martedì 30 novembre 2010

Strenna per Di Pietro

Molti regimi non consentono il voto, altri - quelli democratici - non lo pesano. Il danno arrecato da simili lacune non è riparabile facilmente.

Ma un rimedio a questo fastidioso impiccio c' è: la corruzione.

Tralasciamo la teoria e veniamo agli esempi.

E' assurdo che sulla "proibizione del fumo" il voto di un "disinteressato" che passa per strada valga quanto quello di chi considera un affare del genere questione di "vita o di morte".

E continuiamo pure con questo esempio. Se una maggioranza di votanti svogliati proibiscono il fumo ma una ristretta e motivata minoranza di fumatori non vuole rinunciare, non si preoccupino, una via per raddrizzare l' ingiusto esito democratico esiste: si corromperanno, attraverso lo spacciatore, i funzionari addetti a reprimere i traffici illegali. Visto infatti l' interesse per la faccenda, i fondi non mancheranno. Mancheranno invece i fondi per far rispettare una legge che non interessa più di tanto a chi l' ha votata. Morale: con la corruzione, tutti vivranno più felici e contenti.

La corruzione, per questa sua virtù "correttiva", è diffusa ovunque nella storia e i più onusti personaggi che la dominano non ne andarono esenti. Si pensi solo a Pericle, Cesare, Napoleone... Altri la tollerarono, anche perchè consapevoli dei vantaggi sociali che arrecava. Corruzione, spesso, era sinonimo di prosperità.

Bacchettoni e affaristi raggiungevano il loro scopo; una corruzione discreta consentiva ad apparenza e sostanza di convivere senza combattersi in modo dispendioso.

Si pensi solo al fatto che quella che oggi chiamiamo "libertà civile" vide la luce nella Storia grazie alla compravendita di un privilegio.

La logica dunque fila, si tratta nient' altro che di un' applicazione del teorema di Coase. Ma in questa sede ad interessarmi è l' infinita sequela di avvenimenti storici in grado di rimpolparla. A metterli in fila c' ha pensato Gaspard Koenig in un libro provvidenzialmente tradotto.

Solo la morale cristiana pose in seguito un freno parziale al fenomeno.

Una coppia di personaggi storici illustra bene la logica nascosta di quel che spesso succede in termini meno macroscopici: Kurt Becher, individuo amorale, per avidità e scarso senso della legge salvò migliaia di ebrei dall' olocausto. Eichmann, funzionario dotato di moralità sinceramente sentita e grande senso del dovere, ne infornò una quantità industriale.

Il libro: Le virtù discrete della corruzione.

Capire la mente cattolica IV

Quando ELV giunge a discutere dell' "infallibilità papale" sembra davvero avere tutta la sensibilità contemporanea dalla sua parte. L' accusa rivolta alla Chiesa cattolica non fa sconti:

Nessuno non sbaglia mai, e infatti il papa vuol farci credere di non sbagliare solo quando si pronuncia "ex cathedra", ma poi definisce in modo vago questa condizione. Ad ogni modo, se l' infallibilità riguarda verità verificabili, allora è inutile, se riguarda verità inverificabili, allora anch' io potrei ritenermi "infallibile".

[...e infatti puoi farlo. Devi solo chiederti perchè in questo caso nessuno si prende la briga di contestare una simile attribuzione...]

Dopo di che ELV passa in rassegna alcuni "errori" storici della Chiesa. Si parla dell' appoggio al fenomeno della schiavitù, della discriminazione prodotta tra i sessi, dell' attacco alla scienza con il processo a Galileo...

Una lista insoddisfacente, per usare un eufemismo. E per sfiorare il merito a proposito dei destini della Chiesa Cattolica... mi si dica solo quale istituzione nella storia ha fatto di più per far sparire la "schiavitù" dalla faccia della terra. Mi si dica soltanto quale istituzione nella storia ha fatto di più per le donne. Mi si dica soltanto quale filosofo contemporaneo starebbe oggi dalla parte di Galileo, mi si dica soltanto quale scienziato contemporaneo acceterebbe le prove portate da Galileo a sostegno delle sue tesi.

Presto, occorrono altri esempi, perchè siamo rimasti decisamente a corto.

Ma torniamo all' accusa di fondo.

Notiamo innanzitutto che il Cattolico non è un relativista, pensa che la Verità esista, che ci sia una "bocca" che la pronuncia e delle "orecchie" che la ascoltano. Se la verità esiste e possiamo coglierla, esiste necessariamente anche una fonte "infallibile" da cui promana. La fallibilità della condizione terrena non è estromessa da questa visione, bensì relegata alle "orecchie".

Cristo è la fonte individuata dalle orecchie Cattoliche e la Chiesa, con il Papa suo portavoce, prolunga la presenza di Cristo sulla terra. Proclamare l' infallibilità di questa parola è abbastanza conseguenziale. Cosa si pretende dalla Chiesa? Forse una contraddizione?

ELV si lamenta poi della vaghezza con cui vengono individuati i pronunciamenti "ex cathedra".

Strano, finora, e proprio su questi stessi temi, si era lagnato dell' eccesso di "particolari" e definizioni perentorie. Ora si dedica invece ad una lamentazione di segno opposto.

Passiamo all' ultima parte dell' accusa.

Posso capisco ELV quando asserisce l' inutilità di autoproclamarsi infallibili allorchè si pronuncino verità verificabili. E infatti la Chiesa non lo fa.

Tuttavia la Chiesa ha pronunciato (e testimoniato, e vissuto) nel corso della Storia alcune verità etiche fondamentali intorno alla dignità dell' uomo. Tutto cio' non è stato "inutile", ha dato lustro, credibilità e Tradizione all' istituzione.

Questo modo di attraversare la storia rende la Chiesa qualcosa di fondamentalmente diverso da "me" o da "te" presi come monadi isolate. Per questo che "io" o "te" possiamo pure dichiaraci "infallibili" ma una dichiarazione del genere suonerebbe poco credibile se non ridicola.

Nel linguaggio del mondo il termine "infallibile" è ripudiato. Ma esistono valide "traduzioni" che faciliterebbero la comunicazione tra i due fronti.

La teoria dei giochi teorizza un accordo necessario tra le parti che decidono di discutere ad oltranza (Teorema di Aumann). Chi non è relativista puo' chiamare questo accordo "verità" e la discussione comunitaria che precede la sua individuazione "avanzamento infallibile verso la verità". La Chiesa Cattolica (universale!!) va pensata allora come "comunità" in discussione (in cammino) e la parola del Papa come tappa progressiva di questo avanzamento infallibile. Tutto cio' che appariva arrogante acquisterebbe nuovo senso anche per la mente secolarizzata.

lunedì 29 novembre 2010

Shermer affronta la "big question"

Perchè c' è qualcosa al posto del nulla?

http://www.bigquestionsonline.com/columns/michael-shermer/the-biggest-big-question-of-all

Interessante, ma per me non si tratta affatto della "big question".

Propenderei invece per: "il mondo in cui viviamo è illusione o realtà?"

Nuova luce sul processo di Galileo

http://www.msnbc.msn.com/id/39440712/ns/technology_and_science-science/

Da imitare al più presto

Se penso ad un paese civile, penso giocoforza alla Svizzera.

Democrazia più antica d' Europa, federalismo vero e non parolaio. Uno sberleffo istituzionale vivente a chi pensa ed insegna che, affinchè ci sia un "popolo", occorre condividere "lingua & costumi". La Svizzera troneggia alle spalle di questi professori saputelli a prescindere dai fatti e ci ricorda che invece basta un accordo.

Non mi stupisco quindi se in tema di emigrazione adotti una politica per molti versi condivisibile: generosità nell' accoglienza ed espulsione immediata per chi commette un crimine.

Il liberale va in sollucchero quando sente una cosa del genere. Lui disdegna punire gli innocenti (magari con dei limiti all' ingresso). Ma, per una questione di realismo, deve compensare punendo molto duramente i colpevoli.

Il referendum di ieri ha confermato questa soluzione.

Ricordo solo che la Svizzera è il paese in Europa che accoglie nei suoi confini più immigrati (in %).

A proposito, ne approfitto per ricordare altresì che nessun paese ha salvato tanti ebrei quanti ne ha salvati la Svizzera in tempo di guerra. E, nonostante le dimensioni del paese, parlo di numeri assoluti!

Meglio ripeterlo visto che Lilliana Segre, fino a poco tempo fa, girava per le scuole a raccontare la sua drammatica esperienza di respingimento proprio ai confini svizzeri. Girava anche per le Radio, per esempio a Radio Tre, per esempio a Fahrenheit, dove, come al solito, hanno preferito tralasciare i "particolari" (!?) per consentire all' uditorio di concentrarsi sulla lacrimuccia e sull' odio per i "cattivoni" che nessuno produce a getto continuo quanto riescono a fare i "relativisti".

http://www.chicago-blog.it/2010/11/29/ciapa-la-lezione-dalla-svizzera-sui-referendum-e-il-fisco-di-sergio-morisoli/

Coraggio!

La "destra" sembra a volte talmente intimorita dalla battaglia per l' ambiente da negare persino l' esistenza di un pericolo.

Eppure proprio la destra (libertaria) ha un' ideologia che le consente di elaborare policy vincenti in questo ambito. Viene da dire: "coraggio ragazzi, non dormite"!

Vediamo allora le quattro opzioni fondamentali sul tappeto a tutt' oggi in modo da poterle etichettare ideologicamente.

1 Proibizionismo: ad ogni paese è proibito superare certe soglie di inquinamento.

2 Cap & trade: ogni paese non puo' oltrepassare le soglie di cui sopra, a meno che non compri dei "diritti ad inquinare" spostando così i limiti concessi.

3 Carbon tax + sussidi: vengono tassate le attività inquinanti destinando i ricavi alla ricerca di fonti energetiche alternative.

4 Carbon tax: è la stessa tassa di cui sopra ma ad impatto zero (viene automaticamente riversata alla generalità dei contribuenti - gli "inquinati" - con un credito fiscale).

5 Resilienza: poichè dal punto di vista morale non esiste una responsabilità individuale per i danni causati dall' effetto serra, non esiste neppure una responsabilità collettiva qualora quest' ultima sia definita come sommatoria delle singole responsabilità individuali. Non resta allora che la libertà di difendersi da una minaccia seguendo il proprio ingegno. L' umanità si è sempre difesa bene (ci sono popoli ricchissimi che vivono sotto il livello del mare!) e continuerà a farlo.

