lunedì 21 luglio 2008

La spocchia degli sconfitti

Dopo la guerra nessuno ha investito nella "Cultura" quanto la Sinistra.

Impedita ad entrare nella stanza dei bottoni - almeno da noi in Italia - e memore del messaggio gramsciano, ha puntato tutto sull' occupazione massiccia degli spazi culturali creando una vorace classe di pensatori compulsivi che prendevano le misure a tutto.

Forse che una certa arroganza residua debba annoverarsi tra i danni collaterali di quel dominio illusorio?

Ironia della sorte, dopo mezzo secolo, il fallimento della Sinistra è soprattutto di ordine culturale.

O almeno, questo è il mio pensiero sulla parabola del movimento progressista e mi fa piacere che una ricostruzione similare venga tratteggiata da Arnold Kling riferendosi ai "liberal" americani. Una compagnia rassicurante.

Kling, con lo schematismo pragmatico d' oltreoceano, elenca alcune proposizione che rivelano al meglio una irreparabile perdita di credibilità ottenuta sul campo:


  • Anti-Communism was a greater menace than Communism.

  • The planet could not possibly support the population increases that would take place by the end of the twentieth century.

  • Conservatives stood in the way of progress for minorities.

  • Government programs were the best way to lift people out of poverty.

  • What underdeveloped countries needed were large capital investments, financed by foreign aid from the rich countries.

  • Inflation was a cost-push phenomenon, requiring government intervention in wage and price setting



Anche le esaltazioni sessantottine, dopo mezzo secolo, appaiono di natura più marziana che avanguardista. Kling sfoggia l' esempio patetico di Chomsky (oggi redivivo). Ricordate cosa andava di moda? Le ciancie della "meglio gioventù", più che da una risata, sono state ricoperte da fatti ineludibili, per esempio questi:



  • a mass exodus from Communist Vietnam (the boat people)

  • a large exodus from Cuba (the Mariel boat lift)

  • the collapse of Soviet Communism, revealing that the system did much broader and deeper damage than most people realized

  • an unmistakably large gap between North Korea and South Korea in terms of material well-being and personal freedom



Di quel grande progetto culturale e della sua fantica elaborazione non resta granchè. Tutti ne riconoscono implicitamente la pochezza e in molti sono ancora oggi impegnati a prendendone le distanze. Dismettere invece la spocchia del monopolio intellettuale è compito assai più difficile, lì non ci sono fatti che tengano.

domenica 20 luglio 2008

La famiglia Friedman

Ciao ric,

tempo fa mi hai detto di non essere timida e inviare nuovi post. Lo faccio ancora, utilizzando impropriamente il tuo blog come mio archivio di Preferiti e approfittando della tua assenza, immagino che tu e miriam sarete partiti per il weekend.

Mi sono persa a leggere il blog di Friedman, economista libertario interessato ai problemi legati all'infanzia e all'educazione. C'è un sacco di materiale sulle scuole, sull'educazione (nel senso di istruzione), su homeschooling, eccetera. Essendo un padre entusiasta, ci sono anche molti racconti della sua vita familiare e di come ha tirato su i figli.

La più grande ha iniziato la sua carriera scolastica in una scuola Montessori, poi a 5 anni ha preferito (lo ha scelto lei, dopo che i genitori l'avevano portata a visitare altri istituti) di passare a una scuola sul modello Sudbury (Individual freedom, freedom of choice and learning through experience), che, con il fratello più piccolo di qualche anno, ha frequentato con soddisfazione fino circa ai 10 anni. Dopodiché, tutti e due i bambini, con i genitori, hanno optato per l'homeschooling.

Ovviamente con due genitori laureati e di quel tipo, gli è andata decisamente bene. La grande si è fatta i test di ammissione a college prestigiosi senza nessun problema (tranne qualuno nelle materie scientifiche tipo fisica o chimica - nonostante DF sia laureato in fisica, segno che non ha imposto in alcun modo le sue competenze). Il piccolo lavora per riuscire a sviluppare un nuovo gioco da tavolo (e venderlo a una azienda) prima del 16mo compleanno.

La cosa bella è che i Friedman hanno 'indirizzato' l'istruzione dei figli seguendo le loro inclinazioni e soprattutto i giochi e le cose che li appassionavano:

Our son likes Dungeons&Dragons and other games with dice rolling, so was interested in learning how to figure out the probability of getting various results. It turned out that the same author and illustrator had produced a book on simple probability theory—How to Take a Chance—so we got it and he read it multiple times. The result was a ten year old who could calculate the probability of rolling 6 or under with three six-sided dice.


(...) But the largest part of their education, after reading, is probably conversation. We talk at meals. We talk when putting one or the other of them to bed. My daughter and I go for long walks at night and spend them discussing the novel I'm writing or the characters she roleplays on World of Warcraft (videogioco fatasy).

Insomma, allora esistono libertari che non pensano come Sowell che i bambini siano barbari da civilizzare e non invocano la direct instruction. Bene, perché mi sembrava un'incoerenza. E perché su questa base potrei anche decidere di convertirmi all'anarco-capitalismo dei Friedman.

Intendo chiedere a Friedman che ne pensa della questione oggetto/soggetto, e che ne pensa della Direct Instruction. Prima però leggerò ancora quello che scrive. Magari già ne parla nel blog.

ciao e buon fine settimana (letteralmente 'fine', ormai) a entrambi!
d

sabato 19 luglio 2008

Due Friedman in uno

ciao ric,

facendo ricerche su un certo David Friedman, per via di un documentario che ho appena visto ("Capturing the Friedmans"), ho trovato il blog di quest'altro David Friedman, figlio di Milton ed economista anche lui. Mi sono messa a leggere e ho scoperto che in molti suoi post affronta quei problemi cui tempo fa alludevi, circa la difficoltà del libertario quando si trova a dover dire la sua sui bambini.


Così ho pensato di linkarlo qui, nel caso che il blog possa interessarti più in generale.

Seguo ogni tanto i vostri scambi (ciao, davide) - accidenti che capacità di concentrazione e approfondimento che avete. Davide poi, è un mistero dove trovi tutte quelle energie, magari alla fine di una giornata di lavoro, dopo un'ora di macchina e l'impegno della famiglia. (Ora non so quale interruttore tu prema, Davide, ma la causa dell'energia che si sprigiona è certamente metafisica.)

ciao
d

venerdì 18 luglio 2008

Arte riciclata e arte del riciclo

Un registratore per ascoltare le cassette non ce l' ho più e buttarle non mi va... nessun problema, forse siamo vicini alla soluzione...



E tra poco si comincia ad arredare con i cd...

I figli nella guerra fra i sessi

Pensando alla fertilità nei vari Paesi, ovvero al numero medio dei figli per ciascuna famiglia, avevo già notato come parecchi studiosi mettessero in luce la forte rilevanza di un "fattore culturale".

Ora Sacerdote et al. tornano sul tema con un' analisi comparata di Francia, USA, Italia, Svezia, Giappone, Spagna. Secondo questo studio il fattore più strettamente connesso al numero di figli avuti è la disponibilità dell' uomo ad aiutare nelle faccende domestiche. Ancora un fattore culturale, quindi.

"... using ISSP and World Values Survey data we show that countries in which men perform relatively more of the childcare and household production... have the highest fertility within the rich country sample. Fertility and women's labor force participation have become positively correlated across high income countries..."



Naturalmente non risulta che la divisione perentoria dei ruoli in famiglia induca di per sè alla sterilità della coppia, anzi, in passato questa impostazione ha favorito famiglie con proli sterminate. Evidentemente a produrre sterilità è stato il suo incontro/scontro con certi influssi del pensiero femminista.



Ma attenzione, postulando carichi di lavoro casalingo squilibrati, gli autori imboccano una scorciatoia che li porta subito alla conclusione che devono spiegare.

Per loro, molto semplicemente, le donne preferirebbero meno figli rispetto agli uomini ponendosi, con queste preferenze, all' origine della scarsa fertilità in paesi come l' Italia. Mi sa che il percorso da compiere per spiegare i pochi figli sia più tortuoso.

Sarà perchè gli autori rinunciano a dimostrare questo passaggio, sarà perchè secondo me ci sono dati che dimostrano il contrario sul numero ideale di figli per uomini e donne, sarà per questo ed altro ma secondo me Sacerdote la fa troppo facile.

Se la scarsa fertilità risiede davvero nella guerra tra i sessi e nei mariti poco collaborativi, la scintilla che scatena questa querra sta altrove, non nelle preferenze circa il numero dei figli ma nelle preferenze, per esempio, concernenti la pulizia della casa. Ripeto, è un esempio!

Nonostante le culture siano cambiate, non lo sono forse abbastanza. La donna, per quanto ormai impugni con decisione il suo diritto a ricevere un aiuto nelle faccende, ancora si sente la responsabile finale per le condizioni in cui si presenta a terzi il luogo dove vive la famiglia. L' uomo, pur prestando la sua opera è meno interessato al "risultato finale" da sottoporre al giudizio di amici e parenti.

In fondo, per qualcuno, la vera uguaglianza si realizzerà non quando l' uomo sentirà certi doveri ma quando non li sentirà più la donna. Ovvero, non quando le "specializzazioni" famigliari sfumeranno, ma quando saranno ulteriormente sfruttate:

"... my dad used to change the oil in our family cars. I certainly don't. I suffer exactly zero shame from the fact that I don't even know how. There are specialists who do this sort of thing. Real women's liberation and gender equality will come when social expectations shift enough to allow families to guiltlessly take full advantage of the returns to specialisation..."

giovedì 17 luglio 2008

Finalmente un Sollima che inquina

Nell' ultimo suo disco Giovanni Sollima sembra, almeno in parte, impegnato a scrollarsi di dosso le ipnosi "glassiane".

Un po' meno di pulizia "ambient" a tutto favore di energie più inquinanti ma anche più produttive.

Gilbert Diop Abdourhamane gli dà una mano a produrre un po' di ruggine. In un pezzo c' è persino Patti Smith, figuriamoci.

Il Sollima "pulito" non lo avrei mai regalato alla miri, tanto per dire. Gli sarebbe piaciuto troppo e avrebbero finito per escludermi viste le mie perplessità. Su questa versione più sporca e abrasiva, invece, ci punterei. Saremmo proprio un terzetto affiatato.

Vienna : Chicago = Cultura : Incentivi

I libertari lodano il libero mercato attribuendogli un doppio merito.

Se i comportamenti sono indotti dagli Incentivi e dalla Cultura, questa istituzione è in grado di agire in modo virtuoso su entrambe le variabili.

Anzi, il discrimine più eloquente per individuare le due principali scuole liberiste consiste proprio nel ricondurle al fulcro che eleggono come decisivo.

Il "viennese" (sponda hayekiana) punta sulla cultura, il "chicagoano" sugli incentivi.

I due approcci naturalmente sono interconnessi: la costante presenza di un incentivo, alla lunga, produce "cultura". Un modo credibile per strutturare gli incentivi non puo' prescindere dalla "cultura" già presente. Lo si vede bene nell' economia dello sviluppo.

Chicago ci avverte della presenza di soluzioni ottimali, restano pur sempre un obiettivo. Vienna ci avvisa che non tutto puo' essere progettato: esiste una cultura che reagisce alle istituzioni, il gradualismo si rende necessario.

