giovedì 11 aprile 2013

Rodotà, Zagrebelski, Gino Strada… e il brutto affare di Steubenville.

Stefano Rodotà presidente? Mi butto dalla Torre Velasca.
Gustavo Zagrebelski? Ditemi dove Italo raggiunge la massima velocità che mi lego ai binari.
Gino Strada? Mi faccio esplodere
tweet di Giuliano Ferrara
Vi ricordate i misfatti di Steubenville?: una donna subì uno stupro in stato d’ incoscienza (era drogata). Successivamente venne a sapere della cosa da fonti terze e denunciò i colpevoli che furono prontamente condannati.
Ora, la donna non subì alcun danno fisico, né prima né dopo aveva mai sospettato dell’ accaduto, eppure lo stupratore ricevette una severa condanna. E’ giusto che chi non procura danni oggettivi a terzi venga condannato?
Si dirà: già il solo sapere la verità fa insorgere un costo psicologico.
E’ vero, per quanto questi costi soggettivi siano difficili da quantificare, nessuno puo’ negarne l’ esistenza e la rilevanza.
Purtroppo dare peso ai danni soggettivi ha conseguenze imbarazzanti.
***
Ieri sera, nella sua trasmissione, Gad Lerner ha avanzato a sorpresa le candidature a Presidente della Repubblica di, nell' ordine, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelski e Gino Strada. A momenti mi prendeva uno stranguglione. L’ ho vissuta come un’ imboscata mediatica che mi ha pervaso di sensazioni estremamente fastidiose. Irritazione e tristezza, dopo avermi circondato, hanno espugnato sia il cuore che il cervello. Una serata di merda, un vero e proprio stato di malessere, è stato come se in preda a un raptus Giletti si fosse smutandato in prime time; averlo saputo prima avrei di certo cambiato canale, queste sono cose che non si fanno, non si molesta così la gente proprio mentre è a casa sua e si gode un po’ di innocua TV prima di andare a letto.
Lerner la chiama “rosa”, io lo chiamo “branco”. Qualcosa da temere e da fuggire.
Comunque sia, Lerner ieri sera mi ha imposto dei costi psicologici non indifferenti, tanto è vero che oggi sono uno straccio, e lo resterò per chissà quanto tempo!
dannnn
Che differenza c’ è tra lo stupro di Steubenville e l’ atto di avanzare candidature tanto disturbanti, almeno per una parte dell' uditorio?
In termini qualitativi nessuna: né Lerner con il suo “branco”, né lo stupratore hanno arrecato alcun danno materiale a chicchessia. Tuttavia sia Lerner che lo stupratore hanno indirettamente causato dei costi psicologici a persone che chiameremo “vittime”.
In termini quantitativi molte.
E infatti io non pretendo che Lerner vada in galera, solo che mi risarcisca per i danni che ho subito. Diciamo che cento euro potrebbero bastare. Ok, cinquanta e non ne parliamo più.
danno
Si potrebbero fare esempi meno “emotivamente coinvolgenti”.
Ammettiamo che Giovanni rubi la mia macchina nottetempo rimettendola dove l’ ha trovata al mattino, senonché vengo a sapere dei traffici di Giovanni grazie a una microtelecamera istallata a bordo. Il vecchio ladruncolo non mi ha imposto alcun danno materiale, bensì un costo psicologico. E’ colpevole di qualcosa? Lo stesso dicasi se Giovanni usasse la casa dove abito a mia insaputa mentre sono in vacanza, avendo cura di risistemare tutto al mio rientro. I costi che sopporto dopo aver scoperto la manovra grazie a una telecamera sono solo psicologici, ma forse è ugualmente colpevole di qualcosa.
Uno vi ferma per strada e vi fa: sono sinceramente afflitto dal fatto che divorzi, o che ti connetti a siti pornografici in rete, o che fai uso di contraccettivi. Con il tuo comportamento mi impone dei costi psicologici non indifferenti, lo sai? 
Rispondete sinceramente: vi sentite forse colpevoli per i danni che avete causato allo sconosciuto? Vi sentite in dovere di rimediare in qualche modo correggendo le vostre abitudini o liquidando un risarcimento? No, anche se aveste saputo in anticipo di turbare un terzo, anche se riconoscete che quel danno è reale e consistente, avreste agito secondo le vostre convenienze
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dannoo
Non complichiamoci la vita, sospendiamo le risposte. Limitiamoci a osservare che le situazioni sembrano analoghe (una nostra azione reca dei danni reali a terzi) e che quindi dovrebbero avere tutte la medesima risposta, qualunque essa sia.
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Una conclusione decisamente imbarazzante.
E’ un imbarazzo direttamente proporzionale all’ imbarazzante sopravvalutazione di un autore come John Stuart Mill. Fu lui il primo a dire che la mia libertà termina dove inizia la tua. Fu lui il primo a dire che la mia libertà è legittima solo se non arreca danni a terzi.
Si tratta di formule vuote. Di semplicità apparente e di semplicismo reale che i libertari amano ripetere a pappagallo senza rendersi conto che su questi precetti puoi costruire di tutto: dalla società più autoritaria alla società più disgustosamente anarchica.
dannnnn
Per sbrogliare la matassa è necessario complicare un pochino. Spero molto poco.
La libertà ha almeno due scudi: proprietà e responsabilità.
La proprietà mi garantisce l’ uso esclusivo di alcuni oggetti, la responsabilità mi impone il risarcimento dei danni  procurati a terzi.
I due scudi sono alternativi, bisogna scegliere quale usare a seconda delle convenienze.
Una scelta non sempre facile, il che, purtroppo, impedisce l’ uso di formule semplicistiche.
Osserviamo subito che quando si enfatizza la “responsabilità”, siamo costretti a quantificare il danno e quindi diventa centrale la sua "oggettività".
Quando invece si usa la nozione di “proprietà”, possiamo permetterci maggiori arbitri nel punire il danneggiatore, quindi il criterio della proprietà consente di risarcire anche un danno soggettivo come quello psicologico.