La prima politica è assurda considerati i costi. La seconda è complicata e zeppa di arbitri che la fanno naufragare. La terza punta molto sui sussidi e già la mafia si strofina le mani gongolante (vedi ultimo Report). La quarta, con i suoi incentivi alla ricerca non sussidiati, è la più semplice e diretta per chi vuole far qualcosa di serio. La quinta forse è la più efficiente e realistica (per "decarbonizzarci" del 50% dovremmo inaugurare una centrale nucleare al giorno da qui al 2050) ma difficilmente le democrazie, che devono fare almeno finta di interessarsi alla vicenda, potranno mai permettersela.

Scorrendo l' elenco si passa da politiche autoritarie (sinistra) a politiche libertarie (destra). Poichè le ultime sembrano le migliori, direi che la destra ha buone possibilità di trarre una rendita politica e mi aspetto dunque che combatta in modo un po' più spavaldo la sua battaglia su questo fronte.

Tutto il resto

Bellissima.

Il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. A Cinecittà accorre una folla di madri tra le quali la popolana Maddalena Cecconi con la figlia Maria. La madre fa qualsiasi sacrificio per garantire alla figlia il fotografo, la maestra di recitazione, quella di ballo, il parrucchiere e la sarta e litiga col marito Spartaco, contrario ai suoi desideri di successo per la figlia. In seguito paga un truffatore per fare ammettere al provino la figlia: la bambina viene finalmente ammessa. Maddalena riesce a vedere la proiezione e, mentre vede la figlia che piange amaramente nella sala, l'entourage del regista si sbellica dalle risate. Indignata, si rende conto di aver sbagliato tutto e, quando la figlia viene effettivamente scelta per il film, rifiuta di firmare il contratto riconciliandosi col marito

Insomma, si affronta il tema molto attuale del "velinismo".

Ho rivisto il film con Sara e si è discusso su quale fosse la "scena madre".

[... dopo ogni film noi fissiamo sempre la "scena madre", altrimenti non ci si alza dal divano...]

Almeno tre sequenze si contendono la palma.

La prima illustra l' umiliazione subita.



La seconda il dolore patito.



La terza lo sfogo esternato.



La prima scena è memorabile, non fosse altro che, prima di rivedere il film, nel mio immaginario restava la scena finale.

Ma dopo la rinfrescata voto per la seconda. Lo sguardo perso della Magnani risulta oggi un po' troppo caricato, ma mi sembra proprio che in quella sofferenza ci sia una scoperta decisiva: l' origine dell' amore verso la figlia.

E' un amore che non dipende dalla bellezza e da nessun altra virtù esibita.

Con la marghe sperimento qualcosa del genere; quando lei non c' era ancora o stava solo arrivando, speravo tante cose in mancanza delle quali avrei fatto volentieri a meno di "tutto il resto"; ora conservo molte speranze ma capisco che le delusioni difficilmente aprirebbero una distanza o diminuirebbero l' intensità del legame; in altre parole, "tutto il resto" in realtà è "tutto".

Evidentemente l' origine dell' amore sta altrove e Maddalena lo scopre proprio su quella panchina, mentre la banda del circo apre lo spettacolo.

Sara vota la terza, le piace tanto l' idea che un amore possa rinforzarne un altro in un circolo virtuoso: "per me e suo padre è tanto bella".

sabato 27 novembre 2010

Le priorità del laico

Il laico sostiene la separazione tra Stato e Chiesa.

Ma soprattutto quella tra Stato e Scuola.

http://www.schoolandstate.org/home.htm

venerdì 26 novembre 2010

Tutti contro tutti






link

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 28.11.2010

Vangelo secondo Matteo 11, 2-15

In quel tempo. Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».

Profeti e miracoli annunciano la venuta del Cristo.

Come si puo' essere profeti oggi? Come si puo' annunciare un miracolo catturando l' attenzione dell' uomo di mondo?

Compito arduo. L' uomo di mondo crede a cio' che vede e la via migliore per parlargli è illustrare i miracoli che ha davanti agli occhi.

Il concetto di "miracolo" e quello di "abuso della ragione" sono cugini primi, ma, poichè il laureato medio di oggi fatica parecchio con il primo, meglio puntare sul secondo, in fondo è lo stesso.

Giovanni, ma anche Gesù, catturarono l' attenzione della folla evocando "miracoli" straordinari. Noi, nella nostra missione profetica, faremmo meglio a mettere nel mirino quelli più ordinari.

Gesù faceva vedere i ciechi, noi limitiamoci ad osservare bene chi ci vede, al miracolo di una persona normale. I miracoli sono ovunque.

E' difficile vedere cio' che si ha davanti agli occhi tutti i giorni. Aiutiamo il nostro fratello a farlo.

Il miracolo è una certezza inspiegabile, e nella nostra vita tutti tocchiamo con mano certezze inspiegabili. Viene subito in mente la propria libertà e il proprio libero arbitrio. Pensa solo a come la scienza sia impotente nel tentativo di renderne ragione.

Convertirsi alla libertà e alla scienza è il primo passo per convertirsi grazie ai miracoli.

Capire la mente cattolica III

Nel capitolo tre, ELV affronta il tema del primato della coscienza. Apprezzo il fatto che questo insegnamento venga riconosciuto come un "capolavoro di saggezza" uscito dalle officine ecclesiastiche. Mi associo volentieri ad un simile giudizio.

Ma veniamo alle note dolenti, ovvero alla parte critica che di seguito riassumo scomponendola in due parti:

1. La Chiesa afferma il "primato della coscienza", ma poi chiede obbedienza, le due cose sono incompatibili.

Perchè incompatibili?

Prima considerazione: si puo' obbedire senza un' adesione coscienziosa. E allora si è dannati.

Seconda considerazione: si puo' obbedire in coscienza. Allora si è salvi.

Terza considerazione: si puo' disobbedire consapevolmente. Allora si è dannati.

Quarta considerazione: si puo' disobbedire inconsapevolmente. Allora non si è dannati.

Se le quattro considerazioni sono vere, allora il primato della coscienza in realtà è compatibile con la richiesta di obbedienza. Che si obbedisca o meno la nostra sorte resta ancora nelle mani della nostra coscienza.

2. Ad ogni modo, quando la Chiesa si pronuncia, scende troppo nei particolari, cosicchè la coscienza del singolo resta stritolata.

Particolari? Qui bisogna specificare, e infatti ELV specifica. Rifaccio i suoi esempi.

"Dio è uno e trino".

Non mi sembra un "particolare", bensì un dogma fondamentale.

Nel linguaggio del mondo ci dice che Dio stabilisce un contatto con l' uomo ed entra in comunicazione empatica con lui mettendosi al suo livello. Un Cattolico deve crederlo, siamo nella sostanza del suo credo, non nei "particolari".

Per illustrare un "particolare superfluo, esempio peggiore non poteva essere portato. Ma proseguiamo.

"Dio è presente nella Comuinione del pane".

Stesso discorso di prima. Anche qui siamo nel vivo della fede. Credere nel dogma della presenza reale qui ed ora della sostanza di Cristo è importante, non è un particolare.

Poi ELV si sposta sulla morale, e qui le sue ragioni sembrano preoccupare molti credenti.

Però, essendomi occupato un pochino della dottrina sociale della Chiesa, devo ammettere di averla trovata molto "generica", tutt' altro che "paticolare". In teoria quella dottrina è compatibile sia con forme di libertarismo che con forme di socialismo spinto. Uno spettro ampissimo, dunque.

ELV, con i suoi esempi, privilegia le prescrizioni sessuali.

Molti condividono la sua sensibilità, non mi resta che far notare come a questo punto non si parli più di dogmi. Ci viene chiesto di uniformarci nell' obbedienza con i comportamenti, ma questo non ci impedisce di prendere parte in modo civile alla discussione interna alla Chiesa affinchè l' indirizzo evolva in un certo senso.

Io, favorevole al testamento biologico, ubbidisco senza per questo sentire in gabbia la mia coscienza dissenziente. Al limite sento in gabbia le mie azioni, cosa in questa sede irrilevante visto che ELV affronta il problema della coscienza.

Altri "particolari" che ad ELV non vanno giù sono in realtà formalismi cerimoniali che la Chiesa riceve dalla sua ricca Tradizione.

Dovrebbe forse snobbarli? Per giungere a questa conclusione bisognerebbe essere pronti a sostenere che per una Comunità la Tradizione non rappresenti un valore. Io sostengo esattamente l' opposto, e con il conforto ormai sia delle scienze umane che di quelle logiche.

giovedì 25 novembre 2010

A scuola si peggiora

E già a partire dalle elementari, di cui sarebbe bene sfatare il mito.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5043&ID_sezione=&sezione

