Affrontando i temi della sessualità, la Chiesa Cattolica ricorre di continuo al concetto di “ordine naturale”, assume cioè che esistano delle “leggi morali naturali”. E qui purtroppo già comincia a perdere parte dell’ uditorio per cui “capire” è importante; in molti, infatti, cessano di seguirla su questo terreno poiché ritengono che “essere” (ordine naturale) e “dover essere” (legge morale) siano due realtà scollegate tra loro. E, in effetti, se tra “fatti” e “valori” ci fosse realmente uno iato, concetti quali quello di “legge morale naturale” risulterebbero oscuri.
Per la maggior parte delle persone la scienza ci dice come stanno le cose (“essere”) ma da cio’ non possiamo inferire le norme di comportamento morale (“dover essere”). Non esiste un nesso forte tra natura e morale, non esiste quel nesso sintetizzabile nell’ espressione “legge morale naturale”. Chi pone questo nesso, secondo i più, cade nella cosiddetta “fallacia naturalistica“.
In effetti, passare dall’ “essere” al “dover essere” è impresa ardua, non conosco tentativi di colmare il gap che siano andati a buon fine. Un giudizio di valore puo’ essere dedotto da premesse sono meramente descrittive. Faccio un esempio: se “il comunismo produce miseria e schiavitù”, non posso concludere che “il comunismo è un male”; devo aggiungere una premessa valoriale: “schiavitù e miseria sono un male”.
Inoltre, il comando etico non puo’ richiederci l’ impossibile; non puo’ cioè pretendere che le persone facciano cio’ che la natura impedisce loro di fare, questo è riconosciuto pacificamente da tutti; tuttavia, qui si parla d’ altro, e la cosa è resa chiara dal fatto che chi stigmatizza certe condotte definendole “innaturali”, lo fa proprio assumendo che chi le persegue puo’ adottarle e spesso lo fa. Nella diatriba sulla “fallacia naturalistica” il tema del comportamento impossibile non si pone.
Paradossalmente, chi recupera in modo inaspettato le posizioni tipiche della “morale naturale” è certo scientismo dedito a forgiare una “neuro-etica” fondata nella fisiologia dell’ essere umano: i nostri doveri sarebbero in qualche modo iscritti nel nostro cervello.
Di sicuro l’ alleanza tra Chiesa e scientismo su questo punto – come su qualsiasi punto – è problematica, devono allora necessariamente esistere vie alternative e più promettenti per difendere razionalmente il modello “naturalista” tanto caro alla Chiesa.
Quando un cattolico parla di “diritti naturali” ha in mente un concetto di “natura” ben diverso da quello che ha in mente lo scientista. Una regola, per il cattolico, è “naturale” se precede le regole “convenzionali”, ovvero le regole frutto di un accordo tra persone. E allora la questione diventa: possono esistere regole giuridiche di tal fatta?
Facciamo un esperimento mentale: ammettiamo che una qualche forza divina vi nomini giudici e conduca al vostro scranno Caino, colpevole di aver ucciso per invidia il povero Abele. Quale sarà la vostra sentenza una volta esposti i fatti in conformità al dettato biblico? Ci sono tre alternative: 1) potreste dire che Caino è giuridicamente innocente visto che il suo presunto crimine non è affatto un crimine poiché è stato commesso su un territorio in cui non vigeva alcuna sovranità convenzionale e senza “convenzioni a priori” non possono esserci regole da rispettare; 2) potreste invece condannarlo a dire tre Ave Marie visto che, per quanto detto al punto precedente, se mai Caino fosse “colpevole” lo sarebbe solo in senso morale e non giuridico; 3) potreste invece condannarlo ad una pena equa (reclusione o morte, questo è altro discorso).
Mi sembra abbastanza scontato che l’ uomo ragionevole scelga la terza opzione. Ma questo significa ammettere che esistano dei “diritti” che anticipano le “convenzioni” e quindi le sovranità ufficiali. Questa esistenza puo’ essere facilmente intuita grazie alle nostre facoltà razionali. Noi possiamo, oltre a intuire l’ esistenza di tali diritti, possiamo giusto abbozzarne il contenuto, difficile spingersi oltre. Possiamo condannare caino sulla base di queste affidabili intuizioni ma già quando si tratta di stabilire la pena i dubbi cominciano a presentarsi e le nostre intuizioni non ci aiutano più molto. In conclusione: l’ uomo razionale riconosce l’ esistenza di un diritto naturale di massima ed è in grado anche di abbozzarne il contenuto, purtroppo, quando deve affinare la sua conoscenza, la sua intuizione incontra difficoltà insormontabili e cominciano inevitabili disaccordi.