Ma perché nel caso dello scudo proprietario non temiamo l' arbitrio valutativo? Semplice, perché se le proprietà sono ben identificate il "disturbatore" avrebbe potuto contrattare a priori il suo intervento, qualora vi rinunci gatta ci cova. Se rinuncia ad uno scambio è quantomeno molto probabile che i vantaggi ricevuti in seguito all' interferenza siano inferiori ai danni inflitti,  ed è anche legittimo pensare che, in un caso del genere, si carichi sulle spalle i rischio di un successivo arbitrio valutativo. 
Tesi: conviene usare lo scudo della proprietà quando uno scambio tra potenziale vittima e potenziale carnefice è possibile a priori, tenendo sempre ben presente che se c' è questa possibilità diventa legittimo anche il risarcimento di un danno soggettivo. Lo scudo della responsabilità è invece ottimale quando lo scambio a priori è difficile per via dei costi di transazione, ma in questo caso ci si limiti a risarcire i danni oggettivi (fisici). Poiché gli altri, quelli soggettivi, sono difficili da quantificare e si prestano a simulazioni meglio conservare la tolleranza di default. A questa regola aggiungo una postilla: l' inazione non è mai da considerare causa di danno a terzi, anche se l' azione avrebbe potuto impedire un danno.

dannnooo
Mi spiego un po’ meglio.
La proprietà è lo scudo ottimale perché facilita una contrattazione, e contrattando a priori si esplicitano le preferenze quantificando in modo ottimale anche i danni più interiori e difficilmente specificabili a posteriori.
Quando invece lo scudo della proprietà non è applicabile si ripiega sulla responsabilità, anche se in questo caso ha senso considerare solo i danni oggettivi per non scatenare l' arbitrio e le facili simulazioni.
Facciamo una caso tipico in cui si slitta dallo scudo della proprietà a quello della responsabilità: anche tra chi guida rispettando il codice ci sarà chi è più e chi meno spericolato; lo spericolato impone un rischio a terzi procurando un costo soggettivo. In questo caso lo scudo della “proprietà” è inapplicabile: non posso certo contrattare con chiunque incontro per strada un risarcimento per il rischio che la mia guida gli impone! Le vittime sono disperse e il costo che sopportano ha una natura intima tutt’ altro che oggettiva. Bisogna quindi ripiegare sullo scudo della responsabilità: qualora procurerò danni oggettivi a terzi sarò chiamato a risarcire.
Ricapitolando: se le proprietà sono ben definite e quindi c' è scambiabilità dei diritti a priori si opti per lo scudo proprietario a prescindere dal tipo di danni procurati.
Se non c' è scambiabilità e i danni sono oggettivi, basta lo scudo della responsabilità.
Se non c' è scambiabilità e i danni sono soggettivi (psicologici), non resta che il buon senso (dell' educazione), che in termini legislativi si traduce in un: liberi tutti e ognuno agisca come crede.
L' inazione non è mai punibile.


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Detto questo, veniamo finalmente a noi. Ora abbiamo una regola da applicare ai nostri casi.
Il costo psicologico che deriva dal sapere di essere state stuprate è difficilmente quantificabile, quindi la cosa migliore è che “carnefice” e “vittima” si accordino autonomamente sul prezzo prima di agire. Se il “carnefice” non lo fa e agisce senza autorizzazione su una proprietà altrui. Per quanto non procuri alcun danno oggettivo, ha senso considerarlo colpevole visto che aveva un’ alternativa ottima a sua disposizione.
Ancora: il costo psicologico che deriva dal sapere che la propria casa è stata invasa da terzi è difficile da quantificare. D’ altra parte sarebbe stato facile per gli “invasori” trattare fin da subito con i legittimi proprietari un affitto temporaneo. Quindi, se lo squatter si rifiuta di trattare e “invade” è colpevole a prescindere dalla diligenza con cui rimette tutto in ordine all’ arrivo del proprietario.
Ma come puo’ Lerner trattare con chi si sente profondamente disturbato da provocazioni che forse lui nemmeno reputa tali? Le vittime come me sono tante (spero) ma sono disperse e poco identificabili a priori. Inoltre subiscono un costo interiore che, anche se elevato (e dio sa quanto), non possono dimostrare in modo oggettivo. Né lo scudo della proprietà (trattativa) né lo scudo della responsabilità (quantificazione oggettiva da parte di un giudice) sembra essere applicabile.
In casi del genere ognuno faccia come crede. Da qui nasce la libertà d' espressione, per quanto, spesso, la libertà d' espressione procuri più danni della libertà d' azione. La regola al danno procurato è la tolleranza, non la punizione. La punizione si applica in alcuni casi particolari di danno.
Inutile aggiungere che nella situazione di Lerner sono anche il porno-consumatore, il divorziatore seriale, chi usa contraccettivi, chi non prega regolarmente, chi prega regolarmente eccetera.
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Vuoi approfondire? Leggi il cap. 15 de: “L'ordine del diritto". Perché l'analisi economica può servire al diritto” di  David D. Friedman
Appendice

Aggiungo in appendice un brano tratto da un post che, pur di argomento differente (etica del riscaldamento globale), è imperniato su una premessa chiave, ovvero la distinzione tra danno da sanzionare e danno da tollerare.
PREMESSA
E' un piacere per me affrontare un tema su cui ho da poco cambiato idea discutendone con altri.
Eppure in materia avevo posizioni piuttosto consolidate, pensavo di stare in una botte di ferro. Insomma, ero tutto tranne che una "tabula rasa".
Personalmente trovo rincuorante che opinioni professate per anni possano mutare nel breve volgere di una franco scambio di idee. Significa che la ragione esercita ancora una sua forza sui nostri intelletti, significa che non siamo dei pupazzi in balia dei nostri bias cognitivi e che possiamo scampare alla fossilizzazione completa della conoscenza. Il, tutto, sia chiaro, al netto dell' eventualità sempre possibile che sia passato dalla ragione al torto.
Bene, ora entro subito nel merito con un paio di affermazioni che, quando si parla di etica, introducono una distinzione per me cruciale: quella tra deontologia e virtù.
Parto dal mio caso personale, quello che conosco meglio: personalmente trovo che sia una mancanza non andare a Messa la Domenica. Eppure, ammetto che chi si astiene non procura alcun danno al suo prossimo.
Allo stesso modo il Vegano trova che sia eticamente disdicevole mangiare uova. Eppure, chi divora un cereghino non aggredisce certo "suo fratello".