Uno che durò poco-

C' è da divertirsi a seguire i dribbling, le finte e gli slalom che deve inscenare a Milano chi non ha voglia di lavorare.
Specialmente se il lavativo è un soggetto talentuoso, se i potenziali incarichi fioccano molesti e la domanda di suoi servigi preme su di lui come una cappa asfissiante.
Luciano Bianciadi era certamente persona corredata da ingegno non comune.
Era un maremmano emigrato sotto la Madonnina, durante il boom, nel vertice più palpitante del triangolo industiale.
Ma sopratutto, per la gioia di noi lettori, aveva pochissima voglia di lavorare (e molta di destabilizzare). Una pigrizia incistata sottopelle.
Bisogna spiegare meglio: aveva la fissa del lavoro inutile, lo fuggiva.
Purtroppo, nei suoi momenti più ispirati, arrivava a teorizzare che quasi tutto il lavoro fosse inutile.
Poi, per non costringersi ad una noiosa opera di cernita, finì per trovare razionale la strategia di fuggire qualsiasi lavoro.
Poichè con queste premesse gli rimaneva un casino di tempo libero, pensò bene di impiegarlo coltivando il suo hobby di sempre: far saltare in aria la Montecatini. Non è mica come ridere, è un impegno a tempo pieno.
Ma questa esplosione, più che a un delirio ideologico, assomiglia ad una visione felliniana.
La trincea ideale per combattere questa "Resistenza unilaterle a guerra finita" fu felicemente individuata nell' accrocchio di Bar e Osterie della Brera ambrosiana (esci dal Duomo, prendi a destra, poi sempre dritto, quando incontri i bassi tavolinetti delle false zingare che leggono la mano senza emettere fattura, ci sei).
Il suo "libro della vita" me lo sono letto in spiaggia questa estate sull' asciugamano, e ancora oggi lo devo sbattere per liberarlo dai granelli più raffinati dell' Adriatico.
Poichè gli ingredienti ci son tutti, non meraviglia che seguire la narrazione di questa Vita Agra sia stato uno spasso.
Però c'è un "però".
Lo spasso ha raggiunto il suo picco scorrendo la "Nota Biografica Redazionale" che immediatamente succede alla Prefazione. Un po' precoce come acme.
Attaccando invece il testo vero e proprio, dopo i primi capitoli, l' umore entusiastico si smorza leggermente fino a toccare, a volte, depressioni imbarazzanti in cui si procede con il corto remo nella bonaccia.
Come l' anonimo Redattore possa superare il blasonato Autore è mistero che merita indagare.
***
Sono partito da una flebile traccia che mi aveva insospettito fin da subito: le modalità della difesa preventiva e reiterata che il prefatore Carlo Bo faceva del suo pupillo.
Parlandone Bo aveva una fissa che, dalla smisurata pedana della sua Cattedra, ci teneva a ripetere: un pericolo doveva allertarci su tutti gli altri, quello di scambiare l' agro toscano per un guitto satirico sempre pronto a metterla in burletta. Mai e poi mai prenderlo per uno che cerchi di fare del colore con effetti caricaturali.
Questo qui era invece uno che dietro la cortina grottesca alza il suo urlo stridulo facendo vibrare una corda autenticamente esistenziale e gettando luce su un' intera epoca della storia italica.
La foga con cui Bo spingeva avanti questa avvertanza per pagine e pagine, mi aveva impensierito non poco.
***
Gli allarmi erano fondati.
Procedendo nella lettura riscontravo come il libro perdesse sempre più quota allorchè l' Autore emergeva come un satirico sempre pronto a metterla in burletta, oppure come qualcuno che cerca di fare del colore con effetti caricaturali.
Le urla esistenziali, nel frattempo, si erano rarefatte fino a sparire e l' Italia degli anni 60 giaceva avvolta in un cono d' ombra.
Cio' non toglie, si badi bene, che quel toscanaccio anarcoide e un po' scioperato, sbarcato da queste parti a pascolare pigramente tra gli impiegati delle case editrici, non sia riuscito a consegnarci un paio di acquarelli d' alta scuola nei quali illustra, una volta per tutte, il lato oscuro di noi ossobuchivori che battiamo indaffaratissimi gli uffici delle multinazionali.
Basterebbe il profilo dei "Fannulloni Frenetici" a convalidare questa tesi: "...gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce non so come, a dare l' impressione, fallace, di stare lavorando. Si prendono persino l' esaurimento nervoso...".
Purtroppo o per fortuna, Bianciardi è un battutista fulminante. Cio' si accompagna puntualmente con una sorta di "fiato corto". In più, come tutti i pigri, guarda in tralice la lunga e faticosa distanza del romanzo.
Dà il meglio di sè quando puo' inserirsi un po' parassitariamente facendo il controcanto responsoriale al discorso altrui.
Da geniale clandestino s' imbarca nell' analisi di terzi per farsi trasportare, magari sabotandola lungo il tragitto.
Le sue interpolazioni amarognole si abbinano meravigliosamente al tono ufficiale del dirimpettaio; è invece farraginoso se deve affabulare con un monologo che lo costringe a coprire ampi spazi. Cio', infatti, non è compatibile con la respirazione dei suoi piccolissimi polmoni.
Il Redattore della "Breve Biografia" ha avuto l' intuizione di offrirsi come sparring partner. Proprio cio' che cerca, rigenera e ispira uno scrittore del genere.
La necessità di una Spalla veniva soddisfatta al meglio in quella parte del libro.
Ogni intervallo della biografia ufficiale Bompiani è costellato da felici battutine del nostro che sintetizzano eloquentemente il sentimento con cui sono stati vissuti gli anni di cui si parla.
Esempio supremo il periodo di decadimento alcolista chiusosi con la consunzione definitiva. Veniamo informati che agli amici bisbigliava mesto: "...Sopportatemi. Duro ancora poco...". C' è un epitaffio migliore?
***
P.S. devo precisare che ho svolto le mie considerazioni di lettore avendo sottomano l' edizione Bompiani de "La Vita Agra".

Diseguaglianza

Volete misurarla nella sostanza?

Non guardate ai redditi, guardate ai consumi.

Anzi, guardate alla sostanza dei consumi.

Un orologio puo' costare 100 volte più di un altro senza differenziarsi granchè.

martedì 23 novembre 2010

Capire la mente cattolica II

Con il capitolo II, ELV sembra buttarla in filosofia.

Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:

1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.

In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.

Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".

Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.

Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.

Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?

Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.

Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?

D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!

Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.

Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.

Veniamo ora alla parola "credo".

Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.

Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".

Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".

E adesso la seconda accusa.

2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.

Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.

... continua...

Teoria generale del fisco

Un' introduzione chiara e di sostanza.

Soggettivismo, utilitarismo, just desert e pari opportunità.

http://gregmankiw.blogspot.com/2010/12/fairness-and-tax-policy.html

p.s. critiche all' utilitarismo: 1) richiede confronti interpersonali 2) non è sentito giusto (vedi tassa sull' altezza).

Dietro il politicamente corretto

Cosa nasconde il timore di dire "negro"? Cosa nasconde la pulsione verso il politicamente corretto?

Secondo me una diffidenza nei confronti della libertà. Ma vediamo meglio qualche argomento.

L' intellettuale politically correct, un cultore del linguaggio, vorrebbe cambiare il mondo cambiando le parole.

Vasto programma! Ma non così assurdo come potrebbe sembrare!

Affinchè sia efficiente, è necessario poter usare il linguaggio senza pensarci su troppo e chi sa piazzare strategicamente le sue trappole linguistiche puo' riscuotere una rendita considerevole, almeno nel breve periodo.

La mia critica non riguarda tanto il progetto in sé, quanto il fatto che chi lo propugna, ovvero il progressista che vive di parole, lo fa poichè esclude vie alternative molto più comode ed efficienti: quelle che fanno affidamento sui soggetti coinvolti.

È già tempo di esempi.

Ipotizzate che in una popolazione esistano solo individui "gialli" ed individui "rossi".

I primi, diversamente dai secondi, hanno una tendenza più marcata a delinquere. Non m' interessa ora il motivo alla base di questa tendenza, diciamo che si tratta di "motivazioni culturali".

Se questi sono fatti oggettivi, ben presto i membri della comunità svilupperanno un comportamento conseguenziale, e tutto ciò a prescindere dal loro "colore".

Per esempio, se un cittadino si troverà ad attraversare un quartiere "giallo", lo farà in tutta fretta e stando ben attento all' incolumità personale. Attenzione e velocità caleranno transitando per i quartieri "rossi".

Una sorta di discriminazione comicia ad operare inesorabilmente. La stessa parola "giallo" assume una non gratuita connotazione negativa.

Esempio: a parità di tutto il resto, in un colloquio di lavoro, il rosso sarà preferito al giallo. Ci sono più probabilità che il giallo sia disonesto.

Questo fatto danneggia i "gialli onesti". Come tutelarli?

Una soluzione ottimale del problema richiede di sfruttare la libertà contrattuale: il "giallo", a parità di tutto il resto, dovrà offrire maggiori garanzie al datore di lavoro. Ai "gialli onesti" la cosa non costerà granché.

Riprendendo l' esempio un po' forte ma chiaro fatto altrove: alla donna in carriera che non vuole figli costa poco firmare l' impegno a non averne.

Ma il progressista s' indispettisce pensando alla via contrattuale, nutre una diffidenza di fondo nei confronti della libertà.

Crede però nel potere delle parole e si chiede allora a questo punto se una perversione del linguaggio possa tornare utile.

E se il "giallo" anzichè "giallo" lo chiamassi "limoncino"? Riferirsi ad un "giallo" chiamandolo "limoncino" equivale a mettergli una maschera che ostacola la discriminazione.

Ammettiamo che lo stratagemma funzioni, avrà risolto il problema?

No, ha solo spostato i costi dai "gialli onesti" all' intera comunità privandola di un linguaggio efficiente.

Ora, i membri della comunità non dispongono più di uno strumento utile per fare scelte informate. Ma il progressista non sembra molto interessato a questo genere di argomenti: d' accordo, si sta male come prima, ma si sta male tutti. Il problema per lui può dirsi risolto.

Ma se il progressista politically correct accettasse alla lettera una descrizione come quella che ho appena fatto, non dormirebbe più la notte tormentato dai sensi di colpa. Lui, il cultore delle parole, ridotto a perorare il loro "taroccamento".

Ecco allora come si salva in corner: la gente è disinformata e ritoccare il linguaggio serve per compensare questa lacuna levando di mezzo le "connotazioni negative" che non hanno motivo di esistere visto che non rispecchiano la realtà.

A questo punto delle due una: o nel caso concreto le "connotazioni negative" sono giustificate, allora la ripulitura del linguaggio resta un taroccamento; oppure la discriminazione a favore dei "rossi" è ingiustificata, e allora la pulizia linguistica è inutile.

E' molto costoso stabilire se ci troviamo nella prima o nella seconda situazione. Fortunatamente non è necessario distinguere visto che la soluzione è sempre la stessa: libertà contrattuale.

Perchè infatti dicevo che il "politically correct" nel migliore dei casi è comunque inutile? Perchè anche in quel caso pensa a tutto la libertà contrattuale, quella cosa per cui chi è affetto da pregiudizi se li paga cari: chi non affitta ai neri farà magri affari, chi non assume asiatici per principio sarà mangiato dalla concorrenza. Eccetera. In questo modo i "disinformati" si "informano" sulla loro pelle, il modo migliore per farlo.

Ma il progressista parolaio, come già detto, non si fida della libertà e, prima di passare alla violenza autoritaria - bontà sua, non gli resta che provarci con i giochi di parole.

