venerdì 7 giugno 2019

La cultura della manioca

La cultura della manioca




Nelle Americhe, dove la manioca è stata coltivata per la prima volta, gli uomini hanno privilegiato le varietà amare per migliaia evitando però ogni forma di avvelenamento cronico da cianuro, un inconveniente che ci attenderemmo conoscendo bene la pianta.
Nell’Amazzonia colombiana, ad esempio, i Tukanoan usano una tecnica di lavorazione multi-fase e assai dispendiosa che comprende il raschiare, il grattugiare e infine il lavare le radici per separare meticolosamente la fibra, l’amido e il liquido. Una volta realizzata la separazione, il liquido viene fatto bollire ottenendo una bevanda, ma la fibra e l’amido devono “riposare” per almeno altri due giorni prima di essere cotti e mangiati. Tali tecniche di lavorazione sono fondamentali per la sopravvivenza di popoli che vivono in posti dove altre colture risultano improduttive.
Tuttavia, nonostante la loro utilità, una persona ragionevole avrebbe difficoltà a capire la tecnica di disintossicazione. Considera la situazione dal punto di vista dei bambini e degli adolescenti che stanno imparando la lavorazione di cui sopra. Parti dall’assunto che non hanno mai visto una persona avvelenata proprio perché la tecnica funziona. E anche qualora il trattamento fosse inefficace, così da generare casi di gozzo o problemi neurologici, sarebbe comunque difficile riconoscere il legame tra questi inconvenienti della salute e il pasto a base di manioca.
Le varietà a basso contenuto di cianuro sono in genere bollite, ma l’ebollizione da sola è insufficiente per prevenire effetti duraturi sulla salute. L’ebollizione, tuttavia, elimina o riduce il gusto amaro e previene i disturbi più visibili (ad es. diarrea, disturbi dello stomaco e vomito). Quindi, se uno ha fatto la cosa apparentemente di buon senso limitandosi a bollire la manioca, il suo compito sembrerebbe finito. Poiché il compito a più fasi dell’elaborazione della manioca è lungo, arduo e noioso, attenersi ad esso è certamente poco intuitivo. Le donne di Tukanoan trascorrono circa un quarto della giornata a trafficare intorno alla manioca, quindi questa è una tecnica decisamente costosa per loro.
Consideriamo ora cosa potrebbe comportare se una madre autodidatta di Tukanoan decidesse di abbandonare qualsiasi passaggio faticoso e apparentemente non necessario. Potrebbe esaminare criticamente la procedura che le è stata trasmessa dalle generazioni precedenti e concludere che l’obiettivo della procedura è rimuovere il gusto amaro. Potrebbe quindi sperimentare procedure alternative riducendo alcuni dei passaggi più laboriosi o lunghi. Avrebbe scoperto che con un processo più breve e molto meno laborioso, poteva rimuovere il sapore amaro e rimuovere gli inconvenienti più visibili. Adottando questo protocollo semplificato, avrebbe avuto più tempo per altre attività, come prendersi cura dei propri figli. Naturalmente, anni o decenni dopo, la sua famiglia avrebbe iniziato a sviluppare i sintomi dell’avvelenamento cronico da cianuro. Pertanto, la riluttanza di questa madre ad accettare per fede le pratiche che le erano state tramandate dalle precedenti generazioni si tradurrebbe in malattia e morte prematura per i membri della sua famiglia. L’apprendimento individuale qui non paga, e le intuizioni personali sono fuorvianti. Il problema è che i passaggi di questa procedura sono opachi: un individuo non può facilmente dedurre le loro funzioni, interrelazioni o importanza. L’opacità causale di molti adattamenti culturali ha avuto un grande impatto sulla nostra psicologia.
All’inizio del diciassettesimo secolo, i portoghesi trasportarono per la prima volta manioca dall’America del Sud all’Africa occidentale. Tuttavia, non hanno trasportato i secolari protocolli di lavorazione indigeni o l’impegno sottostante all’utilizzo di tali tecniche. Poiché è facile da piantare e fornisce alte rese in aree sterili o soggette a siccità, la manioca si diffuse rapidamente in tutta l’Africa e divenne un alimento base per molte popolazioni. Le tecniche di elaborazione, tuttavia, non sono state prontamente rigenerate. Ecco, anche dopo centinaia di anni, l’avvelenamento cronico da cianuro rimane un grave problema di salute in Africa.
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L’eterna lotta tra cultura e ragione. SAGGIO



L’eterna lotta tra cultura e ragione.