Sia io che il Vegano riteniamo che ci siano comportamenti sbagliati a prescindere dal danno arrecato al prossimo. Perché? Siamo forse dei tipi tanto strani?
Entrambi consideriamo che l' etica abbia a che fare anche con la "purezza". Siamo tutti e due, chi più e chi meno, un po' puritani.
Non violentare il prossimo per noi è il minimo, chi punta alla perfezione e alla purezza è tenuto ad andare oltre, l' uomo virtuoso non coincide con colui che si limita al rispetto pedissequo della regoletta deontologica.
Separare deontologia ed esercizio della virtù è importante anche perché consente di tracciare il confine della laicità: mentre non ha senso imporre agli altri la virtù con la forza, le regolette minimali del vivere civile possono richiedere un' applicazione coercitiva a cura, per esempio, dello stato.
Sia una persona retriva come me che una persona avanzata e à la page come il Vegano condividono quindi una dimensione puritana dell' etica.
Ma lo psicologo Johnatan Haidt va oltre: con i suoi esperimenti ci tiene a sottolineare che la dimensione puritana appartiene un po' a tutti.  Magari nel tempo varia: ieri era più concentrata sul sesso oggi sull'alimentazione, però prima o poi salta fuori in tutti. Diciamo che è una caratteristica umana.
Sembra proprio che io e il Vegano non siamo affatto dei "tipi strani".
Ebbene, in questo post vorrei mettere da parte proprio la dimensione puritana della faccenda, salvo recuperarla in extremis alla fine. Lo faccio perché tirare in ballo le virtù sarebbe come camminare su un terreno minato, meglio occuparsi di cio' che tutti condividiamo come rilevante, ovvero la dimensione della violenza e dell' intromissione indebita negli affari dei nostri simili.
Se chiedo a qualcuno di rispettare l' ambiente per preservarne l' aspetto incontaminato  e al contempo per potersi elevare come abitante di questo pianeta, ho paura di non ricevere molto ascolto. Tuttavia, se faccio notare all'interlocutore come l' inquinamento da noi prodotto procuri anche gravi danni al nostro vicino, la sensibilità alle mie osservazioni si farà subito più acuta.
Sia le mentalità retrive che quelle avanzate, pur non ritrovandosi nei rispettivi precetti puritani, concordano  che sia sbagliato infliggere un danno ingiusto al nostro prossimo.
Fissarsi sul concetto di danno, ecco il rovello dell' uomo moderno.
Lo psicologo Piaget riteneva che una mente evoluta tendesse a ricondurre il fattore etico alla ferita inflitta al nostro simile mentre il filosofo John Stuart Mill, un padre della modernità, dichiarava che noi siamo liberi finché non danneggiamo l' altro.
Mentre la prima affermazione è stata successivamente revocata in dubbio, quest'ultima appare piuttosto vuota di senso - a me il filosofo John Stuart Mill sembra un po' sopravvalutato - sia perché falsa (la dimensione puritana continua a vivere un po’ in tutti nonostante i proclami) sia perché, anche se fosse vera, non fa che spostare i problemi anziché risolverli.
Quando rileva il danno che infliggiamo all' altro? Quando può dirsi realmente tale? Quando siamo responsabili del danno procurato? Mill tace, e non certo perché la risposta sia scontata.
Poiché professo una meta-etica fondata sul senso comune, il mio modo di procedere sarà il seguente; cercherò di ricavare delle regole etiche da situazioni concrete, cercherò poi di capire come si applicano le regole isolate al caso che ci preme, quello del riscaldamento globale, ed infine cercherò di capire quali eccezioni possano convivere felicemente con la regola emersa. Da ultimo, ma solo di passaggio, abbandonerò l' asfittico mondo delle regolette morali per aprirmi a quello delle virtù.
Illustrerò cinque casi di "danneggiamento" del prossimo cercando di giudicarli secondo quanto detta il senso comune. Forse, sulla base della soluzione data, potrà emergere una regola da applicare poi al sesto caso, quello del riscaldamento globale.
Negli esempi prefigurati fingerò che esista un' Autorità - per esempio quella statale - deputata a sanzionare il mancato rispetto della regola, in questo modo le analogie appariranno più vivide, spero.
Qualcuno potrebbe opinare che uno stato non dovrebbe mai dedicarsi a sanzionare precetti etici ma visti i limiti che ci siamo dati, vista la distinzione tra deontologia e virtù che abbiamo introdotto, l' obiezione si stempera: parlando unicamente di precetti intesi ad evitare danni a terzi è più che plausibile conferire un ruolo alla coercizione statale.
C' è un' ulteriore premessa al mio ragionamento: considero che la responsabilità morale sia personale.
Insomma, i figli non sono responsabili per le colpe dei padri così come l' individuo non è responsabile per le colpe di altri che appartengono al suo gruppo.
In questo senso l' etica che propongo è di stampo libertario.
gw
IL LADRO
Giovanni ruba il tablet di Giuseppe.
Cosa ci dice il senso comune? Facile: Giovanni è colpevole e per la sua mancanza merita una sanzione.
Violare platealmente una proprietà reca danno al legittimo proprietario e questo danno va in qualche modo risarcito dal colpevole.
A questo punto dovrei chiedermi il perché, dovrei fornire delle giustificazioni ma per ora prendo questo precetto come ovvio, almeno finché i fatti si presentano preclari come nell' esempio formulato.
Ciò non significa che manchino le eccezioni alla regola: se, per esempio, Giovanni ruba solo temporaneamente il tablet a Giuseppe per inviare una mail salva-vita che non puo' essere posposta per nessun motivo, allora per noi sarà doveroso scagionare il " ladro" pro tempore poiché ricorre un caso di "estrema necessità".
gww
L'ORATORE
Giovanni arringa la folla in piazza con discorsi militanti che Giuseppe, un passante, trova stomachevoli.
Senso comune: Giovanni è innocente.
Anche qui il danno esiste ed è ovvio: Giuseppe è fortemente disturbato dalle parole di Giovanni, la sua giornata è rovinata. Non si puo' nemmeno dire che manchi l' intenzionalità: Giuseppe, se non l' ho detto prima lo dico adesso, sa che certamente tra la folla ci saranno anche persone irritate dal suo passionale intervento.
