sabato 2 marzo 2013

SAGGIO Undicesimo: non inquinare.

In tema di “comandamenti” da rispettare, diffidate delle liste pletoriche.
E intendo come tali quelle che vanno oltre i due punti.
Il fatto è che a queste regole di vita non basta attenervisi, bisogna farlo con coscienza, ovvero con qualcosa che va facilmente in panne se sfrucugliato di continuo.
La famigerata “coscienza ambientale”, poi, è particolarmente delicata: inoculata nell’ inerme bambino insieme all’ antipolio, viene successivamente innaffiata da un esercito di maestrine premurose e fatta sbocciare da benemeriti insegnanti di lettere specializzati nel prenderti da parte blandendo la tua precoce maturità e indirizzandola verso “impegni esistenziali” all' altezza: a quel punto, una volta ti buttavi su Pavese, oggi ti butti su Gaia. Più tardi, nell’ era dei cinismi universitari, scoccherà il colpo di fulmine nei confronti di oscure quanto seducenti equazioni di terzo grado messe a punto da “parascienziati verdi” con tribuna sui giornali di Confindustria (i vari Napoletano & Riotta devono lavare una coscienza sporca) o nella TV di Stato (i vari Tozzi & Colò devono ostentare una coscienza immacolata).
Usciti dal doveroso tunnel catechistico della giovinezza, non si guadagna molto in termini di condizionamento cognitivo: nel bel mondo, nicchiare sull’ argomento del risparmio energetico ti rende riprovevole moralmente ed esteticamente; e se sei tanto sprovveduto da cascarci, ti ritroverai presto alle calcagna i monopolisti del buon gusto con la bava alla bocca e l’ oscillante ditino alzato. Il prezzo da pagare sarà salato: prediche a gogò intonate alla luce del sole e sabotaggi orditi nell’ ombra.
Sfortunatamente, la causa ambientalista si materializza sempre più spesso in una sequela di fedeli che hanno smesso di “credere” per poter “abboccare”; e proprio come desidera ogni buon fedele ottuso, la loro è una chiesa particolarmente esigente con tanto di roghi e scomuniche, ma soprattutto con liste sterminate di prescrizioni a cui è tenuto anche il miscredente (il concetto di laicità qui non attecchisce). Per tenersi al passo e non essere indicate al pubblico ludibrio, persino le chiese  tradizionali hanno dovuto postillare in fretta e furia i loro scheletrici decaloghi: undicesimo, ricicla!
A questo punto scatta la domanda impertinente: ma la “coscienza ambientale” è uno strumento per preservare il pianeta o per guadagnarsi un qualche Paradiso post-moderno?
Il sospetto che per molti “ambientalisti-devoti” valga la seconda ipotesi è solido. In questo post cercherò di rafforzarlo ulteriormente.
AMBIENTTTTT
… nessuno ha più dubbi riguardo alla presenza di un effetto serra… a essere oggetto di dispute è invece quanto ce ne dovremmo preoccupare e cosa dovremmo fare…
Il primo problema è troppo difficile, implica analisi delle preferenze, considerazioni etiche intorno alle generazioni future e altri labirinti filosofici da cui non saprei bene come uscire. Quindi lo accantono.
Il secondo sembra invece avere una risposta molto semplice: “non inquinare”.
E’ la tipica risposta degli ambientalisti, ed è anche il motivo per cui una persona ragionevole conclude che “l’ ambiente è una cosa troppo seria per lasciarla agli ambientalisti”:
… chi risponde così confonde l’ importanza del problema con la semplicità delle soluzioni… è tipico della mentalità “verde” mescolare senza costrutto obiettivi e programmi…
Innanzitutto non è facile “rispettare il pianeta”, occorre una cultura spaventosa, oltre che una calcolatrice sempre a disposizione:
… chi nei consumi sostituisce il caffé con il latte forse non sa di inquinare di più… avendo nella testa le giuste nozioni e tra le mani una buona calcolatrice potreste scoprirlo da soli… ma non è facile come sembra…
I fanatici dello slow food, per esempio, si credono  “amici della terra” a prescindere; illusi:
… comprare prodotti locali riduce i trasporti ma spesso è controproducente… il cibo importato proviene da luoghi con condizioni climatiche molto più adatte… consumare l’ agnello italiano piuttosto che quello neozelandese ci rende degli “inquinatori netti” del pianeta… privilegiare i pomodori nostrani su quelli spagnoli è una scelta maldestra per chi tiene alla propria “coscienza ambientalista”… le emissioni dei TIR sono ampliamente controbilanciate dal fatto che la Spagna è baciata dal sole… il vino cileno deve viaggiare intorno al mondo ma per un inglese sensibile all’ ambiente è da preferire di gran lunga a molti vini locali… spesso il supermercato è rifornito con silos capienti che minimizzano il numero dei trasporti a lunga distanza e inoltre è più prossimo del contadino verso cui fate la spola incessantemente per fare le vostre piccole spesucce e meritarvi il titolo di “amico della terra” che compra a km/zero… e non preoccupatevi troppo del sacchetto di plastica, sprigiona un millesimo dell’ anidride carbonica emessa per ottenere i cibi che contiene…
Capito quante cose bisogna sapere? A quanto pare un compito arduo anche per chi possiede una cultura sopra la media come i fanatici dello slow food (che se si limitassero a magnare sarebbero più simpatici e farebbero meno gaffe).
I calcoli sono complicati e riservano sorprese:
… il classico bus londinese trasporta in media 13 persone mentre l’ auto 1,6… è quest’ ultima, di conseguenza, ad avere l’ impatto ambientale più favorevole!… anche la lavastoviglie consuma meno anidride carbonica del lavaggio a mano…
Fare l’ ambientalista serio è una vitaccia. Inquinare meno è un mestiere a tempo pieno, richiede una vita spesa nello studio delle emissioni di anidride carbonica. Calcolare l’ “impronta di carbonio” per ogni oggetto con cui interagiamo o interagisce colui con il quale interagiamo (o…), impegna tempo ed energie: gli esiti, poi, sono sempre da rivedere, e anche limitandosi a un esame sommario ci sono migliaia di fattori di cui tenere conto:
… nel momento in cui ci sentiamo stremati dal calcolo… capiamo anche che lo sforzo profuso è ancora insufficiente… decidendo di consumare quella bevanda locale al bar sotto casa, abbiamo scordato di soppesare il pendolarismo del barista che ce la serve, nonché i doppi vetri del locale e gli spostamenti del contadino che fornisce quei semini così caratteristici… si tratta forse delle variabili più importanti e noi le abbiamo trascurate per anni… insomma, ci sono miliardi di scelte tutte concatenate tra loro che sfuggono anche al controllo dei “ben intenzionati”…
Non contate troppo sul parere degli esperti, divergono quasi sempre, e la cosa è più che ragionevole: basta considerare, che ne so, condizioni di traffico leggermente diverse e i conti non tornano più:
… ci sono stati epocali scontri di civiltà sull’ “impronta ambientale” delle banane… non resta che girare con una pila di ricerche al seguito da consultare di frequente… e attenzione ai frequenti aggiornamenti della letteratura!…
Forse il modo migliore di fare colazione salvando il pianeta consiste nel “non fare colazione”. Più ti astieni, meno inquini e chi si sopprime inquina ancora meno.