La Prussia del XVIII secolo non ci ha regalato solo la benedizione di Kant ma anche la maledizione della “silvicultura scientifica”.
I razionalisti illuminati notarono che i contadini, quei coglioni, si limitavano ad abbattere gli alberi della foresta a casaccio o comunque sulla base di criteri oscuri legati a tradizioni poco intellegibili legati alla cultura locale. Così hanno elaborato un piano: eliminare tutte le foreste e sostituirle piantando copie identiche di abete norvegese (l’albero a più alto rendimento di legname nell’unità di tempo) in una griglia rettangolare e uniforme. In questo modo diventava possibile procedere abbattendo centinaia di alberi in poco tempo e massimizzando la produzione di legname. Ma qualcosa andò male. L’ecosistema impoverito non poteva più ospitare gli animali selvatici e le erbe medicinali che sostenevano i villaggi circostanti, causando così il collasso economico di intere regioni. Come se non bastasse, le file interminabili di alberi identici erano un perfetto terreno di diffusione per le malattie delle piante e gli incendi boschivi. Anche i complessi processi ecologici che sostanziavano il suolo smisero di funzionare, così dopo una generazione gli abeti rossi norvegesi cominciarono a crescere rachitici e malnutriti. Eppure, per qualche motivo, tutte le persone coinvolte nel progetto ebbero carriere fulgide e la “silvicoltura scientifica” si è diffusa in Europa e poi nel mondo. Sapete dirmi perché?
Ecco, questo schema si ripete con regolarità sospettosa attraverso la storia, non solo nei sistemi biologici ma anche in quelli sociali.
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Le città organicamente evolute tendevano ad essere composte da vicoli bui, negozi piccoli e strade sovraffollate. Il razionalismo urbano ha avuto un’idea migliore: partendo da una tabula rasa predisporre una griglia rettangolare uniforme su cui allineare brutali palazzi giganteschi e identici separati da ampi viali, il tutto suddiviso in distretti attentamente raggruppati in zone omogene. Ma per qualche ragione, ogni volta che queste nuove città sono state costruite, la gente le odiava e faceva tutto il possibile per trasferirsi in periferie che ancora conservavano i “difetti” delle vecchie città rase al suolo. E ancora, per qualche strano motivo i pianificatori del disastro sono stati regolarmente promossi con tutti gli onori e hanno diffuso le loro tecniche distruttive in tutto il mondo. Alle campagne è stata riservata una sorte simile. I vecchi villaggi contadini, evoluti in modo organico, tendevano a moltiplicare la confusione accumulando allevamenti eterogenei e piccole culture diversificate in modo inefficiente su appezzamenti angusti e scomodi. I moderni razionalisti scientifici hanno avuto un’idea migliore: gigantesche fattorie collettive meccanizzate dedite alla mono-cultura ad alto rendimento appositamente concepite e disposte in spaziose griglie rettangolari equidistanti. Eppure, per qualche ragione, queste gigantesche fattorie collettive avevano rendimenti inferiori per ettaro rispetto ai vecchi metodi tradizionali, e ovunque prendessero forma, la loro presenza era seguita puntualmente da carestie e fame di massa. Ma anche qui, per qualche motivo i governi hanno continuato a sponsorizzare i metodi più “moderni”, sia che si trattasse di collettivi socialisti nell’URSS, di grandi corporation agricole negli Stati Uniti, o di tentacolari piantagioni di banane nel Terzo mondo.
Gli stili di vita tradizionali di molti nativi dell’Africa orientale erano nomadi, e implicavano una strana agricoltura a base di “taglia e brucia” da condurre su intricati appezzamenti nella giungla secondo una sconcertante varietà di regole ad-hoc. I moderni razionalisti scientifici dei governi africani (sia coloniali che post-coloniali) hanno avuto un’idea migliore: reinsediare gli indigeni nei villaggi, dove potevano fruire di servizi moderni come scuole, pozzi, elettricità e griglie rettangolari equidistanti. Eppure per qualche ragione, questi villaggi continuarono a fallire: i raccolti venivano abbandonati, le loro economie crollarono e i loro abitanti scomparivano trovando asilo nella giungla. Ma per qualche motivo i governi africani continuarono a cercare di riportare i nativi e farli rimanere nei villaggi anche con la forza.

PERCHE’ I FROCI SONO SEMPRE STATI VESSATI?

PERCHE’ I FROCI SONO SEMPRE STATI VESSATI?

La funzione culturale-evolutiva per i tabù sull’omosessualità era di prevenire le malattie sessualmente trasmissibili, che si diffondono più facilmente attraverso i rapporti omo. I nostri antenati non avevano la teoria dei germi, quindi il meglio che l'evoluzione culturale poteva fare era rendere le persone ostili verso l’omosessualità per ragioni legate alla superstizione. Esempio: quando negli USA l’omosessualità è stata più tollerata centinaia di migliaia di persone sono state uccise da una malattia particolarmente terribile, trasmessa in gran parte attraverso il contatto omosessuale. È stato un bene essere più tolleranti per produrre oltre 100.000 morti? Non provo nemmeno a rispondere. D'altra parte, ora abbiamo buoni farmaci anti-retrovirali, l'AIDS è per lo più debellato nei paesi ricchi, le persone si dichiarano apertamente gay da decenni e non ci sono alle viste inconvenienti gravissimi. La mia ipotesi è che a questo punto le pur rispettabili tradizioni anti-gay siano abbastanza obsolete, come lo sarebbe imporre limiti al consumo di mais per arginare la pellagra.

Su questi temi i dubbi sono tanti ma una cosa è certa: bisogna capire e rispettare una tradizione prima di respingerla.