Vienna ci garantisce la sopravvivenza delle società di mercato, Chicago garantisce i modi per costruirla al meglio.

Scienza al tempo dei petabytes

L' avvento dei mega-computer e la disponibilità crescente dei dati, sta lentamente spingendo un cambiamento nella nozione di "scienza".

Qualcuno ritiene che sia già giunto il momento di cambiare paradigma.

Il momento delle verifiche finisce per precedere quello delle formulazioni. Nemmeno è più necessario teorizzare nei modi tradizionali. Che senso ha scommettere sul futuro se l' impianto statistico di fondo è affidabile?

Perchè perdere tempo con i modelli quando la nuova parola d' ordine potrebbe essere: "correlation is enough".

Sarebbe un bel colpo che i simoniani porterebbero ai popperiani. Un' altra umiliazione che il sofware infligge al genio. Se non fosse che il software è meglio sia sempre scritto da un genio.

mercoledì 16 luglio 2008

La vicenda degli accordi

Gianfranco Contini diceva di Giacomo Debenedetti che fu il solo ad aver piegato il linguaggio di un vero scrittore al servizio del genere critico.

In effetti, lo si apprezza subito, GD sapeva cercare e trovare le parole di circostanza.

E che parole usò per definire lo "specifico" della letteratura novecentesca?, in particolare della letteratura romanzesca?

Eccolo impegnato su Svevo, un autore che sembra esistere per essere capito da lui:

"... un modo di raccontare che rifuggiva, per pigrizia o incapacità, dall' alacre condensazione dei fatti... e che la sostituiva invece con un indugiato, tortuoso vagabondaggio nei labirinti indimostrabili dell' individuo... che si avviluppano come serpi e che si mordono la coda negli intervalli tra l' uno e l' altro fatto. I quali fatti appaiono saltuari, radi, sbiaditi, destituiti d' interesse, in una specia di disintegrazione o meglio frustrazione della vicenda..."

"... la narrazione moderna è, in poche parole, quella che lascia stagnare i fatti e si sottrae un po' vilmente allo sforzo di imprimere alle vicende e al loro intrecciarsi una propulsione dinamica. In queste soste incessanti lascia dilagare una pigra, lutulenta descrittiva degli stati d' animo, dei più capillari, informi, vischiosi moti psicologici. Indulge cioè a viziose dilettazioni consumate dall' autore in sparuta solitudine..."


E' possibile tradurre questi concetti e riferirli alla musica? In fondo penso di sì. E quando GD parla di "vicenda", di "condensazione dei fatti", io, nel mio isomorfismo, penso all' ordinata sequenza tonale degli accordi che si susseguono all' interno di una forma standard, diciamo la forma sonata. O qualcosa del genere.

lunedì 14 luglio 2008

Idee o interessi?

Quando la forza bruta conta, l' arte di persuadere il prossimo con sottili ragionamenti non è certo coltivata. Non ce n' è motivo, basta la minaccia.

Ma in democrazia l' arte di convincere diventa importante. Il voto dell' esperto conta quanto quello dell' insipiente. Il voto dell' interessato eguaglia quello del distratto.

Probabilmente è per questo che la democrazia, nella sua illustre figliolanza, annovera anche un brutto anatroccolo: la propaganda ideologica.

Non fatemi identificare l' ideologia con il demonio, le cose non stanno così. Anche e soprattutto attraverso l' ideologia, un uomo costruisce la propria identità. Cosa spinge tante persone a perdere il proprio tempo per telefonare ad una trasmissione radiofonica ed esporre, in 15 secondi, un' opinione politica che si perderà presto nel nulla insieme alle altre? Spesso l' ideologia e la costruzione dell' identità.

Quando l' interesse viene depotenziato, quasi sempre cede il posto all' ideologia e non certo all' imparzialità. E' un fenomeno già incontrato considerando il funzionamento di un forum libero. Ovvero un luogo dove non ci sono interessi in ballo e le identità sono labili. Un posto dove c' è poco o nulla da perdere e si è nelle condizioni migliori per dire la propria liberandosi dai pregiudizi. Ma è proprio questa mancanza di interessi e la necessità di costruire la propria identità a stimolare e dare centralità ad un pensiero ideologico.

L' ideologia/pregiudizio è trainante persino in epoche come la nostra dove sembra sopita. Forse ora lo è ancora di più poichè in forme striscianti agisce insinuandosi senza tanto chiasso piazzaiolo.

Sulle questioni decisive sembra avere sempre l' ultima parola. Noi invece ci aspettiamo che dietro le quinte manovrino Grandi Fratelli a protezione dei loro interessi privati. Riteniamo che siano loro i principali ostacoli verso il progresso comune. Ingenui! Siamo in democrazia e quasi tutto viene controllato dall' ideologia.

Landier/Thesmar/Thoenig/ (Investigating capitalism aversion) trovano che, nei vari Paesi da loro studiati, le riforme decisive sono quasi sempre impedite da motivazioni ideologiche. Convinzioni gridate con orgoglio ai quattro venti, convinzioni per le quali ci battiamo con valore inscenando quelle "lotte" che ci realizzano e ci divertono più di qualsiasi scampagnata fuori porta.

Altro che manovre dietro le quinte ordite dagli Interessi Forti. L' accusa contro gli Interessi Forti spesso debbono essere re-indirizzate contro le Passioni Civili.

Quando l' ideologia non si manifesta in un pensiero strutturato (male) e manifestato con iattanza, assume le forme della diffidenza conservativa: il nuovo è sempre incerto e malefico. Non si sa perchè ma è così. Per "ideologia".

Landier et al. fanno dell' Italia addirittura un caso di scuola.

Come uscirne? Come fare in modo che l' ideologia ceda almeno un po' all' interesse e alle soluzioni pragmatiche?

E' molto difficile, perchè se parliamo di interessi pubblici, per poterli trasformare in privati, occorre spingere le cose giungendo al limite di un baratro, fino a che il "mal comune" cessi di essere un "mezzo gaudio" per il singolo. A quel punto anche nel "singolo" prevarrà l' interesse personale e la voglia di "risolvere i problemi".

E in fondo è proprio questa l' unica via che vedono gli autori per favorire riforme pro-mercato: le disfunzioni, a poco a poco, toglieranno risorse a tutti impoverendo sempre più la società. E, la storia insegna, la povertà è il medico più efficace contro le ideologie anti-mercato. Specie se il nostro vicino se la spassa. Ma le teste sono incredibilmente "de coccio".

In merito puo' essere utile l' articolo di Giorgio Barba Nervetti sul 24 ore di domenica 13.7.2008.

Squali di gomma e polpastrelli accostati

Nelle discussioni della scorsa settimana ci si chiedeva se il "bello" potesse entrare anche nelle produzioni popolari.

A mio avviso sì, ci sono canzoni molto poetiche per esempio.

Anche il parere di Tom Shone sembra essere positivo. Lui si concentra sui film. Parlando del film "Lo Squalo" ha parole illuminanti:

"... quello che ancora oggi ci resta dentro del film non sono tanto i momenti d' azione, quanto le gag perfette, leggere come l' aria, con cui Spielberg impreziosisce la trama: Dreyfuss che schiaccia il suo bicchierino di polistirolo in reazione a Quint che ha schiacciato la sua lattina di birra, o il figlio di Brody che a cena copia il tic di Brodi di accostare le punta delle dita...

Per trovare simili meraviglie di solito si deve guardare roba molto più noiosa - per esempio qualche scena da camera di John Cassavetes sul disfacimento coniugale - ed invece, eccole qui spuntare in un film che ha per protagonista uno squalo di gomma. E' un' autentica rivoluzione trovare polpastrelli accostati e squali di gomma nello stesso film. A noi è sembrata una notizia importante. Perchè non ce l' aveva detto nessuno prima?..."

Nick Hornby abraccia con fervore l' estetica estrapolata da Shone e si propone, d' ora innanzi, di scrivere solo libri in cui copaiano sia "polpastrelli accostati", che "squali di gomma". Ritiene che gli uni senza gli altri siano, oggi, piuttosto privi di senso. In effetti, ancora più inquinante della gomma sarebbe un mondo dove compaiono solo "polpastrelli accostati".

sabato 12 luglio 2008

Bonaccioni pragmatici alla ricerca del "gniffin"

Forse il Carlo Maria Maggi chiosato da Dante Isella, rende con buona approssimazione lo spirito della Grande Madre Lombarda, la sua natura bonacciona e pragmatica.

Rende lo spirito di questa Donna che si porta sempre dietro una religiosità pedestre con l' antidoto di qualche diffidenza celata in un riserbo che non accusa.

Una vicinanza alla Chiesa che ha poco o nulla da spartire con la fede dei Santi o con il phatos dei Mistici; molto invece con il sentimento popolare di una vita ordinata, con il senso morale di una tradizione "della nostra gente". Un sentimento vivo e riconoscibile anche laddove subisce la deturpazione della miseria e dell' ignoranza. Un sentimento che non è mai folklore ma vero bastone del pellegrino che attraversa la nottata.

E' il sentimento delle "genti mecaniche" di Manzoni, che cuociono a fuoco lento le astrazioni del filosofo finchè non sciolgono le loro grasse oscurità per riconciliarne la polpa con l' etica comune del buon senso.

Forse solo un dialetto che non si stima puo' esprimere i valori di questo mondo "medio", anzi "mediocre", con le sue virtù moderate e l' empito sopito al punto giusto: non la felicità ma il gniffin come unico bottino. Il "gniffin", ovvero i piccoli sorrisi di stupore con i quali possiamo disseminre il nostro passaggio.

Un istinto alla prudenza allergico alla riottosità dei fieri, un pensiero che spira dalle stalle delle cascine ma tende poi ad intrecciarsi con lo spirito delle sfere più elevate, entrando in intima alleanza con quello dei Sciuri che, se stanno lì nei loro salotti, un motivo ci sarà. Un' anti-ribellismo sempre a mezza via tra il calcolo, la convenienza e lo scetticismo istintivo dei vessati.

Guarda bene il mondo e non vi troverai motivi d' esaltazione. Guardalo ancora meglio e non vi troverai nemmeno di che deprimerti. E allora su...

Proprio l' altra mattina...

Innanz al mattutin, l' ora che 'l sogn
strensc pù fort e ogni rumò rincress...


... nella casa vicina al convento si sentono rumori strani e poi un gran botto...

... sti Monegh hin dà sù tucc in d' on colp
comm i pollè quand ghe va dent la volp... I lader, i ladron...


... il pericolo innesca una serie di scene un po' comiche, con lo zio che salta dal letto sentendo l' allarme "dand in l' orinari con ruina", gente che per difesa "ciappa ona canna de sfà giò i ragner" oppure "on s' ciopp che fu de Medeghin", chi invece ridotto a letto dalla gotta "mett cunt de moeve gnanch on pass, e ga ha minga pagura par poltroneria..."

