo di cazzate. Pardon, affrontano temi che non interessano nessuno eludendo le domande che contano realmente. Nel solco di Wittgenstein ("di cio' di cui non si puo' parlare si deve tacere") finiscono per produrre solo noia e virtuosismo intellettuale fine a se stesso. Ci si chiede perché non si dedichino alla settimana enigmistica.
Esempio: qual è il motivo per cui dovremmo obbedire al governo? Il filosofo analitico trasforma la domanda in modo da renderla più "trattabile". Tipo: come dovrebbe essere in astratto un ordine politico ideale? Qui comincia ad elencare le condizioni, tutte rigorosamente astratte. Tutti i paroloni con accezione positiva (libertà, uguaglianza, bene, giustizia) vengono tirati in ballo senza specificazione significativa. A questo punto si potrebbe osservare che, poiché nella realtà non esistono governi del genere, non esiste un obbligo di obbedienza. Ma a questa conclusione il filosofo analitico non arriverà mai poiché si tratta di un'affermazione con un contenuto empirico, non gli riguarda. Purtroppo per il lettore, è anche l'unica affermazione interessante. In breve: il filosofo analitico è uno specialista nel sostituire la domanda che conta con una domanda di cui non frega niente a nessuno (se non forse ai suoi colleghi), perché quest'ultima non gli chiede di alzare il culo dalla sua poltrona.
Altro esempio, in passato ho cercato di affrontare in modo analitico il problema teologico del male. Ecco un modo semplice per comprenderlo: Dio, se esiste, dovrebbe essere onnisciente, onnipotente e buono. Ora, se Dio non è a conoscenza di tutti i mali del mondo, allora non è onnisciente. Se è consapevole del male ma non è in grado di fare nulla al riguardo, non è onnipotente. Se è consapevole del male ed è in grado di eliminarlo, non è buono, visto che quel male esiste. Un bel problema per i credenti. Un modo per risolverlo consiste nel mettere in evidenza come Dio, avendo concesso all'uomo una libertà radicale, ha in qualche modo limitato la propria onnipotenza. Osservando la reazione di un filosofo analitico impegnato nel difendere la posizione atea, ho notato che considerava questa risposta "inammissibile". Motivo? "Rettificava le premesse": non si puo' difendere una tesi ridefinendola. Avete capito bene, a un filosofo del genere non interessa nulla di come stiano le cose, lui è solo preso nei suoi giochetti di parole, e se uno fa un passo indietro, rimette a posto certi concetti in modo che quadrino le cose, tutto quello che ha da dire è che "non vale", come se si stesse facendo un gioco in cortile. Ho trovato questo caso sorprendente. Quindi, se si scopre che esiste un essere estremamente potente, intelligente e buono che ha creato l'universo, ma l'essere non è in grado di fare tutte le azioni logicamente possibili, allora questo essere non desta alcun interesse per il filosofo analitico? Un tipo del genere è più preso dai giochi di parole che dalla comprensione della realtà. Capisco che ci siano casi in cui difendere una tesi ridefinendola la rende poco interessante. Ad esempio, se difendessi il "teismo" definendo "Dio" come definisco la "Natura", ciò snaturerebbe la mia difesa. Ma il caso del dio onnipotente è molto diverso!
Conclusione. la filosofia migliore su piazza è quella che utilizza il rigore degli analitici ma affronta i temi dei continentali.

mercoledì 20 settembre 2017

Il primo dogma sfatato da Quine

Quine nega la distinzione tra analitico e sintetico.

L'affermazione analitica è quella vera per definizione, ovvero quella in cui tra il termine definito e l'espressione che definisce esiste una relazione di sinonimia.

La sinonimia esiste quando i due termini sono intercambiabili.

Quine ha buon gioco nel dimostrare che la sinonimia non esiste mai.

Esempio: ammettiamo che l'uomo sia definito come "essere razionale". Ma nella frase "uomo si scrive con quattro lettere" l'intercambiabilità tra definito e definizione viene palesemente meno.

Eppure Quine non dimostra l'inesistenza degli enunciati analitici ma solo il fatto che non sappiamo esattamente dire in cosa consista questa loro caratteristica.

