Nelle considerazioni che seguono cerco di porre in relazioni tra loro concetti fondamentali come arte, vero, bello, linguaggio, filosofia, estetica e spiritualità.
Il Velotti compie un excursus attento nella produzione dei filosofi analitici che si sono occupati di estetica.
Sarebbe meglio dire di "filosofia dell' arte" visto che uno dei loro maggiori contributi è rappresentato dall' emarginazione del bello. Detto altrimenti: trascuriamo la valutazione (è un' opera bella o no?) e concentriamoci sulla descrizione (è arte o no?).
I filosofi analitici, per applicare i loro metodi caratteristici, riducono l' arte a mera "rappresentazione" in modo da poterla manipolare quale fosse un linguaggio. A quel punto cercano di capire cosa differenzi il linguaggio dell' arte dai linguaggi ordinari.
Ma la scienza ci dice che l' arte è probabilmente un "linguaggio abortito". L' arte è un cadavere lasciato per strada dal processo di formazione del linguaggio. Il "prodotto di scarto" nella lavorazione del linguaggio autentico.
Se prendiamo sul serio la diagnosi evoluzionista e vogliamo dare un valore esistenziale all' arte, dobbiamo concludere che cio' che conferisce valore all' opera non è il suo specifico linguistico. In questo senso i filosofi analitici forniscono un contributo per molti versi insoddisfacente.
Alternative?
Consideriamo l' arte per quello che è: un linguaggio monco. O meglio, un linguaggio mal funzionante ai meri fini rappresentativi. Un linguaggio vago.
Consideriamo anche che i linguaggi più avanzati conservano una certa vaghezza, e non solo perché non hanno conseguito la loro perfezione ma perché esiste una funzione propria della vaghezza linguistica.
Forse i virtuosismi dell' arte sono riconducibili ai virtuosismi richiesti da chi vuol sfruttare al meglio la vaghezza nei linguaggi raffinati.
A questo punto bisogna chiedersi che funzione abbia la vaghezza nei linguaggi raffinati.
Ne vedo essenzialmente due.
La prima è una funzione sociale: tenere assieme autorevolezza e reticenza.
Il bene comune richiede spesso che una persona autorevole proclami ad alta voce qualcosa di falso, o per lo meno di "non vero". Ma proclamare il "non vero" è diffamante, per cui, per il bene della comunità, si rende necessario tenere insieme cio' che non puo' stare insieme, e a questo ci pensa la retorica del linguaggio vago.
La seconda è una funzione conoscitiva: se sono troppo preciso mi sbaglierò e un errore evidente porta allo scarto del mio contributo: avanti il prossimo (senza che questo prossimo abbia alcuna indicazione di come procedere). Invece, puo' darsi che la mia indicazione, per quanto errata, possa fornire un contributo a chi mi segue. Perché vanificarlo? Un linguaggio vago consente di non accantonare semplicemente come "errato" un certo tentativo, salvando quindi cio' che in esso c' è di costruttivo.
Esempio: se dico ad un robot: "portami le scarpe marroni", lui, avendo una concezione precisa di "marrone", non troverà scarpe di quel colore e me ne porterà un paio a caso. Se rivolgo lo stesso ordine ad una persona che condivide con me anche la parte "vaga" del linguaggio non troverà le scarpe che gli chiedo ma mi porterà comunque delle scarpe che sono "vagamente marroni", correggendo in questo modo al mio errore e contribuendo alla scoperta delle scarpe che mi occorrono associandosi nella ricerca.
A proposito di funzione conoscitiva, recupero in questa sede un ulteriore informazione che ricaviamo dalle discipline scientifiche: l' arte si coniuga con il rito, il quale a sua volta realizza il legame sociale attraverso giuramenti di fedeltà prolungati. La fiducia, e quindi l' autenticità dei giuramenti, è fondamentale nelle società primitive. Dire "lo giuro" è facile, e quindi è facile anche mentire. Ma dire un "lo giuro" in un rito che duri ore ed ore, stando costantemente sotto l' occhio della controparte che giudica il nostro coinvolgimento in cio che facciamo, è molto meno facile. Ecco allora un' altra funzione dell' arte che la lega alla ricerca di verità.
La nozione di "linguaggio vago" ci consente di fare considerazioni su tre temi tanto cari agli analitici:
1) l' "intentional fallacy" (l' irrilevanza delle opinioni dell' autore sulla sua opera) va riabilitata: il segnale vago trova il suo compimento lontano da chi lo ha emesso.