Il finale di questa baraonda è indicativo e illustra l' istinto sdrammatizzante:

"... sta mattina se troeva che' l fracass
e lo stremizij l' è stà de fantasia.
Hin inscì i coss de qua sott:
Guardei al cair gh' i trovarì nagott"

L' egoismo santo ("... stè ben con quel de sora e fè 'l fatt vost...") è raccomandato. L' "ambizion da creppacoeur" è fuggita:

"... l' è ul sproposet pù gross c' abbia vedù
cattà roved e piansg che t' han spongiù..."


i confini dell' ignoranza preservatrice sono presidiati con cura...

... mì me par de stà mei quant manch ne sò
e pensi par calmar tucc sti rumor
che sora de sti niver gh' è 'l Signor...

I drammi di dimensione universale sono tralasciati quando non irrisi, finchè non toccano i "tuoi buoi", l' obbedienza disciplinata è un caposaldo imprendibile. I guai finanziari...

lassè al sciur, che sti cinc sold hin soeu
vù tirez drizz ol solch, no guardè in drè
e se vorrì guardà guardè i vost boeu


Pensare in grande non si addice a chi vive nel mondo serendipico:

Ol Togn che i verz heva piantà
fava orazion perchè el piovess un bott.
Piovett, e ol fen taijà in scambi de seccà cappè del cott;
L' uga fioriva, e par i roscià, andand in cavrieu, l' andè in nagott.
E Togn guardand ol ciel tornè a pregà
par da mò innanz che no 'l ghe dass a trà...

Una vita agra è disidratata? Forse, se non ci fossero i frugoletti. Basterebbe osservare il nonno come gioca con il suo Cecchino perchè l' allerta cessi e si entri nella dimensione del gniffin...

l' ha ppoeu sott, un nasin da sofià via cui basin
dù pomme de ganassinin...


Il bambino insegna al nonno l' arte dell' ottenere...

No sgarì nè piansc... si vor la tetta la dumanda in pas
al ciamma con creanza... e speccia con pazienza...


Forse questo mondo non ci conquisterà con le sue gioie, eppure il bambino in braccio al nonno ci fa capire come il nostro viaggio quaggiù, se accompagnato con la giusta ingenuità e curiosità (la scoperta di una barba pungente), puo' essere abbellito da mille sorrisetti (gniffin).

Ghe mett el volt appress con la barbascia
Cecchin se sent a sponsg e fa gniffin
Mì cred c' al rida e tutt col mè Cecchin
de Cà, Scoeura e Senat voerì pù strascià

Un gniffin del genere va subito battezzato:

... Ghe dic a volt: Cecchin, al tò Signor
che ta fai inscì bell, ghe sarè mai rebell?
E Cecchin me respond: Onghin, Ongò.
E mi me par ch' el dis: No.
Ghe torn a dì: ghe porteret amor?
Cugnossaret un dì quant el te ne porta a tì.
E Cecchin respond: Ongò, Onghì
e mi cred c' al diga: Sì...

Il gniffin come acconto del Paradiso, non è molto. Non è molto solo se lo si vede da lontano. Ma se ci si avvicina si capisce subito come in cambio di un gniffin, scuola, casa, senato, lavoro, possono aspettare dando la precedenza ai beni più preziosi. E allora, ecco finalmente dietro certi fili spinati, il latte purissimo che comincia a scorrere, a fluire sempre più cremoso e nutriente, fino all' alluvione.

venerdì 11 luglio 2008

Interventismi

La terza città più violenta degli USA dichiara guerra... alla vita bassa. Ho dei soprassalti libertari.



Time Abuse

Per autodiagnosi da fare sotto l'ombrellone, leggere qui.

diana

p.s. per la lista dei gruppi di auto-aiuto: www.TAA.org (Time Abusers Anonymous)

Tennis d' acciaio

La partita con le palline più dure la gioca Arkadi Shilklper. Le spara con il suo corno d' acciaio. Da vedere non è granchè, ma d' ascoltare...

Avvisi preventivi per diventare ricchi (o poveri) studiando

Cosa studiare per avere un buon salario?

Qualche idea:


  1. Computer Engineering

  2. Economics

  3. Electrical Engineering

  4. Computer Science

  5. Mechanical Engineering

  6. Finance

  7. Mathematics

  8. Civil Engineering

  9. Political Science

  10. Marketing

  11. Accounting

  12. ...


Ecco, adesso, in preda alle vostre passioni insopprimibili, correte a iscrivervi a psicologia, sociologia o lettere antiche. Poi, quando avrete problemi alla quarta settimana del mese, non andate in piazza a strillare e a dire che non vi avevo avvisato.

Capitalismo dimezzato

Sembra che alla Clinica Santa Rita di Milano non tutte le operazioni chirurgiche effettuate fossero indispensabili. Venivano però giustificate dal tentativo di intascare rimborsi facili.

Un Ospedale pubblico non incorrerà mai in simili comportamenti, per lui non esistono incentivi alla produttività. E' una lacuna fonte di tanti guai, ma in questo caso è una garanzia.

Possiamo ben dire che il "modello lombardo" sia ora sotto accusa e, poichè siamo in Italia, ad essere sotto accusa è il sistema capitalistico in genere.

Certo, un' accusa credibile non puo' fondarsi interamente su un caso o su pochi casi, occorrerebbero numeri più rappresentativi per il momento sconosciuti. La cosa che tranquillizza è il fittissmo andirivieni creato dal turismo medico che interessa la Lombardia. Chissà che ora non cessi di botto, bisogna pur essere coerenti.

Nelle mentalità conservatrici la presenza di un inconveniente viene subito sfruttata per reclamare il ripristino del vecchio. Sarebbe molto meglio sfruttarla per una messa a punto dell' esistente.

Togliere incentivi alla produzione di servizi medici non è un migioramento poichè saremmo da capo a dodici con i guai di prima che conosciamo bene.

L' incentivo produttivo è importante ma sono importanti anche i controlli. Nel caso della Santa Rita la "produzione" è colpevole di aver barato, ma anche i controlli sono colpevoli di inefficienza.

Certo che una buona riuscita delle soluzioni d' impronta capitalistica richiede anche una mentalità adeguata e partecipe, anche la cultura reclama la sua importanza. E da noi l' amore per le libertà economiche è piuttosto fievole.

Nel mondo, il sistema capitalistico ha sbaragliato i suoi concorrenti per l' efficienza che era in grado di mettere sul piatto.

Per i critici torna comodo dare molta enfasi all' efficienza produttiva, meno all' efficienza sui controlli. Si crea così un' immagine dimezzata del capitalismo che è molto comodo criticare.

Eppure c' è anche un' efficienza dei controlli, anche i controlli sono un' attività a tutti gli effetti: in un mercato senza fallimenti si crea un conflitto d' interessi e ciascuno controlla il proprio vicino. L' efficienza è garantita da una buona struttura degli incentivi.

Come una "produzione" sottratta alla mano pubblica guadagna in efficienza, così pure vale per l' attività di "controllo".

Il turpe caso del Santa Rita conferma: la produzione (privata) era efficiente (troppo), i controlli (pubblici) no. Una doppia inefficienza non ci fa fare rassicuranti passi in avanti.

Il conflitto d' interessi che consente un reciproco controllo non si realizzava per il semplice fatto che una delle parti era il pubblico e il pubblico, per definizione, ha interessi deboli da mettere "in conflitto".

Se a pagare la clinica fosse stata un' assicurazione privata forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse il Brega Massone non l' avrebbe turlupinata tanto facilmente (anche se abbiamo appena visto come molti proletari abbiano buggerato le grandi banche americane in tema di mutui).

Insomma, bisognerebbe incentivare anche i controlli oltre che la produzione.

Come? privatizzandoli e offrendo delle taglie. Magari le associazioni dei consumatori potrebbero rivestire un ruolo che vada finalmente al di là della vuota chiacchera o della denuncia esplosiva che non esplode mai.

Da noi le "taglie" non vanno troppo di moda per il fatto paradossale ma non banale che sono fin "troppo efficienti".

Chi si impaurisce di questa efficienza dovrebbe poi trattenere le urla scandalizzate di fronte ai casi del Santa Rita.

Attenzione, un buon "conflitto d' interessi" offre controlli efficienti, ma non sono tutte rose e fiori: il prezzo della sanità sale. Se i rischi per le cliniche si alzano si alzeranno anche i prezzi, è naturale. In parte verranno pagati anche dall' utenza.

Precisazione: si alzeranno i prezzi ma non i costi. Molto semplicemente conosceremo il prezzo reale del servizio di cui godiamo. Se consideriamo come i prezzi finti siano sempre fonte di guai dovremmo essere contenti.

giovedì 10 luglio 2008

Un condor "pasa" sul blog

Lo spingono i tamburi tartaglioni di Bennink, lo soffia il contralto di Moore, lo fiondano le corde di Reijseger... ecco che apre le ali.


Utilitarismi: come mixare il cocktail

Poca arte, ma quanto ingegno...

Il gol di Torres e la proposizione 9

"... Xavi, Xavi... palla in verticale... Torres... Torres... gooooool, gooool, goooool...."

Mentre io mi esaltavo, la miri restava impassibile. E ci credo, lei non aveva mai giocato a calcio.

Torres, nella finale, segnava il gol che decideva l' Europeo in favore della Spagna.

Nè io, nè la Miri eravamo coinvolti passionalmente, eppure io mi lasciavo entusiasmare dal gol, la miri no, per lei era un gol come un altro.

Anzi, prima ancora dei replay già mi chiedeva di "girare" su Filomena Marturano con la Loren e Mastroianni... ma come? Le donne non capiscono proprio niente, nè di Jazz, nè di calcio... vai al cine, vacci tu, io sto qui che aspetto Bartali.

Per la miri era un gol come un altro. Ma non aveva colpe a travisare così. L' avrebbe detto chiunque non avesse giocato a calcio.

Bisogna aver giocato per capire che era un grande gol per almeno quattro motivi poco percepibili:

  1. la velocità e il riflesso con cui Torres bruciava il difensore tedesco;
  2. la finta con cui Torres spiazzava il difensore tedesco;
  3. la scorrettezza al limite, tanto quanto basta per non farsi fischiare fallo, con cui Torres ostacolava il difensore tedesco;
  4. il gesto tecnico ("colpo sotto") compiuto in condizioni dinamiche estreme, con cui Torres scavalcava il portiere tedesco.

Quello era un grande gol, Torres è un grande centravanti (infatti solo il cartellino costa 60 milioni). Forse bisogna aver giocato per saperlo.

Ma bisogna aver giocato per apprezzare il calcio? In molti casi sì, il calcio non è uno spettacolo estetico, è uno spettacolo utilitaristico, bisogna vincere.

Lo scopo del calcio non è la produzione del bello, è la produzione della vittoria.

Un gol come quello di Torres non era bellissimo, altrimenti anche la miri ne sarebbe stata colpita, era però difficilissimo, frutto di equilibri miracolosi.

Per la vittoria conta più saper superare le difficoltà che non l' estetica. Ecco perchè chi ha giocato ha dei vantaggi nel giudizio, perchè le difficoltà possono essere latenti.

La prop9 ci dice che nell' arte le cose campiano radicalmente. Per giudicare la bellezza di un' opera non conta saper fare qualcosa di equivalente.

Un pianista puo' esibirsi superando mille passaggi ostici, e magari solo un suo collega in sala se ne accorge, uno che "ha giocato".