L’ intuizione è dunque lo strumento attraverso cui è possibile verificare l’ esistenza di un diritto naturale e anche abbozzarne il contenuto. Ma come procedere oltre? A cosa affidarsi una volta che l’ intuizione cessa di aiutarci? Non resta che affidarsi alla “convenzione”? Forse no. Forse il concetto di “diritto naturale” puo’ essere sensato anche per l’ uomo razionale che intende spingersi oltre la soglia dell’ intuizione. Nei paragrafi che seguono segnalo una via che a me personalmente è sempre parsa promettente.
In passato mi sono già imbattuto nella diatriba tra “naturalisti” e “positivisti” (o “convenzionalisti”). Lo scontro esemplare l’ ho incontrato nelle materie giuridiche laddove vigeva l’ opposizione tra “diritti naturali” e “diritti positivi”.
Ci si chiedeva se potessero mai esistere dei “diritti naturali”. I “positivisti” lo negavano poiché secondo loro l’ esistenza di un diritto che potesse dirsi tale è sempre il frutto di un intervento umano. Il diritto esiste perché esiste un legislatore che lo impone come comando. Il diritto è il parto di un’ intelligenza umana, fa parte di un corpo organico di comandi che realizza il cosiddetto ordinamento giuridico. Senza un Legislatore non puo’ esistere un Diritto; per gli stessi motivi non esiste diritto finché non esiste un Legislatore. Non esiste cioè un diritto che anticipi la figura del legislatore.
Ascoltando l’ altra campana, quella a difesa dei “diritti naturali”, l’ ho travata più intonata: il diritto nasce anche a prescindere dalla presenza di governanti visto che puo’ emergere naturalmente nell’ interazione spontanea tra individui. Cosa sono quelle consuetudini che si stabilizzano nel tempo e piano piano si trasformano in diritto codificato se non “diritto naturale”? Compito del governante, quindi, non è “creare” il diritto ma “cercarlo” e portarlo alla luce. Il diritto spesso pre-esiste al legislatore, possiamo teorizzare coerentemente qualcosa del genere e possiamo riscontrarla nella storia dei popoli.
Il diritto naturale è frutto di un’ “emersione“, il diritto positivo è frutto di una “delibera“. Il diritto naturale è spontaneo (non intenzionale), il diritto positivo è artificioso (richiede un’ intenzione).
Nei paesi anglosassoni vige il cosiddetto diritto di common law, ovvero un diritto naturale che si è formato proprio nei modi descritti. Non solo dunque il diritto naturale è rintracciabile, ma, vista l’ opera di “colonizzazione giuridica” dei paesi anglosassoni, possiamo azzardarci a dire che si tratta di un diritto che fa sentire la sua voce anche nella modernità.
Ebbene, quando la teoria è tanto chiara e l’ esemplificazione pratica tanto vasta, non vedo cosa osti ad accettare il fatto che i “diritti naturali” esistono eccome.
Probabilmente oggi nessuna società avanzata conferisce un ruolo centrale alle consuetudini, almeno come fonte del diritto. Nonostante questo ci si divide ancora su cosa sia tenuto a fare il buon legislatore. E’ preferibile il legislatore che “cerca”, “scopre” e “codifica” quanto ha scoperto o il legislatore che “crea” progettando in modo coerente? Questa è ancora oggi una domanda tremendamente sensata e a seconda che si risponda in un modo piuttosto che in un altro si prende posizione nella querelle tra giusnaturalisti e positivisti..
E’ chiaro che se ha ancora senso il concetto di “diritto naturale”, ha senso anche il concetto di “dovere naturale”. Ecco allora dimostrato che la ragione laica non puo’ ripudiare a priori l’ insegnamento della Chiesa Cattolica solo perché nei suoi testi fa appello ad un “ordine naturale dei diritti e dei doveri”.
Dicevamo che il concetto di ordine naturale interpretato razionalmente è caratterizzato nella sua essenza dal fatto di emergere dal basso. Un ordine è naturale, lo abbiamo visto, quando si realizza spontaneamente nella libera interazione tra i soggetti. In questo senso è sommamente impersonale, è una conseguenza non intenzionale dei singoli comportamenti ed è quindi estraneo ad ogni progetto umano concepito dall’ alto. Non a caso, nei paesi anglosassoni, si parla di “rule of law“: la potenza della regola è tale che anticipa l’ esistenza del legislatore e si impone anche ad esso disciplinandone l’ azione. Le regole vengono prima delle delibere.