Libertarianism A-Z: arte e cultura

Chi vorrebbe una "cultura" sussidiata dalla Stato insiste sugli spillover in termini di ricchezza che genera una simile impresa.

Ma questi spillover sono tutt' altro che evidenti. Forse è più ragionevole supporre il contrario: più ricchezza, più cultura.

Probabilmente i cinesi, oggi al centro della produzione di ricchezza, domani saranno centrali anche nella produzione culturale ed artistica. Non sembra prorio che il nesso vada nel senso opposto, ovvero che la loro crescita economica improvvisa quanto impetuosa, sia spinta da una particolare diffusione di arte e cultura.

Ci sono culture che generano ricchezza, altre che generano povertà. La "cultura sussidiata", proprio per il fatto di essere tale, probabilmente apparterrà alla seconda categoria.

Ma il vero inconveniente della "cultura mantenuta" è un altro. Chi decide cosa è "cultura" o "arte"? L' arbitrio scatena una lotta senza quartiere e tutto diventa gioco per l' egemonia. Non sarà un caso se i più interessati a foraggiare la cultura sono i regimi autoritari?

Nei casi meno drammatici il tutto si risolve invece con un bel trasferimento di denaro dai più poveri ai più ricchi. Insomma, i ragazzi operai delle case popolari, con le loro trattenute in busta, mi pagano il museo zeppo di quelle opere astruse che a me piacciono tanto. Loro andranno a godersi la domenica pomeriggio sul calcio-in-culo e faranno pure il piacere di pagare i biglietti per intero, lì non sembra si generino grandi ricadute per la società civile.

***

P.S.1 Mi sono affrettato a fare questo post in occasione dello "sciopero" della cultura italiana dopo i tagli al settore. Io, da libertario, spero solo che i tagli siano veramente tali. Uno degli sport preferiti esercitato dalla "cultura con le stampelle" è quello di "pervertire il linguaggio" in modo da chiamare "taglio" anche un aumento meno generoso del previsto.

P.S.2 Ieri Moni Ovadia, anzichè raccontare barzellette ebraiche, concionava imbufalito dai microfoni di Radio Popolare perorando le ragioni dello sciopero e riversando il suo livore verso gli avversari politici. Una chicca per cui pagare il biglietto, un vero esempio di "cultura". Di "cultura dell' odio", ovviamente. In certi casi il podcast sarebbe davvero prezioso, in Radio staranno ancora asciugando la moquette dalla bava persa.

La scienza cambia idea

E' nella sua natura.

Gli esempi concreti: http://www.edge.org/3rd_culture/thaler10/thaler10_index.html

L' apriscatole

Non mi interessa il jazz, ma i jazzisti sì.

Mi interessa l' elasticità mentale che questa enclave regala a chi la frequenta.

Come potrebbe, d' altronde, non essere "elastico" un improvvisatore?

Nessuno rimbalza come lui.

Non m' interessa il Jazz, m' interessa l' improvvisazione. E' un motore che fa girare il mondo della musica. E' un bellissima crociera se la compagnia è quella giusta.

Non m' interessa il jazz quando, come un leone spelacchiato, passeggia nella sua gabbia etichettata dello zoo, qui c' è il be bop, là lo swing; m' interessa invece quando è usato come virus che contamina, che s' infiltra un po' ovunque destabilizzando l' organismo infettato.

Non m' interessa quando un rocker suona il jazz, o quando lo suona un musicista di estrazione classica, o quando vi si dedica una pop star. Tanto lo suonano male: ingenuo il primo, rigido il secondo, commerciale il terzo. Al contrario, m' interessa sempre quando un jazzista con gli attributi suona il pop, il blues, la classica, la contemporanea o il punk.

Non mi interessa il jazz come genere musicale, mi interessa come apriscatole per scoperchiare le scatole in cui si rinchiudono tutti i generi musicali, specie quelli che non m' interessano.

Nel disco che ho appena ascoltato, il genere musicale tolto dalla naftalina è il Tango. Loro sono italiani. Ma la nazionalità del pilota conta poco quando si fa il giro del mondo della musica.

Il tango te lo fanno tenere in bocca come un sommelier ci tiene un buon vino. Più che cantarlo lo decantano.

Quante cose meravigliose restano celate se non passa, a volte per caso, un jazzista ad aprirti il coperchio!



Barrio de Tango Ensemble - Barilete - Dodicilune

Genealogia: hermeto Pascoal, Caetano Veloso, Astor Piazzolla.

lunedì 22 novembre 2010

Capire la mente cattolica

A proposto di libri in pila sul comodino.

Finalmente ho avuto modo di sfogliare "Capire la mente Cattolica" di Edoardo Lombardi Vallauri, un libro che ha il pregio di lasciarsi leggere agevolmente. Quel che intende sostenere te lo dice fin dal primo rigo e se non hai capito ti fa pure lo schemino in fondo ad ogni agile capitoletto (come odio quei libri di saggistica dove le tesi sono sepolte chissà dove, anzi, magari rivelate come tesori preziosi con tanto di agnizione finale e squillo di trombe).

Peccato per quel linguaggio a volte un po' denigratorio, penso che ELV non troverà molti interlocutori finchè si riferisce alla "gerarchie" chiamandole "burattinai".

Veniamo ora alle accuse mosse al cattolicesimo italiano.

La prima è in buona parte giustificata e rispecchia anche una critica interna molto diffusa.

1. Molti Cattolici italiani sono disonesti intellettualmente, non ragionano con la propria testa e, anche se non si adeguano nella prassi a taluni precetti, nemmeno li contestano apertamente. Quando la Chiesa dice cose sbagliate fanno finta di niente. Insomma, i Cattolici italiani hanno un pessimo rapporto con la Verità.

Avevamo già trattato il tema: che fare quando non sono d' accordo con le tesi "ufficiali" della Chiesa?

La Sara, tra parentesi, trova pertinente una simile osservazione critica. E' anche un modo per dire che i ciellini sono rimasti tra i pochi a prendere sul serio il cattolicesimo.

Contrariamente a lei, essendo un po' complessato, mi scatta subito l' istinto dell' autodifesa e in questa sede vorrei sottolineare come basti davvero poco per eludere un simile rilievo.

Presento dunque due contro-osservazioni.

A) se mi affido ad un "esperto", l' importante è il mio accordo sul nocciolo. Le questioni secondarie possono anche lasciarmi nel dubbio quando non dissenziente, seguirò ugualmente i suoi consigli.

Si badi bene, una simile linea di condotta non implica "disonestà intellettuale".

Essendo poi un comportamento razionale, non implica nemmeno un "cattivo rapporto con la verità".

Molto di cio' che a prima vista viene fatto rientrare nell' accusa si smarca grazie a questo argomento.

B) prendiamo ora un' interpretazione più sfumata dell' accusa: il Cattolico italiano "predica bene e razzola male".

Per quanto un atteggiamento del genere sia deplorevole non implica necessariamente "disonestà intellettuale" o "cattivo rapporto con la verità".

Se la predicazione è corretta, il fatto di non attenervisi implica solamente una condotta peccaminosa.

Sento già risuonare la replica: ma simili discordanze non sono accompagnate quasi mai da un senso di colpa.

Faccio notare che il senso di colpa è un sentimento mentre qui parliamo di intelletto ("disonestà itellettuale", "cattivo rapporto con la verità").

Mi capita ripetutamente di cadere, e mi capita anche di non sentire come dovrei il relativo senso di colpa. Concludo pensando che non sono un buon cattolico, che sono un cattolico di serie B.

Perchè dovrei "contestare"? Perchè dovrei sentirmi "disonesto intellettualmente"?

Mi limito a constatare quanto sia "debole" e "inadeguato" come credente.

Per concludere aggiungo che il mondo contemporaneo è molto più ricco di "tentazioni", cio' significa che potremmo essere in presenza di un numero maggiore di peccati manifesti a parità di fede.

2. I Cattolici italiani non si dedicano solo alle realtà della fede interiore ma anche alla realtà concreta di tutti i giorni, questo li porta ad allearsi strumentalmente con gli "atei devoti", ovvero con coloro che, senza una vera fede, condividono però con i Cattolici una certa visione del mondo.

Francamente non riesco a trovare una difesa a questa osservazione poichè non leggo in questa osservazione alcuna "accusa".

Se l' accusa è quella di "occuparsi del mondo" e non solo del nostro cuore, allora ci si rassegni: la fede Cattolica lo esige e l' ho scelta anche per quello.

Se l' accusa è quella di allearsi con gli "atei devoti", ci si rassegni, la fede Cattolica è tra le meno moralistiche in circolazione, e l' ho scelta anche per quello. Gli atteggiamenti pragmatici sono all' ordine del giorno: meglio un fedele ad un ateo devoto, meglio un ateo devoto ad un ateo anticlericale. E via di questo passo. Un pezzo di strada insieme puo' essere fatto anche con l' "altro". Perchè no?

...

ELV prende poi di mira l' anti-relativismo della Chiesa ma secondo me lo puo' fare solo grazie al fatto che costruisce uno straw man della posizione "assolutista".

Il relativista, dice ELV, sa che "le proprie posizioni potrebbero cambiare", e questo sapere lo contraddistingue rendendolo prudente.

Io sono un assolutista, credo di professare alcune verità assolute, ovvero verità fondate in ogni tempo e in ogni luogo, eppure come posso escludere che le mie idee un giorno cambieranno? Tutto può succedere, mi limito a definire la mia posizione ora e la mia posizione è anti-relativista.

D' altronde la stessa Chiesa ha mutato opinione nel corso del tempo su diverse questioni. Come giustificare questo fatto acclarato? Non si puo' certo dire che la Chiesa sia relativista.

Bisogna rassegnarsi al fatto che Cristo è una persona da seguire passo passo nella storia dell' uomo, non un teorema da mettersi in tasca.

Mi sembra che in questo caso la definizione dei termini di ELV sia imperfetta e quindi il suo discorso viziato fin dall' origine.

Come se non bastasse, ELV si riferisce ai relativisti come a coloro che "non pensano di possedere la verità".

Ma anche i credenti non pensano di possederla in toto. Infatti ritengono che la piena verità verrà loro rilevata solo alla fine della vicenda umana.

E allora cosa marca in modo specifico le due diverse posizioni? I relativisti, molto semplicemente, pensano che la verità assoluta non esista.