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F meditazioni sulla tradizione

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giovedì 6 giugno 2019

f silvicultura


La conosce te la storia della "silvicoltura scientifica" nella Prussia del XVIII secolo? I razionalisti dell'Illuminismo notarono che i contadini, quei coglioni, si limitavano ad abbattere alberi a casaccio cresciuti nelle foreste. Così hanno elaborato un piano: eliminare tutte le foreste e sostituirle piantando copie identiche di abete norvegese (l'albero a più alto rendimento di legname nell’unità di tempo) in una griglia rettangolare uniforme. In questo modo diventava possibile procedere abbattendo milioni di alberi in poco tempo massimizzando la produzione di legname. Ma qualcosa andò male. L'ecosistema impoverito non poteva ospitare gli animali selvatici e le erbe medicinali che sostenevano i villaggi contadini circostanti, causando così un collasso economico. Le file interminabili di alberi identici erano poi un perfetto terreno per le malattie delle piante e gli incendi boschivi. Anche i complessi processi ecologici che hanno sostanziavano il suolo hanno smesso di funzionare, così dopo una generazione gli abeti rossi della Norvegia sono cresciuti rachitici e malnutriti. Eppure, per qualche motivo, tutte le persone coinvolte sono state promosse e la "silvicoltura scientifica" si è diffusa in Europa e nel mondo.
Ecco, questo schema si ripete con regolarità sospettosa attraverso la storia, non solo nei sistemi biologici ma anche in quelli sociali.

F l'economia del xxi secolo

If our property can be infinitely reproduced and instantaneously distributed all over the planet without cost, without our knowledge, without its even leaving our possession, how can we protect it? How are we going to get paid for the work we do with our minds? And, if we can’t get paid, what will assure the continued creation and distribution of such work?

What John Perry Barlow recognized is that when essays and other idea-based commodities migrate to the Internet, they are no longer rivalrous or excludable. You can read this essay online without interfering with anyone else’s ability to read it. In contrast with a print magazine, in which the default state is excludability (you cannot read it without paying for it), on the Internet the default state is non-excludability

In terms of traditional economics, the offerings that are available via the Internet, because they are not rivalrous or excludable, are public goods. Yet for the most part they are being provided by private companies. 
To answer the question posed by John Perry Barlow — how are we going to get paid? — 21st-century firms have had to develop and implement various strategies, often along the lines suggested in response to Barlow by Carl Shapiro and Hal Varian in their book Information Rules.

Our outdated economic textbooks still treat business strategy as nothing more than deciding the mix of capital and labor along with the quantity of output

. 21st-century economists should instead be aware of the way that the Internet has made business strategy much more complex and important. For example, John Van Reenen and colleagues have found that differences in management techniques account for large differences across firms and regions in their effectiveness

SCHEMI PER FARE IN FRETTA E PASSARE AD ALTRO

SCHEMI PER FARE IN FRETTA E PASSARE AD ALTRO
La parola fascismo ci manda sempre in confusione, sfigurata com’è dall’inflazione a cui è sottoposta. Ecco allora uno schemino da tenersi sempre in tasca.
Cos’è il fascismo? Studiatelo, magari leggendo questo libro. Qui mi interesso delle possibili cause.
Il fascismo per il socialista: la reazione al degrado (liberale).
Il fascismo per il liberale: la reazione a una minaccia (comunista).
Il fascismo per il fascista: la reazione ad un vuoto (valoriale).
Puo’ tornare?
Socialista: sì, siamo in pieno degrado (percepito?) liberale.
Liberale: no, manca la minaccia (seria?) comunista.

Fascista: magari, ci vorrebbe una riscossa (nazional) morale.

CHESTERTON E SCOTT

Il libro che avrebbe scritto G.K. Chesterton se anziché di letteratura si fosse occupato di storia economica.

Il problema che affronta è sempre quello: come bisogna pensare quando si sa di non sapere.

CULTURA E CIBI DISGUSTOSI

CULTURA E CIBI DISGUSTOSI

Tra le tante storie raccontate in questo libro, quella del peperoncino resta la mia preferita. Non resisto, devo riproporla.

Tutto comincia con una domanda semplice: perché ci piace speziare il companatico? Nel meditare una risposta tieni a mente che (1) altri animali non aromatizzano i loro cibi, (2) la maggior parte delle spezie contribuisce poco alle nostre diete, e (3) gli ingredienti attivi in molte spezie sono in realtà sostanze chimiche respingenti prodotte dalla pianta per mantenere alla larga insetti, funghi, batteri, mammiferi e altri animali indesiderati (come te).

Ecco allora l'idea di fondo: l'uso di molte spezie rappresenta un adattamento culturale dell’uomo al problema degli agenti patogeni nel cibo, specialmente nella carne.