Tuttavia, almeno alle nostre latitudini, esiste quella che chiamiamo "libertà di parola" e si ritiene che Giovanni non sia responsabile di nulla nel momento in cui esprime con franchezza le sue idee.
Ma perché nel primo caso il danno arrecato rende colpevole chi lo infligge mentre nel secondo caso no?
Innanzitutto, nel secondo caso il danno è soggettivo (psicologico).
I danni psicologici, diversamente da quelli oggettivi, sono difficilmente quantificabili. Ogni tentativo rischia di essere arbitrario e per molti opportunisti sarebbe facile fingersi lesi per ottenere un risarcimento. Le parole di Giovanni lusingano alcuni e irritano altri, poiché non esiste un bilancino per pesare costi e benefici si presume un pareggio e si consente all'oratore di tenere il suo comizio.
Ma l' aspetto decisivo è un altro: nel primo caso Giovanni e Giuseppe avrebbero potuto contrattare la compravendita del tablet, qui no: Giuseppe è un passante casuale sulla pubblica piazza e Giovanni, per quanto sia prevedibile che passanti come Giuseppe possano imbattersi nei suoi discorsi estremisti, non avrebbe mai potuto a priori contrattare con loro, e questo proprio perché sono passanti casuali, ovvero  indeterminati a priori.
La possibilità di contrattare è importante poiché consente di quantificare in modo attendibile i valori soggettivi abbattendo l' arbitrio e l' opportunismo che denunciavamo prima. Gli economisti chiamano questo toccasana "preferenza rivelata", qualcosa che vedremo meglio al punto successivo.
Per capire come la possibilità di contrattare sia decisiva, facciamo il caso di un eretico che dà scandalo "esibendosi" di punto in bianco in Chiesa senza aver interpellato nessuno. La Chiesa non è il bar, costui è colpevole poiché prende di mira persone ben circoscritte col chiaro scopo di scandalizzarle e offenderle. Isolare la "preda" è un gioco da ragazzi, circoscrivere l' auditorio più adatto per ottenere l' effetto voluto è facile visto che si raduna in Chiesa per abitudine consolidata. Ma alla stessa maniera, se uno l' avesse voluto, sarebbe stato facile anche contrattare a priori con loro, se l' eretico non l' ha fatto è perché sapeva che avrebbero mandato all' aria il suo progetto non dandogli la parola. L' esistenza della possibilità di contrattazione rende colpevole l' esibizionista, lo trasforma da oratore a provocatore.
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MONICA
Giovanni ubriaca Monica e poi la stupra senza nessuna conseguenza fisica di rilievo per la vittima. Per dire come prosegue la storia faccio due ipotesi alternative, nella prima Monica resta ignara di tutto, nella seconda viene accidentalmente a sapere dell' accaduto.
Senso comune: Giovanni è colpevole in entrambe le ipotesi.
Anche se un filosofo utilitarista non vedrebbe nulla di male in tutto cio' ( poiché, almeno nella prima ipotesi, non esiste né un danno fisico né un danno psichico) il senso comune ci impone di condannare in entrambi i casi.
Perché?
Qui non esiste danno, o comunque esiste solo un danno psicologico.
Perché mai dovrei condannare in assenza di un danno?
Perché mai dovrei condannare in presenza di un mero danno psicologico visto che nel caso precedente, quello dell' oratore, dove il danno era parimenti psicologico, assolvevo? Cosa fa la differenza?
Essenzialmente la possibilità di contrattare a priori.
Monica non è nelle condizioni di Giuseppe, Monica non è un passante qualsiasi non identificabile a priori, Monica è lì davanti a me prima che tutto accada, esiste e con lei si puo' parlare chiaramente prima di agire. Se Giovanni non lo fa è lecito presupporre che si attenda un rifiuto, ovvero un mancato scambio, il che rende plausibile l' ipotesi che il danno ricevuto da Monica sia maggiore del godimento di Giovanni.
La prima ipotesi, quella dell' assenza di danno, è molto particolare e per ora la trascurerei ma la seconda per noi è preziosa poiché ci offre un criterio per capire se e quando l' atto con cui infliggiamo un danno psicologico sia condannabile: questo criterio è la “contrattabilità a priori”.
Naturalmente, anche qui esistono eccezioni fioccano. Facciamo il caso che degli squatter occupino il mio cottage di montagna liberandolo il mattino successivo senza arrecare danni materiali. Io ricevo solo un danno psicologico (so che degli estranei sono entrati in casa mia). La situazione è formalmente simile a quella di Monica e dovrebbe scattare la condanna. Ebbene,  qualora l' occupazione sia giustificata da cause di forza maggiore - per esempio: si erano persi nel bosco e la bufera che imperversava li aveva colti alla sprovvista -  gli occupanti sarebbero giustificati.
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IL MIOPE
Giovanni guida la sua auto. Poiché è miope e più spericolato della media impone un rischio agli altri automobilisti, specie dopo il tramonto.
Senso comune: Giovanni è innocente.
Il danno procurato da Giovanni è ovvio ma, per quanto detto prima, una sua responsabilità è da scartare visto che si tratta di un danno soggettivo non "contrattabile" a priori.
In mancanza della "contrattabilità a priori” si è responsabili solo per i danni oggettivi. Ma il danno, in questo caso, diventa oggettivo solo quando si verifica l' incidente.
Le eccezioni alla regola sono costituite da quei casi che impediscono il rilascio o il rinnovo della patente. E' chiaro che un ipovedente o un ubriaco non possano guidare poiché esiste un' incontestabile evidenza della loro pericolosità.
E nel dir questo abbiamo isolato un criterio che rende tollerabile l' eccezione alla regola: l' incontestabile evidenza.
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LA FACCIATA
Giovanni guida la sua auto su una via ad alto scorrimento, proprio laddove Giuseppe abita.
Povero Giuseppe, a causa dell' intenso traffico ogni anno deve ripulire la facciata della sua casa dalle polveri inquinanti che si sono nel frattempo depositate.
Senso comune: Giovanni è colpevole.