In questo senso un relativista si contraddice quando ritiene la sua opinione contingente migliore di una qualsiasi altra opinione concorrente, infatti questo sarebbe un giudizio "assoluto".

D' altronde, perchè sostenere un' opinione se non la si ritiene "migliore"? A questo punto per lui non resta che trovare rifugio nelle nebbie esistenzialiste. Tutto cio' è abbastanza imbarazzante. Ecco perchè il cattolico evita il relativismo, ecco perchè lo associa al nichilismo.

... continua... lettura in corso...

Saviano disoccupato? I Prefetti entrano in campo.

Una storia vera.

Varie ragioni sconsigliano l' ingresso di un imprenditore della sicurezza nel casertano. Tanto che l' autorizzazione amministrazione per esercitare non viene rilasciata (dopo 11 anni di trafila burocratica).

I motivi lasciano esterrefatti.

Si va dal fatto che il numero di reati nella Regione è già ottimale, al fatto che la cosa potrebbe nuocere all' immagine delle forze dell' ordine statali.

A questa stregua direi che ne manca uno: e di cosa caspita scrive Saviano dopo?

Povera "povertà"

Prima del "perchè" il "come".

Povertà reale. E' la povertà, quella "vera". Quella che ci parla di chi non ha accesso a beni che consideriamo essenziali essenziali (cibo, vestiti, riparo, riscaldamento...). Bene, la parte seria del discorso è già finita, ora possiamo scatenare la fantasia.

Povertà assoluta di consumo nominale. Ci casca dentro chi puo' dedicare ai consumi una somma inferiore ad un limite fissato convenzionalmente, anche se magari quel "povero" vive in una società dove con una somma del genere è possibile soddisfare tutte le esigenze fondamentali e non solo. Mi rendo conto che degli esempi potrebbero essere utili e allora faccio entrare in scena due atori ben noti: Tizio e Caio. Dunque, poniamo che Tizio possa stanziare per l' acquisto di un orologio 5.000 euro, mentre il povero Caio solo 25. Gli orologi che acquisteranno saranno profondamente diversi, eppure in talune società entrambi soddisferanno brillantemente l' esigenza primaria di conoscere l' ora esatta in qualsiasi momento. Perchè? Ma perchè nell' abbondanza di talune società sono disponibili orologi ben funzionanti anche a 25 euro.

Povertà assoluta di reddito. Valgono i ragionamenti precedenti, salvo sostituire il concetto di "consumo" con quello di "reddito", il che, come è evidente, ci allontana ancora un passettino dal corretto concetto di "povertà".

Povertà relativa nei redditi. In questo caso è povero chi detiene redditi inferiori ad 1:3 del reddito mediano della popolazione osservata. Nota Bene: un ricco puo farsi chiamare "povero" mentre un povero puo' essere considerato "ricco". Basta che abitino in condomini opportunamente scelti. Ovvero: parole, parole, parole... La "relativizzazione" impazza nelle "statistiche democratiche", e come potrebbe essere altrimenti?

A rischio di povertà. Se volete guadagnare la scena è importante a questo punto fare attenzione e seguire una ricetta gustosa: prendete la quota di popolazione "relativamente povera", aggiungete X al fine di ottenere un' aliquota che possa impressionare la platea della conferenza stampa da convocare al più presto. Se qualcuno avrà l' ardire di chiedere lumi su quell' X arbitrario, non preoccupatevi, direte che se anche non si riferisce a poveri si riferisce pur sempre a famiglie "a rischio povertà". Il metodo funziona e porta dritti dritti sulle prime pagine dei giornali (chiedere alla Caritas).

Povertà percepita. Lo sapevate che per qualcuno basta considerarsi poveri per diventarlo automaticamente nelle loro statistiche? Come se non bastasse, i "furboni" in genere s' informano in questo modo: "si ritiene soddisfatto del suo reddito". Al "no" scatta automatico l' incasellamento tra i morti di fame.


***

La fantasia non ha limiti ma io sì. E' tempo allora di question time: come mai un concetto come quello di "povertà" è sottoposto ad uno stupro linguistico che infierisce tanto?

Ipitesi 1: chi di mestiere "allevia" la povertà, ha bisogno che ce ne sia sempre in abbondanza ed è stimolato a "lavorare" sulle parole per dare questa impressione.

Ipotesi 2: l' invidia non gode di buona stampa, meglio allora per gli invidiosi presentarsi come "poveri" se vogliono raccattare qualche privilegio.

Ipotesi 3: tutti i barbuti di casa nostra, non gli ayatollah ma i nostalgici del bell' egalitarismo d' antan, con un piccolo inganno lessicale possono continuare indisturbati le loro romantiche lotte di livellamento (verso il basso).

Vertici

La perfezione non esiste, constatarlo non diminuisce l' ammirazione per un' opera riuscita.

Qualcuno, parlando di Musica, raggiunge un suo personale Nirvana al solo sentire il nome di Bach.

Ma le considerazioni critiche su Bach non appartengono a "qualche ascoltatore isolato e fuori dal coro" ma alla visione ortodossa che si ha della musica classica occidentale: Bach perfezionò l' arte del contrappunto ma gli "italiani" si applicarono all' innovativa arte dell' espressività in musica e in questo campo ottennero risultati più duraturi e profondi del grande tedesco (faccio solo il nome di Monteverdi). Impegnati in questo sforzo s' inventarono persino l' Opera!

Sarebbe del resto assurdo pensare che "tutto" si concentri nell' arte di un uomo. Lasciamo questo genere d' idolatria alla curva sud.

E poi, Bach è stato dimenticato per secoli, forse l' umanità di quei secoli si era completamente rincoglionita? No, voleva solo qualcosa e sentiva che non poteva averla da Bach. Evidentemente Bach non ha tutto in sè.

L' architettura sublime dei mosaici bizantini è di una perfezione inarrivabile ma l' ingenuo tratto con cui Giotto segnò l' occhio del Cristo sofferente è un grande passo in avanti nella storia dell' arte. Godiamo di entrambi senza lasciarci oscurare dal fanatismo del neofita.

Godere di entrambe le bellezze non è un "mordi e fuggi", non è una voglia di saltare di palo in frasca. E' solo il segno di una mente aperta e "cosmopolita". Fabbricarsi degli idoli invece significherebbe rinchiudersi in false sicurezze.

Se poi vogliamo giocare al gioco di quale sia la vetta della musica classica occidentale, Bach ha delle possibilità ma io vedo meglio piazzato l' ultimo Beethoven (quartetti d' archi e sonate per pianoforte), una musica non esente da pecche, sia chiaro.

Così come nell' arte penso al XVII secolo, magari a Rembrandt.

E' comunque un gioco che lascia il tempo che trova. Il soggettivismo imperversa.

p.s. oggi non penso nemmeno che un ascoltatore esperto di musica classica sia particolarmente interessato a Bach o a Beethoven o a Monteverdi. E' musica che ascolta da sempre e l' iperesposizione fa rischiare produce una trasparenza, tutto è già stato detto su quel soggetto. Cio' su cui ci si concentrano veramente le sue orecchie ansiose di toccare l' arte è l' interpretazione, il modo di farle rivivere.

All' angolo!

Per supernanny l' umiliazione, nelle giuste dosi, fa bene.



Per lei un minuto d' angolo vale più di dieci prediche da dieci minuti l' una.

domenica 21 novembre 2010

Delitto asciutto

1. la sezione ritmica che bada al sodo e la violenza senza sbavature dei solisti che s' infila con precisione chirurgica nella breccia aperta. C' è un buco ma non c' è sangue, tutto sgorga già asciutto, c' è una guaina per ogni sporgenza, come nell' omicidio perfetto.

2. avete presente le cadenze piene di prosopopea di certo rock sbraitone?, quelle con il front-man che pallonzola sudato sul palco ondeggiando la chioma striata e rivoltando all' indietro i bulbi oculari? Chi assesterà la botta finale (batterista? chitarrista?)? Quella che sigillerà brano, concerto e festival? Chi dirà anche oggi "la musica è finita"?

3. splendide colonne sonore per film bruttissimi.



Ascendenze: Curlew e John Zorn.

Roberto Cecchetto - Mantra.

RC: chitarra elettrica
Francesco Bearzatti: sax tenore
Luca Bulgarelli: contrabbasso
Ivo Parlati: batteria

sabato 20 novembre 2010

La marghe cresce

Simpatici zombie

Nell' ambito di molta musica contemporanea, ma anche dell' arte, del cinema, della pubblicità, dell' architettura, non è più così essenziale saper fare qualcosa. Esistono persone che di mestiere realizzano in modo egregio quello che gli altri pensano ma non sanno fare. L' importante per l' artista diventa "pensare", in ogni caso e possibilmente prima degli altri, la cosa giusta, al momento giusto. Francesco Bonami.

Senza arrivare alla radicalità dei nipotini di Duchamp, i ragazzi della Nonplace si muovono in un "giusto mezzo" tra idee ed artigianato, spargono un po' ovinque la loro elettronica discreta con la quale ibridano a puntino il "suonato preesistente". Non contenti, ci ri-suonano pure in parallelo i loro strumenti praticando una sorta di mimesi acustica.

Qualcuno lo chiamerebbe sabotaggio, esagerati!

Il parassita si sceglie un oggetto sonoro, vi s' installa e comincia a lavorarselo.

Niente scempi, per carità, solo un felice meticciato dove il cadavere acustico di suoni d' antan torna a nuova vita nelle forme di un simpatico zombie.



Nonplace 10th anniversary edition

venerdì 19 novembre 2010

Anatomia di un soprammobile






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L' orgoglio degli Amberson

La famiglia degli Amberson è ricca e benestante. Il film descrive la sua ascesa e caduta agli inizi del XX secolo, alla vigilia della massiccia industrializzazione americana. Eugene Morgan, un giovane intraprendente, viene respinto da Isabel Amberson, che sposerà un altro uomo. Il figlio George e il suo orgoglio saranno all' origine della rovina della ricchissima famiglia...

In Quarto potere Orson giungeva alla conclusione per cui la felicità che inseguiamo sta sempre dietro di noi.

Nel marasma del castello che prende fuoco, Kane intravvede la scritta "Rosebud" sulla slitta che arde, e realizza questa verità.

