Sono ancora proponibili delle prove in grado di indirizzare la ragione verso Dio? Io penso di sì.
PROVA COSMOLOGICA. Swinburne: Dio è la spegazione più
semplice (*). Vedi anche il
Kalam argument riproposto da William Lane Craig.
PROVA LOGICA: da Anselmo a Godel, fino a Berti, gli apologeti non mancano.
PROVA TELEOLOGICA (VERSANTE ANTROPICO): l' esistenza dell' universo e la sua comprensione costituiscono una
coincidenza che giustifica la fede. Ruini scala la montagna da questo versante.
Il filosofo di riferimento sul punto è John Leslie.
PROVA TELEOLOGICA (VERSANTE PLATONICO): la sorprendente intelleggibilità dell' universo ce lo fa pensare come una
realtà matematica e in quanto tale una realtà pensata da una mente (Landsburg e Tagmark ferrano questo versante senza giungere in vetta).
PROVA TRASCENDENTALE: poichè constato che le cose (fisica, etica...) hanno per me un
significato (e non solo un senso) ne deduco l' esistenza di un "riferimento" divino. Oggi va per la maggiore, vedi Minossi.
PROVA MORALE: Una
morale oggettiva esiste, da dove viene? Huemer trova le parole migliori per trattare perlomeno la prima parte dell' argomento. In ambito analitico s' impone il nome di
William Sorely.
PROVA GNOSEOLOGICA: Dio e le altre
menti. Da leggere Plantinga ma anche le semplici e cristalline intuizioni di Ambrosetti.
PROVA PROBABILISTICA: Pascal è sempre lì ma un
bayesiano come il cardinale Newman costituisce un inizio ancora migliore.
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Oggi il cristiano si scontra con un muro d' indifferenza quando non di derisione, al più è tollerato se le iniziative a cui dà vita hanno un qualche rilievo sociale, in questo caso si accompagna la pacca sulla spalla con queste parole: "sei un tipo un po' inquietante ma finché ti comporti bene puoi convivere con noi". Tutto cio' lo richiama a una difesa delle fede e se questo è vero per noi, figuriamoci per i nostri figli domani.
Come portare allora qualche argomento a difesa della fede che suoni sensato anche alla controparte? Come deve spiegare cio' che è e cio' che fa a chi sembra vivere su un altro pianeta? Come puo' parlare della sua fede in modo seducente senza edulcorarla? Come deve impostare la sua apologetica?
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Di seguito faccio le pulci a quattro figure di credente. Nonostante le mie succinte critiche si tratta di figure per molti versi ammirevoli, e lo voglio dire subito per evitare ogni equivoco. Solo che con le loro modalità non rispondono al bisogno a cui vorrei far fronte: guadagnarsi il rispetto sincero dell' ateo mantenendo ferma la dottrina.
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La ragione insita nell' atto di fede è stata a lungo screditata da chi ha puntato su un
fideismo talmente semplice da affascinare soprattutto i "semplicioni". Senonché, oggi, la massa non è composta né da colti né da semplicioni, bensì da un ideal tipo che incute timore: l' acculturato.
L' acculturato segue "duci" come Augias, avete presente? L' acculturato, se da un lato non si beve tutto, dall' altro non ha nemmeno tempo e voglia di approfondire sospendendo prudentemente il giudizio.
Nulla va lasciato in sospeso. L' acculturato dà un senso alle sue prolungate immersioni nel mare dei mass media, delle librerie e dei festival solo se riesce a guardare dall' alto in basso i pochi sempliciotti rimasti sulla piazza, e spesso li trova nelle Chiese che ama frequentare e punzecchiare.
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Altri credenti pietiscono l' ascolto dell' uomo moderno puntando sull' etica. Potrei chiamarli
eticisti.
In questi casi l' equivoco è sempre in agguato: l' etica non è la fede! La morale serve al fedele giusto per rendersi credibile di fronte all' infedele al fine poi di "evangelizzarlo".
Chi punta sull' etica finisce troppo spesso per dimenticare la fede, esita nel compiere il secondo passo, l' unico che conta.. La lusinga che deriva dal sentirsi riconosciuti lo appaga e lo blocca. L' evangelizzazione, unica meta, è accantonata. Peggio, è sentita quasi come un' offesa arrecata al prossimo che ci ha concesso un' ammirazione che non vogliamo mettere in pericolo. Molto meglio vestire i confortevoli panni dell'
amico di tutti.
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A mezza strada tra il fideista e l' eticista si pone l'
esistenzialista, costui sintetizza pregi e difetti dei primi due. Il ciellino-tipo potrebbe rientrare in questa categoria.
Completamente coinvolto in quello che fa, è capace di gesti generosi; si butta a testa bassa nell' esperienza di fede per viverla fino in fondo senza tralasciare nulla. Tutto cio' è cosa buona e giusta ma spesso ci si dimentica dell' altro (dell' infedele) e della sua diversa sensibilità.