Qui il danno esiste ed è oggettivo: chi transita per quella via dovrebbe pagare un pedaggio da girare a Giuseppe - e a chi si trova nelle sue condizioni - affinché possa essere risarcito dei costi che è costretto a sopportare.
Eccezione: qualora la tecnologia atta a rilevare i pedaggi sia eccessivamente onerosa si potrebbe soprassedere con tanti saluti per Giuseppe.
corddal
LA REGOLA
Dai cinque casi trattati rileviamo la seguente regola: se è possibile una contrattazione a priori chi danneggia a posteriori è sempre responsabile, anche quando il danno procurato è soggettivo. In caso contrario chi danneggia è responsabile solo per i danni oggettivi. Chi omette non procura mai danni punibili (vedi ADD.2).

In altri termini: non si è mai responsabili per i danni soggettivi non contrattabili a priori (vedi il caso dell’ ORATORE).
In presenza di evidenze incontestabili la regola è soggetta ad eccezioni.
Ora ho le domande giuste da pormi per affrontare il caso principale, quello del global warming.
cordall
I PRONIPOTI
Giovanni guidando la sua auto emette dei gas serra, tra 70 anni i pronipoti di Giuseppe potrebbero essere danneggiati da questo evento.
Il senso comune non mi dà una risposta chiara circa la colpevolezza di Giovanni, mi tocca ragionare sulla base della regola individuata in precedenza.
Prima domanda: di che natura è il danno prodotto?
Risposta: essendo un rischio, è di natura soggettiva.
Seconda domanda: danneggiato e danneggiante possono contrattare?
Per amor di discussione ammettiamo pure di essere responsabili verso un prossimo che ancora non esiste, rimane il fatto che difficilmente possiamo contrattare con lui: oltre a non esistere è "disperso". Nel malstrom dell' umanità a venire i  "danneggiati" si mescolano agli "avvantaggiati" in modo indeterminato e anche se volessimo eleggere un rappresentante dei "danneggiati" con cui contrattare avremmo problemi.
Ci sono poi ulteriori complicazioni: forse i candidati più credibili al ruolo di vittima sono i paesi poveri africani, ma quei paesi sono anche quelli che traggono il maggior beneficio dal consumo marginale dei carburanti fossili. A questo punto dovremmo esentarli, dovremmo cioè formulare una regola etica di portata non universale, inidonea al test kantiano. Se c' è qualcosa che ripugna al senso comune quando si fissano i doveri è proprio il ricorso al doppio standard.
Ultima domanda: il caso del riscaldamento globale puo' costituire un' eccezione alla regola?
Per affermarlo occorre avere un' "evidenza incontestabile". Non si tratta di un' evidenza dei danni, i danni vanno considerati insieme ai benefici. Perché ci sono anche i benefici: sia quelli che derivano da un riscaldamento del pianeta che quelli che derivano dall' arricchimento di chi usa l' energia senza vincoli. E' l' analisi costi/benefici che ci deve fornire "evidenze incontestabili".
Ebbene, i modelli previsionali di cui disponiamo sono sufficientemente curati da poter dire che ci forniscono un' "evidenza incontestabile"?
Io direi di no.
Si potrà sostenere che sono "modelli molto sofisticati", che alcuni sono migliori di altri, che alcuni, per esempio quelli elaborati dall' IPCC, siano i migliori in nostro possesso, che alla elaborazione di questi modelli presiede un personale altamente qualificato, tutto cio' è legittimo, tuttavia sarebbe temerario affermare che questi modelli siano accurati.
Del resto, le previsioni formulate grazie a quei modelli si sono rilevate finora sbagliate, e fin qui nulla di male. È piuttosto il fatto che si sbagli sempre nello stesso senso  a destare qualche comprensibile sospetto.
Appare giustificato ritenere che non abbiamo ancora capito come la CO2 interagisca con gli altri fattori ambientali nel determinare il riscaldamento del pianeta e nemmeno come i mutamenti ipotizzati possano tradursi in termini di costi e benefici concreti.
Non arrivo a dire che si tratta di "fiabe scritte col computer" ma che si tratti di stime necessariamente (molto) aleatorie, questo mi sembra ragionevole.
[... tanto per dirne una: in questi modelli di solito si pesa l' ipotesi di "catastrofi" in senso negativo ma non si tiene in alcun conto della possibile "catastrofe" in senso positivo. Faccio un esempio? L' avvento prossimo venturo dell' Intelligenza Artificiale  potrebbe costituire una rivoluzione alla stregua di quella agricola o industriale. Mancarla o ritardarla per una lacuna nei modelli sarebbe estremamente costoso, oserei dire "catastrofico"...]
Purtroppo, fare queste considerazioni ci guadagna l' etichetta di "negazionisti".
Uno non nega che le temperature si stiano alzando.
Uno non nega che la CO2 riscaldi l' atmosfera.
Uno non nega che anche la CO2 emessa dall' uomo abbia un ruolo in questo fenomeno.
Uno, pur non negando le affermazioni fondamentali dell' attivismo verde, si becca del "negazionista".
Si tratta del solito artificio retorico del Castello e della Torre: il castellano vive e vuole vivere comodamente nel confortevole Castello ma nel momento in cui è attaccato si rifugia nella Torre, per poi tornare a fare i suoi comodi tra gli arazzi: il militante parte da affermazioni difficilmente contestabili (Torre) per poi farne alcune molto dubbie (Castello), quelle che in realtà gli interessano di più per la loro portata ideologica. Nel momento in cui è sfidato su queste ultime (Castello) si rintana sulle prime (Torre) per poter dire: il mio pensiero è fondato su verità incontestabili, chi lo sfida è uno stupido e un superficiale (ovverosia un "negazionista").
Far rilevare che i modelli previsionali non sono e non possono essere molto accurati (Castello) per il militante significa negare le verità fondamentali del suo paradigma (Torre). Dopodiché, l' etichetta di "negazionista" ti resta attaccata e incide nel dibattito pubblico.
Chiudo la digressione per enunciare il verdetto che esce dall' analisi: Giovanni non ha alcuna responsabilità etica nel momento in cui emette i suoi gas serra.
cordalll
CONCLUSIONI GENERALI
Ho cercato di stabilire se esista una regola etica generale che condanni l' emissione dei gas serra, sembrerebbe che applicando il buon senso a situazioni analoghe non sia possibile ricavarla, oltretutto non sembra nemmeno che il caso specifico possa elevarsi ad eccezione.