Ma la cosa è irrilevante da un punto di vista estetico. Puo' esserlo in un' ottica professionale, artigianale, ma non dal punto di vista del giudizio estetico.

Per il giudizio estetico l' artista è un cavallo nell' ippodromo: serve e non giudica se stesso.

L' estetica non giudica cio' che sta dietro le quinte, non giudica i metodi e le difficoltà incontrate per produrre l' opera. Giudica l' opera, il risultato finale e si disinteressa del resto.

L' Opera non è un' impresa utilitaristica come il calcio, la produttività dell' artista conta poco, il suo virtuosismo è solo strumentale in senso basso e il giudizio estetico puo' disinteressarsene per concentrarsi sull' esito.

Il calcio, essendo utilitaristico, apprezza, valorizza e dà centralità allo Strumento. Il lato artigianale dell' arte fa altrettanto, ma il lato estetico puo' tranquillamente scordarne l' esistenza per concentrarsi sul suo oggetto.

Spero che qualche esagerazione sia compensata da una maggiore chiarezza.

Hat tip a Davide che... se hai un' ideuzza stando da solo, discutendone con una controparte, ne germogliano altre dieci.

Proposizione Vonnegut

Il dibattito sull' estetica originato da questo post e proseguito nei link allegati, ferve. Ora il contributo di Vonnegut:

"... Maestro, come distinguere un buon quadro da uno cattivo?"

"Basta solo, mia cara, guardare un milione di quadri e non potrai sbagliarti"

"vero, vero".

Hat tip a Matteo (che mi ha regalato il libro).

mercoledì 9 luglio 2008

Indeterminazione, gratuità e la fuga nel passato

Questo è un post di servizio, Davide non riesce a riperire, non dico musica, ma nemmeno informazioni su Nin La Quan, batterista anomalo, titolare di un power quartett hardcore metal con Doneda e Repecaud, ma anche collaboratore regolare di Xenaxis.

Purtroppo i lavori più rock li ho solo in vinile (risalgono agli anni 80) e la conversione sarebbe troppo laboriosa.

Qui c' è invece un lavoretto per sole percussioni, forse è un po' ostico, ma trattasi di esemplificare.

Poi ci sono i giapponesi Ground Zero, da un cd di una decina di anni fa traggo questo pezzo, un po' truculento ma anche ironico. Insomma, ambiguo. Bello l' omaggio al forsennato e spoglio drumming in stile punk.

Metto questi due pezzi non perchè rappresentino qualcosa di particolare. Discutendo ho fatto una ventina di nomi, ne avrei potuti fare altri 50. Siccome da un accertamento a campione di Davide, è nei suoi diritti, questi mancavano all' appello...

Per i pochi scambi avuti so già che Davide non gradisce questa musica. In merito ho una mia congettura: non penso sia un fatto di "gusto", quanto piuttosto un semplice rifiuto dei parametri fondativi della sensibilità contemporanea, la quale difficilmente prescinde dalla materia bruta, indomabile (lato demenziale) e/o dall' incontro allucinato (lato straniante e umoristico). Tutte cose che ho tentato di dire meglio qui.

Ma l' arte compare imprevista anche fuori di ogni progetto estetico, all' improvviso. Per esempio in un pezzo folk che ascolto molto in questo periodo e che ho già linkato. Compare e si concentra struggente nell' assolo del clarinetto di Mirabassi. E vaffanbagno se è solo timido e romantico e non invece allucinato o demenziale. Salvo il fatto che che dell' Accademia, anche in questo caso, c' è solo la tecnica magistrale. Piaciuto? Allora beccatevi un bacio. Anzi Il Primo Bacio.

Indeterminazione e gratuità. Vi disturbano? Non vi resta che rifugiarvi nel passato

Se l' arte ci parla del mondo come fa la scienza, allora le due discipline potrebbero procedere a braccetto nella storia. In fondo, la sensibilità dell' uomo è unica e unico il suo sguardo sul mondo. Quando la scienza muta, puoi scommettere che alcune ripercussioni si avranno anche in campo artistico.

Voler tracciare però un parallelo rigoroso, è stato fatto, fa sfiorare il ridicolo a chi lo propone, quindi meglio procedere con i piedi di piombo.

Osservo dapprima che le scienze del secolo passato hanno accolto e tentato di descrivere alla meglio i fenomeni caotici.

E' accaduto persino nelle scienze più "dure" come la fisica: come formalizzare il comportamento delle particelle subatomiche senza ripiegare sulla statistica? Come descrivere la dinamica dei gas senza ricorrere allo studio degli errori e delle approssimazioni? E non parlo poi di quelle discipline, come la biologia, che da sempre si confrontano con l' indeterminato.

Il meccanicismo newtoniano è andato ormai in pensione, nemmeno si parla più di "leggi naturali", si fa molto prima a considerare probabilistica la natura di certe regolarità, anche delle più affidabili. Per qualcuno le teorie quantistiche nemmeno erano "scienza". Anche Einstein opinò osservando come Dio non giocasse a dadi. Oggi mi sembra che la discussione sia chiusa.

Secondo me questo movimento nelle scienze ha un corrispettivo nell' arte, parlo ora della musica: il rumore e l' aleatorietà assumono un ruolo centrale; una certa concezione del suono "ben temperato" segue con la sua sorte il "meccanicismo" e va in pensione.

L' aleatorietà nelle esecuzioni (improvvisazione) è la quinta essenza dell' indeterminazione, le parentele lì sono chiare, non c' è nulla da aggiungere. Ma anche il rumore ha una struttura sonora indeterminata, per quanto lo si controlli, altrimenti non sarebbe rumore.

Naturalmente, poichè l' arte si incarna in un linguaggio, "rumore" e "aleatorietà" devono trovare accoglienza in un contesto che li disciplini in modo creativo, che ne faccia un uso espressivo organizzandoli a dovere.

E' possibilissimo "controllare" il rumore e l' aleatorio, ce lo dice in primo luogo la scienza: la statistica controlla i suoi errori attraverso intervalli di confidenza. Altro esempio, Kantor, maneggiando gli infiniti, ci ha detto che alcuni infiniti sono più grandi di altri, che il loro mondo è estremamente vario e sorprendente, esempio: se abbiamo infiniti mattoni possiamo costruire infinite case e le case saranno più numerose dei mattoni.

L' arte di oggi è soprattutto quella che sa controllare il "rumore". E il "rumore" puo' essere "suonato" in infiniti modi. E' vario e sorprendente.

Ma le accademie musicali, pur accortesi per tempo che la via era questa, mi sembra che abbiano fallito nell' impresa.

Da Pousser a Stockhausen, da Maderna a Evangelisti, da Nono a Manzoni, per non parlare della "musica concreta", hanno proposto un rumorismo freddo e, secondo me, male integrato con la tradizione. Molti sono scappati, pochi hanno capito, nessuno ha goduto.

Con molto più profitto quelle strade sono state battute da chi partiva dal Rock e dal Jazz. Musiche che, anche se elementare, avevano sviluppato una loro tradizione dialogante con "rumore" e "aleatorietà".

E' bastato che una generazione di musicisti usciti da lì, una generazione di musicisti consapevoli, virtuosi e colti cominciasse a nutrire vere ambizioni artistiche, ed ecco che i risultati sono venuti.

Il loro "rumorismo" si è rivelato molto più vitale, molto più carico da un punto di vista esistenziale. Pieno di umorismo, truculenza divertita, gioie, dolori e tutte le infinite vie di mezzo, di sopra e di sotto. Al loro confronto, gli accademici sembravano invece impegnati in una pedante tassonomia da conferenzieri.

Dopo la lunga premessa esprimo la mia prima tesi: penso che la lingua musicale del nostro tempo sia debitrice dei musicisti usciti dai laboratori del rock, del jazz e del folk non omologato, prima ancora che della tradizione accademica impantanatasi a Darmstadt.


***


L' indetrminazione è solo un aspetto della scienza moderna. L' altro è la gratuità.

La legge scientifica ha assunto una natura statistica, cio' significa che la scienza rinuncia ad indagare le cause prime. Rinuncia a "dare spiegazioni", si limita a descrivere come dicono Mach e Duhem.

Il "fenomeno" esce dal nulla, non è mai spiegato alla radice. magari non lo faceva neanche prima, ma l' ambizione non era mai dismessa. La scienza ora diventa pragmatica e non soccorre più l' uomo nella sua esigenza profonda di capire le ragioni profonde.

Il mondo "non spiegato" assume natura allucinatoria. L' artista novecentesco, in tutti i settori, ha captato questa vuoto, questa sentimento dell' assurdo, questa vena allucinata e l' ha riprodotta.

La musica accademica ha una sua tradizione dello straniamento che fa capo a Stravinsky. Una tradizione presto tarpata però, forse per la paura di mischiare certi ambienti "seri" con il grottesco e l' umoristico inevitabile quando qualcuno cerca di sollevarsi prendendosi per i capelli.

E anche qui le musiche popolari soccorrono. Mai come qui possono dire la loro e l' hanno detta: cosa si presta alla degradazione più che la già vile canzonetta? E gli autori pop con ambizioni artistiche spesso hanno sfruttato queste possibilità.

La musica si irrigidisce in una mera canzone di genere raggelata, una musica commerciale, sradicata, che si limità ad una vile, chiassosa ed inspiegabile presenza. Puro oggetto pop iperealistico, epifania non attesa e disturbante.

Tesi seconda: anche il sentimento di gratuità, di straniamento, di assurdo trova nella musica popolare (pop), adeguatamente virgolettata da artisti consapevoli, il canale migliore attraverso cui esprimersi.

P.S. questo post fa parte di una discussione con davide, puo' essere utile un rimando qua, qua e qua.

Nuove aristocrazie

La meritocrazia sembra sia un' invezione del socialismo europeo, in particolare fu partorita all' interno del labour party dall' eminenza grigia Michael Young.

L' intento era quello rendere tollerabili anche forti diseguaglianze in presenza di una forte mobilità sociale. Una vera rivoluzione che oggi potremmo chiamare anti-sessantottina.

I risultati non furono molto soddisfacenti poichè i ragazzi migliori selezionati nei test provenivano tutti da famiglie ad alto reddito.

I nostalgici del buon vecchio egalitarismo alzarono subito la voce.

Ma altre minacce incombevano sul progetto.

Dopo un periodo di riflessione Young prese le distanze dalla sua creatura: era partito con l' intento di abbattere i provilegi ma si accorgeva che stava creando una nuova aristocrazia fondata sul talento e probabilmente sulla genetica (aristocrazia dello sperma fortunato). Era infatti molto probabile che i "migliori" conducendo vita simile si sposassero tra loro.

Forse la meritocrazia non era concetto molto idoneo a conciliarsi con l' ideale socialista.

Il libro di Young è piuttosto visionario, si conclude con la rivoluzione dei QI bassi, il proletariato del futuro.

In una società come quella USA, poco "socialista" e poco amante delle paturnie filosofiche - alle visioni di Young avrebbe potuto interessarsi giusto Hollywood - ci si preoccupo' poco di questi sviluppi inquietanti.