L' "altro" resta spiazzato di fronte al fervore dell' "esistenzialista": com' è possibile tanta indemoniata energia al mondo d' oggi? Comincia a sospettare una qualche forma di "integralismo", o di "settarismo", o di "lavaggio della mente" e scappa tra l' ammirato e l' impaurito per tanta sicumera.
La posizione esistenzialista ha un difetto: pretende troppo. Ci si chiede di vivere come se Gesù fosse presente qui ed ora in questa stanza, non è affatto facile vivere così ogni giorno senza assumere qualche droga.
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Veniamo all' ultimo "tipo" di fedele: il colto ortodosso. Ebbene, in tutta sincerità penso che la ragione sia maltrattata anche da chi si rifugia nell' ortodossia del
razionalismo tomistico. In questi casi la fede è ricavata da un freddo esercizio solipsistico condotto a tavolino, un gioco che lascia sempre più indifferente l' indifferente.
Costui si chiede: se la fede è un teorema come mai tanti pareri diversi che provengono da teste tutte stimabili?
Non ricevendo risposta, l' "indifferente" va a fare shopping stabilendo il centro commerciale come sua nuova Chiesa.
Non si puo' parlare all' infedele ricorrendo a concetti atemporali. Io non riesco a parlare neanche a me stesso con concetti del genere, molto meglio le analogie prese dal nostro mondo (e quindi temporali). Il tomista descrive perfettamente l' inferno ma chi lo ascolta immagina l' inferno come una realtà temporale e si scandalizza. E' normale che sia così.
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Vengo subito alla parte propositiva del post e introduco l' ultimo tipo di credente, il "probabilista", è quello che mi convince di più, non lo nego.
Per lui nel discorso sulla fede deve valere né più né meno quel che vale nel discorso sulla vita: ognuno di noi ha delle intuizioni da cui parte e che aggiorna via via a seconda delle informazioni che riceve vivendo. La fede cambia e fedi diverse sono giustificate purché si sappia che si progredisce convergendo.
Ecco allora che ci formiamo delle opinioni su Dio nella stessa maniera in cui ci formiamo delle opinioni sul concerto che abbiamo ascoltato o sul campionato di calcio che seguiamo con passione. Utilizziamo le medesime abilità cognitive e siamo minacciati dalle medesime dissonanze.
In altri termini, la fede è un' espressione del nostro buon senso, basta scegliere le giuste analogie per comprenderla e farla comprendere.
Il probabilismo è un razionalismo moderato e dialogante poiché rende conto del fatto che io e te possiamo essere entrambi persone ragionevoli anche mantenendo posizioni (al momento) differenti. I nostri "a priori", che dipendono dalle diverse esperienze da cui proveniamo, spiegano cio' che ci separa.
Dopo questo riconoscimento comincia un confronto e se c' è buona fede l' esito finale segnerà dei cambiamenti.
Tutto cio' è troppo ottimistico? Non direi, si è posta la condizione della "buona fede", non mi sembra una condizione da niente, anzi è una condizione molto difficile da realizzare.
Il probabilismo è il metodo che impiegano i commissari della squadra omicidi per restringere la cerchia dei colpevoli. Un metodo molto umano e comprensibile a tutti, di sicuro agli appassionati di film gialli. Penso che il probabilismo sia il modo migliore di incamminarsi verso Dio, quatti quatti, come tanti ispettori Clouseau.
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Il probabilismo ha un pregio: consente di esplicitare cosa ci farà cambiare opinione.
E' un prerequisito importante per chi tiene all' onestà intellettuale. Esponendo dei fatti per noi rilevanti indirettamente ammettiamo che nuove scoperte intorno a quei fatti potrebbero costringerci a rivedere almeno in parte la nostra posizione.
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Il probabilismo è avversato da molti, a volte con delle ragioni: come è possibile credere in modo sincero sulla base di probabilità e buon senso? Sarà sempre una fede tiepida.
E' avversato dai tomisti, per esempio, perché non fornisce una giustificazione completa alla fede.
E' vero, il probabilismo lascia aperto un gap. Ma forse si puo' colmare con un
eccesso di fede, un' escrescenza irrazionale che ci renda dei credenti in piena regola. Sarà nostra cura liberarci dall' "eccesso" una volta entrati in dialogo con l' infedele.
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Questo "eccesso di fede" è forse l' irrazionalità che rientra dalla finestra dopo essere stata cacciata dalla porta?
Non mi sembra un' anomalia così preoccupante, tutti noi, credenti e no, coltiviamo nella vita almeno un ambito in cui nutraimo una speranza, in cui gettiamo il cuore oltre l' ostacolo, in cui alimentiamo una fede all' apparenza ingiustificata.