Chiunque tra noi sa distinguere perfettamente gli enunciati analitici da quelli sintetici. Cio' è un chiaro indizio che la differenza esiste.

E' dunque molto più prudente concludere che la distinzione analitico/sintetico esista anche se non sappiamo definirla in modo completo.


sabato 3 giugno 2017

Addio all'empirismo

Why I Am Not an Objectivist di Michel Huemer
Co sono molti motivi per non essere empiristi, il principale è che una buona filosofia serve sempre come bussola e quella dell’empirista è pessima.
In filosofia politica, per esempio, gli empiristi amano farsi chiamare oggettivisti. La loro visione è all’incirca questa:
… Objectivism are these five claims: (1) Reality is objective. (2) One should always follow reason and never think or act contrary to reason. (I take this to be the meaning of "Reason is absolute.") (3) Moral principles are also objective and can be known through reason. (4) Every person should always be selfish. (5) Capitalism is the only just social system….
Molti punti sono condivisibili…
… I agree with 1, 2, 3, and 5. In fact, I regard each of those propositions as either self-evident…
Ma è la filosofia di fondo ad essere tremendamente pasticciata e indigesta.
Vediamo i concetti cardine con cui litiga l’empirista.
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Partiamo con la diade senso/significato.
E’ importante distinguere. Vediamo un esempio che chiarisce tutto all’istante…
… Oedipus, famously, wanted to marry Jocaste, and as he did so, he both believed and knew that he was marrying Jocaste. The following sentence, in other words, describes what Oedipus both wanted and believed to be the case: (J) Oedipus marries Jocaste. However, Oedipus certainly did not want to marry his mother, and as he did so, he neither knew nor believed that he was marrying his mother. The following sentence, then, describes what Oedipus did not want or believe to be the case: (M) Oedipus marries Oedipus' mother. But yet Jocaste just was Oedipus' mother. That is, the word "Jocaste" and the phrase "Oedipus' mother" both refer to the same person. Therefore, if the meaning of a word is simply what it refers to, then "Jocaste" and "Oedipus' mother" mean the same thing. And if that is the case, then (J) and (M) mean the same thing. But then how could it be that Oedipus could believe what (J) asserts without believing what (M) asserts, if they assert the same thing?… What the example shows is that (J) and (M) do not express the same thought since Oedipus had the first thought and did not have the second thought… Thus, "Jocaste" and "Oedipus' mother" have the same reference, but different sense…
Attenzione in casi del genere a non confondere le parole con le idee
… I speak of the sense and reference of a word, not of an idea. The reason for this is that the sense of a word is the idea associated with it. Ideas do not have senses; they are senses…
Perché l’empirista non distingue a dovere? Avrà i suoi motivi (che qui non vediamo), sta di fatto che così facendo manda all’aria il senso comune.
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Altra distinzione criciale: analitico/sintetico.
… An analytic statement is defined to be one that is true in virtue of the meanings of the words involved… Peikoff shows in his article on the analytic/synthetic distinction (in ITOE) that, from his theory of meaning, it would follow that no truth can be synthetic. Take an example of a typical, allegedly synthetic statement: (A) All bachelors are less than 8 feet tall. and suppose that it is true. Then, since the meaning of "bachelors" includes all the bachelors in the world, including all of their characteristics, including their various heights, including (by hypothesis) the fact that they are all less than 8 feet, to say that there is a bachelor more than 8 feet tall would contradict the meaning of "bachelor". Hence, (A) is analytically true. Having made the sense/reference distinction, however, we see this is wrong. (A) is analytic only if it is true in virtue of the senses of the words involved (not their reference)…
Il rifiuto di questa distinzione è associato con il rifiuto della prima.
Quine, per esempio, ha dimostrato che la distinzione analitico/sintetico è artificiosa. Come ha fatto?
Partendo dalla definizione di analitico: un giudizio è analitico quando la sua verità discende dal significato delle premesse.
Ma cos’è il significato?
Molto empiricamente, è cio’ che accomuna due parole cosiddette sinonime l’una dell’altra.
La distinzione analitico/sintetico dipende quindi dalla relazione di sinonimia.
Ma la relazione di sinonimia non esiste, dimostrarlo è facile. Nessuna parola puo’ infatti essere perfettamente tradotta se non con se stessa. Tutte le parole hanno un senso differente, fosse anche solo perché si compongono di un numero di lettere differente.