In fondo la selezione meritocratica sarebbe andata a vantaggio di tutti. Anche perchè l' élite avrebbe pur sempre agito in un quadro liberale, vera garanzia di tutta l' operazione.

Gli eredi di Young non abbandonano il progetto e si dimostrano più fiduciosi del maestro. Cercano d' insistere sulle pari opportunità a partire dall' inizio, dall' ambiente famigliare di partenza e dalla possibilità di uniformarlo.

Forse, in termini di efficientismo, una simile variante è saggia. Ma non mi sembra certo in grado di tranquillizzare granchè chi nutra preoccupazioni vicine a quelle di Young.





***




Cosa ostacola l' introduzione di meritocrazia:



  1. L' invidia. L' egalitarismo meritocratico non allevia le pene dell' invidioso.

  2. La funzionalità. I test sono un valido strumento di selezione? Ovviamente non sempre, spesso ci sono dei dubbi, spesso richiedono un' integrazione sostanziosa. Con queste premesse è facile sostenere che non siano MAI validi. Chiediamoci: meglio una diseguaglianza ingiusta o una eguaglianza ingiusta? Coloro i quali reputano che un' ingiustizia valga l' altra (pochi), sono più disponibili a lavorare con i test e a migliorarli.

  3. L' effetto valanga. Una valutazione ne trascina con sè altre. Se posso stimare quantitativamente la preparazione di un allievo, posso stimare anche il contributo dell' insegnante e strutturare meritocraticamente anche quel settore. Cio' rende sospetta tanta opposizione ai test: anche chi si dimostrerebbe disponibile, consapevole delle conseguenze, alza un muro.

  4. Avversione al rischio. Una società stagnante (magari egalitaria e assistenziale) favorisce, seleziona e sviluppa l' avversione al rischio. Cio' spiega perchè spesso al merito si oppone anche il soggetto che, in termini di neutralità del rischio, migliorerebbe la sua condizione con le riforme.


  5. ...

martedì 8 luglio 2008

Dopo gli animali, dopo i marziani, c' è chi si interroga sui diritti dei graffiti.

Da oggi non camminerete più troppo attaccati ai muri. Come tirar fuori qualcosa di creativo dalle tecniche della stop-motion. E occhio, anzi orecchio, anche alla didascalia musicale di Martignoni.



MUTO a wall-painted animation by BLU from blu on Vimeo.

Tutto realizzato graffitando i muri del garage dietro casa.

Droga libera. Beato il Paese che non ha bisogno di eroi (anti-mafia).

Nella sua lotta per depenalizzare il crimine che non nuoce agli altri, il libertario affonda regolarmente il suo vascello sullo scoglio delle droghe pesanti.

Liberalizzarle sembra decisamente impossibile, i rischi che la domanda s' impenni sono troppo elevati.

Ma anche il proibizionismo ha fallito viste le mafie che tiene in piedi regalando loro fortune inenarrabili. Anzi, la mafia così come la conosciamo oggi, esiste grazie alla droga, fonte primaria nelle entrate delle cosche. Non parlo poi dei costi e dei fallimenti della lotta ai traffici internazionali.

Ho sempre pensato che gli eroi anti-mafia non servano a granchè. Molto più utile sarebbe una legge sulle droghe.

Questa mi sembra una buona idea, almeno per partire con tentativi sensati.

Di cosa si tratta? Semplice, legalizzare la vendita di droga imponendo prezzi decrescenti in relazione allo stadio di assuefazione del consumatore. Il tutto accompagnato da una schedatura del drogato e da un luogo fisico dove consumare la droga stessa.

Qualcuno ha paura che la droga legalizzata convogli verso il vizio molta gioventù.

Ma per i ragazzi puliti la vendita legale sarebbe interdetta (è il prezzo più alto). In un centro autorizzato mai nessuno comincerà a drogarsi. E difficilmente si potrà iniziare a farlo fuori: che se ne fa la mafia degli spacciatori di un cliente che subito li abbandonerà? Di sicuro il martellante marketing ora in voga, non avendo più senso, si sgonfierebbe.

Altri temono la microcriminalità dei drogati.

Ma la schedatura degli acquirenti offre uno strumento indiretto d' indagine notevole per combattere una microcriminalità che oggi è prevalentemente impunita.

Senza contare che la schedatura offre la possibilità di introdurre altri disincentivi. Per esempio il mancato accesso ad una serie di posizioni per chi non intraprende certi percorsi riabilitativi.

A costoro che hanno a cuore la criminalità faccio solo notare le ingenti forze di polizia che si libererebbero per essere destinate alla lotta contro crimini diversi da quelli legati allo spaccio.

Altri ancora non si fidano dei rivenditori privati.

Un privatizzatore come me si fida che i controlli pubblici, dalle e ridalle, raggiungano una certa efficienza, anche in virtù delle schedature e dei registri di carico e scarico obbligatori e rigorosi. Ma questo non è l' argomento in ballo, concedo pure che tutta l' operazione venga gestita dal SSN.

Alcuni dicono, ma perchè io cittadino dovrei pagare la droga al tossico?

E chi l' ha detto? I margini dei malavitosi (soprattutto quello richiesto per l' illegalità dell' operazione) sono tali che la concorrenza nei loro confronti sarebbe vincente senza uscirne con delle perdite. Avete presente quanto costa l' oppio al produttore? L' operazione si autofinanzierebbe.

Zingales dice che i successi nella battaglia anti-fumo sono stati raggiunti "ghettizzando" i consumatori.

Aggiungo che anche l' immagine dell' eroinomane come persona "lercia" ha contribuito a spostare i consumi su cocaina e acidi (droghe più "pulite" e signorili).

Ebbene, consumare la coca in uno squallido stanzone anzichè nella discoteca trendy, insieme con la schedatura tra gli sfigati, puo' offrire un contributo notevole a sgonfiare molta mitologia malefica.

Mi piacerebbe capire se e dove inciampa questo "primo passo".

lunedì 7 luglio 2008

Imprenditori in polvere

Perchè il numero di microimprese in Italia è tanto elevato? Perchè la nostra struttura produttiva si discosta tanto da quella di molti Paesi più avanzati di noi?

E' un aspetto preoccupante, molte riforme risultano impraticabili a causa dell' estrema dispersione degli imprenditori.

Non mancano però gli aspetti positivi: si diffonde meglio una salutare mentalità imprenditoriale (è il popolo delle partite IVA). Quella mentalità più matura che sostituisce il tiro alla fune ideologico delle "conquiste" con il bilancino dei pro e contro.

Ora però non vorrei occuparmi se "piccolo" sia più o meno bello, do la precedenza alle domande del primo capoverso e offro due ipotesi:



  1. La regolamentazione posta sul lavoro dipendente è repressiva; si cerca di aggirarla puntando a forme elusive di imprenditorialità e trziarizzazione; conquiste come lo Statuto dei Lavoratori, nonchè la sciagurata giurisprudenza che ha innescato, hanno semplicemente ucciso cio' che volevano tutelare estinguendo la figura del Lavoratore in favore di quella ambigua di Microimprenditore.



  2. Il nostro welfare è stato costruito anche mediante una tolleranza spinta dell' evasione fiscale, soprattutto al sud. Cio' ha consentito di mantenere in vita parecchie microimprese improduttive. Ma perchè un microimprenditore improduttivo non cessa la sua attività per andare "sotto padrone"? A parte la scarsità di domanda (vedi 1), è sempre meglio "comandare" che "essere comandati". Specie se uno è abituato così. La differenza che si spunta con l' evasione impedisce di cedere le leve del comando, anche quando la barca fa acqua. A proposito, la preferenza verso il comandare piuttosto che verso l' ubbidire, giustificherebbe i redditi talvolta inferiori che il micro-imprenditore spunta rispetto agli stipendi dei suoi dipendenti!

Forme di welfare: microcredito ed evasione fiscale

Questo articolo sembra fare il punto in maniera credibile sulla pratica del microcredito.

Per alcuni, per esempio gli assegnatari del Nobel a Yanus, l' idea appariva forse come epocale.

Anche per questo alcune conclusioni meritano di essere evidenziate.

Non ci si aspetti che il microcredito risolva o allievi in modo significativo il problema della povertà. In genere è una boccata d' ossigeno, ma poche persone escono dalla loro condizione grazie a queste pratiche.

Il microcredito è sempre esistito, lo si sappia. Coloro che prendono i soldi dalle banche del microcredito, li prendevano senza molte difficoltà anche ieri. Ogni villaggio ha infatti sempre avuto il suo "prestatore" che agiva al di fuori del circuito bancario. Solo che le banche di oggi chiedono tassi intorno al 50-100%, il "prestatore" era invece più esoso, nonchè scrupoloso nel riscuotere. E' un miglioramento, certo, non una soluzione rivoluzionaria.

Il microcredito generalmente non aiuta lo start-up di nuove aziende. I denari ottenuti così vengono consumati in seno alla famiglia o risparmiati con l' acquisto di una mucca o di una capra (non si creda che la mucca sia un investimento! E' un risparmio: nessun povero risparmia in contanti, verrebbero subito parenti ed amici a chiedere favori non rifiutabili; la mucca invece non puo' essere fatta a pezzi). Al massimo si investe in beni da usare promiscuamente sia nell' azienda che in famiglia (per esempio il cellulare).

Non si creda nemmeno che il microcredito sia esente dall' incorporazione in titoli collaterali. Visto che siamo nel mezzo di una crisi subprime, ovvero di titoli minati da mutui concessi ai meno abbienti, la cosa non puo' che preoccupare.

Conclusione: quasi sempre il microcredito si risolve in una specie di elemosina con un lato positivo: consente al povero di mantenere un' attività che lo impegna durante la giornata e, quindi, una propria dignità personale. E' un' assistenza anche psicologica. Dall' altro canto cancrenizza le cose come stanno mantenendo in vita una miriade di imprese non produttive.

In un certo senso il microcredito ha effetti simili all' evasione fiscale tollerata a lungo specie nel sud Italia. Mancando di un vero welfare, si sorvola sull'evasione diffusa dei piccoli: costoro possono stare a galla conducendo la loro aziendina senza costituire un problema sociale: sbarcano il lunario e sono alle prese con un' attività che li impegna fattivamente e dà loro qualche soddisfazione illusoria. I pregi e i difetti sono i medesimi del microcredito: si campa ma ci si immobilizza con una produttività deprimente.

La struttura polverizzata del nostro sistema produttivo forse è dovuta anche a questo: 1) evasione fiscale tollerata che consente al micro imprenditore di portare avanti la sua impresa improduttiva (in fondo è meglio comandare che essere comandati) 2 e regolamentazione del lavoro dipendente oppressiva.



http://www.wilsoncenter.org/index.cfm?fuseaction=wq.essay&essay_id=361250

Finalmente 2 film (3)

ci riprovo, vediamo un po' se questa volta ci sono riuscita.

Sennò scriverò il link per esteso....

ciao
d

Il declino della guerra

Now let's try a thought experiment. What if that same tribal rate were true for modern states? In this purely hypothetical situation, we would be seeing 165 thousand Canadian deaths every year from warfare alone, 2.5 million deaths in the European Union, and 6.6 million in China! Clearly nothing like this is happening.