Tuttavia, in premessa, ho anche detto che la mia analisi avrebbe trascurato la dimensione "virtuosistica" dell' etica umana.
Puo' darsi infatti che il dovere di limitare l' emissione di gas serra non costituisca il contenuto di alcuna "regola" deontologica ma emerga dall' esercizio di una virtù.
I cattolici definiscono questi doveri come supererogatori: sono dei doveri che assumiamo per perfezionare la nostra persona. Nessuno è tenuto ad essere un Santo, non c' è una regola che ce lo imponga, tuttavia dobbiamo tendere in quella direzione.
Ebbene, penso che i precetti ecologisti siano proprio di questo tipo: non si traducono in regole, non richiedono  un' autorità specifica che li faccia rispettare, sono qualcosa che riguarda la nostra interiorità e il nostro perfezionamento spirituale.
In quest' ottica ha senso praticare le "virtù verdi" nonché sensibilizzare in merito chi sta intorno a noi. Lo dico a denti stretti visto che d' istinto le prediche ecologiste mi hanno sempre ammorbato.
cordallll
SUBOTTIMO
Il mondo in cui vivo non sembra giungere alle conclusioni di cui sopra, l' autorità coercitiva per eccellenza - lo stato - sembra freneticamente all' opera per "risolvere il problema". Non prende minimamente in considerazione che la cosa possa essere estranea alle sue competenze universali.
Se le cose stanno in questi termini, inutile predicare nel deserto, meglio ripiegare e difendere una soluzione sub-ottima: per esempio una carbon tax da girare alle vittime. Meglio ancora se compensata con una diminuzione delle tasse su profitti e lavoro. Sebbene la misura non sia eticamente difendibile, per lo meno minimizza i danni poiché tratta correttamente il problema delle esternalità: è infatti cento volte più razionale imporre alla popolazione una carbon tax piuttosto che regole sul riciclaggio dei rifiuti o sull' edificabilità degli edifici.
cordalsss
INCORAGGIAMENTO AI PERPLESSI
La tesi esposta in questo post lascia freddi i più: sarà anche rigorosa ma ci abbandona in balia della sorte, come possiamo affidarci alle virtù personali senza ricorrere ad un intervento dall'alto? Ecco, nei quattro punti che seguono cercherò di confortare i perplessi.
1) Se davvero le catastrofi paventate incombessero in modo credibile, un' etica del senso comune non potrebbe trascurarle, proprio perché flessibile e tollera le eccezioni. Ricordiamoci allora che  le previsioni più fosche sono fondate su una modellistica avventata.
2) L' effetto delle "prediche verdi" non dovrebbe essere poi così inesistente. Perché tanto scetticismo? Quando ci fa comodo attribuiamo tutto ciò che succede alla cultura, quando poi dobbiamo puntare sulla cultura, ecco che ogni fiducia su questo fattore viene meno.
3) L' utilizzo libero delle fonti energetiche favorisce la crescita economica, e noi sappiamo che la sensibilità ambientale cresce al crescere della ricchezza (effetto di Kuznet), in alcuni casi, nelle società ricche e secolarizzate, l' ambiente diventa una vera e propria religione sostitutiva.
4) Ma c' è dell' altro. Concentratevi sul caso della FACCIATA, lì concludevo per la colpevolezza di Giovanni.  L' inquinamento prodotto ai danni della casa e dei polmoni di Giuseppe lo costringe al risarcimento. Faccio solo notare che intervenire  nel senso indicato ha una conseguenza pratica evidente anche per il caso del riscaldamento globale: chi paga per risarcire Giuseppe inquinerà meno riducendo al contempo anche il suo contributo all' effetto serra.
BIBLIOGRAFIA
Premessa: John Stuart Mill, Saggio sulla libertà.
Il ladro: Jerry Gaus, The order of public reason.
L' oratore: David Friedman, L' ordine del diritto cap. 15.
Monica: Steven Landsburg, Censorship and Steubenville.
Il miope: David Friedman, L' ordine del diritto cap.14.
La facciata: Murray Rothbard, L' etica della libertà.
I pronipoti: George Reisman, ambientalismo di mercato.
Il subottimo: Greg Mankiw, The Pigou club manifesto
ILLUSTRAZIONI
Zaria Forman: Exploring Climate Change through Art - Giant Pastel Oceanscapes and Icebergs
Isaac Cordal:  Politician debating climate change
AGGIUNTE POSTUME
ADD.1 Le motivazioni possono essere interiori o esteriori.
Se pago mia figlia per lavare le stoviglie potrei darmi la zappa sui piedi perché mi appello a motivazioni esteriori (guadagno) anziché a quelle interiori, che in questi casi, di solito, sono più accentuate.
Magari mia figlia ha voglia di sentirsi parte della famiglia e contribuendo volontariamente alle faccende di casa realizzerebbe un suo desiderio di compartecipazione, ecco allora che io ostacolo il suo progetto mettendo un prezzo alla sua opera.
La motivazione interiore ha a che fare con la formazione della personalità: chi sono io? Chi ho voglia di essere? Nella mia lotta per l' identificazione costruisco le mie motivazioni interiori. Il contributo volontario alle faccende di casa diventa importante qualora intenda identificarmi con la mia famiglia, mentre invece dare un prezzo alla mia opera ostacola il mio desiderio profondo espellendomi di fatto dal nucleo familiare.
Le motivazioni interiori e quelle esteriori, quindi, sono spesso autoescludenti, come per esempio nel caso dei figli pagati per fare i lavori di casa.
Di questa legge va tenuto conto anche quando parliamo di coscienza ambientale: se riciclo i miei rifiuti edifico la mia coscienza ambientale ma nel momento in cui mi sanzionano qualora non lo facessi, ecco che tutto il mio lavoro per formare una coscienza verde viene vanificato.