Tuttavia, su questo versante gli eroi scarseggino. L’ ambientalismo non occupa mai per intero la nostra coscienza – e per fortuna!-, convive, per esempio, con la voglia del caffelatte. Ma soprattutto non occupa minimamente quella della maggioranza delle persone, a cui sarebbe risibile proporre una scelta vegana. Se è impossibile “non consumare” in generale, la scelta di “cosa consumare” riemerge continuamente.
AMBIEEEE
Per fortuna esiste una soluzione. E’ semplice, precisa, razionale, di facile implementazione e non richiede programmi ambiziosi: prezzare l’ anidride carbonica.
… un accordo intergovernativo dovrebbe proporre una tassa di X euro per tonnellata di carbonio contenuto nel combustibile fossile estratto… incassata dai produttori e veicolata nel sistema dei prezzi di mercato, verrebbe ddiffusa tra i cittadini…
Ogni prodotto che “consuma” energia comincerebbe a riflettere in qualche modo la presenza di un simile balzello:
… un camionista che ignorasse l’ eventuale prezzo più alto del gasolio finirebbe semplicemente fuori mercato e lo stesso accadrebbe per che coltiva pomodori in serra…
Prezzare l’ anidride carbonica risolve senza sprechi il problema degli incentivi alle fonti alternative: quelle che funzionano davvero (e solo quelle!) diverranno automaticamente convenienti.
AMBIEN
La bontà della soluzione proposta salta all’ occhio soprattutto se confrontata con le alternative scellerate ma tanto care ai sedicenti ambientalisti.
Prendiamone in considerazione una che compendi in qualche modo anche le altre:
la legge Merton prevede che ogni intervento edilizio dovesse ricomprendere la capacità di generare almeno il 10% in termini di energia rinnovabile di cio’ che l’ edificio avrebbe consumato in futuro…
All’ apparenza la norma offre, a zero spese per il governo, un sistema semplice e intuitivo per incoraggiare qualcosa che la gente ritiene auspicabile.
Ma:
… il prevedibile inconveniente è che aver installato uno strumento per rinnovare l’ energia non significa automaticamente che verrà utilizzato
Ci si mette a posto con la legge, dopodiché si fa cio’ che conviene. L’ effetto netto è un puro spreco di risorse con vantaggi nulli sull’ ambiente: installo i pannelli solari, incasso le licenze (e magari anche i finanziamenti) per poi continuare a inquinare esattamente come prima.
Siccome le regole ottuse sono il prodotto di menti ottuse, la possibilità che si perseveri di fronte a fallimenti lampanti sono alte. Infatti alcuni amministratori hanno posto l’ obbligo di utilizzo delle rinnovabili istallate per avere le licenze. Cosa è successo?
… immaginatevi i controlli ipertrofici necessari… con un battaglione di vigili urbani che piantonano le vostre caldaie per misurare l’a percentuale di utilizzo di quelle a pellet rispetto alle tradizionali…
Ma c’ è di peggio, lasciamo la parola all’ Ing. Palmer che ha recentemente restaurato l’ Elizabeth House:
… date le dimensioni dell’ edificio, per adempiere alla norma, abbiamo progettato una caldaia a biomassa con un deposito per il combustibile grande come una piscina di 25 metri… al fine di soddisfare il fabbisogno di (soli) 14 giorni (!)… Ho calcolato che per mantenere a livello il deposito con ciocchi di legno e truciolato dell’ IKEA fosse necessario che due camion di circa 40 tonnellate ciascuno facessero un viaggio settimanale dalla periferia fino al centro di Londra scaricando il contenuto nell’ area preposta…
A questo punto spero che anche gli entusiasti della legge Merton avranno smesso di saltellare gioiosamente e si siano messi in ascolto.
Altri inconvenienti? Le riparazioni.
… i proprietari dell’ edificio non saranno contenti di riparare costose apparecchiature… specie perché spesso sono tecnologie ancora poco mature… se qualcuno mette dei pannelli fotovoltaici che si guastano subito dopo la garanzia… è ben difficile che abbia voglia di mettere mano al portafoglio per sostituirli quando i finanziamenti sono ormai incassati e ha una caldaia tradizionale a disposizione…
Altri inconvenienti? L’ efficienza:
… una grande turbina eolica in cima alla collina puo’ essere anche efficace ma una piccola turbina sul mio tetto circondato da edifici più alti e messa lì solo per ottenere una licenza edilizia, lo è decisamente meno…  
Altri inconvenienti? L’ ottusa pervicacia nel perseverare:
… è possibile che persino l’ ambientalismo più sciagurato, se lasciato a se stesso, impari dai propri errori… ma le normative di governo, per loro stessa natura, tendono in qualche modo a essere impermeabili alle opportunità di miglioramento…
Altri inconvenienti? Trovateli voi, è facile!
Visto che casino? E per carità di dio non apro il capitolo tragicomico dell’ “etanolo” dove i “benintenzionati”, con tutto l’ apparato di regolamenti e contro regolamenti che si portano sempre dietro, hanno fatto una specie di strage degli innocenti.
AMBIENNN
La carbon tax funziona perché non è un “progetto” ma si affida all’ evoluzione economica. L’ ideale per sciogliere nodi intricati. Questo almeno per chi crede che…
… l’ evoluzione è più intelligente di noi… lasciandola lavorare scatena milioni di esperimenti individuali volti al taglio delle emissioni di anidride carbonica per il solo motivo che tagliare le proprie emissioni fa risparmiare soldi…
La soluzione carbon tax non richiede di dare percentuali (sballate), di dare soglie (opinabili), di definire (arbitrariamente) cosa sia e cosa non sia “rinnovabile”, non verranno implicati giudizi arbitrari
… ma soprattutto, le apparenti debolezze si trasformeranno in punti di forza…
Esempi? Prendiamo un’ apparente debolezza: chi paga? Risposta semplice e sorprendente:
… non importa!…
Altra apparente debolezza: quali conseguenze (da un economia con carbonio ad alto costo)? Risposta:
… non lo sappiamo, e questo è il bello!… l’ evoluzione economica, inclinando il campo da gioco secondo nuove regole, cioé rendendo i "gas serra  più costosi, produrrà esiti inattesi… I governi non sono tenuti a scegliere modi specifici per salvare il pianeta ma solo a “inclinare il campo da gioco”…
Veniamo all’ ultima apparente “debolezza” della soluzione evolutiva, quella più sintomatica:
… il prezzo è qualcosa di cui teniamo conto tutti a prescindere dalla nostra coscienza ambientale…
Orrore: la coscienza ambientale non serve più per salvare il pianeta, basta soppesare prezzi e voglie, proprio come fa da sempre il buon vecchio consumista.
E che ce ne facciamo adesso delle vaccinazioni già pronte, dell’ esercito di maestrine premurose, dell’ insegnante missionario, dei guru verdi che pontificano sulla TV di stato e sull’ organo di Confindustria? Dei monopolisti del buon gusto? Che ce ne facciamo di un’ intera chiesa con tutti i suoi riti e i suoi chierichetti?
Risposta da dire con gli occhi: niente, li buttiamo nel cesso e tiriamo lo sciacquone.
La cosa puo’ dispiacere solo a chi considera la “coscienza ambientale” uno strumento per guadagnarsi l’ accesso a Paradisi post-moderni in cui San Pietro alza la sbarra solo a chi “ricicla & coibenta” a prescindere. Ecco, a tutti gli scornati del caso consiglio caldamente di indirizzare la loro prorompente spiritualità verso i meno evanescenti Paradisi della tradizione.
AMBIENTTTT