Esempio: se A e B sono sinonimi allora si possono tra loro sostituire nella medesima frase mantenendo lo stesso valore di verità della frase stessa. Ma questo non è mai possibile, basta scegliere ad hoc la frase. Prendiamo questa frase che ha tutte le caratteristiche di una frase scelta ad hoc: “X è una parola formata solo da linee rette”. Sostituiamo A e B all’incognita e notiamo che il valore veritativo della frase cambia eccome. Ergo, A e B non sono sinonimi. Magari in tutte le frasi significative A e B sono sostituibili, ma nella frase escogitata ad hoc no.
Ora, se la relazione di sinonimia è un mito, lo è anche la distinzione analitico/sintetico.
Fine della dimostrazione.
Si sarà notato che in questa dimostrazione molto dipende dalla nozione  univoca che diamo al termine “significato”. Ebbene, se riprendiamo l’immediata distinzione senso/significato anche la dimostrazione di Quine traballa: il riferimento di A e B puo’ essere lo stesso e la relazione di sinonimia puo’ essere ripristinata senza dover essere necessariamente un mito.
Se quindi non esistono valide motivazioni per rinunciare alla distinzione analitico/sintetico, ne esistono di molto valide per non farlo…
… There are sentences like "Every rectangle has 4 sides," "Every bachelor is male," "Every cat is a cat," etc., which certainly appear, prima facie, to have something in common and to be different in some way from "Every rectangle is blue," "Every bachelor is a slob," etc. Every philosopher is able to reliably classify certain specimens of each category and to produce indefinitely many additional examples each of 'analytic' and 'synthetic' propositions that have never been explicitly discussed by any other philosopher before ("Every dodecahedron has 12 faces"). Is this not strong evidence that there is some distinction here?…
***
Terza distinzione: conoscenza a priori/conoscenza osservativa.
Definizioni…
… By an item of "empirical knowledge" I mean something that is known that either is an observation or else is justified by observations. A priori knowledge is that which is not empirical… I do not say that the concepts required to understand it are innate or formed without the aid of experience. I only maintain that a priori knowledge is not logically based on observations. In other words, if x is an item of a priori knowledge, then there is no observation that is evidence for the truth of x - but we still know x to be true. This distinction is crucial. Perhaps some experiences have caused us to form certain concepts. And perhaps having these concepts enables us to understand the proposition, x. So our ability to understand the proposition depends on observation…
Anche qui l’empirista – avendo negato le precedenti distinzioni - si trova nell’infelice condizione di dover negare anche questa a tutta prima evidente.
Basta fare qualche esempio.
La logica – tanto per dirne una - è conoscenza a priori, non deriva da una percezione sensoriale…
… (1) Principles of logic are not observations. You do not perceive, by the senses, the logical relation between two propositions. You may be able to perceive that A is true, and you may be able to perceive that B is true; but what you can not perceive is that B follows from A…
Le verità logiche sono originarie…
… (2) The principles of logic can not in general be known by inference… Now it follows from (1) and (2) that: (3) The principles of logic are known a priori. For they are not observations (1) and they are not inferred from observations (2), but they are known. This is the definition of a priori knowledge…
Ma anche la matematica è conoscenza a priori, e attenzione a non ingannarsi…
… Consider the proposition (B) 1 + 1 = 2, which I know to be true. Is this proposition based on any observations? If so, what observations? In order to learn the concept '2', I probably had to make some observations. I might have been shown a pair of oranges and told, "This is two oranges."… As I previously explained, the issue is not whether observations were necessary in my coming to understand the equation (B) but whether any observation justifies the proposition, i.e., provides evidence of its truth…. Addition is not a physical operation. It is not the operation of physically or spatially bringing groups together, and the equation (B) does not assert that when you physically unite two distinct objects, you will wind up with two distinct objects at the end. Indeed, if it did, the equation would be wrong. It is possible, for example, to pour 1 liter of a substance and 1 liter of another substance together, and wind up with less than 2 liters total. (This happens because the liquids are partially miscible.) This does not refute arithmetic…. Even if my experiences with the oranges, the fingers, etc., including all the experiences that helped me form the concepts of '1', '2', and 'addition', were all a long series of hallucinations, I still know that 1+1=2….
***