Here is another way of thinking about it: Richard Rhodes once calculated that warfare of all kinds caused 100 million military and civilian deaths worldwide during the 20th century. But if the entire world had been suffering war-related deaths at the tribal rate then, as Keeley points out, there would have been two billion deaths due to war over the course of that war-torn century.

The dramatic decline in the risk of death due to warfare during the last two or so millennia demands for explanation. There are numerous theories, of course, but essentially all of them include the idea that the growth of states has acted to decrease the risk of death due to warfare — despite the well-documented propensity of states to engage in war, and the staggering growth in military firepower


http://tqe.quaker.org/2007/TQE159-EN-War.html

L' animalismo portatore di diseguaglianze

La cultura animalista soffre di un doppio blocco:

Da un lato non puo' affermare risolutamente che, in tema di diritti, le "differenze non contino". Infatti gli stessi animalisti, parlando di "diritti", rispettano molte differenze: un gorilla non è un topo, un topo non è una pulce, una pulce non è una pianta.

Dall' altro non possono nemmeno affermare che le "differenze contano", altrimenti sarebbe lecito introdurle anche tra gli uomini.

Il fatto è che il GAP vorrebbe dedurre i diritti etici di un soggetto dalle sue capacità. Questa procedura potrebbe sedurre qualcuno ma poi non manca di rivelare i suoi pericoli.

Non c' è dubbio che il gorilla abbia delle capacità, per esempio linguistiche, maggiori rispetto alla pulce. Ecco che allora, secondo il GAP, a lui spetterebbe una generosa manciata dei diritti.

Ma i diritti si conquistano davvero con le "capacità"?

Se fosse così bisognerebbe introdurre molte distinzioni anche tra gli uomini. Per esempio, in una democrazia, potremmo rendere ineleggibili le persone che a 18 anni abbiano l' IQ sotto una certa soglia.

Una conquista etica fondamentale, l' eguaglianza dei diritti, andrebbe così a farsi benedire.

Questi "pasticci" sono tipici di chi vorebbe dedurre dei "valori" da dei "fatti".

Certo, i fatti sono fondamentali per giudicare, ma i valori hanno un' origine differente. Derivano da un Principio.

Un uomo ha dei diritti in quanto "Uomo", non in quanto "essere capace di fare certe cose". Esiste qualcosa che chiamiamo "umanità", da lì dentro escono i nostri diritti.

Questa parola, "umanità", possiamo renderla con altre parole: "auto-coscienza", "imputabilità", "libertà", "responsabilità"...

Non sono i fatti a decidere se un essere è "responsabile", l' ultima parola spetta sempre a noi e alla nostra sensibilità nell' individuare un Principio.

Qualcuno dirà: "Ma come riconosco l' "Uomo"? Come riconosco il Principio?". Secondo me con la Ragione. Soccorre infatti la coerenza. Se l' uomo è "respnsabile" delle sue azioni e io tratto "quella" creatura "come se" fosse responsabile - per esempio processandola quando commette un omicidio o un furto - allora sono di fronte ad un Uomo.

Su questi temi è difficile trovare qualcosa in rete oltre a molta fuffa, specie sul fronte anti-animalista. Diversi filosofi si pronunciano sul tema ma c' è poco di "dedicato". Segnalo pertanto il blog di Waseley Smith. Magari si puo' iniziare da questo post.

Strade: meno regole, più cervelli

Le regole sono costose e, a volte, per la nostra sicurezza, è meglio levarle che metterle.

Ne sa qualcosa chi si occupa di frodi finanziarie, ora la questione è affrontata anche da chi si occupa della circolazione sulle nostre strade.

Per combattere il traffico e gli incidenti nelle grandi città europee (specie al nord), il nuovo trend sembra consistere nel bonificare le strade stesse dall' eccesso di segnaletica e di semafori.

Anche da noi le "rotonde" stanno soppiantando la regolamentazione più rigida.

Un ruolo sempre maggiore è affidato alle teste degli automobilisti e al loro buon senso.

Molti incidenti sono divuti alle distrazioni, se la concentrazione viene spesso sollecitata i rischi scendono. I pazzi, poi, non sono così frequenti e, oltretutto, un semaforo non è per loro una barriera invalicabile.

In piccolo e in laboratorio, anche qui spunta il solito adagio: solo la fiducia nell' uomo è portatrice di libertà.

sabato 5 luglio 2008

Finalmente due film (2)

(Volevo inserire questo commento nel thread sui film "Il Divo" e "Gomorra", ma non sapevo se avrei potuto linkare il video. Provo così.)

Ripensando al monologo finale di Andreotti nel "Divo", in cui parla dell'orrore e della 'necessità' del male, mi è tornato in mente questo.

ciao
d

venerdì 4 luglio 2008

Dear God (da vedere)

quel video era davvero stupendo. Sembra diretto da Michel Gondry, oggi.
d

(Non so se sono riuscita ad allegare il video, era una prova.
Lo scoprirò tra poco)

Dear God

Una lettera fimata Andy Partridge, XTC (1986)

Musiche sudate

La storia di Harry Partch sarà anche interessante abbellita com' è da così tante irregolarità, ma la mausica che ho potuto ascoltare su "HP collection volume 1" non è all' altezza.

Una musica bella da fortografare. Non basta. Gli strumenti da lui inventati hanno strane fogge che definisco liberty in assenza di meglio. Meno sorprendente all' ascolto.

Si sente comunque il profumo della giovane terra d' America. In più è pervasa dalla fierezza fintamente dimessa di certi lavori manuali.

Qualcuno laggiù, in quelle terre semi-vergini da sinfonie, ha pensato bene di modificare gli strumenti tradizionali "preparandoli", Partch se li è costruiti direttamente da zero con olio di gomito, martello, sega e goniometro.

Anche la sua musica sembra costruita con olio di gomito, martello e sega. La cosa più bella che esce da tanto lavorio sono i trucioli.

Mamma mia. Sorprendono sempre le mille forme che assume l' immaturità artistica, ci vorrebbe un Thomas Mann per cantarle: una musica lavorata da mille lime, annaffiata da sudori d' operaio, crivellata da instabili trapani briko, ci tocca poi bocciarla perchè, afflitta da schematismi, suona come "troppo pensata".

Mi consolo degustando il sapore ruspante dell' artigiano che ci dà dentro nel retrobottega, durante il tempo libero rubato alla banca, all' assicurazione e alle bollette che incalzano. Un tempo passato a declinare gentilmente l' invito al pub per un goccio con gli amici.

Un' arte coltivata nei week end subendo i rimbrotti della moglie... e intando il garage s' ingombra di quei misteriosi macchinari così diversi dal pianoforte della nonna (pensa lei)... e intanto anche stavolta dobbiamo rinunciare alla gita promessa... e tutto per quei suoni strampalati che non assomigliano per niente a quelli che escono dalla radio... ma cosa s' è messo in testa Harry... Harry, ne valeva la pena? Non potevi seguire i Padri e dedicarti ai parafulmini?... almeno quelli erano brevettabili.

E poi quelle titolazioni... roba tipo: "Let us contemplate undazed the endless reaches of my innocence - thaitian dance"... preferisco cento volte "Be my Baby"

Non capisco mai se vince l' uomo o la natura

Qualche idea per viaggiare nel week-end. E non dimenticate l' essenziale.

Divulgazione per "capire" o per "provare"?

Nella puntata del 18.6.2008 ascoltabile qui, l' arguto Pontiggia affronta la relazione che lega il linguaggio specialistico a quello di tutti i giorni.

In un primo tempo si diffida delle forme gergali per l' uso improprio che ne viene spesso fatto. Mascherato dietro la cortina del liguaggio specialistico, l' esperto coltiva i suoi interessi a danno dell' interlocutore profano che si puo' facilmente tagliare fuori. Questo è vero ma gli abusi sono all' ordine del giorno, bisognerebbe andare oltre.

Veniamo dunque alla parte interessante. Secondo Pontiggia lo specialista onesto sente l' esigenza di mettere alla prova le sue conclusioni tentando di trasporle in un messaggio semplice e comprensibile più o meno a tutti.

La divulgazione sarebbe dunque un esperimento volto a provare la bontà di scoperte relegate nel dominio degli esperti.

E' difficile prendere le distanze da Pontiggia, questa volta ci provo.

Personalmente ho sempre pensato che lo specialista "traduca" la sua teoria al fine di poterla "capire" meglio lui stesso, non per metterla alla prova.

La funzione del linguaggio specialistico è quella del rompighiaccio, con esso è più facile avanzare nella conoscenza. E' la nostra arma per progredire nella giusta direzione. Un' arma tagliente, efficace, rigorosa, fin troppo potente. Dopo che siamo tanto avanzati, infatti, è necessario fermarsi e orientarsi. Ecco allora che soccorre il linguaggio ordinario.

La validità di un pensiero è saldamente fondata, per esempio, sul linguaggio matematico. Interpretare quelle conclusioni trasponendole in un linguaggio piano non mette in pericolo la loro validità. Semplicemente ce le fa capire meglio.

Prendiamo la teoria quantistica. Nel momento in cui Einstein o Bohr tentano di interpretarla divulgandola, non la stanno "mettendo alla prova", la validità della teoria è già nelle loro mani. Molto più semplicemente cercano di capirla più a fondo integrandola con l' immagine più generale che abbiamo del mondo. E' un esercizio di comprensione che riguarda loro innanzitutto.

Se tutto questo è vero, si noti una funzione provvidenziale del "gergo": fa avanzare la nostra conoscenza anche in direzioni "scomode" per l' ideologia dello scopritore. Dovendo "scoprire" prima ancora di "capire", a costui non faranno velo i pregiudizi.

mercoledì 2 luglio 2008

Quando il razzismo conviene a tutti, che si fa?

Robert Fogel nel suo famoso Time on the Cross (1974) dimostrava che la qualità di vita di uno schiavo del sud prima della guerra civile americana era notevolmente più alta rispetto a quella di un operaio del nord.

Lo Schiavo viveva meglio rispetto all' Uomo Libero. Sia materialmente che psicologicamente.

Lo Schiavo, per esempio, lavorava molto meno, non rischiava mai il licenziamento e anche il trattamento disciplinare nei suoi confronti era più umano.

Non che Fogel fosse uno schiavista, dal punto di vista morale si opponeva strenuamente all' istituzione, ma, dati alla mano, non riusciva a negare il benessere prodotto un po' per tutti dalla schiavitù.

In precedenza, molti storici avevano visto il sistema schiavista come inefficiente. Ma Fogel negava anche questo: il sistema schiavista, per lui, era un' organizzazione efficiente e funzionante. Più efficiente rispetto all' agricoltura praticata da soggetti liberi.

Con conclusioni del genere non poteva pensare di passarla liscia. Certo, i suoi sistemi d' indagine storica, fondati sul metodo quantitativo, gli valsero il Nobel negli anni novanta, eppure non mancarono risposte altrettanto articolate che tentarono di invalidare almeno in parte il suo lavoro.

Da notare una cosa: Fogel rifiuta la Schiavitù ma non tace il benessere che è in grado di produrre per tutti (schiavi e padroni). Ci si chiede, in nome di che cosa "rifiutasse" la schiavitù?