venerdì 1 marzo 2013

SAGGIO Apologia di Cimabue

Il bizzarro compito dell’ economia è di dimostrare quanto poco sappiamo di quel che pensiamo di sapere.
August Frederich Von Hayek – La presunzione fatale

Il nuovo libro di Tim Harford è ispirato da una semplice considerazione:
… ci vorrebbe una vita per costruire un tostapane… eppure, cosa incredibile, se ne trovano sotto casa di affidabili ad un costo che non supera l’ ora di lavoro…
Thomas Twaites qualche anno fa tentò di realizzarne uno partendo da zero, e mal gliene incolse. In fondo, pensava il tapino, basta solo mettere insieme 400 pezzi.
… decisi di semplificarmi la vita copiando il modello più rudimentale… per il ferro mi recai nelle miniere del Galles… devo ammettere che ne approfittai per una vacanza… per il rame, dopo un contatto abortito con i cileni, ripiegai sull’ elettrolisi applicata alle acque inquinate presso un vecchio impianto di Anglesey… Il nickel tentai di procacciarmelo fondendo delle monete d’ epoca e riciclando il materiale filamentoso presso i laboratori messi graziosamente a mia disposizione dal College. Alla mica rinunciai facendomela spedire direttamente da produttori inglesi… per la plastica chiesi il permesso alla BP di recarmi su una piattaforma e ottenere così petrolio greggio, permesso rifiutato… mi detti così da fare con l’ amido di patate… un’ esperienza allucinante… alcune lumache si divorarono tutto nottetempo… ma alla fini riuscii a ottenere una quantità minima…
Nonostante anni di lavoro frustrato, sforzi erculei e  molti compromessi, il prodotto finito era di forma piuttosto… “amorfa”:
… ma funzionava!… almeno in certe condizioni: quando lo attaccavo a una batteria il tostapane scaldava… purtroppo quando l’ ho attaccato alla corrente si è… auto-tostato…
Morale: viviamo in un mondo complicato dove anche la produzione di un articolo banale come il tostapane va al di là di ogni umana comprensione. Oltretutto questo genere di problemi è da classificare tra i “semplici”:
… è difficile che il pane assuma per sé un ruolo attivo… non risponde alle tue strategie… non mette in campo contro-mosse, non cerca di fregarti come farebbe una squadra di banchieri d’ investimento… non cerca di ucciderti come potrebbe fare una cellula terroristica… non interagisce… sta semplicemente lì ad attendere la tua soluzione… in un certo senso si potrebbe dire che lui, poverino, “collabora”…
Inoltre:
… su piazze importanti come Londra e New York vengono offerti dieci miliardi di prodotti diversi, spesso molto più complicati di un tostapane…
Che dire?
La conclusione è che ci sono dei veri e propri “miracoli laici” a cui ci siamo abituati e che ora diamo per scontati.
Costruire un tostapane è un’ impresa titanica, come del resto costruire una matita quale la conosciamo (chiedere a David Thoreau).
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE]