Potrei esemplificare ricorrendo ai settori più disparati.
Chi si occupa di finanza lo sa e puo' dirlo: il rischio dovrebbe avere un prezzo nei corsi di borsa ma così non è, evidentemente ci sono persone che s' "innamorano" di alcuni titoli per quanto rischiosi essi siano; credono in essi e sono addirittura disposti a pagare pur di addossarsi il rischio che comporta il loro possesso. La loro è una forma di fede in ambiti lontanissimi dalla fede religiosa.
Chi si occupa di cavalli lo sa e puo' dirlo: ci si innamora di un cavallo, si crede di riconoscere in lui cio' che gli altri - incompetenti!- non hanno saputo vedere e si fanno puntate irrazionali in omaggio a questa fede che realizza la nostra persona.
Chi si occupa d' innovazione puo' dirlo: l' innovatore non procede calcolando ma credendo in cio' che fa. Se calcolasse si sarebbe già trovato da tempo un impiego al catasto.
Ma soprattutto puo' dirlo e approvarlo chi si occupa di felicità: per essere felici dobbiamo sentirci coinvolti in una causa, abbracciarla completamente e crederci. A maggior ragione se questa causa è di ampio respiro, se la reputiamo importante e significativa in assoluto. In questo senso la fede è preferibile ai titoli di borsa e ai cavalli.
Anche la società umana nel suo complesso si giova della presenza di queste persone, sono un po' come delle avanguardie, dei ricercatori che preparano la via anche per chi verrà, magari anche attraverso un fallimento, perché no?
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Bene, impostato il problema in questi termini, come costruire un' apologia sensata anche per l' ateo ma che non faccia sconti sul rigore?
Io procederei in questo modo.
1. Dapprima affronterei una preoccupazione che blocca molti da poco; constatare che tra gli scienziati, e tra le persone colte in generale, aumenti il numero degli atei puo' essere imbarazzante per il credente poiché la cosa corrobora l' ipotesi per cui "chi pensa non puo' credere". Eppure ci sono almeno 4 elementi che consentono di eludere questa sconfortante conclusione.
a) molti scienziati non crederanno nel Dio cattolico ma hanno comunque una loro vita spirituale (vedi
Elaine Howard Ecklund);
b) poiché lo scientismo (solo la scienza "conosce") è un buon candidato per sostituire la religione, esisterebbe un conflitto di interessi nel momento in cui uno scienziato è interrogato in materia visto che gran parte del suo capitale umano è investito nella scienza;
c) tra i fedeli l' intensità della fede sembrerebbe aumentare con la cultura (anche scientifica);
d) eliminando alcune domande ambigue su evoluzione e big bang ci accorgiamo che il legame cultura scientifica/fede cessa come d' incanto di essere negativo.
2. Disinnescata così una possibile bomba, inquadrerei il problema della scelta religiosa nella più ampia cornice della scelta razionale (vedi
Pascal). L' argomento della scommessa pascaliana puo' essere indebolito, lo sappiamo, ma non annullato, L' argomento, inoltre, funziona con probabilità infinitesimali mentre i punti seguenti provano che le probabilità a disposizione sono di un certo peso, al punto da rendere trascurabili le critiche all' argomento della scommessa.
3. E' molto importante a questo punto enfatizzare le relazioni tra buon senso e dimensione soprannaturale. Dire che siamo almeno in parte persone libere e non predeterminate è un' affermazione di buon senso. Dire che viviamo in un mondo reale e non in un' allucinazione è un' affermazione di buon senso. Dire che anche tu hai una mente come la mia è un' affermazione di buon senso. Eppure si tratta di "credenze" pure. Ecco, l' affermazione della credenza in dio ha uno statuto epistemico in tutto simile a quello delle affermazioni precedenti, non puo' essere definita assurda o bizzarra. Magari siamo esseri predeterminati, magari viviamo in un Matrix, magari tu sei un androide, magari dio non esiste... Magari ci sbagliamo ma cio' non significa che noi credenti siamo dei tipi bizzarri (vedi
Plantinga).
4. La filosofia che più si oppone alla fede religiosa è il naturalismo. Vale la pena di considerare l' implausibilità della filosofia naturalista, specie se chiamata a sostenere l' impresa scientifica (anche qui il filosofo di riferimento è Alvin Plantinga e il suo ben
noto argomento).
5. Poiché l' infinitamente piccolo ci parla di Dio, è il caso fare un un excursus in temi gravidi di conseguenze quali l' incompatibilità tra materialismo e fisica quantistica (
Stephen Barr)
6. Fate presente che l' uomo è una "macchina" costruita per credere. Ce ne si ricorda solo per mettere in luce gli svarioni che questa inclinazione ci fa prendere. Bisognerebbe ricordarsene anche quando si tratta di scegliere tra alternative problematiche: è più facile e razionale, in casi del genere, seguire le proprie predisposizioni naturali anziché ostacolarle! La "semplicità" è la nostra stella polare. (
Justin Barett https://www.bigquestionsonline.com/content/are-we-born-believing-god)
7. Offrite i misteri della matematica come indizio sulla plausibilità della prova teleologica.
Eugene Wigner è forse l' autore che meglio collega le due cose nel suo testo
The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences.