Questa del cibo avariato è stato un problema molto importante, specie prima che i frigoriferi entrassero in scena. Per esaminare la tesi, due biologi, Jennifer Billing e Paul Sherman, hanno raccolto 4578 ricette da ricettari tradizionali di popolazioni di tutto il mondo. Hanno trovato tre indicazioni chiave. 1. Le spezie più utilizzate sono, infatti, antimicrobiche. Le spezie più comuni al mondo sono anche le più efficaci contro i batteri. Combinazioni tipiche di spezie hanno effetti sinergici, che possono spiegare perché ingredienti come il "chili power" (un mix di peperoncino, cipolla, paprika, aglio, cumino e origano) siano così diffusi. 2. Le persone nei climi più caldi usano più spezie concentrandosi su quelle più efficaci nell’ azione anti-patogena. In India e Indonesia, ad esempio, la maggior parte delle ricette utilizzava molte spezie antimicrobiche, tra cui cipolle, aglio, peperoncino e coriandolo. 3. Le ricette sembrano utilizzare le spezie in modo da aumentarne l’efficacia. Alcune spezie, come cipolle e aglio, il cui potere antimicrobico è corroborato dal riscaldamento, vengono impiegate nel processo di cottura. Altre spezie come il coriandolo, le cui proprietà antimicrobiche potrebbero essere danneggiate dal riscaldamento, sono invece aggiunte fresche nelle ricette. Conclusione: molte ricette e preferenze sembrano essere adattamenti culturali locali che operano in modi sottili e sfumati, non certo compresi da chi si limita ad amare i cibi piccanti. Billing e Sherman ipotizzano che i ricettari dei clan più culturalmente evoluti, più sani, più fertili e di maggior successo siano stati poi importati dai clan meno prestigiosi. Questo è plausibile dato ciò che sappiamo sulla psicologia dell’apprendimento culturale, incluso l'apprendimento culinario.

Tra le spezie, il peperoncino è un caso ideale. I peperoncini erano la spezia principale delle cucine del Nuovo Mondo, prima dell'arrivo degli europei, e ora vengono abitualmente consumati da circa un quarto di tutti gli adulti, a livello globale. I peperoncini hanno sviluppato difese chimiche, basate sulla capsaicina, che li rendono respingenti per i mammiferi e i roditori ma desiderabili per gli uccelli. Nei mammiferi, la capsaicina  attiva direttamente un canale del dolore (TrpV1), che crea una sensazione di bruciore. Queste armi chimiche aiutano le piante di peperoncino nella loro sopravvivenza e riproduzione, poiché gli uccelli forniscono un buon sistema di dispersione per i semi delle piante. Il peperoncino è fortemente respingente per i primati non umani, i bambini e molti adulti umani. La capsaicina è respingente anche verso madri che allattano, le quali sono consigliate di evitare il peperoncino, per timore che i loro bambini rifiutino il loro seno (latte), e alcune società addirittura mettono capsico sul seno della mamma per iniziare lo svezzamento. Tuttavia, gli adulti che vivono in climi caldi incorporano regolarmente peperoncini nelle loro ricette. E quelli che crescono tra le persone che amano mangiare chili peppers non solo mangiano peperoncini ma amano mangiarli.

 Ma come è possibile che si arrivi a farsi piacere una forma di bruciore? La ricerca dello psicologo Paul Rozin mostra che le persone si godono il peperoncino principalmente interpretando i segnali del dolore percepiti come piacere o eccitazione. Basandosi sul lavoro negli altopiani del Messico, ha notato come i bambini elaborino gradualmente questa interpretazione senza essere forzati. I bambini vogliono imparare ad apprezzare i chili peppers per somigliare a chi ammirano. Ciò è coerente con quanto sappiamo: i bambini acquisiscono prontamente le preferenze alimentari dai coetanei più anziani. L'apprendimento culturale puo’ dunque alterare la risposta fisiologica del nostro corpo al dolore. Conclusione la cultura può sopraffare le nostre avversioni innate di mammiferi, quando necessario e senza che noi lo sappiamo. E’ per questo che ci piacciono tanto cibi disgustosi come il peperoncino, il caffè, il vino e molti altri.