Si capisce allora come mai, nella storia del diritto, gli innamorati dell’ “ordine naturale” abbiano un particolare rispetto per le tradizioni, esse sono il frutto di un’ emersione complessa che nessun calcolo condotto a tavolino potrebbe replicare qui ed ora, esse sintetizzano gusti ed esigenze, esse radunano la miriade di informazioni presenti in una miriade di cervelli e lo fanno in un modo che nemmeno un moderno computer potrebbe gestire. Ma oltre alla tradizione, i cultori del diritto naturale si sono sempre preoccupati di proteggere un contesto propizio all’ “emersione” delle informazioni, un contesto che favorisca la libera e spontanea interazione tra gli agenti. Senza questo prezioso oracolo sarebbe ardua una conoscenza accurata dell’ ordine naturale.
Inoltre, l’ “ordine naturale” puo’ e deve mutare seguendo il suo… “corso naturale“. Una consuetudine, per quanto radicata, non sarà mai destinata a durare in eterno. Una tradizione, nel momento in cui si fossilizza, nuoce al vivere comune anziché arricchirlo. Ma affinché i mutamenti siano correttamente indirizzati e seguano il loro “corso naturale”, occorre anche qui proteggere un contesto favorevole alla sua “emersione naturale” dal basso.
Possiamo fare un esempio che riguarda la sessualità. La cosiddetta “famiglia tradizionale” probabilmente è un’ istituzione recente. L’ uomo cacciatore era organizzato in modo diverso, più promiscuo: così come metteva in comune le risorse, metteva in qualche modo in comune anche mogli e prole. Si capisce, se le risorse vanno a tutti in pari misura è meno urgente sapere con esattezza chi sono le proprie mogli e i propri figli. Su mio figlio, chiunque sia, sarà investito sempre il medesimo quantitativo di risorse. L’ importante è avere più figli che si puo’, e infatti non mancava una gerarchia intra-clan, così come è importante difendersi al meglio dai clan rivali, magari stuprando le donne delle tribù sconfitte. Con la rivoluzione agricola e la necessità di investire a lungo termine gli uomini cominciano a differenziarsi, emerge “naturalmente” la proprietà privata e, come corollario ad essa, la famiglia tradizionale.
La “famiglia naturale (o tradizionale)”, allora, non è tale perché esiste dalla notte dei tempi. E’ tale solo perché così ce l’ ha consegnata il “corso naturale” degli eventi. Se una forza misteriosa avesse bloccato dall’ alto l’ organizzazione tipica dell’ uomo cacciatore, l’ avvento della “famiglia tradizionale” sarebbe stato ritardato se non impedito.
Ecco allora cosa differenzia le “legge positiva” dalla “legge naturale”: la prima è posta dall’ alto, da un’ intelligenza, da un governante che sovraintende alle relazioni umane. La seconda emerge dal basso grazie ai comportamenti spontanei e consuetudinari degli uomini che formano la comunità. Il governante si limita ascoprirla e a codificarla.
La legge naturale implica un procedimento di scoperta, il governante deve favorire l’ ambiente più propizio al fine che le “leggi naturali” della società segnalino nel modo più chiaro possibile la loro presenza. Chi blocca dall’ alto il fermento sociale fissandolo una volta per tutte con obblighi e proibizioni soffocanti, non puo’ dirsi un adepto della “legge naturale”.
Da quanto detto, traggo ora una prima conclusione: l’ “ordine naturale” razionalmente inteso valorizza la libertà di azione e di scelta degli agenti sociali, per questo mi risulta difficile pensare che un sistema di proibizioni possa mai essere seriamente giustificato in nome dell’ “ordine naturale”. Se un’ istituzione non è conforme all’ ordine naturale, deperirà e si estinguerà di per sé, non esiste alcuna urgenza di proibirla, mentre esiste il chiaro pericolo che una proibizione intempestiva impedisca all’ “ordine naturale” e al “corso naturale” degli eventi di emergere in modo evidente. La proibizione è invece essenziale per chi intenda realizzare un progetto umano vincendo l’opposizione altrui, e penso quindi al “positivista”, che non a caso si oppone strenuamente al concetto di “ordine naturale”.
Ma torniamo alla Chiesa Cattolica. Naturalmente la Chiesa Cattolica potrebbe sostenere che la “legge morale naturale” di cui parla è oggetto di una Rivelazione speciale di cui lei è depositaria, cosicché noi non dobbiamo “scoprire” alcunché con la nostra ragione di uomini, dobbiamo solo ascoltare le parole della Rivelazione così come ci vengono trasmesse nel suo Magistero. A questo punto, chiuso ogni discorso, non ci resterebbe che una Santa Obbedienza.
E in parte, bisogna ammetterlo, la Chiesa Cattolica dice proprio questo.
Fortunatamente, questo non è il messaggio completo che giunge al fedele. Per la parte restante, quella in cui è chiamata ad intervenire la ragione umana, vale ancora quello di cui abbiamo discusso più sopra.