 Eppure, proprio quando ne abbiamo bisogno, sia il tostapane che la matita sono lì che ci aspettano a pochi metri da casa nostra e a costi irrisori. Chi ha realizzato l’ impresa? Chi ha coordinato la miriade di persone coinvolte nel progetto? Sarebbe bene scoprirlo visto che questo genio ci ha arricchito come non mai nella storia dell’ uomo.
Certo che, al di là del mistero, c’ è da essere orgogliosi:
le società del passato, dal feudalesimo all’ economia pianificata, avevano tentato di perseguire questo obiettivo fallendo miseramente…
Ma anche preoccupati:
… il tostapane e la matita sono simboli di quanto sia sofisticato il mondo che abbiamo costruito ma anche degli ostacoli che attendono chi intende cambiarlo…
Veniamo ora alle possibili risposte.
Forse il segreto sta nello studio. Con tutte le università, i professori e gli scienziati che circolano, i problemi, anche i più ostici, si sciolgono come neve al sole, dove il sole è rappresentato proprio da cotante intelligenze e dalla moltitudine di biblioteche a loro supporto.
Errato. Le soluzioni  di cui parliamo non possono stare in una testa, e nemmeno in poche e selezionate teste chiamate a interagire in una torre d’ avorio.
Perché, faccio per dire, Obama o Berlusconi hanno deluso?
… tutti si aspettavano troppo da un unico essere umano o dal pool di esperti che costui poteva mettere insieme… abbiamo un tremendo bisogno di credere nell’ efficacia di un leader… quando la sfida è complicata cerchiamo un genio che l’ affronti in nostra vece… l’ errore non sta nell’ avere eletto i candidati sbagliati ma nel sovrastimare le reali possibilità che una leadership nel mondo moderno ha di raggiungere certi obiettivi…
Philip Tetlock, in vent’ anni di ricerche, ha indagato a lungo i limiti dell’ expertise in politica:
… nel verificare le previsioni raccolte abbiamo notato errori sistematici… sintomo delle difficoltà incontrate dal “professionista” nel comprendere e dominare la complessità sociale… certo, la differenza con il profano è evidente… tuttavia, sulla base di un qualsiasi standard oggettivo, i benefici dell’ expertise restano davvero modesti…
Se uno legge Tetlock, sembra emergere chiaramente una lezione talmente radicale che l’ autore stesso è restio a trarre: “pensa con la tua testa!”.
Se con la politica andiamo male, con il management andiamo anche peggio. Vi ricordate il libro di Peters e Waterman “Alla scoperta dell’ eccellenza”?
… in uno studio accurato sull’ eccellenza nel mondo degli affari… i due guru misero assieme una serie di giudizi creando una lista di 43 imprese governate in modo eccellente…
Solo 2 anni dopo Business Week pubblicò un articolo intitolato: “Oops… e adesso chi è eccellente?”. Delle 43 aziende un terzo era fallito o versava i gravi guai finanziari.
C’ è da meravigliarsi?
… no… Leslie Hanna stilò una lista delle aziende più potenti del 1912… dieci delle prime cento sparirono nel giro di un decennio… e più della metà negli ottanta anni successivi…
Eppure è proprio il mondo delle imprese che con un suo bidibibodibibu tutto particolare realizza sia il miracolo del tostapane che quello della matita! La lezione da trarre:
… sembra che il fallimento sia parte integrante di un mondo in grado di risolvere problemi sofisticati… e il bello è che i tassi di fallimento sono ancora più elevati nei settori nuovi e dinamici…
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=2E3dNqhXndE]
Ma perché un sistema vincente è così ricco di fallimenti?
… in parte perché i problemi sono complicati, lo abbiamo visto… in parte perché per sopravvivere non è sufficiente essere bravi, bisogna essere i migliori… se sei solo “bravo” l’ estinzione è il tuo destino…
C’ è spazio per pochi, come sul podio delle Olimpiadi.
I settori economici “tranquilli” sono anche i più stagnanti:
… l’ industria di maggior successo degli ultimi 40 anni, quella informatica, è stata costruita un fallimento dopo l’ altro… proprio come il tostapane che ha mandato in tilt Thomas Thwaites, è a sua volta il risultato di tentativi ed errori… il mercato trova a tentoni la via giusta…
I biologi hanno una parola per descrivere quel processo che seleziona il meglio grazie agli insuccessi: evoluzione.
L’ evoluzione ha qualcosa di sconcertante…
… data la nostra istintiva convinzione che problemi complicatissimi richiedano soluzioni a tavolino progettate da cervelloni altrettanto raffinati… rimaniamo spiazzati nell’ apprendere che l’ evoluzione… ovvero lo sciogli-nodi più potente in natura… sia così semplice e in gran parte casuale:… applichi una variante a cio’ che hai, elimini gli errori e ti tieni i successi, e così all’ infinito…
Il “prova e sbaglia” non è altro che l’ algoritmo evolutivo:
… l’ unico in grado di raggiungere un buon compromesso fra la scoperta del nuovo e lo sfruttamento di cio’ che è già noto…
E’ un algoritmo che ci ha regalato molte “soluzioni”:
… in biologia la fotosintesi, l’ occhio, il latte della mamma… nel commercio la contabilità a partita doppia, la cambiale, il 3 X 2…
Molti, forse a causa degli stipendi profumati, pensano che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere grandi qualità. Ma come si concilia la “meritocrazia” con la “cecità” evolutiva?
Si concilia male, molto male. E le ricerche del “fastidiosissimo” economista Paul Ormerod ce lo ricorda continuamente:
… Ormerod ha studiato le statistiche sulla morte dei giganti industriali e le ha comparate con  dati della storia dei fossili nell’ ultimo mezzo miliardo di anni… rilevando che la configurazione delle estinzioni è alquanto simile per picchi e frequenze… le estinzioni biologiche e quelle aziendali sono affini…
Piuttosto inquietante:
… se le aziende fossero davvero in grado di elaborare strategie di successo… allora l’ estinzione delle aziende dovrebbe assumere caratteristiche del tutto differenti dall’ estinzione biologica… che é in gran parte casuale…
L’ evoluzione casuale è migliore dei manager superpagati.
Sembrerebbe che la Apple possa sostituire Steve Jobs con una scimmia che gioca a freccette!
Le cose non stanno proprio così, anche se è buona cosa pensare al merito come a un algoritmo più che a qualcosa con nomi e cognomi o a prestigiose Università. Purtroppo o per fortuna il ruolo del caso nei successi personali tende a essere sottovalutato mentre la mossa decisiva sta proprio nell’ indirizzare correttamente questa forza a livello di sistema.
Per chiudere la sezione mi permetto solo di ricordare che l’ analogia evoluzione/mercato non bisognerebbe spingerla troppo oltre, altrimenti qualcuno pensa davvero che siano la stessa cosa e attacca la tiritera sul “capitalismo darwiniano”.
***
Procedere per “tentativi ed errori”, ecco il segreto per sciogliere i mega-nodi più tenaci. Ma perché siamo tanto restii ad applicare la ricetta che Madre Natura ci propone come la più efficace?
… la reputazione di “voltafaccia” sembra essere un insulto… ma se prendiamo sul serio il metodo empirico, cambiare opinione molto spesso dovrebbe essere la norma… una flessibilità da esibire con orgoglio… e invece c’ è chi si vanta perché “tira dritto” per la sua strada… o perché non fa mai “marcia indietro”… o “non tradisce” le sue idee…
Dovremmo allora valorizzare meglio la nostra “formula vincente”…
… in modo da sfruttarla per affrontare problemi all’ apparenza irrisolvibili: cambiamenti climatici, guerre civili, instabilità finanziaria… presto vedremo come…
***
La Storia ci mostra come l’ orrore per gli errori sia un errore madornale. Un esempio?
Si dice che l’ economista sia uno “scienziato senza laboratorio”, questo non è del tutto vero: l’ Unione Sovietica fu un immenso laboratorio:
… dire che l’ Unione Sovietica si è rivelata un disastro non è una novità, ma i motivi particolari per cui il progetto è fallito vengono spesso trascurati…
Persone crudeli hanno recentemente rispolverato i peana innalzati da Eugenio Scalfari ai successi che l’ Unione Sovietica ottenne in campo economico. Con un uomo anziano certe cose non si fanno, soprattutto se entusiasmi del genere erano condivisi da molti, negli anni cinquanta. Ok, Scalfari fu un mezzo fascista e un mezzo comunista, ma chi in Italia non lo fu? Pochi benemeriti che si contano sulle dita di una mano.
I fascio-comunisti a metà sono in genere dei moralisti tutto d’ un pezzo e la mostruosa macchia morale dell’ Unione Sovietica è ormai captata anche dalle loro sensibili antenne. Sul piano economico, invece, le cose restano ancora oggi molto più elusive:
… tendiamo a pensare che l’ economia pianificata sia crollata perché mancava l’ effetto galvanizzante della ricerca di un profitto… ma questo non è del tutto vero perché l’ URSS era pieno di personaggi creativi a prescindere dall’ esca… e non mancavano nemmeno le tecniche motivazionali e gli incentivi sia positivi che (orribilmente) negativi…
Le lacune endemiche del sistema vanno forse cercate (anche) altrove…
… in una patologica incapacità di sperimentare… per i pianificatori è impossibile tollerare un’ autentica varietà di metodi per risolvere un problema… l’ ingegnere sociale ha in mente solo problemi ingegneristici: un problema, una soluzione… il resto è “spreco” di risorse… nella città modello di Magnitogorsk esistevano solo due tipi di abitazione “A” e “B”, ed erano le uniche concessioni alla diversità che la città poteva offrire…
Basta? No:
… il pianificatore, per quanto entusiasta e in buona fede, fatica a decidere cosa funzioni e cosa no… per conoscere quali esperimenti hanno dato esito positivo bisogna contare su feedback affidabili… che nel caso dell’ URSS erano ferocemente repressi…
Qui si narrano le vicende dell’ Ing. Palchinsky, un pianificatore illuminato che a un certo punto “comprese” il nocciolo della questione stilando quei principi che lo condussero dritto dritto in Siberia:
… primo, testare nuove idee e provare strade alternative… secondo, sperimentare in modo da sopravvivere ai fallimenti… terzo, cercare riscontri e imparare dai propri errori… Il primo principio potremmo chiamarlo “variazione”, il secondo “sostenibilità” e il terzo “selezione”… Finì nel Gulag con un’ accusa terribile: sabotaggio della grandiosa industria sovietica con l’ intento di perseguire “obiettivi minimali”… Poiché era una testa dura alla Giordano Bruno, non ritrattò e fu condannato a morte…
***
Ma anche nelle grandi organizzazioni democratiche e commerciali dell’ Occidente liberale, il metodo del “prova e sbaglia” risulta a dir poco problematico nella sua applicazione:
… la “variazione” è sempre difficile per una tendenza intrinseca: la mania di grandezza… i grandi progetti attirano l’ attenzione e dimostrano che il leader porta a termine le cose…
Proviamo a prendere sul serio l’ idea di “variazione”:
… se la varietà è un valore… bisogna ammettere che standard qualitativi uniformemente alti (penso ora al sistema sanitario su base regionale), non solo sono difficili da ottenere, ma nemmeno sono auspicabili…
Terribile, nevvero?
Il fatto è che ci piace pensare al mondo come a un “problema risolto” anziché come a un problema che torna a riproporsi all’ infinito mettendoci alla prova in un’ apparente fatica di Sisifo.
L’ epitome del problema risolto è la Coca Cola (ramo bibite gasate), almeno per come compare nella famosa uscita di Andy Wharol:
… quando vedi in TV la pubblicità della Coca sai che anche il Presidente la beve e che anche tu puoi berla… una Coca è una Coca e nessuna somma di denaro puo’ darti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’ angolo della strada… ogni Coca è uguale a tutte le altre e ogni Coca è buona. Liz Taylor lo sa, lo sa il barbone, lo sai te e lo sa anche il Presidente…
Nel mondo cocalesco dipinto da Wharol tutto è fermo, bidimensionale, congelato, stabilizzato, pacificato. Tutto è risolto e tutti beneficiano della soluzione. Ma noi non viviamo né nella monumentale Unione Sovietica, né nella narcosi wharoliana, per questo abbiamo bisogno di dinamismo, di errori, di cadute, di differenze, di varietà e di irritanti diseguaglianze.
Ma non è solo la “varietà” a creare problemi:
… altrettanto difficile, per le organizzazioni tradizionali, è provvedere alla “selezione” di quel che ha funzionato sul campo…
Almeno metà dei progetti pilota fallisce e a un politico, per esempio, non piace molto mostrare in pubblico i propri fallimenti, verrebbe irriso quanto e più di Cimabue:
… dovremmo invece tollerare, se non celebrare, tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che molte non funzionano… ma in realtà non lo facciamo mai…
Come se non bastasse, c’ è un limite ai feedback sinceri che un boss vuole ricevere, anche per questo indoriamo la pillola fino a tramutarci in tanti yes-man:
… si arriva all’ estremo che persino quando il boss vorrebbe un riscontro onesto sulle sue scelte non riesce a riceverlo per quanto si impegni…
***
Ma lasciamo perdere le grandi organizzazioni e guardiamo per un attimo dentro noi stessi. Perché é così difficile imparare dai propri errori? I pokeristi sembrano i più titolati a rispondere:
… diversi giocatori professionisti mi hanno raccontato che il rischio di perdere il controllo non è particolarmente alto quando si vince un piatto consistente e fa capolino l’ euforia… ma quando si è appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata o per una strategia sbagliata… Perdere puo’ mandare in tilt anche il giocatore più freddo… riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’ unica cosa da fare, per quanto doloroso sia… il giocatore si mette invece a fare puntate folli per riequilibrare quella che ritiene essere solo una situazione temporanea… non è la perdita iniziale a rovinarlo ma le mosse successive…
E’ difficile “procedere per errori” quando non sappiamo affatto convivere con i nostri errori.
Il fenomeno si chiama “loss aversion”, da non confondere con la semplice “risk aversion”.  La prima è un bias cognitivo, la seconda una semplice preferenza sui rischi. Solo la prima produce comportamenti all’ apparenza assurdi come, per esempio, rinunciare a qualcosa solo perché in futuro potremmo perderla.
Fortunatamente gli esempi concreti per capire non mancano. Giusto l’ altro giorno, avendo comprato il biglietto per uno spettacolo a lungo atteso, volevo andarci anche se leggermente influenzato, non riuscivo davvero ad accettare l’ idea di sprecare i soldi. Anche se “sprecare” quei soldi era di gran lunga la strategia migliore di procedere nelle mie condizioni.
Vado avanti? Guardatevi la trasmissione dei “pacchi” su Rai Uno, spero sappiate le regole del gioco:
… statistiche alla mano, il comportamento più stupefacente è quello dei concorrenti inizialmente penalizzati dall’ estrazione di un pacco particolarmente munifico… costoro, nel prosieguo del gioco… raramente accettano le proposte del banco, anche quando sono molto ma molto convenienti… anche se in altri contesti le avrebbero accettate… e questo perché facendolo sentono di rimanere come “imprigionati” nella sfortuna che li ha colpiti in partenza… continuando a giocare invece sentono di avere una possibilità di riscatto… ma a loro sono riservate cocenti disillusioni…
Morale: il metodo “prova e sbaglia” è il migliore quando dobbiamo far fronte a problemi dove la calcolatrice s’ arrende, peccato sia tanto contrario al nostro istinto e al nostro benessere psichico.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=iZU0IKFSB_0]