Era la slitta di quando da bambino passava beato i pomeriggi nella neve davanti alla baracca. Una felicità che Kane ha poi ricercato invano durante tutto il film, nonostante diventi l' uomo più ricco e potente del paese. Ora Kane realizza: tutta la sua avidità era dettata dall' inane tentativo di la peretta felicità di quei pomeriggi.

Ma veniamo adesso al nostro film.

Georege, al contrario di Kane, sembra sapere fin da subito che il meglio è alle nostre spalle e fa di tutto per preservarlo fino ad adottare comportamenti patologici.

Che strano, in una memorabile sequenza vediamo George bambino, è un bambino dinamico e desideroso di agguantare la vita e strapazzarla. L' orgoglio produce in lui una spinta propulsiva.

Più tardi, dalla vita e dalla sua imprevedibilità, vorrà invece solo difendersi, e lo farà nel modo più sbagliato, arroccandosi nel suo orgoglio e nel "magnifico passato" che possono vantare gli Amberson. Un atteggiamento che farà morti e feriti intorno a lui.

Nel finale il Nuovo lo investirà... fisicamente.

Finirà infatti sotto un' auto (siamo alla fine del XIX secolo). Già, proprio quell' automobile inventata da Morgan, l' uomo che George ha sempre detestato senza mai nascondere il suo disprezzo, nonchè l' uomo destinato a surclassarlo socialmente grazie alla sua maggiore apertura. L' uomo che ha saputo fare i conti con il Nuovo.

Recentemente abbiamo discusso della tentazione di restare ancorati al passato e abbiamo chiamto questo autoinganno "status quo bias": lasciare le cose come stanno è la politica migliore.

Ma se il film si limitasse ad essere la narrazione di un disastroso "status quo bias", non vanterebbe la sottigliezza che invece possiede. Il film fa di più, insinua una scomoda verità: l' orgoglioso e arrognate (e stronzo) George, forse ha ragione.

A concedergli una chance rendendo l' onore delle armi è proprio Morgan in quella che forse è la scena madre del film.

Libertarianism A-Z: scuola di stato

Nella rubrichetta Libertarianism A-Z vorrei riproporre in modo succinto e in un linguaggio elementare le ragioni dei libertari nelle diverse questioni che ritroviamo ogni giorno sui giornali. Un buon libertario legge con passione il giornale ogni giorno, la sua filosofia è sempre chiamata in causa.

I libertari si oppongono alla gran parte dei proibizionismi che oggi diamo per scontati.

Ogni proibizione ha i suoi motivi e il libertario si avvale dell' economia per affermare che 1) le ragioni dei proibizionismi non sono ben fondate e/o 2) anche se per ragioni dei proibizionismi esistesse un fondamento, la libertà individuale resta comunque la soluzione migliore.

Per passare in rassegna le varie materie mi baserò sull' omonimo libro di Jeffrey Miron. Partiamo con un tema sempre all' ordine del giorno: la scuola di stato. Cosa ne pensano i libertari?

*********

Quasi tutti i paesi ritengono che la scuola vada sussidiata con fondi pubblici.

In merito si avanza l' argomento per cui un' educazione di base dei cittadini sia un vantaggio per l' intera comunità. In presenza di "esternalità" del genere, il mercato darebbe luogo ad una sottoproduzione di servizi scolastici.

L' argomento è però sopravvalutato poichè i benefici di un' educazione di base ricadono innanzitutto su chi la riceve, cosicchè possiamo dire che la magnitudo dell' esternalità è minima rispetto ai costi richiesti per neutralizzarla.

Altri avanzano argomenti paternalistici: la famiglia decide male.

Ma l' argomento paternalistico è sempre minato da almeno tre tare.

Altri ancora dicono che molti individui non possono "permettersi" la scuola.

Fosse anche vero, e nelle società ricche lo è sempre meno, questo è comunque un problema di "povertà", non di "scuola".

Ma una scuola sussidiata ha i suoi costi: chi decide cosa si studia e come? Lo mettiamo o no il crocifisso in aula? Come rispondere? La privatizzazione consente ai genitori di scegliere un' impostazione base ma la standarizzazione uniforma anche il non uniformabile.

A prescindere dalla questione dei sussidi, anche ammettendo che vadano accordati, cio' non comporta in alcun modo l' esistenza di scuole statali.

Il metodo dei "voucher" è un buon sostituto ed evita brillantemente l' interferenza della politica e dei sindacati.

Entrambe le cose, politica e sindacati, arrecano danno alla scuola. La politica porta indottrinamento (... la Costituzione è bella, la democrazia è bella, il capitalismo è da regolare, il riciclo dei rifiuti aiuta l' ambiente, la separazione stato/chiesa è auspicabile...). I sindacati portano inefficienza (la scuola diviene un luogo fatto per chi ci lavora anzichè per chi ne fruisce).

Esiste poi un' evidenza, anche se non univoca, che i voucher migliorino la qualità scolastica. Esiste anche un' evidenza inequivocabile sul fatto che i voucher migliorino il grado di soddisfazione degli utenti.

Bene, ora possiamo concludere: sebbene l' argomento dell' esternalità abbia qualche fondamento difficilmente si presenta come "overwhelming" e, d' altro canto, i costi abbondano qualora si ceda a quelle ragioni. Cio' significa solo una cosa, ovvero che il sussidio ottimo si avvicina molto allo zero.

giovedì 18 novembre 2010

Dalla nostra inviata preferita

Dalle frequenze di Radio Tre l' agenzia Austen, bruciando sul tempo l' agenzia Corona, ci ha puntigliosamente messo a parte degli affari privatissimi della Signorina Emma Woodhouse.

E' una fortuna poter contare su una simile inviata nel fascinoso pianeta degli affari altrui!

Non so come valuterà la torbida vicenda quel marpione del garante-Privacy.

Spero solo che l' eccitazione inconcludente tipica di ogni politico che si ritrova per un secondo al centro della scena globale, non sfoci nella schizoide legiferazione ad-minchiam così caratteristica di chi non sa che pesci pigliare. L' unico bell' effetto sarebbe quello di non arricchire nessuno impoverendo noi "origlianti" orbandoci dell' ultima consolazione.

So di gente che in pubblico inarca il sopraciglio puritano e si vanta di schifare certe porcherie intimistiche, gente che con iattanza sbandiera di non essersi mai chinata verso un innocente spioncino. Ma si tratta solo di sepolcri imbiancati, ve lo dico io.

Perchè poi, nel chiuso delle quattro mura, la vedi che prosciuga i succhi rilasciati dalla signorina Austen sorbendoli con un istinto famelico che in vita loro avevano riservato al solo latte materno.

E' gente che dietro la patina dell' altero disinteresse tiene tutti i radar ben azionati. E' gente di cui ogni giorno riceviamo notizia dall' Onda Verde: sono quei tali che intasano il traffico nella corsia opposta all' incidente.

Oppure si tratta semplicemente di gente sfortunata che non si è mai imbattuta nell' irresistibile profilo sinuoso del buco della serratura così come lo intaglia la signorina Austen. Eh sì! I suoi buchi della serratura sembra che ballino la danza del ventre.

Ah signorina Austen, lo so bene che avevi già spifferato tutto mettendolo nero su bianco secoli fa. Sono io che arrivo in ritardo, ostacolato dall' orgoglio viriloide che ruggisce e digrigna ogni volta che la disubbidiente manina non risponde più ai comandi e afferra un profumatissimo libro "da donna".

Mamma mia la Austen, che occhiuto e orecchiuto paparazzo, sempre nel vivo della conversazione, sempre a tempo nella sincopata danza borghese, sempre sulla notizia. Vive accosta alla bella cerchia della countryside albionica e da questa posizione di favore ci scandisce l' immarcescibile rito della mondanità di laggiù.

Io che sono un sempliciotto, spinto dalla mia fondamentale vocazione all' indifferenza e a lasciar correre, non ci arriverei mai ad isolare il principio attivo di quelle alchimie matrimoniali che la Signorina Austen invece ci serve così ben illuminate dai fari del suo set fotografico.

Con quel periodare leggiadro e ben tornito, la nostra inviata speciale, riesce a non impaludarsi nelle metafisiche proustiane vincendo anche la concorrenza di questo aspirante monopolista delle intimità più recondite.

Lo sparviero è un osso durissimo per chiunque si avventuri nell' impresa di esaurire il dicibile.

E così, dopo l' agenzia Corona, anche la snobbissima agenzia Proust è sbaragliata e deve cedere il passo.

Se mai dal parrucchiere avete sfogliato il rotocalco proustiano, vi sarete accorti che là dentro l' aria sembra ipercalorica, cosicchè pare si possa vivere solo di quella azzannandola di tanto in tanto.

Se invece hai la mala sorte di nascere donna in un libro della signorina Austen, attenta a te. Devi subito abbandonare ogni ispirata contemplazione per alzarti le maniche.

Ti tocca trottare bella mia, levarti la paglia, appassionarti di corsa al gioco combinatorio degli incontri mondani finchè non ti cattura la malia della pantofola, accasarti finchè hai qualcosa da mettere in vetrina, ricercare la sicurezza di una vita tranquilla finchè hai benzina con cui spingere in avanti la tua carcassa, inquadrarti nell' ambiente e renderti sempre presentabile finchè sei presentabile in potenza.

La scrematura è severa e in poche sopravvivono: quelle in cui la passione regge la coda alla virtù, quelle in cui ogni slancio è illuminato dal buon senso e dall' immanente ironia, quelle in cui i modi pronti e decisi, privi d' artificio, vanno a braccetto con i complimenti studiati, quelle che sanno parlare senza aprire bocca. Quelle che sanno lubrificare scovando dove si annida la ruggine. Quelle come la signorina Emma.

***

Adesso la protagonista del jet set deve fare qualcosa di decisivo (forse ha dimenticato il sugo sul fuoco) e corre via più veloce del vento e della Vento, i segugi "minori" sgommano reattivi mettendosi sulle sue piste, ma presto sbandano perdendo ogni traccia. Puoi sentire da lontano il loro confuso abbaio ormai rotto e immotivato.