2) L' "isomorfismo" va riabilitato essendo una tecnica che esalta il richiamo vago alla realtà esterna rispetto al simbolismo più adatto a caratterizzare un linguaggio analitico.
3) Il "realismo" va riabilitato: non si puo' essere vaghi senza un riferimento esterno.
Il concetto di "linguaggio vago" ci consente di abbozzare una risposta alla domanda canonica "cos' è l' arte?" (giudizio descrittivo. Ma ci dice qualcosa sul "bello" (giudizio valutativo)?
In effetti senza il giudizio valutativo l' ipotesi espressa mantiene un' altra tara tipica delle ipotesi analitiche concorrenti: cosa distingue l' arte da quel sottoinsieme di oggetti e azioni ordinarie che mantengono ed esaltano anch' esse la vaghezza di linguaggio?
Quando Draghi dice che la BCE interverrà con il torchio qualora l' euro sia in pericolo punta sull' effetto annuncio e sulle aspettative che crea utilizzando un linguaggio vago (non sappiamo quando, come e se interverrà sul serio). Ma l' azione di Draghi non è certo un' opera d' arte. Evidentemente non lo è perché non è apprezzabile da un punto di vista estetico. Ed ecco allora che l' estetica, dapprima espulsa dalla porta della filosofia analitica, rientra dalla finestra.
Un oggetto è artistico quando è X, Y... Z e in più è "bello". Bisogna quindi stabilire i criteri di giudizio estetico, non si scappa.
Già porsi questa domanda è un attentato al relativismo estetico: una volta che avrò una teoria in merito non potrò più dire che una teoria vale l' altra. Da questa considerazione discende che:
4) il relativismo estetico va accantonato in quanto non congruente con la presenza (necessaria ai fini definitori) di criteri estetici, qualunque essi siano.
5) La presenza di criteri oggettivi ripristina la ragione come facoltà implicata nell' apprezzamento estetico dell' opera d' arte.
L' artista esprime la sua verità, e per dirla impiega un linguaggio vago. Ma se l' artista vuole produrre il bello deve anche mettere in campo delle abilità gratuite. Draghi è abile ma non è gratuito. Il bambino e il folle compiono gesti gratuiti ma non posseggono un' abilità preminente.
Veniamo al caso Duschamp, ovvero al caso dell' arte contemporanea.
A questo punto qualcuno potrebbe affiancare Duchamp al folle e al bambino. Operazione indebita, secondo me. E' vero, Duchamp non mostra abilità particolari nel produrre le sue opere ma mostra un' abilita prodigiosa nel produrle a tempo debito nel luogo adatto. Cosa che manca sia al folle che al bambino. Le opere del folle e del bambino sono in realtà opere di Dubuffet (per esempio).
Cosa ricaviamo da quste considerazioni?
6) innanzitutto che l' artista non è un filosofo: le abilità extraconcettuali, in lui, sono fondamentali.
Ultima questione: a cosa serve all' arte?
Poiché l' arte è gratuita non serve a nulla. l' arte è autonoma. Ma essere "inutili" non è certo un merito, anzi. Il mero virtuosismo lasciato a se stesso (l' esibizione di abilità) realizza un' arte marginale.
Diremo allora che
7) il fine dell' arte è spirituale. Il nomnalismo dell' arte va respinto poiché l' arte rinvia ad astrazioni.
L' arte è una rappresentazione metafisica del mondo o di una fetta di mondo. Una teoria del tutto che rinuncia alla precisione.
Ultima questione: ma quando un' opera è bella?
Raccogliamo le idee: l' arte usa la vaghezza e la vaghezza è funzionale alla ricerca di verità. Anche gli spossanti rituali dei popoli primitivi - che molti considerano proto-arte - erano funzionali alla verità. L' arte inoltre resta una rappresentazione, per quanto isomorfa, una rappresentazione per lo più attraverso lo stile (abilità), una rappresentazione di realtà metafisiche (anti-funzionalismo). Quindi:
8) L' arte è bella quando è vera. Quando la sua rappresentazione è felice e fedele. O per lo meno se ci aiuta nella ricerca del vero.
E tutto cio' indipendentemente dall' autenticità delle intenzioni originarie.
Anche per questo non dobbiamo lasciarci spiazzare dal fatto che non ci riconosciamo in nulla di cio' che dice il grande artista sulla sua arte ma anche in generale sulla vita o sulla politica.