ADD2. Aggiungerei un caso, quello del FORNAIO: Giuseppe apre il suo forno di fronte a quello di Giacomo sottraendogli la clientela e cagionando un danno grave al dirimpettaio. Perché mai non dovrebbe essere punito? Si sommano due considerazioni: 1) non è lui ha cagionare il danno ma quei clienti che anziché rivolgersi a Giacomo ora si rivolgono a Giovanni. 2) Qui clienti NON stipulano un contratto con Giovanni, in questo senso, qualora volessimo accusarli, dovremmo accusarli di un' omissione. Il caso ci consente allora di integrare la regola: l' omissione non procura mai un danno punibile.

Il miracolo della matematica

… Stupende sono le tue opere!…
… venite e vedete le opere di Dio…
… mirabile nel suo agire sugli uomini…
… per questo in lui esultiamo di gioia…
lavagne
Seba e Luca sono stati compagni di scuola, si incontrano casualmente per strada dopo parecchi anni:
Seba: eilà, che piacere vecchio mio. Mi riconosci? Che fai di bello nella vita?
Luca: dopo 5 anni in banco insieme dovrei lasciarmi ingannare da un accenno di stempiatura? Certo che ti riconosco! Sai che mi sono sposato, ho due bambini e ho aperto un negozio di scarpe in centro, vienimi a trovare. E a te come butta?
Seba:  sono ancora uno scapolone impenitente… ma non posso lamentarmi, lavoro all’ università come ricercatore, sai che ho sempre avuto la passione delle statistiche. Oso dire di essere appagato, il mio pallino è lo studio dei trend della popolazione… chi nasce, chi muore, chi cresce, chi si estingue… queste cose qua insomma, forse non ti diranno niente… sembrano cavolate ma anche sulla base dei nostri studi i politici prendono le loro decisioni, tutto cio’ è abbastanza gratificante.
Luca: e ti porti sempre dietro il tuo lavoro a quanto vedo, cosa sono quelle scartoffie?
Seba: bah, hai ragione, sono le “nostre” scartoffie… questa per esempio è una “gaussiana”… pane quotidiano di noi statistici.
Luca: sei sempre stato il primo della classe, ma per me ‘sta roba è arabo… anche se non nego che ‘sto simbolino mi ricorda qualcosa… aspetta…
Seba: ci credo che ti ricorda qualcosa, è un semplicissimo pi greco, esprime il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro, ricordi le lezioni con il prof. Caruso alla “Pellico”? Che spasso…
Luca: certo, che ignorante, il famoso pi greco del prof. Caruso. Ma cosa c’ entrano le circonferenze, i diametri e le altre diavolerie del prof. Caruso con i la conta dei morti e dei sopravvissuti?
Seba: per i nostri calcoli ‘sto numeretto è molto utile, e sospetto non solo per noi, anche se, a dirla tutta mi accorgo che non saprei esaudire la tua banale (scusa, eh) richiesta. Il fatto è che non ho la minima idea di cosa possano c’ entrare circonferenze e diametri con la fertilità di una popolazione! Anche se non potrei mai fare a meno di una robina meravigliosa come il pi greco non trovo collegamenti intelleggibili con l’ oggetto dei miei studi… sembra fatto apposta per noi statistici ma di certo così non è visto che per quanto ne so esiste da sempre, ben prima che comparissero i problemi di cui mi occupo. Forse dovremmo chiedere al prof. Caruso.
Luca: sai una cosa? Il fatto che un cervellone come te ammetta la sua impotenza di fronte a una questione tanto elementare un po’ mi consola. Io con le scarpe non ho mai avuto bisogno del pi greco e certe domande non me le sono mai poste.
mathhhh
Arturo è un bambino molto sveglio, purtroppo i suoi non lo fanno mai uscire dalla sua stanzetta cosicché cresce in casa con l’ unica compagnia dei suoi giochini.
A dirla tutta “molto sveglio” è un eufemismo: trattasi di certosino genio matematico e i suoi genitori-sorveglianti se ne sono accorti da un pezzo. Forse anche per questo hanno messo sotto una campana di vetro il loro unico tesoro.
Ha iniziato a contare molto presto ordinando i suoi giochi e ora che è cresciuto si lancia in ardite speculazioni algebriche. Nessuno glielo chiede, non sembra far fatica. Anzi, si diverte un mondo.
Crescendo Arturo raffina la sua preparazione grazie al genio doc di cui è dotato. Inventa teoremi e scopre autonomamente aree avanzate della sua disciplina preferita. Dal calcolo probabilistico ai numeri complessi, prima o poi la sua mente lo porta ovunque.
Certo che chiuso lì dentro gli stimoli che riceve sono davvero pochi ma a quanto pare basta e avanza il suo entusiasmo. D’ altronde gran parte della matematica non è che un parto della mente e una volta che c’ è la “materia prima” del resto si puo’ fare a meno.
Quando Arturo diventa maggiorenne si libera dalla gabbia costruitagli dai genitori ed esce finalmente nel mondo assetato di conoscenze. La sua innata curiosità lo porta ad interessarsi delle scienze, in particolare della fisica. Ben presto si accorge di una coincidenza meravigliosa: gran parte delle cose che si era “inventato” nella sua cameretta si adattano perfettamente a descrivere un mondo di cui solo qualche mese prima era completamente all’ oscuro. Ma come è possibile? Non puo’ essere un caso, si chiede.
I giochi mentali condotti in solitudine da Arturo sono in qualche modo in relazione al moto dei pianeti e alle reazioni atomiche osservate al microscopio.
Francamente non si capisce cosa diavolo possa collegare le une alle altre.
Si tratta di un miracolo? All’ apparenza sì. Anche il genio di Arturo si sorprende ed è resta incapace di formalizzare il problema.
mathh
Ma cosa c’ entra il pi greco con i trend della popolazione? E cosa c’ entrano i giochini mentali che Arturo ha fatto in solitudine con la descrizione puntuale di un universo mai visto né sentito prima?
Sono enigmi su cui aleggia un mistero noto come “irragionevole potenza della matematica”. Nessuno lo ha indagato meglio di Eugene Wigner, l’ autore del saggio che ho appena letto e che cito in calce.
mathhhhhhh
Cos’ è la matematica?
Esistono infinite teorie che spiegano un fatto. Il che è come dire che esistono infiniti modelli matematici che possiamo adattare per descrivere la nostra realtà.
Con che criterio scegliamo quello giusto?