Nel momento in cui i teleobbiettivi di Corona vagolano sbalestrati, ecco scattare le molle della signorina Austen che scende in campo risoluta: le sue competenti ricerche nasali inquadrano la vittima nel mirino, poi si butta per le fratte finchè, con un a-fondo magistrale, abborda l' eroina costringendola a rilasciare subito dettagliatissima intervista.

Ma che sia dettagliatissima, che si vada a fondo, che si affronti e dipani ogni cavillo, vogliamo l' encefalogramma, vogliamo un po' di pornografia (dello Spirito). E che sia pronta in coincidenza con il nostro prossimo appuntamento dal parrucchiere.

Puritani, Censori, Garanti, Metafisici, Maschioni viriloidi, Proustiani, Paparazzi coronati! Non rompete gli zebedei e lasciateci leggere in santa pace.

Sergentemagiù Rigoni

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia gli bruciasse tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività che non erano il massimo per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili incassati come stravecchi piccioni dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 21.11.2010

Vangelo secondo Luca 3, 1-18

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Un Vangelo denso che mette molta carne al fuoco e mi obbliga a scegliere.

E allora scelgo la fine: "Giovanni evangelizzava".

Di recente, l' evangelizzazione, ovvero lo sforzo per convertire al cristianesimo, non ha goduto di buona stampa.

Parlarne significava evocare il lavaggio della mente, quando andava bene; coercizioni ancora peggiori, quando andava male.

Sarà forse per questo che la Chiesa sembra oggi più preoccupata della Liturgia che non della Conversione (riferisco una frecciatina dal sen fuggita al mio parroco nel corso della preparazione al battesimo della Marghe).

Se ti voglio bene, se ho una parola che penso possa farti bene, perchè mai dovrei risparmiartela?

La ricerca della conversione è compatibile con la società moderna: si chiede solo possibilità di competere e libertà d' espressione. Il libertario non solo tollera ma esaudisce con entusiasmo a queste richieste.

Pensiamo solo alla Scuola, quanto lavoro ci sarebbe per riformare un' istituzione in cui, oggi, solo un guardiano del Potere puo' decidere chi entra per curare l' indottrinamento dei ragazzi!

Per evangelizzare bisognerebbe avvalersi di un linguaggio semplice, che sappia essere comprensibile anche a all' ateo e all' indifferente. Un linguaggio che sappia uscire dal gergo dottrinario senza tradire il nocciolo del messaggio. Un po' quello che, tra mille equilibrismi e mille incompetenze, provo a fare meditando sul Vangelo domenicale.

Il potere e la gloria

Si puo' essere Santi e Peccatori al contempo?

La nostra mente non è abbastanza multitasking per concepire qualcosa del genere. Se il peccato è pensato a dovere, non riusciamo più a perdonare il colpevole, figuriamoci a "santificarlo"!

Di sicuro comunque si tratta di una miscela esplosiva che detona nei romanzi di molti scrittori cattolici dove di continuo si mette in scena il suddetto ircovervo.

Il Santo sul bilico della superbia occupa con teatralità un posto d' onore nei libri di Mauriac, di Bernanos, di Julien Green, di Eliot.

Ora, il Tipo l' ho incontrato di nuovo nelle pagine di Graham Greene.

"... Un piccolo grande uomo, un piccolo grande prete, si sente incomprensibilmente condannato a sopravvivere come l’ultimo indegno ministro di Dio nel Messico insanguinato dalla rivoluzione..."

Nella vita quotidiana Padre X, oltre che vigliacco, è un gran pettegolo.

Quando poi nella storia fiorisce la regolare cristianofobia con allegata caccia al prete - in questo caso ambientata nel corso della Rivoluzione Messicana - per negligenza è tra gli ultimi a telare. Prima di svignarsela si rende conto però che non è semplicemente "tra gli ultimi" ma è proprio l' ultimo. Cavolo!

Tutto cio' lo inorgoglisce e, tentato dalla superbia, decide eroicamente di restare per confessare e comunicare il popolo che lo chiede sottovoce ma in massa; il prete indegno si rende così complice di questa strisciante resistenza alla solita "creazione dell' uomo nuovo".

Fuggendo di villaggio in villaggio inseguito da un incorruttibile tenente e invocato ovunque da pezzenti desiderosi del santissimo sacramento, avrebbe molte occasioni per mettersi in salvo, ma alla salvezza rinuncia: il destino lo chiama e lui, nemmeno in assenza di testimoni, puo' fingere di non sentire. L' ultimo cristiano che dovrà confessare sarà se stesso.

I "romanzi cattolici" sono infestati da vite interiori esorbitanti, c' è sempre un gran meditare sulle sorti proprie e dell' umanità, il che fa diventare laboriosa la digestione dell' opera. Solo l' investigatore dei noir si strugge nella sua consapevolezza tanto quanto il peccatore dei romanzi cattolici. Entrambi appesantiscono e fanno stagnare i libri che li ospitano.

[E' anche il motivo per cui mi piace tanto Flannery O' Connor: nelle sue storie la croce è innalzata da figuri scarsamente inclini a fare il punto della situazione o l' esame di coscienza, una forza li coglie sbatacchiando loro e i loro possibili pensieri che non vogliamo conoscere; pochi "mumble mumble" e molta trance]

Però, se lo scrittore è di vaglia, e i citati lo sono, con un po' d' impegno qualche insegnamento lo cavi.

In questo caso ben due.

1. La grandezza della Chiesa Cattolica sta nell' aver costruito un carro che procede anche quando alla guida ci sono persone indegne. [Per la Rivoluzione, tanto per dire, è diverso: non appena cessano gli "incorruttibili" il carro capotta].

2. Il concetto di "destino" non si contrappone a quello di "libertà", bensì a quello di "caso".

Good Bye Lenin

Taroccare la Storia costa una gran fatica ma per amore lo si puo' fare, e magari anche divertendosi.

Good Bye Lenin, nei toni della commedia, racconta le peripezie di chi ci prova.

Benigni ne "La vita è bella" costruisce un nazismo di cartone affinchè si possa sognare di non essere oppressi. Alex fa di più: il comunismo di cartone che mette in piedi serve per poter sognare di non opprimere il prossimo. Sarei curioso dell' operazione inversa.

L' eutanasia della fanatica mamma viene accompagnata simulando il crollo del muro attraverso le cui brecce gli occidentali finalmente potranno unirsi al sogno - i sogni e le buone intenzioni sono i veri protagonisti del racconto - del comunismo realizzato e mammificato, abbandonando così un fatuo mondo ormai al collasso e dominato dalla dura legge paterna delle merci.



Un film bellino, mi uniformo al giudizio di Davide. Ma la morale?

La mia versione: prima ci autoingannavamo... ora ci ingannano.

Un' equiparazione che striscia parallela alla storia e che risulta difficile da accettare, una morale che quindi respingo ma che il film ha il merito di proporre in modo discreto e senza vincolarci ad essa. Scommetto infatti che molte altre letture sono possibili.

p.s. Metto di seguito, in ordine sparso, i miei prossimi cineclub - chi è interessato puo' averli sidponibili in rete. Ringrazio per i consigli ricevuti.

Aguirre furore di Dio
Fight club
Grizzly man
Inception
Gattaca
La nana
Match point (woody allen)
City Island
Il nastro bianco
Thank you for smoking
Moloch (il film su Hitler di Sukorov)
...

mercoledì 17 novembre 2010

Mica stupido il ragazzo

Turi gestisce una bisca in periferia. Lo fa con competenza e sensibilità, non è uno stupido.

Gli affari vanno bene, ci si incontra almeno due notti a settimana e il denaro scorre a fiumi.

Turi sa il fatto suo e i giocatori si fidano di lui.

Recentemente alla sala principale si è affiancata una sala secondaria dove è possibile scommettere in modo clandestino. Vista la fauna che frequenta il locale è facile prevedere che sarà allettata da questa nuova opportunità.

Anche in questo caso Turi non è stato affatto stupido, l' ha pensata bene, altrochè.

Per Turi i rischi sono tanti ma il gioco vale la candela, sta mettendo via un bel po' di soldi e riesce pure a riciclarli facendo affidamento su banchieri compiacenti del Nord con cui è venuto in contatto grazie ad un tizio di Milano che frequenta la bisca.

L' illegalità è un terreno irto di mille pericoli ma ora che Turi ha imparato a muoversi su quel terreno capisce che ci sono anche mille chances, specie se sei un tipo sveglio. E Turi non è affatto stupido.

Da qualche tempo alcuni dicono che nella sua sala circolano donnine che allietano regolarmente le serate dei vincitori. Ed è proprio così, Turi, che non è stupido, ha fiutato l' affare contattando Pippo che gli ha fornito la "materia prima".

E da dove spunta Pippo? Bè, è un ceffo losco e nell' ambiente ci si conosce un po' tutti, specie se non si è dei fessi.

Pippo è un tipo poco raccomandabile ma gli affari sono affari e questi sono affari veramente notevoli. In più Pippo è una via per arrivare a killer affidabili e Turi ha sempre intorno scocciatori di cui è bene liberarsi prima che possano fare veramente danno. Bisogna farlo presto e con discrezione.

Ora poi il buon Pippo ha avanzato anche proposte per una nuova joint venture, si parla di droghe, roba che rende, non bruscolini. I due vogliono allargarsi, mica sono degli stupidi.

E' un campo minato, il rischio è alto. Ma Turi è già dentro fino al collo, quel rischio non lo spaventa come spaventerebbe un principiante, lui ne gestisce già parecchio e questo è solo una piccola giunta che contribuisce a diversificare il rischio complessivo. Alla fine il rischio complessivo per lui diminuisce anzichè aumentare. Razionale il nostro Turi, nevvero?

E poi ormai è uno del ramo, ovvero, è un rischio che governato dalla sua esperienza si riduce considerevolmente.

Ma le assicurazioni non bastano mai e la migliore assicurazione in questi casi è la corruzione. Con la corruzione ti assicuri su tutto.

Turi già stipendiava la polizia di quartiere, ora, per essere lasciato in pace, guarda in alto, alla politica, e comincia a riciclare lì una parte dei profitti. Ne vale la pena e Turi, non essendo stupido, lo sa.

Le nuove conoscenze gli consentono di manovrare anche gli appalti, ne girano parecchi in una Regione come quella in cui vive ed opera Turi, una Regione alluvionata da sempre con l' elemosina di altre Regioni. Nessuno si sorprenderà se dirò che Turi, da un giorno all' altro, si butta nell' edilizia.

