State continuando ad accanirvi in un canone ossessivo di «domande» che però non poggiano su plausibili risposte, è una sorta di interrogatorio circolare senza un capo d’imputazione, qualcosa che sfugge continuamente, scivola in laterale, difetta insomma una tesi anche abborracciata che corrisponda a un j’accuse: vi limitate a spaccare in quattro il capello biondo, a cercare contraddizioni nelle risposte improvvisate e non dovute di chi, in definitiva, non è ancora chiaro di che cosa sia imputato: e allora sperate disperatamente che a spiegarvelo sia lui. Inversione dell’onore della prova, la chiamerebbe un avvocato. Cavolacci suoi, direbbero e dicono tanti altri.
Io non voglio fare il solito discorso dei forcaioli, D’Avanzo, son stufo anch’io, però tu non puoi contrapporre alla vostra omissione sulla condanna del ragazzino il fatto che altri «non hanno ricordato come il padre di Noemi è stato arrestato, condannato in primo grado per corruzione, poi assolto». Ecco, l’hai detto, è stato assolto: vuole dire niente? Oppure il fatto che sia andato per tribunali per te è sufficiente? Ma allora non sei cambiato, Beppe. Nel 1995, per la Mondadori del Cavaliere, scrivesti un libro terribile su Corrado Carnevale, «La giustizia è cosa nostra», un’accusa via l’altra: e poi l’hanno assolto in tutto e per tutto. Nel 1989 scrivesti su Repubblica, a proposito di Alberto Di Pisa, il giudice accusato di essere «il corvo» che voleva mascariare l’Antimafia siciliana, che «forse Di Pisa è soltanto un uomo frollato dalla lunga attesa di un pubblico riconoscimento, di popolarità e potere, un piccolo uomo sbriciolato dall’invidia e dalla gelosia, precipitato nel gorgo di un risentito rancore». E poi hanno assolto anche lui, mannaggia. Bene. In attesa che il tuo prossimo obiettivo sia assolto da qualcosa, ecco, vogliamo almeno aspettare che lo accusino di qualcosa