Solo una piccola aggiunta off topic sulla psicologia della “loss aversion”. Probabilmente sta proprio lì la chiave per capire l’ esistenza niente po’ po’ di meno che… dello Stato! Sì, perché questa è la mia teoria dello Stato preferita:
… molti filosofi della politica si chiedono perché tolleriamo dallo Stato coercizioni che non tollereremmo mai se a imporcele fosse chiunque altro… La mia ipotesi è che le persone siano mediamente molto più sconvolte da piccoli soprusi sporadici, anonimi e imprevedibili, piuttosto che da grandi soprusi costanti, identificabili e prevedibili… Gli anarchici sostengono che il Governo non si differenzia dal semplice bandito di strada, senonché il governo dopo averti rapinato senza indossare una maschera non scappa ma resta alle tue calcagna in attesa di rapinarti anche il giorno dopo… non si rendono conto che proprio questa caratteristica spiega il successo dello Stato moderno… infatti, una ragione per cui ci si sottomette alle coercizioni governative sta proprio nel fatto che esse sono relativamente costanti, che i leader di governo siano ben identificabili e le loro azioni abbastanza prevedibili…
***
Se il nemico si chiama “loss aversion”, cosa si puo’ fare?
Forse niente. Oppure si puo’ “lavorare su se stessi” facendo dei proponimenti per l’ anno nuovo:
… nel 2013 combatterò risoluto l’ avversione alle perdite… mi riprometto di moltiplicare i progetti andando incontro a tanti piccoli fallimenti… il mondo è pieno di micro esperimenti che possiamo fare e a cui di solito rinunciamo a causa della “loss aversion”: andare a quella festa dove potremmo incontrare qualcuno d’ interessante… coltivare un nuovo hobby… avvicinarsi a un movimento politico… imparare a mettere insieme una torta al cioccolato… prendermi un personal trainer… oppure, se proprio sono a corto di idee, leggere il libro di Peter Sims “Little bets”… Il punto è che non mi aspetto affatto che la gran parte di questi progetti prenda una buona piega… il personal trainer probabilmente sarà uno spreco di denaro e di tempo… la festa presumibilmente sarà noiosa, non ho una gran voglia di mettermi ai fornelli e a casa mia sto sempre meglio che in piazza a gridare slogan… ma non importa perché le “perdite” a cui andrò incontro saranno comunque piccole e  ampiamente compensate quando uno solo di questi progetti si rivelerà pienamente soddisfacente e mi farà “svoltare”… quante più perdite sopporterò, tanto più probabilmente il gioco complessivo si chiuderà in attivo…
***
A questo punto sarebbe bello trattare un problema concreto alla luce di queste scoperte. Si potrebbe iniziare con i cambiamenti climatici!
Direi che la “complessità” non manca, ma forse è meglio rinviare a un altro post.
Qui cerco invece di trarre un primo insegnamento da quanto detto.
L’ algoritmo evolutivo, l’ avrete notato, assomiglia molto alla canonica “soluzione liberale”.
Scopriamo quindi che quest’ ultima non dovrebbe essere confusa e messa in concorrenza con le altre soluzioni poiché essa consiste essenzialmente in un “passo indietro”, in una dichiarazione d’ ignoranza, in una rinuncia a “risolvere” e in una cessione di potere alle forze naturali che sbagliando, correggendosi e copiandosi ottusamente, faranno emergere una ricetta migliore e sempre migliorabile.
In questo senso, il liberalismo non puo’ essere considerato un’ ideologia, non consiste in soluzioni preconfezionate ma, al limite, in una meticolosa preparazione del terreno su cui si confronteranno i veri “cercatori di soluzioni”.
Il liberale deve usare la logica, ma non per edificare fragili costruzioni, bensì per far vacillare le più pretenziose e animare la concorrenza. Il liberale deve impratichirsi con la statistica, ma non per dimostrare l’ esistenza di arcane relazioni su cui fondare la Verità, bensì per revocare in dubbio quella più arrogante rigettandola nel maelstrom delle idee indimostrate. Insomma, è bene che il liberale sfoggi un certo genio, ma solo per indebolire il genio apodittico di chi vorrebbe parlare col megafono a nome di tutti.
Non manca un lato oscuro in tutto cio’: è naturale sentirsi e dichiararsi ignoranti? E’ naturale fare un “passo indietro”? E’ naturale ergere l’ errore a simbolo della conoscenza?
Direi di no, il “liberalismo” è contro-natura e difficilmente farà mai breccia nella massa.
Fiero allora di appartenere a un’ élite, il liberale dimentica subito le basi del suo credo e gonfia inopinatamente il petto: più arrogante di lui c’ è forse solo l’ “evoluzionista” militante! Non sorprende davvero apprendere da questo libro che i due siano cugini primi.           