Il lavoro non manca di certo ma le scartoffie lo opprimono e le tasse limitano la rendita. La soluzione è subito pronta: un bell' unguento ad Agenzia Entrate e Ispettorato del Lavoro e il gioco è fatto. Turi non è scemo, per altre ragioni possiede tonnellate di quel miracoloso unguento e nessuno come lui sa somministrarlo. Lo fa da sempre e le economie di scala per certe cose pesano.

Ora finalmente si puo' lavorare in nero cosicchè i ricavi lievitano. Al resto ci pensa la concorrenza sleale di cui Turi puo' godere. Mica stupido il ragazzo.

Turiddu è ricco e felice, oltretutto non manca l' opportunità di arrotondare.

Le banche abbandonano proprio le imprese più bisognose, che vigliacche.

Nessuna paura! C' è Turi, lui presta... con tassi a doppia cifra (mica è stupido)... ma presta.

Alle frontiere diversi disperati chiedono di entrare, e sono pure carichi di denaro. Non saranno carichi d' oro ma loro sono in tanti e portano con loro i risparmi di una vita. Turiddu subodora l' affare e si butta nel ramo dell' immigrazione clandestina. Le conoscenze giuste le ha già.

A proposito di conoscenze, visto che Turi ha dovuto approfondire i rapporti con la polizia di confine, già che c' è mette su un bel contrabbando. Uno solo? Visto che non è stupido ne mette su due, anzi tre, anzi quattro...

Domani ci sono le elezioni ma Turi snobba la politica, non snobba invece i politici che foraggia regolarmente ricevendo in cambio i loro servigi.

Vince Bronko che entrerà in carica l' indomani.

Alle 8.00 di mattina, appena dopo l' insediamento, viene emanato un decreto legge urgente di sole 9 righe. E' un "decreto anti-mafia" e Turi dovrebbe leggere con attenzione tutte e nove le righe.

- bische liberalizzate;

- scommesse liberalizzate;

- prosituzione liberalizzata;

- usura liberalizzata;

- droga liberalizzata;

- corruzione liberalizzata;

- elemosina tra Regioni azzerati;

- tasse decimate;

- deregolamentazione del commercio;

- tariffe doganali abolite.

Quand' anche Turi non si interessi di politica, questo genere di politica s' interesserà molto presto di lui.

E Turi, che non è stupido, lo capisce.

La sua destrezza di criminale lo portava ad essere il migliore in quei campi, ora che la destrezza da criminale non serve più per certi affari, sarà ancora il migliore?

Cosa resta a Turi? Il campo delle estorsioni? Inutile rischiare la galera per quattro misere lire, Turi non è uno stuipido.

Cosa resta a Turi? Il campo del riciclaggio? Ma praticamente nessuno ha più niente da riciclare?

Forse gli resta la sua capacità di corrompere. Mmmmm con così poche regole il grasso non cola più da quelle bistecche. Con 10 regole ci sono 10 motivi per corrompere ma se la regola è una sola?

Le regole sono diminuite e gli anni di galera sono aumentati, meglio lasciar perdere.

Le regole sono diminuite ma la polizia è rimasta la stessa e si dedica in massa a far rispettare le poche regole rimaste. Meglio guardare altrove.

Turi non è stupido, e l' ha capito.

In realtà a Turi qualcosa è rimasto: la sua non-stupidità.

Nei settori dove lavorava prima aveva maturato un' abilità che andava al di là delle protezioni criminali di cui godeva. Sono mercati giovani e gli ex-onesti non possono essere esperti quanto gli ex-criminali come lui.

Lui sa scegliere la "roba" migliore, le sue donnine sono uno schianto e i suoi locali sono sempre i più accoglienti. Si è dimostrato umano con i mutuatari e loro ancora si rivolgono a lui. Turi conosce i suoi polli.

Turi non era uno stupido, ci sa fare anche nei suoi campi specifici. Solo che oggi si dà da fare nella legalità.

Se non si è stupidi si capisce al volo quel che conviene e a Turi conviene diventare un ex-criminale a tutti gli effetti.

Paga poche tasse per il semplice fatto che le tasse sono poche, i suoi affari prosperano anche più di prima poichè puo' farli alla luce del sole risparmiando parecchio: non serve più alcuna polizzaper i rischi più seri.

Oggi è uno dei maggiori contribuenti del Paese, un Paese che va avanti grazie anche a Turi, un Paese che deve dire grazie se Turi non è uno stupido.

Era un demonio ed è diventasto un eroe civile. Mica stupido il ragazzo.

***

Conoscete Roberto Saviano? E' uno scrittore importante che ci ha raccontato la Mafia.

In fondo la Mafia che ci racconta Saviano la conoscevamo già.

Eppure una cosa nuova Saviano ce la dice, ci dice: i criminali mafiosi non sono degli stupidi.

Saviano ci narra di questa intelligenza del crimine parlandoci in lungo e in largo dei suoi investimenti e della capacità di fare affari.

Saviano è molto allarmato quando dice che il crimine non è stupido.

Strano perchè nel mio apologo è proprio facendo leva sulla non-stupidità del crimine che si trasforma l' inferno in un paradiso.

Io, al contrario di Saviano, tiro un sospiro di sollievo sentendo che il crimine non è stupido, cio' sigbifica solo che c' è una concreta possibilità di salvezza. Reputo che sia abbastanza stupido non capirlo e non rallegrarsi a questa buona notizia.

Mi sembra che sia diventato inutile aggiungere qui il mio giudizio su Saviano, a prescindere dal suo coraggio.

Meglio puntare sull' intelligenza dei criminali o sulla loro "conversione"? Saviano e Bronko fanno in merito scelte differenti, non c' è che dire. Una legge in meno a volte è meglio di mille prediche.

***

P.S. questo post è ispirato alle parole che Roberto Saviano ha recentemente riservato a Gianfranco Miglio e mira a mettere in evidenza come il giovane probabilmente non comprenda i pensieri del vecchio saggio in tema di mafia e mettendolo alla berlina non aiuta nemmeno gli altri a farlo.

Riflettere per anni

Parlando di Robin Hanson:

"... ancora secondo Robin, i soldi che le società avanzate spendono per l' assistenza sanitaria sono sprecati. Giacchè i medici uccidono tante persone quante ne salvano, vivremmo altrettanto a lungo anche senza di loro. Tutto questo sa un po' di follia ma il fatto è che i dati, oltre un certo livello, non mostrano alcuna correlazione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, tra spesa sanitaria e aspettativa di vita...

... Bryan Caplan, altro mio amico e collega, la mette così: "Quando l' economista tipo mi illustra la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è "Ah... forse". Poi l' accantono per sempre. Quando è Robin Hanson a illustrarmi la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è: "No, impossibile". Poi ci rifletto per anni".


Tyler Cowen - No crac.

martedì 16 novembre 2010

Mi sono preso un po' di tempo per leggere lo pseudoromanzo "Se una notte d' inverno un viaggiatore...". Lo dico a giustificazione della tardiva replica. D' altronde il forum serve anche a questo: fornire pretesti di lettura.
A quanto pare anche il romanzo di cui parliamo ha funzionato bene sopratutto come pretesto. Pretesto per un dibattito serrato intorno alle nuove scritture dell' epoca.
Calvino fa partire dieci storie come fossero dieci treni che sfumano all' orizzonte e di cui presto perderemo le tracce. Forse vuole catturare la naturale benevolenza con cui ogni lettore si equipaggia nell' accingersi a prendere in mano un libro. Solo che questo caso è diverso: io-lettore so in anticipo che oltre all' attacco non ci sarà nulla, che i treni sono diretti in un non-luogo.
D' altronde la figura del lettore non sembra in cima alle preoccupazioni di Calvino. Lui è concentrato sullo scrivente, sulla fonte dell' affabulazione: propone il suo racconto come un ponte sul vuoto e procede in cerca di fortuna buttando avanti notizie e sensazioni per creare uno sfondo di rivolgimenti tra i quali spera presto o tardi di aprire un varco.
"Mi faccio largo nella profusione di dettagli che coprono un vuoto di cui il mio slancio di scrittore non vuole accorgersi". Devo ammettere che aderisco a queste sensazioni solo grazie alla mia minuscola esperienza di scrivente, ma, in quanto lettore, rimango estraneo.
Il laccio che mi lega alla storia è sempre lasco, salto pagine su pagine e quando riprendo a leggere non mi pento mai dei buchi che ho lasciato dietro di me. E' la classica sintomatologia di chi ha tra le mani un testo sperimentale. Alla fine i capitoli più interessanti sono quelli che descrivono la cornice, ovvero quelli più esplicitamente metaromanzeschi. E non si puo' nemmeno dire che producano un anticlimax, visto che non c' è traccia di atmosfere da "rompere".
In fondo Calvino non ha nulla da dirci e paga cara questa lacuna. Non capirlo è stata l' ingenuità delle nostre avanguardie recenti.
Questo "nulla" a volte appare nella sua fredda luminosità da galleria degli specchi, altre volte viene occultato alla bell' e meglio da una saturazione di storie che, come avvoltoi, girano intorno a quella principale costituendo una perenne distrazione per chi racconta, specie per chi non ha particolari urgenze di dirci qualcosa, e Calvino appartiene proprio a questa schiatta. Alla fine la moltitudine di favole in campo non produce sinergie ma solo straniamenti.
Quanto al nostro discorso sulle allegorie, sono sempre dell' avviso che l' idea di vedere questi testi come neo allegorici, per quanto vada presa con le pinze, sia una buona intuizione, anche se mi permetterai di buttare lì una riserva.
Posto che l' astrazione allegorizzata dovrebbe essere la Scrittura, Calvino non dà mai l' impressione di volersi realmente affrancare dal suo mondo, al limite ci resoconta i segni di quel movimento invisibile che è la lettura: la rotazione di uno sguardo che scorre un rigo, il balletto della pupilla tra il nero delle parole... Cio' lo rende piuttosto improduttivo come fonte di allegorie propriamente dette.
Rendiamo comunque omaggio all' amore per i libri che aveva questo autore, e ai mille pretesti inventati da una fantasia sbrigliata per passarci insieme più tempo possibile.