Ma anche l’etica è conoscenza a priori…
… (1) Moral principles are not observations. The content of every observation is descriptive. That is, you do not literally see, touch, hear, etc. moral value…
Qui bisogna fare attenzione: è la fallacia naturalistica a farci capire meglio cosa intendiamo dicendo che l’etica è conoscenza a priori.
Esempio: noi descriviamo una situazione e diciamo come sia giusto comportarsi. Ma il precetto non deriva da quella descrizione posta in premessa, se fosse così incorreremmo nell’errore di fallacia naturalistica.
Qualcuno potrebbe obbiettare: il dolore è male e il piacere è bene (piacere e dolore sono descrizioni di una condizione umana). Se fosse così basterebbe in effetti una descrizione per implicare un giudizio morale. Ma non è così! Il fatto che il dolore sia male non è affatto automatico, il dolore non è la premessa da cui inferiamo l’esistenza di un male…
… The only possible objection I can think of would be if one thought that the sensations of pleasure and pain are literally perceptions of moral value and evil… The cut didn't cause pain in virtue of its being bad; it caused pain in virtue of plain old, physical characteristics - just as all sensations are caused by physical phenomena. How cuts cause pain can be explained purely by descriptive physiology and physics, without any ethical claims… Moral principles can not be inferred from descriptive premises…
Vediamo qualche caso concreto in cui la fallacia naturalistica (o legge di Hume) viene violata. Un giudizio sul comunismo
… Communism causes poverty, makes people miserable, and takes away people's freedom. Therefore, communism is bad. The premise is apparently a descriptive and empirical fact, while the conclusion is evaluative. Assume the premise is true. My question: Does the conclusion follow from thatalone? No, the conclusion also depends upon the suppressed premises that poverty and misery are bad,…
Altro esempio: la libertà
… Freedom is necessary to our survival. Therefore, freedom is good. Again, assume the premise is true, and ask, Does the conclusion follow from that alone? No, because the argument presupposes that survival is good, and that survival is good is an evaluative premise. If survival is bad, then the conclusion to draw is that freedom is bad, not good…
Altro esempio: la sopravvivenza e la vita…
…I want to live. Eating is necessary to live (and also will not interfere with anything else I want). Therefore, I should eat. This requires the assumption that I ought to act on my desires, and/or that my desire to live is a morally acceptable one…
E’ spesso la sociobiologia, ovvero il filosofo morale sedotto dall’evoluzionismo, a cadere nella trappola della fallacia naturalistica.
Si tratta quasi sempre di filosofi/scienziati che si dichiarano empiristi, ecco il loro classico errore logico… 
… (iv) Social cooperation increases our evolutionary fitness. Therefore, we should cooperate. This presupposes that evolutionary fitness is good. One could try to prove this like so: (v) The process of evolution tends toward the survival of the fittest. Therefore, fitness is good. But this presupposes that survival is good and/or that what evolution tends towards is good… If one tries to show that x is good because it produces y, one must presuppose that y is good…
***
Negato il fatto che si possa passare dalle osservazioni ai giudizi morali, possiamo per altro verso dare esempi concreti di conoscenza a priori che difficilmente possono essere negati…
… there is a great deal of other a priori knowledge. Here are some examples: A cause cannot occur later than its effect. Time is one-dimensional. If A and B have different heights, then either A is taller than B or B is taller than A. "Inside" is a transitive relation. It is not possible for something to be created out of nothing…
***
Come si traduce la singolare posizione empirista su questioni che parrebbero ovvie ma che lui è costretto a negare?
Per esempio con una visione tutta sua della facoltà razionale dell’uomo.
Per un empirista la ragione assomiglia ad un elaboratore che prende i dati da altre facoltà, per esempio i sensi, e li tratta…
… Reason takes observations (and memories) as input and then, through a certain process (inference), turns out a certain output. This output, according to empiricists, can include a huge amount of knowledge, from my knowledge that the sun will rise tomorrow, to the most elaborate of scientific theories, but all of it is dependent on receiving some input from the senses and/or introspection…