8. Anche l' infinitamente grande ci parla di Dio. In particolare viene riabilitata l' analogia dell' ororlogio. La cosa migliore è rifarsi al concetto di "fine tuning" sviscerato da di John Leslie con la sua secca alternativa: o Dio o molti mondi (http://progettocosmo.altervista.org/index.php?option=content&task=view&id=73).
9. Persino i processi evolutivi portano acqua al mulino del teismo. Le specie animali sono molto diverse tra loro, eppure l' occhio è qualcosa in che hanno in comune e funziona bene o male in modo sempre uguale. Evidentemente le pressioni di un ambiente condiviso pesano sugli esiti finali, in altri termini, esiste una certa "convergenza evolutiva". Se fosse così l' esistenza dell' uomo non sarebbe del tutto casuale. Non è affatto detto che "riavvolgendo il nastro della vita" rivedremmo un film tanto diverso. Dove c' è vita, c' è umanità (altri pianeti compresi). Il fenomeno della convergenza evolutiva è stato indagato a fondo dal paleontologo Simon Conway Morris http://www.amazon.it/Lifes-Solution-Inevitable-Humans-Universe/dp/0521603250
10. Argomentate con la prova cosmologica di
Swinburne: se le cose hanno un inizio allora è più semplice ipotizzare un essere onnipotente che non una catena causale infinita e costruita in modo complicatissimo da descrivere (http://broncobilli.blogspot.it/2012/12/le-ragioni-di-swinburne.html).
11. Proseguire con
Lane e il suo argomento di Kahlam: un universo che esiste da sempre (ipotesi alternativa all' universo creato) sarebbe contrario al buon senso e pieno di paradossi.
http://www.reasonablefaith.org/in-defense-of-the-kalam-cosmological-argument
12. La logica pura la lascerei in fondo, non vale la pena di introdurre le dimostrazioni astratte dell' esistenza divina; forse il fatto più rilevante è che ingegni sopraffini quali Leibniz e Godel si siano convinti alla fede attraverso questa via.
13. Trascurerei anche l' argomento etico, almeno quello esposto nella versione
dostoveiskiana: senza un Dio tutto è possibile. Non mi convince, anzi, a volte è
controproducente, i valori morali sono oggettivi e appartengono a tutti,
credenti e no. Meglio allora ripiegare su autori come
A. E. Taylor e
Robert Adams: 1) esiste il dovere di migliorarsi, 2) un dovere
deve sempre implicare un comportamento possibile 3) per essere sempre possibile
il miglioramente occorre che esista un bene infinito, 4) chiamo Dio questo “bene
infinito”.
14. Accennerei a due principi, entrambi di buon senso ed espressi originariamente dal filosofo Richard Swinburne:
- Principio di Credulità - data l'assenza di un qualsiasi motivo per non credere, si dovrebbe accettare quello che sembra essere vero (ad esempio, se si vede qualcuno che cammina sull'acqua, si deve credere che stia accadendo)
- Principio di Testimonianza - data l'assenza di qualsiasi motivo di non credere loro, si dovrebbe accettare il fatto che testimoni oculari o credenti stiano dicendo la verità quando testimoniano di esperienze religiose.
15. Chiuderei ricordando il mio intento (che a questo punto qualcuno potrebbe aver dimenticato): raccogliere qualche indizio concreto sull' esistenza di dio operando all' interno di una cornice nella quale un indizio infinitesimale potrebbe già essere sufficiente a dettare la scelta di fede come scelta razionale.
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Bene, giunti in fondo puo' darsi che nessuno dei quindici punti sia convincente. Poco male perché ha senso solo la forza dell' insieme e questa forza un piccolo effetto dovrebbe comunque averlo su un interlocutore onestamente appassionato alla verità.
L' approccio probabilistico mi piace proprio per questa sua caratteristica: è scettico sulla prova regina e fiducioso sull' effetto cumulo, un effetto che agisce in un contesto di scommessa pascaliana e richiede comunque un supplemento di fede che io non definirei "irrazionale" bensì appassionata".
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Giunti a questo punto si potrebbero introdurre e discutere le verità del credo niceano: Gesù, la Trinità eccetera. Ma lo farei solo con chi è disposto a considerare la forza dei quindici punti nel loro complesso, ovvero con chi è disposto a prendere sul serio l' ipotesi teista. Fare il secondo passo senza aver fatto il primo causa formidabili capitomboli: torneranno ben presto a ridere di voi.
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