Forse in nome di "valori non negoziabili"? Probabilmente sì, visto che se quei valori fossero negoziabili, se cioè contasse solo il benessere materiale, allora converrebbe negoziarli visto che, in base a questo parametro, l' opzione per la schiavitù sarebbe dovuta.

Il gioco uomo libero/uomo schiavo è molto complesso. Al punto che forse noi oggi siamo più schiavi di ieri ma anche più liberi visto il trattamento privilegiato e la protezione che ci riserva il "padrone".

Da notare un altro scherzo della storia: gli argomenti di Fogel sembrerebbero benvenuti per quelle mentalità nostalgiche del vecchio Sud. In realtà costoro abbracciarono la posizione antitetica: la schiavitù era un metodo di produzione inefficiente e si sarebbe esaurita da sola. Proseguono poi affermando che il Nord non capì questa elementare verità scatenando una guerra sanguinosa quanto stupida.

Quando ha senso "cercare" e non ha senso "trovare"

Secondo il filosofo Popper, dove inizia la cratività si arresta il linguaggio.

Chi parla di scienza puo' trascurare senza colpa i temi che riguardano l' origine delle idee. Si tratta di temi che implicano elementi irrazionali ("...ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o un'intuizione creativa...).

L' origine delle idee è un antro oscuro dove solo l' ingenuo e l' idiota tentano di penetrare.

Un' idea puo' sorprenderci in sogno e, parimenti, essere la pietra angolare di una favolosa teoria scientifica.

Anche Israel riprende questo canone commentando Boncinelli.

Chi si oppose al canone fu il Nobel Herbert Simon. Secondo lui anche le macchine erano in grado entro certi limiti di innovare.

Costruì dei software attraverso i quali fece "riscoprire" alle macchine parecchie leggi scientifiche in tutti i campi.

la posizione di Simon è senz' altro difendibile: tutti riconosciamo tra le doti fondamentali dello scacchista anche la creatività. Eppure ci sono macchine che giocano in maniera eccellente e vincono anche con i "grandi" campioni. Come potrebbero farlo in assenza di una dote tanto decisiva?

L' attività innovativa esalta la creatività. Eppure la stragrande maggioranza della ricerca innovativa si svolge oggi con equipe organizzate in modo ferreo. Da lì escono la maggior parte dei brevetti. E' forse insensato tutto questo?

Non attendiamoci che la diatriba Simon/Popper abbia mai una soluzione definitiva. Anzi, diffidiamo piuttosto di chi su questi temi prende posizioni risolute. Le macchine continueranno a sorprenderci ma saranno sempre gli uomini a programmarle.

Potremmo concludere con questo paradosso: pensare che esista l' algoritmo della creatività è insensato. Eppure non è insensato cercarlo.

Un dibattito di livello tra le "curve" Popper/Simon si è tenuto 5 o 6 anni fa sulle pagine della rivista Sistemi Intelligenti. Purtroppo sembra che non ne esista traccia in rete. Pazienza, non esiste più nemmeno la biblioteca dove mi ero fermato a leggerne e, tra article, replay, joint e rejoint, tutto si chiudeva, ovvio, senza vincitori nè vinti.

Nati per correre

Sì, lo so che devo sbrigarmi, che devo correre e poi ancora correre.

Ma se a dirmelo è Clara Belle con il suo ukulele, è tutta un' altra musica...

Test e Rolling Stones

Pur caldeggiando l' introduzione di test e classifiche nelle nostre scuole, sono consapevole dei limiti di questo strumento. La lettura di Koretz in questo senso è illuminante.

Il test high stake è una roba seria. E' una roba sulla base della quale si distribuiscono i finanziamenti e si scaglionano le carriere. Dobbiamo quindi essere consapevoli sia della loro necessità, sia dei loro limiti.

Ne sintetizzo una dozzina tanto per capirsi.

Innanzitutto un buon test è difficile e costoso da costruire. E quando bisogna tirare la cinghia anche questo conta. Si rischia di ripiegare su cio' che sembra un po' inferiore ma in realtà è del tutto inservibile. Anche perchè la soglia tra il top e la robaccia sta molto vicino al top.

Il test è un sondaggio e la costruzione di un campione corretto è tutt' altro che scontata, così come è difficile individuare delle proxy affidabili.

A volte tanto lavorio si rivela vano.

Se non fosse così non si capirebbe come mai, secondo il PISA, gli studenti USA sopravanzano quelli norvegesi, mentre secondo il TIMSS sia vero il contrario. I due test sono molto rigorosi, peccato vengano sempre presentati senza enfatizzare la grande e inevitabile deviazione standard. Si scoprirebbe che ordinare sulle competenze matematiche norvegesi e americani è insignificante. Soldi buttati?

Cio' non toglie che gli studenti giapponesi apprendano la matematica meglio di americani e norvegesi. Lo dicono i test, ma questa volta lo dicono in modo chiaro.

Oltretutto molte virtù dello studente sfuggono ai test.

Posso conoscere l' algebra ma non sapere quando applicare queste conoscenze. Il test difficilmente segnala lacune del genere.

Altro inconveniente: un prof. puo' eccellere come motivatore. Se la sua carriera dipendesse unicamente dai test rischierebbe grosso.

Il test incentiva i prof a fare meglio, lo dicono tutti. Vero, li incentiva anche a barare però.

A barare materialmente durante la prova, innanzitutto.

Andiamoci a rileggere il primo capitolo di Frekeconomics dove l' economista investigatore risale ai prof disonesti studiando la topologia random degli errori. E' uno spasso ma è anche istruttivo.

E teniamo conto di una cosa: il numero di insegnanti "bari" insediati nel distretto scolastico di Chicago è nella media nazionale, ma la qualità professionale di chi dà loro la caccia laggiù, eccede di gran lunga quella media.

Gli onesti barano invece fornendo preparazioni mirate, in molti casi è possibile. Cio' distorce l'esito poichè quel test è tarato per misurare a campione una preparazione più ampia.

Per giudicare un prof bisogna considerare i "miglioramenti" rispetto al test d' ingresso. L' esperienza degli hight stake spesso ci dice che i miglioramenti sono strepitosi. Purtroppo sono anche molto inaffidabili in quanto dovuti a preparazioni mirate.

Anche le condizioni in cui un test viene somministrato contano. I casi di incoerenza negli esiti si sprecano e per lo più sono dovuti proprio a questa variabile.

Neutralizzare questa variabile è estremamente costoso. Spesso si fa prima rinunciando al test.

Poi c' è l' uso improprio. L' esperienza concreta insegna che test costruiti con certe finalità vengono poi utilizzati per altre che al profano sembrano simili. Chi li maneggia vuole risparmiare senza rendersi conto delle distorsioni che cio' procura.

Le School Chart dei vari sistemi scolastici americani sono un caso che Koretz descrive nel dettaglio.

La preparazione di un allievo dipende dalla qualità della scuola. Ma dipende anche dal contesto che lo ospita (famiglia, amici...). Per classificare le scuole bisogna fare la tara. Compito improbo! Chiedere a chi stima il cosiddetto SES (social economic status). Koretz dedica un capitolo all' acrostico.

L' esito di un test deve essere reso con una scala adeguata. Spesso quando tutto è stato fatto bene, quando il percorso sembra netto, s' inciampa rovinosamente nell' ultimo ostacolo.

***


Oggi nella scuola e tra i prof vige un egalitarismo ingiusto. I test aumenteranno di molto le diseguaglianze e manterranno elementi di ingiustizia. Il gioco vale la candela? Per me sì, ma se giudico dalla cultura sindacalese che impregna l' istituzione che più soffre l' ombra lunga del sessantotto, mi vengono i brividi.

Per me sì soprattutto se i test non saranno l' unico indicatore per giudicare la scuola (ecco alcune variabili alternative: profitto universitario degli alunni di provenienza, indicatori oggettivi sulle strutture, esami diretti ai professori, acquisizioni charter delle scuole low school, autonomia e competizione attraverso i vouchers tra istituti in presenza di forti college premium, test tarati con il SES, retta libera per le scuole high score...).

Che atteggiamento assumere dunque nei confronti dei test? Personalmente mi adeguo al principio "Rolling Stones". In molti non troveranno nei test mai cio' che cercano e sognano, cio' non toglie che potrebbero trovare ugualmente cio' di cui hanno un dannato bisogno.

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."


... così almeno ho la scusa per riascoltarmi il pezzo.


add: anche Israel dubita: http://gisrael.blogspot.com/2010/12/la-scuola-fa-schifo-e-se-fosse-ottima.html

martedì 1 luglio 2008

Part medita su Britten

Un po' mi ha sorpreso che Arvo Part dedicasse una suo lavoro a Benjamin Britten. I punti di contatto tra i due non sono molti.

Il primo sembra guardare tutto con commossa partecipazione ma da un osservatorio distante; da quelle lontanaze tira i suoi sospiri d' attesa, il moto dei corpi amati appare rallentato e uniforme. Il secondo si precipità negli eventi per procacciarsi un' acqua che spenga il fuoco dei desideri. Circondato dai fenomeni, combatte con loro, contro di loro e tra loro. E' contagiato dal loro calore, dal dinamismo e dalla varietà che mai si esaurisce nello sguardo.

La soluzione è stata stata semplice: si è trattato di osservare la musica di Britten da lontano.

E da lontano ci appare come giri vorticosamente su se stessa fino a che non giunge, la musica di Part è quasi sempre escatologica, il tempo di pacificarsi.



***



Ascoltare un bel disco quando sai già che è bello non appaga appieno l' animo del consumista segugio. Perchè temporeggiare in terre già conquistate? Eppure mi sento di incoraggiare al "riascolto". La bellezza non è mai "acquisita", non è mai "già vista". E' un fascio di luce cristallina che illumina sempre nuove cose ogni volta che lo si accende. Grazie miri per il prezioso prestito che mi hai concesso!



***



Altre volte avevo viaggiato nello spazio. Ma nell' astronave di Ligeti faceva troppo freddo. Nello scafandro di Bryars la visibilità era pessima.

Dieci mattoni per la costruzione del "bello"

Alcuni mattoncini per costruire un' estetica e sapere subito cio' che è bello e cio' che è brutto (magari).

  1. L' arte è uno strumento di conoscenza.


  2. L' arte è isomorfa (!?) con il mondo.


  3. L' arte è imparentata con la scienza.


  4. L' arte, diversamente dalla scienza, si occupa della totalità.


  5. L' arte, diversamente dalla scienza, valorizza la scaturigine del linguaggio (commento 5), anzichè la sofisticata manipolazione (la contemplazione prevale sull' analisi).


  6. L' arte, diversamente dalla scienza, ha un legame intuitivo con il mondo.


  7. L' arte evolve grazie all' originalità.


  8. L' arte reperisce i suoi significati di base nella tradizione.


  9. L' arte del mondo moderno è imperniata sulla divisione del lavoro.


  10. L' arte si giudica sulla base degli effetti che produce e non sulla base delle tecniche necessarie a produrla. Ovvero, per il giudizio estetico conta solo cio' che sta davanti al sipario.


  11. L' arte, come del resto la scienza, è sintetica.


No panic. Seguono generose delucidazioni.

La prop1 e la prop3, in fondo sono legate: sia arte che scienza sono strumenti conoscitivi. O no?