mercoledì 5 giugno 2019

Il derby dell’ideologia: Socialismo vs Capitalismo SAGGIO


Il derby dell’ideologia: Socialismo vs Capitalismo


Non ditemi che semplifico. Se parlo in modo semplice è solo perché la materia è già sufficientemente complessa, se parlo in modo naif è solo perché penso che certe affermazioni ingenue resistano anche alle obiezioni più raffinate che presentare qui sarebbe solo noioso (le trovate nel blog un po’ ovunque).
Come al solito il primo problema è quello delle definizioni. Si potrebbe semplicemente dire che il capitalismo è il sistema economico di paesi come gli Stati Uniti e il socialismo è il sistema economico di paesi come l’ex Unione Sovietica. In tal caso, concluderei che il capitalismo è qualcosa di decente, mentre il socialismo è l’inferno sulla terra. Ma fin qui sono ormai d’accordo tutti, persino i socialisti nostrani!
Passiamo allora ad una definizione alternativa: l’ideale capitalista prevede che il governo abbia un ruolo ridotto nell’economia mentre quello socialista lo metterebbe volentieri al centro di tutto. In tal caso, a me sembra, il capitalismo è fantastico e il socialismo è terribile.
Cosa c’è di così meraviglioso nell’ideale capitalista? Il fatto che sia un sistema basato sulla libertà individuale e sul libero consenso. Il consenso può essere davvero “volontario” se alcune persone hanno molto più da offrire rispetto ad altre? Assolutamente. Analogia: alcune persone sono molto più attraenti di altre, ma questo non pregiudica la validità dei fidanzamenti.
Resta un dubbio che incombe: il capitalismo è uno di quegli ideali che sembra meraviglioso, non è che però funzioni male nella vita reale?
Come possiamo affrontare una domanda così ampia? Per esempio guardando quali sono i paesi più capitalisti del mondo. Secondo le classifiche, i paesi in testa sono Hong Kong e Singapore; altri esempi includono il Regno Unito, la Svizzera, il Canada e gli Stati Uniti. Secondo gli standard mondiali e storici, tutti i paesi citati sono incredibilmente ricchi, nonché posti piacevoli in cui vivere. Questo non era vero per Hong Kong o Singapore nel 1950, ma dopo decenni di posizioni di vertice, sono diventati forse i paesi più ricchi e piacevoli della Terra. In questi paesi ci sono ancora persone relativamente povere, ma c’è pochissima povertà assoluta.
Qual è il segreto del capitalismo? Essenzialmente il fatto che i mercati liberi incanalano il desiderio umano fondamentale di migliorare se stessi, e lo fanno in modo socialmente vantaggioso. Se puoi offrire un prodotto che piace a un prezzo appetibile, ti arricchisci. Questo non porta solo a montagne di prodotti sorprendenti e a basso prezzo, porta anche a una costante innovazione, uno sforzo incessante per fare di più con meno.
Ora passiamo al socialismo: cosa c’è di così terribile nell’ideale socialista? Essenzialmente il fatto che sia basato sull’autorità governativa e quindi sulla coercizione. La democrazia è un modo decente per mitigare le stragi e la schiavitù delle dittature socialiste. Tuttavia, anche sotto il socialismo democratico, l’individuo resta alla mercé dell’opinione pubblica.
Ancora una volta, però, c’è un dubbio che incombe: non è che il socialismo è uno di quegli ideali all’apparenza terribile, ma ma che poi nella vita reale funziona meravigliosamente? Per risolvere questo dubbio, torniamo alla stessa procedura adottata prima, guardiamo ai paesi più socialisti oggi presenti sul pianeta.
Secondo classifiche più accurate, i paesi “più socialisti” del mondo sono la Corea del Nord e il Venezuela, a seguire Cuba. Nessun socialista decente potrebbe avere come ideale anche uno solo di questi stati, e certamente non sono io a insinuare che lo facciano.
Le persone spesso deridono i socialisti per insistere sul fatto che “il vero socialismo” non è mai stato provato. Non lo dirò, perché non penso che sia mai stato provato nemmeno il “vero capitalismo”. Ma se vogliamo prevedere gli effetti della versione reale di entrambi i sistemi, ha comunque senso iniziare con le approssimazioni esistenti più vicine a noi. Il verdetto mi sembra chiaro, e si sposa bene con la teoria.
Ai socialisti piace poi paragonare la loro società ideale a una famiglia. Ma nelle famiglie reali, non devi sostenere i tuoi fratelli se non vuoi. A dirla tutta, non devi nemmeno sostenere i genitori che ti hanno dato la vita (e magari un fracco di botte). Perché mai i tuoi obblighi morali verso degli estranei dovrebbero essere più forti di quelli verso i parenti più stretti?
Al socialista onesto resta comunque una consolazione che sento talvolta riecheggiare nelle parole di Papa Francesco: il sistema capitalistico puo’ essere tollerato giusto poiché fornisce una valvola di sfogo all’avidità predatoria dell’uomo, trattasi di “male minore”. Il sottointeso: domani, quando l’uomo si sarà convertito alla generosità disinteressata del Vangelo, il socialismo sarà il suo destino.
Ecco allora la mia domanda per il Papa: sua Santità, mi permetta, ma qual è il sistema politico ideale in una società composta solo da santi? Risposta (mia): ancora il capitalismo, ovviamente. In un sistema socialista non si puo’ essere capitalisti, ma in un sistema capitalista si puo’ essere buoni, generosi e perfino socialisti fino alla santità! Ecco il suo principale vantaggio.
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F sul perdono

It’s a great cliché: “You need to forgive yourself so you can forgive others.” But most of us struggle to do that. I’m not sure. The connection’s not so obvious. The same thing — you need to love yourself before you can love others. That seems counterintuitive to me. Those kinds of interpersonal, human aspects of life, I think, are fascinating, and maybe I can say something about them.

https://medium.com/conversations-with-tyler/russ-roberts-tyler-cowen-podcast-economics-e902a6ed8434