La risposta è piuttosto strana. Specie per chi è entrato in contatto con la matematica solo frequentando la scuola.
La “bellezza”, ecco il criterio principe da adottare.
Semplicità ed eleganza in fondo sono forme di bellezza. Il modello giusto è anche il più bello, il più semplice, il più elegante.
La teoria di Tolomeo corretta con gli epicicli rende conto della realtà alla pari della teoria galileiana ma noi consideriamo corretta solo la seconda perché il modello matematico che sottende è più bello (più semplice, più elegante, più…).
Einsten disse che le uniche teorie che vale la pena di accettare sono quelle belle.
Tentiamo ora una definizione della matematica: è la scienza con cui si creano e si manipolano creativamente regole e concetti inventati (o scoperti?) dalla mente umana al solo scopo di sottoporsi a quella manipolazione. Una specie di gioco la cui unica caratteristica consiste nel fatto di essere interessante.
L’ interesse, la meraviglia, la bellezza sono dunque caratteristiche cruciali a cui dobbiamo necessariamente ricorrere quando vogliamo parlare di  matematica.
Una soluzione sbagliata fa perdere d’ interesse alla matematica: che me ne faccio di un oggetto mentale incongruo, considerarlo “vero” mi ripugna! Per fortuna esiste da qualche parte la soluzione giusta in grado di far risplendere di nuovo l’ intero edificio che mi sono costruito nella testa.
Alcuni concetti di partenza possono essere suggeriti dal mondo in cui viviamo (Arturo conta i suoi giocattoli) ma ben presto la matematica si emancipa dal mondo interloquendo unicamente con la nostra mente per poi re-incontrare di nuovo il mondo con coincidenze che lasciano sbigottiti. La parabola di Arturo sarà poco verosimile (difficile che esista un genio tanto grande in grado di fare proprio tutto da solo) ma resta logicamente plausibile e significativa.
Ci sono interi settori della matematica che non hanno (ancora) alcuna applicazione pratica ma i matematici non li abbandonano al pari di  “rami secchi”. Una speculazione matematica non si giudica dalle applicazioni che trova ma dall’ interesse, dallo stupore e dalla curiosità che desta in noi. Le applicazioni prima o poi verranno, sembra strano ma è così, l’ esperienza ce lo insegna.
E’ un miracolo che il ragionamento matematico possa spingersi tanto oltre senza incontrare contraddizioni così come è un miracolo che possa essere tanto utile nel descrivere il mondo fisico quando viene concepito trascurando completamente quel mondo.
Il miracolo, attenzione, non consiste nella potenza di questo strumento ma nel fatto che non abbiamo a che fare con un vero e proprio strumento: difficilmente uno strumento viene inventato (o scoperto) prima del fine a cui è preposto, specie se il fine è tanto complesso e lo strumento così perfettamente adatto alla bisogna.
Cosmologi e fisici quantistici hanno condotto autonomamente le loro osservazioni e quando si è trattato di descriverle hanno trovato una matematica già bella e pronta per lo scopo. Ma “pronta”, ripeto, è dire poco, dovremmo dire “miracolosamente adatta” allo scopo.
mathhh
Come far sparire sotto il tappeto l’ imbarazzante miracolo di cui gli scienziati sono testimoni (spesso inconsapevoli: vedi Seba)?
Mark Tegmark sostiene che la “meravigliosa coincidenza” si realizza perché l’ universo stesso è un ente matematico. In questo caso la coincidenza si trasformerebbe in necessità.
Ipotesi ardita, a dir poco.
Altri sostengono che il miracolo sparisce se postuliamo che ciascuno di noi vede nell’ universo cio’ che cerca.
Ipotesi scettica, a dir poco.
Altri sostengono che noi selezioniamo la matematica adatta, il resto è uno spreco.
Ok, il miracolo è ridimensionato nella sua portata ma non certo annullato.
C’ è chi fa notare che in fondo la matematica non spiega tutto, anzi.
Ok, il miracolo è ridimensionato ma non certo annullato.
Alcuni sostengono che l’ evoluzione abbia plasmato le nostre capacità matematiche.
Qui diventa decisivo capire se le verità matematiche siano inventate o scoperte.
Nel primo caso dipenderebbero dalla conformazione del nostro cervello, ovvero da un organo fisico soggetto all' evoluzione. Nel secondo no.
Il fatto che spesso vengano alla luce senza che servano ad alcunché farebbe propendere per la scoperta: che senso ha inventarsi cose inutili? E’ più sensato che ricercando scopra cose che, almeno al momento, non mi servono.
Oltretutto, alcune di queste verità si presentano come oggettive ed eterne: quando il professore di geometria ci mostra come il rapporto tra circonferenza e diametro sia una costante, non sentiamo certo l' esigenza che la cosa ci venga confermata dall' evoluzionista. Una verità del genere ci appare corretta, eterna ed esente da ogni evoluzione, esisteva tale e quale anche prima che comparisse l' homo sapiens e continuerà ad essere così anche dopo l’ estinzione dell’ uomo. Il nostro cervello è semplicemente in grado di captarne la presenza oggettiva. 
Si tratta di un' evidenza illusoria? Puo' darsi, ma l' onere della prova spetta a chi punta sull’ illusione piuttosto che a chi punta sull’ evidenza. E siccome le prove latitano, teniamoci l’ evidenza, almeno per ora.
Comunque il tema è interessante e chi vuole approfondire puo’ seguire il dibattito tra Alain Connes e Jean-Pierre Changeux. Guardacaso il matematico è per la “scoperta” mentre il neuro-scienziato per l’ “invenzione”, ma poiché si tratta di due “vertici” nelle relative discipline vale la pena ascoltarli.
mathhhhhh
Eugene Wigner conclude così: il miracolo con cui un linguaggio intimo come quello matematico aderisce meravigliosamente ad una realtà oggettiva esterna quale quella del mondo fisico resta inspiegabile. Molti di noi sentono il dovere di rendere grazie per un dono tanto concreto quanto poco meritato.
Ma chi ringraziare?
Wigner non risponde. Ringrazia e basta.
Ognuno lo faccia nella sua lingua.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=PmumdHY_qc0]
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Eugene Wigner – l’ irrazionale potenza della matematica
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