giovedì 21 febbraio 2013

Beati gli umili

… l’ umiltà è la presunzione di chi l’ ha preso in quel posto…
anonimo
Ma che significa essere “umili”?
In un saggio sull’ argomento, Robert Roberts, docente di etica alla Baylor University, comincia facendo quello che faremmo tutti, ovvero legge alla voce “umiltà” dell’ English Oxford Dictionary:
… umiltà è la qualità dell’ essere umili, ovvero dell’ avere una modesta opinione di sé…
Ma avere “una bassa opinione di sé” è tutt’ altro che una virtù!
Purtroppo, Hume e altri filosofi appartenenti alla tradizione empirica, identificarono il sentimento di umiltà con una carente auto-stima.
Qualcuno cercò allora di aggiustare il tiro pensando all’ umile come a persona che, esente da presunzioni, riesce a giudicare se stesso e gli altri con una certa accuratezza.
Anche qui non ci siamo.
Forse che il più grande pianista del mondo è umile perché ritiene – giustamente - di essere tale? Costui, è vero, non si sovrastima ma, non scherziamo, l’ umiltà è altra cosa. Giudicare sé e gli altri in modo corretto, al limite, rivela onestà intellettuale più che umiltà:
… andrei oltre dicendo che chi si concentra troppo sui giudizi, sia verso sé che verso gli altri, difficilmente coltiverà la virtù dell’ umiltà…
Altri confondono umiltà e conformismo:
… essere umili non significa andare con il gregge, sebbene nella tradizione orientale qualcosa del genere, magari spurgato delle connotazioni negative… puo’ essere vero…
Non parliamo poi di chi assimila umiltà e servilismo. Costoro usano il termine in modo denigratorio.
umili
Secondo la tradizione cristiana, Gesù di Nazareth è il perfetto modello di umiltà. Vediamolo allora da vicino:
… abbiamo di fronte una persona che si disinteressa del suo status…
Gesù non è interessato a confezionare accattivanti “biglietti da visita”. La cura dell’ “immagine” non è in cima ai suoi pensieri.
Nasce in una stalla e lava i piedi ai suoi discepoli. Più sfigato di così!
Allo stesso tempo, Gesù, è perfettamente consapevole della sua condizione superiore di figlio di Dio e, quando si viene al dunque, non fa niente per dissimularla. Anzi, sul punto è “scandalosamente” chiaro, la sua “scorrettezza politica” rischia spesso di offendere l’ interlocutore. Pagherà cara la chiarezza e la mancanza di peli sulla lingua.
Secondo questo modello, quindi, l’ umiltà coincide con un disinteresse per l’ apparire. Un disinteresse ben lontano dall’ ignoranza circa le proprie doti e la propria natura. Trascurare le apparenze per dedicarsi alla sostanza è tipico di Gesù.
In questo senso Socrate lo anticipa. Il filosofo greco prende continuamente le distanze sia dalla falsa modestia che dalla ricerca di approvazione sociale.
L’ esempio di questi giganti è straordinario, e ce lo conferma la scienza contemporanea:
… per i primati, incluso l’ uomo, la caratteristica saliente dell’ ambiente in cui sono immersi, è rappresentata dalle tensioni che la “caccia allo status” crea tra gli agenti… se mai esiste un sentimento universale nello spazio e nel tempo questi è l’ invidia…
Insomma, vogliamo essere degli “alpha”, se non in assoluto, perlomeno rispetto a qualcuno.
Solo quando questa ansia viene frenata – per esempio dall’ amore per Dio o da qualche altro interesse genuino – noi potremo imboccare la via dell’ umiltà.
Ricordiamo che dallo “status” dipende la nostra rispettabilità e la nostra reputazione sociale, nonché una serie di conseguenze pratiche. Per questo risulta tanto difficile trascurarlo.
Il progetto di fare dell’ umiltà una virtù si scontra allora con il fatto che potrebbe essere impossibile praticarla in modo verace e i “doveri impossibili” sono anche “doveri insensati”.
umil
La psicologia evolutiva interpreta praticamente tutto in termini di “caccia allo status”. Dallo status dipendono in modo cruciale le opportunità di riproduzione. Lo sfigato medio non ha una prole numerosa.
Perché desideriamo vestire bene? Perché essere eleganti ci piace, ma anche per curare il nostro status. Perché vogliamo una casa dignitosa? Perché abitare una bella casa è meglio che abitare una casa squallida, ma anche per coltivare il nostro status. Perché vogliamo fare “vacanze speciali”? Perché siamo alla ricerca di comodità o di emozioni forti, ma anche per innalzare il nostro status presso i terzi che ne vengono a conoscenza.
Non facciamo mai qualcosa (solo) per fare quella cosa, in realtà stiamo lavorando al nostro status. A chi nelle università  studia queste tematiche viene assegnato un sintomatico nomignolo: “departement isn’t”: non si cucina un piatto appetitoso perché ci piace mangiarlo, non si va a votare perché si sposa la linea di un certo partito, non ci si fidanza perché siamo intimamente innamorati di quella persona…
E le percentuali? Mah, vogliamo fare un 50 e 50?
Per lo psicologo evolutivo, insomma, l’ uomo è dominato da una fissa: lo status. Hai voglia a incitarlo all’ umiltà! L’ insegnamento di Cristo si rivolge a gente nei cui geni è scritta una storia differente. La personalità umile è  contro-natura.
Si parla di Homo Hypocritus proprio perché lo status, oltre a essere tremendamente importante, è anche facilmente falsificabile.
Lo status è sempre relativo, dipende quindi da un confronto con gli altri, una “guerra dei tutti contro tutti” in cui si sprecano energie preziose nel pompare in modo credibile il proprio e nel demistifcare il pompaggio altrui.
In questa guerra l’ arte dell’ ipocrisia è cruciale e poiché l’ umiltà intacca proprio l’ ipocrisia, cominciamo a cogliere il legame tra “umiltà” e “verità”.
In merito a umiltà, status e ipocrisia, il prof. Robert Trivers ha elaborato una teoria ingegnosa quanto convincente. Per lui l’ arte dell’ ipocrisia è funzionale all’ implementazione di strategie vincenti dal punto di vista evolutivo.
Se riusciamo a presentarci meglio di cio’ che siamo e, nello stesso tempo, coltiviamo competenze idonee a smascherare l’ ipocrisia altrui, saremo dei vincenti.
C’ è un piccolo inconveniente: le competenze sviluppate dagli altri per smascherare la nostra ipocrisia progrediscono quanto la nostra abilità a dissimulare.
Smascherare l’ ipocrisia altrui non è poi così difficile. Chi mente manifesta segnali di nervosismo e chi riesce a dominare il nervosismo fa emergere comunque la classica freddezza artefatta del mentitore; insomma, ci sono mille segnali che ci denunciano! Inoltre, al mentitore viene richiesto un grande sforzo cognitivo: deve infatti distruggere l’ edificio della verità e rimpiazzarlo con uno fasullo! Mica paglia: la memoria è sottoposta a uno stress non indifferente, bisogna ricordarsi e incastrare le proprie bugie per non cadere in contraddizione sul lungo termine. Guai a chi non organizza in modo “scientifico” le proprie ipocrisie!
Sono problemi ardui che potrebbero orientarci verso una soluzione di “second best”: la sincerità. Ricordiamoci che in questa morra il “bugiardo” sopravanza il “sincero” ma il “bugiardo sbugiardato” perde con tutti.
Fortunatamente (o sfortunatamente), Madre Natura ha sviluppato nel nostro organismo un’ arma letale: l’ autoinganno. Ricorrendo all’ autoinganno, dominare il “nervosismo” e l’ “organizzazione” delle mezze verità diventa molto meno impegnativo. Autoingannandoci potremo sfoggiare un’ ipocrisia calma e coerente.
*** 
L’ umiltà è dunque un obiettivo molto ambizioso per almeno due motivi: 1. la presunzione è pur sempre una brutta gatta da pelare (temiamo il giudizio altrui) e 2. noi per primi crediamo di essere già umili a sufficienza (temiamo il giudizio della nostra coscienza).
Non ammetterei mai di avere preoccupazioni di status nel momento in cui scelgo una camicia, oppure se sistemo la casa dei miei sogni, né tantomeno quando si tratta di scegliere se e dove andare in vacanza. Anzi, trovo offensivo che qualcuno possa anche solo insinuare l’ esistenza di preoccupazioni tanto meschine. Oltretutto mi sento sincero quando nego un collegamento che invece è patente. Questo perché, spiega il Prof. Trivers, sia la trasparenza che l’ ipocrisia nuda e cruda sono strategie perdenti. L’ ipocrisia unita all’ autoinganno, per contro, vince su tutti i fronti!
Inutile aggiungere che, poiché la selezione naturale ci ha prescelti, la nostra strategia deve necessariamente essere quella vincente.
Il libro del prof. Trivers è ricco di aneddoti illuminanti. In uno, per esempio, le fotografie delle “cavie umane” vengono manipolate in modo da abbellire o imbruttire le persone che vi compaiono. Si è notato come gli interessati si riconoscano più velocemente nelle prime. Evidentemente – autoingannandosi - si pensano più belli di quel che sono.
In un altro viene detto a dei bambini di non spiare il giocattolo racchiuso in una scatola presente nella stanza dove verranno lasciati soli. Naturalmente la maggior parte di loro, tradendo la parola data, spia. Ma la cosa più interessante è che la probabilità di spiare cresce con l’ IQ del bambino. Poiché l’ intelligenza ci serve per rintracciare strategie vincenti, se ne deduce che la “propensione al tradimento” sia tale. L’ inganno e l’ autoinganno non fanno che rispecchiare una “propensione al tradimento”.
… l’ ipocrisia ci aiuta a rappresentare e a rappresentarci il mondo in modo distorto per affrontare al meglio la competizione con gli altri… cio’ comporta una continua inflazione delle nostre conquiste e delle nostre competenze… una svalutazione dei fallimenti e una razionalizzazione degli errori… l’ ipocrisia gioca un ruolo fondamentale in questo processo in quanto si mente molto più efficacemente agli altri se si sa mentire a se stessi… la capacità di autoingannarsi è un  caratteristica vincente selezionata dall’ evoluzione per vivere in società proprio come la pelle chiara è selezionata per vivere nelle regioni nordiche e quella scura per vivere all’ equatore…
***
C’ è chi si rassegna a considerare l’ ossessione per lo status connaturata all’ uomo e cerca di consolarsi: meglio le guerre non cruente che quelle cruente. Meglio la caccia allo status veicolata dalla pubblicità che quella veicolata dalle guerre.
Ci sono dei “rassegnati” che cercano poi di metterci una pezza esortando a costruire una società ricca e variegata in cui ciascuno di noi possa trovare una nicchia in cui primeggiare e appagare le sue vanità.
C’ è invece chi non si rassegna e grida “beati gli umili”, convinto che l’ umiltà si possa conquistare indipendentemente dal cablaggio dei nostri cervelli.
La mia posizione? Trovo che, tutto sommato, l’ introspezione sia un buon antidoto all’ autoinganno. Ma, proprio perché il resoconto di RT sembra abbastanza convincente, non saprei se raccomandarlo a tutti (me compreso): un’ introspezione troppo accurata potrebbe disarmarci lasciadoci inermi.
La conclusione è dunque sorprendente: l’ umiltà è una virtù élitaria. Roba per pochi. Roba per chi riesce a compensare l’ ipocrisia con altre doti evolutive. In partenza avrei detto il contrario, l’ umiltà mi appariva più come una virtù tipica della massa.
***
P.S. Umiltà e conoscenza
Una cosa comunque è certa: se l’ umiltà dichiara guerra alla “ricerca dello status”, dichiara guerra anche all’ “auotinganno” divenendo così, almeno all’ apparenza, uno strumento di verità.
Veniamo così alla cosiddetta “umiltà intellettuale”: perché desideriamo conoscere? In parte per amore della verità, in parte per coltivare il nostro status.
E le percentuali? Anche qui 50 e 50? Secondo il San Paolo della lettera ai Corinzi, quello per cui “la conoscenza inorgoglisce, l’ amore edifica”, probabilmente anche 40 e 60!
Ma l’ umiltà è poi davvero “strumento di verità”? Non ne sono del tutto convinto. Sicuramente alimenta il nostro amore per la verità, ma da qui a essere funzionale al suo conseguimento ne corre.
Purtroppo gli esempi di grandi scienziati “poco umili” sono parecchi.
Galilei non dubitò mai delle sue tesi pur avendo in mano ben poche prove oggettive.
James Watson
… nella sua biografia ammette candidamente che lui e Francis Crick, allorché scoprirono la struttura fondamentale del DNA, erano motivati da molto più che un desiderio di conoscenza scientifica… cercavano un posto nei libri di storia e il riconoscimento dei colleghi… in particolare temevano che Linus Pauling arrivasse prima alla scoperta e non esitarono a utilizzare la strumentazione ideata da Rosalind Franklin senza chiedere il suo permesso…
Spesso percepiamo la nostra immagine sfregiata dallo spettro di una correzione ricevuta da un nostro pari. Quando cio’ avviene, emerge l’ istinto di correre a buttarla in rissa pur di provare (innanzitutto a noi stessi) che siamo nel giusto e che la nostra condizione primigenia è stata ripristinata:
… per chi difetta di umiltà è particolarmente seccante essere corretto in un forum pubblico… il disturbo che se ne riceve fa passare presto in secondo piano la ricerca della verità…
Un sintomo dell’ arroganza è l’ attacco ad hominem:
… chi è intellettualmente umile considera gli argomenti indipendentemente dalle persone che li espongono… costui non sferrerà mai un attacco ad hominem, non è interessato alle persone e ai confronti tra persone… ma unicamente alle idee di cui sono portatrici...
RR si concentra poi sulle radici dell’ arroganza intellettuale:
… nella ricerca, i precoci successi rischiano di portare una certa arroganza negli scienziati affermati…
In effetti ho notato che è senz’ altro importante studiare il lavoro dei Nobel, purché ci si concentri su quello prodotto prima del ricevimento del premio. Quello successivo, spesso nemmeno esiste, e quando esiste di solito ha scarso valore.
Si osa perfino portare Einstein come esempio negativo:
… il suo biografo disse che dopo l’ elaborazione della teoria della relatività, non essendo riuscito ad accettare i fondamenti della meccanica quantistica, non riuscì mai nemmeno a dare un contributo apprezzabile in un campo tanto importante…