Le ragioni del caribù e i pregiudizi della Ragione SAGGIO


Le ragioni del caribù e i pregiudizi della Ragione


Durante la caccia al caribù, i Naskapi del Labrador devono decidere dove andare. Il buonsenso consiglia di andare dove si è già fatta buona caccia, o dove amici e vicini hanno recentemente notato dei caribù. Tuttavia, la situazione in cui si trovano è simile al famoso gioco del “matching pennies”: i caribù non desiderano l’incontro e i cacciatori sì. Se un cacciatore mostra di avere una qualche strategia, tipo tornare dove ha fatto bottino in precedenza, allora per il caribù sarà più facile evitarlo e sopravvivere. In casi come questo la miglior strategia di caccia richiede randomizzazione delle decisioni.
E’ l’evoluzione culturale, non il calcolo, che fa emergere la strategia più efficiente. Tradizionalmente, i cacciatori di Naskapi decidono dove cacciare affidandosi alla cosiddetta “divinazione”: credevano che le ossa della spalla del caribù potessero indicare la via da seguire. Nel loro rituale la scapola veniva riscaldata sui carboni ardenti in un modo che causava la formazione di screpolature e punti bruciati del tutto casuali. Il prodotto finale veniva poi letto come una sorta di mappa con un orientamento  prestabilito. Questi rituali di divinazione possono aver fornito un rozzo dispositivo di randomizzazione che ha aiutato i cacciatori a schivare i loro “pregiudizi razionali”.
Scott Aaronson ha scritto molto su quanto sia facile prevedere le persone che decidono di procedere a casaccio. Poniamo che ti sia chiesto di scegliere più volte “testa o croce”: è molto semplice costruire un programma in grado di prevedere nel 70-80% dei casi cosa sceglierai (in genere il soggetto tende a sottovalutare le ripetizioni tipo testa-testa-testa-testa…). In questi casi, per essere davvero imprevedibili, la cosa migliore è avere una monetina e “delegare” a lei la scelta facendosi sostituire, esempio: se la lancio ed esce testa dirò “testa”. Ecco, i riti legati alla divinizzazione realizzano proprio un appalto del genere.
Mi viene in mente che i romani osservavano il volo degli uccelli per decidere quando e dove attaccare. Questo mi ha sempre colpito: ma davvero i generali rischiavano la vita di migliaia di soldati (nonché la loro reputazione) solo perché avevano notato uno strano uccello spiccare il volo proprio proprio la mattina dell’attacco? Ora posseggo un embrione di risposta: la guerra è un classico esempio in cui la strategia casuale può essere utile. Quando stai decidendo se attaccare il fianco destro o sinistro del nemico, è importante che il nemico non possa predire la tua decisione e inviare lì le sue truppe migliori. Se siete dei tipi prevedibili – e Scott Aaronson ci assicura che lo siete sempre, anche quando decidete di procedere a caso – la cosa migliore è esternalizzare la vostra decisione affidandovi, magari, proprio a quello strano uccello che avete visto stamattina.
CONCLUSIONE
razionalisti si chiedono sempre: come mai le persone non ragionano di più?
Come mai anche se fatti e logica comprovano ripetutamente che qualcosa non puo’ funzionare, la gente continuerà a farla?
L’antropologia culturale ci fornisce una risposta: praticamente per tutta la storia, l’uso della ragione conduce alla morte. Per questo allora la usiamo poco: per sopravvivere!
Una persona ragionevole avrebbe capito molto presto che le ossa sbruciacchiate di un caribù sono un oracolo inefficiente per prevedere il futuro. Avrebbe quindi abbandonato la divinazione, fallito nella caccia e morto di fame.
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BIOGRAFIE

BIOGRAFIE

Nonostante le leggi del successo m’incuriosiscano, non leggo mai le biografie di uomini che "ce l'hanno fatta", sono irrimediabilmente minate dal “bias del sopravvissuto”.

Tipo: “bisogna insistere per sfondare”. Ma il mondo è pieno di mentecatti che insistendo hanno inanellato un fallimento dietro l’altro e ora girano per la strada come zombi, solo che non scrivono libri. Oppure: bisogna credere ai propri sogni per realizzarli. Ma il mondo è strapieno di miserabili che hanno avuto solo il torto di credere ai loro a dir poco bizzarri sogni, altrimenti vivrebbero in modo dignitoso. Naturalmente non scrivono libri. Ma soprattutto la chicca: “chi mi stava intorno rideva di me quando parlavo dei miei progetti ambiziosi, ora li guardo tutti dall’alto”. Ma i falliti di professione incontrano di continuo gene che ride di loro e riderà per sempre di loro, e non sentono forte l'esigenza di scrivere libri per raccontare la loro storia.

E parla un ottimista!

LE TRE RADICI DI AUSCHWITZ

LE TRE RADICI DI AUSCHWITZ
1 La rivoluzione francese… e quell’insana voglia di tabula rasa.
2 L’URSS… e i problemi risolti eliminando interi gruppi umani.
3 La rivoluzione industriale… e i risentimenti sociali che ha generato.