La prop4 addirittura sembrerebbe stabilire un primato dell' arte.

La prop5 è azzardata. Nega differenze qualitative tra arte e scienza. Oggi si puo' osare farlo poichè in molti considerano l' intuizione una variante "compressa" della ragione.

La prop2 mi serve per stabilire che l' arte ha sempre un contenuto "realista".

Questo realismo significa che i criteri di bellezza possono mutare in relazione alla nostra visione della realtà.

Per san Tommaso il "bello", implicava simmetria e armonia. Per noi non è più così, perchè? Io dico perchè è cambiata la nostra visione del mondo e l' arte non puo' che aderire a questo mutamento.

Secondo me l' "isomorfismo" fondamentale consiste nel rappresentare artisticamente il Soggetto, l' Oggetto, il Tutto (Dio?).

Parlando di questioni un po' fumose avrei voluto evitare parole strane. Ho fatto un' eccezione per "isomorfismo" perchè mi sembra decisiva.

Prop2 e prop5 sembrano contraddirsi. Come si legano "isomorfismo" e "intuizione". L' "intuizione" non ha forma.

Ne esco così: la scienza produce i suoi "isomorfismi" fornendo un traduttore analitico che consente di passare in modo rigoroso dalla sua stenografia alla realtà (la scala di una mappa, per esempio). Nell' arte il traduttore è intuitivo (informe).

L' isomorfismo ha altre conseguenze. Consente, per esempio, di esprimersi con metafore pertinenti su un pezzo musicale utilizzando un linguaggio psicologico, oppure teologico, oppure sociologico, oppure addirittura medico, oppure...

Non essendo pura forma isolata dal mondo, il linguaggio tecnico dell' arte non monopolizza il giudizio sull' opera.

la prop6 è un omaggio all' estetica romantica: il bello è originale. E' anche un omaggio al mio amore per le avanguardia.

Non che la cosa sia esente da problemi: molti grandi artisti perfezionano una tradizione. Di Bach alcuni hanno detto che era un "meraviglioso ritardatario". Ma Bach crea sempre problemi ai sistematizzatori.

La prop7 tempera la 6. Fare tabula rasa dimenticandosi che esiste una tradizione conduce alla deriva. certa musica colta accademica tra gli anni 50 e gli anni 70 paga questo scotto.

La prop8 è importante affinchè non si bocci l' opera incompleta. Molte sono tali ma meritano.

Parecchi artisti si "specializzano" su certi elementi trascurandone altri. Cio' non pregiudica il loro lavoro. Anzi, è naturale nella civiltà moderna, una società ricca dove il principio della divisione del lavoro si applica ovunque.

La prop8 salva molte forme d' arte popolare che vengono recuperate come "parziali" ma non per questo meno pregnanti.

La specializzazione consente di salvare molto musica del passato per le orecchie dell' ascoltatore spaventato dalla ricostruzione storica del contesto.

Pensiamo al solito Bach. Ascoltare Bach spesso è una grande esperienza. Ma, stando all' estetica proposta, manca di "completezza".

Esempio: in lui sento che manca la rappresentazione del soggetto, nelle sue armonie non reperisco la miseria del peccatore. Per fortuna c' è la prop8. Con la prop8 posso considerare il lavoro di Bach "focalizzato"; l' autore realizza con qualità sorprendenti la parte di lavoro che si ritaglia.

Penso anche a certa musica che ho già criticato sopra: lo sperimentalismo post-weberniano. Possiamo salvarlo considerandolo "focalizzato" sulla struttura molecolare dell' "oggetto". Una musica fortemente amputata ma non per questo meno "bella".

La prop10 mi serve per dire che "Pierino e il Lupo" oppure le musiche di Carl Stalling per i cartoni della Warner, non saranno mai capolavori assoluti: pedinano i fatti troppo da vicino senza un vero tentativo di sintesi. In queste opere l' imitazione della realtà eccede.

Avete notato il pallore di questi pensieri? E' dovuto al fatto che vengono concepiti sempre in ritardo. Il loro destino è quello di inseguire l' emozione estetica anzichè di precederla e guidarla come dovrebbe fare un vero pensiero. Pazienza, chi ha fiducia nelle idee non rinuncia, speriamo che serva a qualcosa.

Ora mi manca solo d' aggiungere che uno stimolo molto indiretto me l' ha fornito il tentetivo di Debenedetti di applicare l' estetica tomista a Joyce e Proust (cap. IV del suo libro).

ADD1: attenzione, la discussione prosegue qua, e anche qua.


ADD2: aggiornamento qua, qua e qua.

lunedì 30 giugno 2008

La scuola libera come antidoto al razzismo

Ottima rassegna di studi nell' ultimo numero di Economic Affairs sull' impatto dei vouchers scolastici. Parliamo del sistema USA.

La libertà di scegliere sembra migliori il profitto di chi sceglie. La concorrenza che procura si riflette in una migliorata qualità anche della scuola pubblica.

Fin qui nulla di nuovo.

Anche se dico che la concorrenza abbassa i costi per alunno, scommetto che nessuno fa una piega (nanca un plissè).

Ma se invece aggiungo che i buoni scolastici favoriscono l' integrazione razziale, come la prendete? Scommetto che non l' avevate mai sentita.

Non solo, gli studenti delle vouchers school sono più tolleranti di quelli delle scuole pubbliche e sono avanti in tutte le categorie relative alle "virtù civiche".

A questo punto il fazioso, prende e va a casa tutto soddisfatto. Lo scienziato sociale, invece, dovrebbe spremersi le meningi per trovare una mezza dozzina di spiegazioni possibili. Poi spremersele di nuovo per escogitare un test in grado di scegliere tra le candidate. Quanto è creativo il lavoro dello scienziato (e che mal di testa fa venire)! Non si va mai a casa.

Quando la meritocrazia non affronta il problema del merito

Il lettore "anonimo" di questo post sembra deluso dalle impressioni personali che riportavo sul libro di RA.

Forse si aspettava una recensione a tutto tondo ma un lavoro del genere non era certo nè nelle mie capacità, nè nelle mie intenzioni. Il piano era molto più circoscritto, cerco di circoscriverlo ulteriormente, spero non scompaia tutto nel nulla.

Un libro che si intitola "Meritocrazia" in genere parla di meritocrazia. E fin qui ci siamo. Ma, mi si conceda, non penso proprio di essermi fermato a questo punto.

Cos' è il "merito" e come puo' essere "misurato"?

Se davvero sei interessato alle due questioni di cui sopra, sgrani gli occhi quando sul bancone della libreria vedi un libro con quel titolo. E mentalmente pronunci le parole "ci siamo".

Ebbene no! Non ci siamo affatto, carissimo lettore. Il libro di RA non sembra molto interessato alle questioni di cui sopra, benchè appaiano fondamentali, benchè il libro sia di 400 pagine. Probabilmente RA sconta le risposte.

E' questa un' imfoprmazione così poco interessante. Io non penso. La trovo talmente interessante da doverla dare anche se forse non è vera al 100%.

Intanto, contro chi contesta che il merito sia qualcosa di soggettivo e non misurabile, noi restiamo disarmati e costretti a rivolgerci altrove (io mi sono rivolto qui con ben altri esiti).

Il lettore anonimo sembra molto interessato alle soluzioni pratiche che avevo tralasciato.

E mica posso parlare di tutto... vedo di rimediare.

Le soluzioni pratiche si sostanziano nella medesima soluzione di sempre: creare una commissione governativa (ma questa volta composta da tipi in gamba, mi raccomando) che introduca la meritocrazia nella nostra p.a. Il tutto condito con un po' di affirmative action e, naturalmente, con "riforme" per rendere più competitiva l' economia italica.

Come vedi, niente di interessante.

E' qui la festa

L' Italia non sembra unita come si deve. Ognuno va per la sua strada. Non si riesce nemmeno più a divertirsi quando festeggia. Non ci si riesce e finisce sempre a bicchierate in testa.

Altrove trovavo tutto cio' giustificato dalla Storia.

Anche la cronaca avanza le sue buone ragioni: per esempio queste.

Le magagne sono tornate fuori in occasione del 25 aprile. La cosa si ripete ma qualcuno, non volendo capire, fatica a farlo.

Si, lo so, c' è stata la guerra civile. Se è per questo ce ne sono state due (vedi link). Sì lo so, qualcuno ha perso e questo "qualcuno" erano i fascisti.

Ai "vincenti" piace essere accusati di un eccesso di zelo: il loro odio contro il nemico sarebbe ancora assurdamente in pista e fuori dalla storia. In parte puo' essere anche vero. Ma un' accusa del genere, poichè non regge, piace tanto sentirsela addosso, farla montare. E poi, con uno spillo, sgonfiarla.

E' il modo più consueto con cui il "festaiolo" si para le spalle.

Se le cose stessero davvero così, sarebbe facile per loro mostrare grande pietà ed apertura rendendo vana ogni discussione. E poi giù a puntualizzare l' ovvio: ovvero che una parte era nel giusto e l' altra no.

Dopo discussioni del genere sembra quasi che essere "antifascisti" equivalga ad essere contrari ai regimi fascisti. Io mi ritengo contrario ad ogni forma di fascistizzazione e sindacalizzazione della società, eppure non mi definirei mai "antifascista". Non ho le carte in regola. E come me molti che osteggiarono nei fatti il fascismo.

La categoria concettuale, è storia, fu introdotta per fornire usbergo alle forze comuniste e vestirle con un abito presentabile nel consorzio civile.

Poichè queste forze combatterono la loro resistenza con l' unico e chiaro intento di instaurare una dittatura, sembra abbastanza logico l' imbarazzo che ci accompagna quando ti tocca festeggiare stando gomito a gomito con chi viene da quella tradizione. A nulla vale se, dopo stretto consulto con il compagno Stalin, per motivi meramente strategici e opportunistici, si decise di procastinare la rivoluzione a tempo indeterminato. E a nulla vale che i compagni meritino una medaglia per aver combattuto il regime (alla stessa stregua, merito del fascio fu di aver combattuto i rossi riducendone la minaccia)! A poco vale opinare che la dittatura in gestazione sarebbe stata "diversa" rispetto alle altre 867 dittature nate nel mondo con i medesimi intenti e presupposti, poi tutte fallite tutte 867 disumanamente, in accordo con i detti presupposti...

Oppure le intenzioni con cui si combattè la Resistenza non contano?

Contano o no?

Bè, se le intenzioni hanno smesso di contare, con quale spirito robotico dovremmo intonare gl' inni di quella gloriosa battaglia?

Lasciamo allora perdere gli inquinamenti del 25 aprile, non c' è solvente che tenga; lasciamo al suo destino il 2 giugno, lasciamo ad una dolce ed armoniosa deriva l' Unità e tutti i Bandieroni in cui si avvolge. Mi sa che se veramente vogliamo brindare in concordia e fratellanza dobbiamo risalire ad epoche in cui le nostre città erano l' ombelico del mondo. Abbiamo la fortuna di averle nella nostra storia, perchè dimenticarsene?


P.S. avevo completamente dimenticato queste quattro righe buttate giù mesi fa nei pressi della ricorrenza. Ma poi qualcuno me le ha fatte tornare in mente.