La ragione non è fonte di conoscenza ma di mera elaborazione.
Per il non empirista – invece – la ragione produce anch’essa delle sue verità che poi tratta…
… I say that reason does not only operate on input provided to it by other faculties, but is also a faculty of direct awareness of certain things - namely, all the things listed above. This knowledge that originates in reason is direct in the same sense that perceptions are direct knowledge…
La ragione (pura) puo’ quindi conoscere anche a prescindere dalle altre facoltà, questa conoscenza si chiama conoscenza a priori…
… At the beginning of this section (section 3), I defined "a priori knowledge" only negatively, as that which is not empirical. It is now possible to provide the positive characterization: A priori knowledge is the knowledge of pure reason…
***
E qui veniamo ad un altra distinzione immediata a cui il povero empirista deve rinunciare: universali/particolari.
Definizione di universale, facciamo il caso della bianchezza
… I have here two white pieces of paper. They are not the same piece of paper, but they have something in common: they are both white. What there are two of are called "particulars" - the pieces of paper are particulars. What is or can be common to multiple particulars are called "universals" - whiteness is a universal….
Gli universali sono fatti per discutere: solo l’universale puo’ “descrivere”
… A universal is a predicable: that is, it is the kind of thing that can be predicated of something. A particular can not be predicated of anything. For instance, whiteness can be predicated of things: you can attribute to things the property of being white (as in "This paper is white"). A piece of paper can't be predicated of something; you can't attribute the piece of paper as a property…
Sia chiaro: l’universale è una cosa, non un concetto…
… Whiteness is not a concept; it is a color. When I have the concept of whiteness in my mind, I do not have whiteness in my mind (no part of my mind is actually white)…
Nella conoscenza a priori il soggetto è sempre un universale. Nell’osservazione è sempre un particolare…
… Now I have said that reason gives us direct awareness of facts about universals: In other words, the knowledge of pure reason is that in which not only the predicate but also the subject is a universal. Observations, in contrast, we defined as direct knowledge in which the subject is a particular (for example, "This paper is white" expresses an observation)…
Il problema: gli universali esistono?…
… (1) Do universals (as defined above) exist? (2) If not, why does it seem as if they do? (i.e., why do we have all these words and ideas apparently referring to them and knowledge apparently about them?) (3) If they do, does their existence depend on the existence of particulars?… The people who answer #1 "Yes" are called "realists", and those who answer #1 "No" are called "nominalists"…
Da come si risponde a questa domanda si puo’ essere classificati in: nominalisti, realisti e immanentisti.
Il nominalismo è ovviamente falso, il realismo probabilmente falso…
… I am not going to try to refute nominalism here, because it is just obviously false. It is obvious that there is such a thing as whiteness, and that's all I have to say about that. (David Armstrong does a good job on it though in Nominalism and Realism.) It also seems clear to me that universals exist in particulars, and so immanent realism is true…
Purtroppo per lui l’empirista è spinto su posizioni nominaliste, ovvero “ovviamente false”. Si deve sobbarcare una mole di prove che non è in grado di portare per negare l’evidenza del senso comune.
***
Riepilogo.
Accettare la distinzione senso/significato, analitico/sintetici, a priori/empirico, universale/particolare sembrerebbe ovvio, sembrerebbe la base per ogni filosofia fondata sul senso comune.
Eppure l’empirista non puo’ permetterselo. Se lo facesse delle fastidiose facoltà umane che vanno oltre i meri sensi entrerebbero in campo. E a lui la cosa sembra non piacere.
E di fronte a questa impossibilità come si comporta?
Ha due vie: 1) negare ogni valore al pensiero (filosofia) o 2) mettere in piedi una filosofia cervellotica.
Abbracciare una filosofia semplice, solida e fondata sul senso comune è una via preferibile, direi. Ma per farlo bisogna dire addio una volta per tutte all’empirismo.