A quanto pare l’antisemitismo è secondario.

martedì 4 giugno 2019

F pro e contro UBI ARGOMENTI LIBERALI CONTRO IL REDDITO MINIMO

conciso e preciso

http://www.econlib.org/archives/2017/02/why_libertarian_2.html

Il welfare è immorale, costoso e disincentivante?

ubi è ancora più immorale, costoso e disincentivante!

ubi abolisce il welfare? 1) lo rimpiazza con un welfare più immorale, disincentivante e costoso 2) un welfare articolato come il nostro non è rimpiazzabile, ubi si aggiungerebbe.

Postilla Manzi: ubi partirebbe semplice, subito i suoi difetti sarebbero corretti e ben presto la stratificazione delle correzioni lo appesantirebbe come un welfare qualsiasi.

lo slogan "aiutiamo chi ha veramente bisogno", tutto sommato accettabile, non prevede ubi.

https://feedly.com/i/entry/B7jw4LCucCLXhd0mcd9EmMn+sbxtNLGOdNAs60PDOTo=_16d01b62f11:40c81ca:97b0c8f7

hey, ubi aumenta i divorzi. non c'è da sorprendersi sovvertendo tutti i valori in campo.

ARGOMENTI LIBERALI CONTRO IL REDDITO MINIMO
I liberali non amano molto il welfare:
1) è immorale,
2) demotiva i beneficiati a tirar fuori la paglia,
3) demotiva i finanziatori (contribuenti) a intraprendere.
Il reddito minimo ha tutti questi tre difetti ma amplificati: è ancora più immorale e ancora più costoso.
Certo, il reddito minimo eliminerebbe un bel po’ di burocrazia, ma…
Primo, credete davvero che questo accada? Secondo, una volta in campo emergeranno i difetti del nuovo sistema e verranno apportate correzioni a cui seguiranno correzioni delle correzioni e così via. Non è nemmeno un male che sia così, si procede per errori e tentativi, in ogni caso cio’ che nasce “semplice” è destinato a complicarsi, inutile farsi illusioni.
Per tutti questi motivi sarebbe meglio abbandonare la posizione “aiutiamo tutti” per tornare alla posizione “aiutiamo chi ha veramente bisogno”.
ECONLIB.ORG
Here’s my opening statement for my Students for Liberty debate with Will Wilkinson. Enjoy. Libertarians have a standard set of fundamental criticisms of the welfare state. 1. Forced charity is unjust. Individuals have a moral…

MUSICA E GIOCO

MUSICA E GIOCO

Musica e gioco sono attività saldamente interconnesse, è il linguaggio stesso a testimoniarlo: in inglese “suonare” si rende con “play”.

Capire meglio il gioco ci fa capire meglio il mistero della musica. Diciamo allora che esistono giochi legati alla fisicità, altri alla narrazione e altri ancora alle regole. I bambini possono divertirsi correndo e saltando, oppure ascoltando delle storie e identificandosi nei vari personaggi, oppure ancora sfidandosi secondo certe regole prestabilite. I giochi più belli non trascurano nessuna di queste dimensioni. Prendi il calcio: si corre e si salta. Ogni partita propone poi una sua “storia” appassionante. Inutile aggiungere che la bellezza svanisce se i giocatori barano sistematicamente e non osservano certe regole ben precise.

Ecco, le dimensioni della musica sembrano simili: ritmo e timbro ci sollecitano una risposta fisica, la melodia propone una sua linea narrativa e l’armonia viene meglio apprezzata se si conoscono le regole che ne stanno alla base. Una buona musica sa valorizzare tutto questo potenziale.

Forse la bellezza è una sorta di equilibrio misterioso tra questi due fattori: una musica che punti troppo sulla risposta fisica si ridurrebbe ad un “allenamento motorio”, una dedita esclusivamente al racconto potrebbe essere sostituita con un buon romanzo mentre la settimana enigmistica è il miglior succedaneo alle musiche cervellotiche. Eppure a noi la musica sembra proprio insostituibile. Perché?

Magari la soluzione è più semplice di quel che si pensi: la musica è solo un gioco tra i tanti.

Il Dio dell’universo SAGGIO


Il Dio dell’universo


INTRODUZIONE
Per quanto ho letto in merito, non solo penso che non esista alcun conflitto tra l’idea di Dio e quanto sappiamo dell’universo, ma arrivo a dire che l’evidenza della cosmologia contemporanea rende in realtà l’esistenza di Dio molto più probabile.
Detto questo sto attento a non cadere nella classica trappola, sarebbe ingenuo affermare che la cosmologia contemporanea “dimostri” l’esistenza di Dio, non vi è alcun ragionamento sul Dio-tappabuchi qui. Ogni discorso scientifico è un discorso intorno alle probabilità.
Gli argomenti sulla base dei quali giungo a queste affermazioni sono essenzialmente due: 1) quello dell’inizio (big bang) e 2) quello della sintonizzazione (fine tuning).
ARGOMENTO DELL’INIZIO
All’incirca funziona così: UNO, se l’universo ha cominciato ad esistere, allora c’è una causa trascendente che l’ ha portato ad esistenza. DUE, l’universo ha cominciato ad esistere. TRE, quindi, c’è una causa trascendente che l’ ha portato ad esistenza.
C’è chi ha contestato la premessa UNO dicendo che il concetto di causa ha senso per spiegare quanto accade nell’universo ma non per spiegare l’universo. Tuttavia, perché mai fare eccezioni ad hoc? L’obiezione appare pretestuosa.
La premessa su cui di solito ci si concentra  è invece DUE. Tuttavia, ciò che è emerso durante il XX secolo è una conferma empirica notevole di questa premessa. In particolare due fatti: l’espansione universale e la seconda legge della termodinamica.
Forse vale ancora una volta la pena di aggiungere che la scienza non prova niente, sto solo parlando di fatti che rendono più probabile l’ipotesi dell’inizio, che a sua volta rende più probabile l’ipotesi teistica. La scienza aggiudica la sua palma sulla base di semplicità, chiarezza, completezza e adattamento ai dati fattuali disponibili. E la cosa più facile da ottenere è proprio l’adattamento ai fatti: puoi sempre inventarti ogni sorta di schemi elaborati per spiegare qualsiasi cosa vedi.
EVIDENZA DELL’ESPANSIONE
Poiché osserviamo un universo che si espande, i modelli più chiari e semplici che lo descrivono finiscono per implicare un inizio. Ma cosa c’era prima di questo inizio? O il nulla o una qualche forma di realtà quantica. Ma anche quest’ultima presenza non può essere estesa indietro all’infinito nel tempo, perché tale stato quantistico non è stabile e quindi prima o poi perde il suo equilibrio che è impossibile immaginare come eterno. È molto difficile escogitare un sistema – soprattutto di tipo quantistico – che se ne stia lì quieto “per sempre”. Uno stato quantico veramente stazionario o periodico, che durerebbe per sempre, non si evolverebbe mai. Quindi, l’era della gravità quantistica ha dovuto avere un inizio per poi generare 13 miliardi di anni fa il nostro universo.
In realtà, il XX secolo è una parata di modelli cervellotici che tentano di evitare l’inizio assoluto del modello standard senza molto successo.
EVIDENZA TERMODINAMICA
Per la seconda legge della termodinamica l’entropia in un sistema chiuso non diminuisce quasi mai, e l’universo è un sistema chiuso. Implicazione: dato un tempo sufficiente, l’universo raggiungerà uno stato di “morte termica”. Domanda ovvia: perché, se l’universo è esistito da sempre come ritengono alcuni, non è ora in uno stato freddo, oscuro, diluito e senza vita?
Certi scienziati cercano di aggirare la difficoltà immaginando un universo-madre come in perenne stato di equilibrio termico (caos) che, oscillando, di tanto in tanto produce degli universi-figli casualmente ordinati e destinati poi a tornare in equilibrio collassando nel caos originario. Il nostro sarebbe proprio uno di questi universi-figli.
Un tale scenario viola la cosiddetta unitarietà della teoria quantistica consentendo la perdita di informazioni dall’universo all’universo figlio, ma esiste un problema ancora più serio: i cervelli di Boltzmann (cdB).
Il cdB è un aggeggio in grado di riprodurre tutte le sensazioni che producono i cervelli veri degli uomini di fronte alla realtà. Noi ci riteniamo uomini “normali” frutto dell’evoluzione biologica ma, se accettiamo lo scenario degli universi-figli, sarebbe molto più ragionevole considerarci dei cdB: la produzione casuale di un cdB è molto più probabile della produzione casuale del nostro universo. Non c’è alcuna spiegazione nel modello per cui esista un vero universo a bassa entropia intorno a noi piuttosto che la semplice “apparizione” di un tale mondo, un’illusione prodotta da cdB.
Aggiungo che per avere un universo-figlio, si deve postulare un’inversione della freccia del tempo (dal caos, all’ordine) in qualche punto nel passato, una violazione gratuita del buon senso.
ARGOMENTO DELLA SINTONIZZAZIONE (O FINE TUNING)
La presenza di vita intelligente nel nostro universo dipende da un complesso e delicato equilibrio di costanti e quantità fondamentali, come la costante gravitazionale e la quantità di entropia nell’universo primordiale, tutte grandezze che sono “sintonizzate” in misura difficile da pensare come casuale.
Di fronte a questa realtà si possono fare tre ipotesi: necessità fisica, caso, disegno.
La prima ipotesi cade subito poiché le costanti di cui parliamo anticipano l’azione delle leggi di natura, non la seguono. L’ipotesi del caso, come dicevo, è letteralmente impossibile da immaginare. Non resta che l’ipotesi di un progetto.
CONCLUSIONE
Qualcuno potrebbe restare impressionato dal fatto che molti cosmologi sono comunque atei: come è possibile visto che dall’universo vengono tanti indizi di una presenza divina? Qui pesa un conflitto di interesse ben noto: i cosmologi restano comunque scienziati e quindi desiderosi di mantenere un monopolio del sapere, di essere la nuova classe sacerdotale. Questo è possibile solo adottando una filosofia “scientista”, e quindi atea.
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