mercoledì 20 febbraio 2013

venerdì 15 febbraio 2013

Il problema del male

Eccolo a voi in tutta la sua impertinenza:
… vivendo in questo mondo, c’ imbattiamo di continuo in ogni sorta di male. Se ci fosse veramente un Dio quale lo descrivono i suoi devoti (un Dio buono e di infinito amore), vi pare che dovremmo fronteggiare una realtà tanto orrenda?… se ne ricava che il Dio di cui ci parlano i devoti è un essere immaginario…
Per il credente che vuole giustificare la sua fede non è un problema da poco.
Forse la cosa migliore da fare è chiedere soccorso a Peter Van Inwagen, il filosofo contemporaneo che più di altri lo ha affrontato di petto.
Secondo PVI l’ argomento del male portato dall’ ateo è “fallimentare”, ovvero, non supera un test base:
… il test consiste nell’ ottenere l’ assenso di una platea neutrale e ragionevole disposta ad ascoltare sia l’ esposizione ideale dell’ argomento da parte di un “ateo ideale”, sia la “replica ideale” da parte di un credente… se – concesso un tempo ragionevole – l’ ateo non è in grado di convincere la platea neutrale, allora il suo argomento “fallisce”…
Il dono della Libertà che Dio fa all’ Uomo, secondo PVI, giustifica la presenza del Male nel mondo. Vediamo come.
Dio concede all’ uomo la possibilità di “scatenare i demoni” più terribili. Qualora costui decida liberamente di farlo, quel che succede dopo è facilmente intuibile.
Evidentemente Dio dà un valore maggiore alla libertà rispetto al rischio del male che si puo’ produrre esercitandola. Un rischio che è poi una quasi-certezza.
Insomma, la libertà di Mao vale la vita delle persone che ha sterminato (50m). Lo stesso dicasi per Stalin (20m) o per Hitler (12m). Vi pare cosa da poco?
In questo senso Dio è un libertario, e per chi ritiene tale posizione tutt’ altro che assurda, il Dio dei credenti è un essere dal comportamento tutto sommato ragionevole.
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L’ Ateo obietta: e l’ Onnipotenza di Dio? Se Dio fosse davvero Onnipotente avrebbe comunque il controllo di quel che succede potendo limitare i danni senza conculcare le libertà.
In effetti, una tradizione filosofica illustre – Hobbes, Hume, Mill – ha professato il “compatibilismo”, ovvero il fatto che libero arbitrio e determinismo fossero compatibili.
Oggi gran parte dei filosofi scientisti è “compatibilista”, in questo modo riescono ad accordare scienza e libertà. Ma anche molti teologi, soprattutto nel medioevo, hanno professato il compatibilismo, in modo da accordare libero arbitrio e onnipotenza divina.
Il “compatibilista” sostiene che noi siamo liberi perché “facciamo quel che vogliamo”, tuttavia “non possiamo volere quel che vogliamo”, ovvero, quel che desideriamo non è determinato dalla nostra volontà ma da una forza esterna.
Chiunque comprende che se la libertà fosse davvero quella descritta dai “compatibilisti”, l’ argomento del male sarebbe vincente poiché Dio avrebbe il potere di donare all’ uomo la libertà evitando al contempo tutti i mali a cui assistiamo. Sarebbe un Dio sommamente crudele quello che si astenesse dal porre un freno pur potendolo fare.
… un creatore che volesse che io scelga X anziché Y non dovrebbe far altro che “impiantare” nella mia volontà il desiderio di X e farmi agire poi liberamente…
Al credente che intende giustificare il male, a questo punto non resta che l’ opzione libertaria, ovvero la posizione che nega il compatibilismo. Non a caso PVI è un filosofo specializzato nella difesa della posizione libertaria, ovvero nella difesa dell’ “icompatibilismo”. Tutti i suoi maggiori lavori sono su quell’ argomento.
Per fortuna del credente il “compatibilismo” non sembra una buona teoria della libertà:
… considerate gli strati sociali più umili della società immaginata in “Brave New World”, X e Y. Questa povera gente ha il cervello controllato dai dominatori Alfa. Tutto cio’ che X e Y desiderano è fare cio’ che gli Alfa chiedono loro e questo perché la loro mente è controllata dai dominatori che sono così in grado di produrre un esercito di “schiavi volontari”.  Sinceramente è difficile pensare a individui che rappresentino meglio la mancanza di libero arbitrio, eppure, secondo il compatibilista, X e Y rispondono alla descrizione dell’ uomo perfettamente libero... non ho una teoria vera e propria della libertà ma sono certo che in virtù di conseguenze controintuitive come questa la teoria compatibilista sia sbagliata…
Se la teoria compatibilista è errata, cio’ comporta almeno due conseguenze: 1. l’ argomento della libertà giustifica la presenza del male e 2. la teologia dell’ Onnipotenza divina va precisata se non rivista.
Per quanto riguarda il secondo punto, risulta evidente che Dio, donando la libertà all’ uomo, rinuncia a parte della sua proverbiale potenza.
L’ ateo, a questo punto, potrebbe insistere: anche qualora il tuo Dio sia “depotenziato”, un essere onnisciente avrebbe comunque l’ opportunità di evitare molto del male che ci affligge.
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In effetti, un essere onnisciente sa esattamente come reagirà un uomo libero in certe circostanze, e molti teologi (domenicani, gesuiti, tomisti e anche Alvin Plantinga) non intendono rinunciare alla perfetta onniscienza di Dio.
… supponiamo che se avesse tuonato nell’ esatto momento in cui Eva meditava la sua decisione sulla mela, la nostra antenata, distratta, avrebbe liberamente rinunciato a coglierla… Ebbene, a un Dio onnisciente basterebbe organizzare il contesto in modo tale da evitare la catastrofe senza ledere la libertà di scelta degli uomini…
PVI non vede davvero come un credente possa rispondere a questa obiezione mantenendo fermo l’ attributo dell’ Onniscienza divina.
Secondo lui anche onniscienza e libertà sono incompatibili.
Meglio allora rinunciare ai tremendi sforzi fatti dalla teologia per mettere d’ accordo i due concetti, dobbiamo invece trattare l’ onniscienza proprio come abbiamo trattato l’ onnipotenza:
… Dio puo’ fare tutto il fattibile ma non puo’ fare cio’ che non si puo’ fare (per esempio per ragioni logiche), allo stesso modo Dio conosce tutto il conoscibile ma in un uomo libero albergherà sempre un residuo di mistero inconoscibile in virtù della natura stessa della sua libertà…
***
E la platea agnostica? Ricordiamoci sempre che è l’ ateo a dover provare qualcosa. Riassumiamo:
… l’ ateo sfodera l’ argomento del male per convertire all’ ateismo una platea agnostica ma il credente risponde con l’ argomento della libertà… l’ ateo confuta l’ argomento della libertà postulando una teoria compatibilista, il credente sostiene che una teoria libertaria della libertà è più confacente al buon senso, tocca solo rivedere il concetto di Onnipotenza e di Onniscienza divina, una revisione che non implica però gravi inconvenienti… a questo punto sembrerebbe che il credente abbia più frecce al suo arco e che la platea di agnostici debba consegnargli la palma…
Secondo PVI l’ ateo dovrebbe concedere qualcosa all’ argomento della libertà e ripiegare su altre obiezioni, per esempio:
… ma perché il male è così sovrabbondante?… e perché esiste un male (es. terremoti) che sembra non aver nulla a che fare con la libertà umana?…
PVI non sembra impensierito dalla prima obiezione: noi possiamo immaginare una vita molto più malvagia rispetto a quella che ci è dato vivere.
Come puo’ l’ ateo dimostrare e concludere che sulla terra il male sia tanto sovrabbondante? Dovrebbe provarlo, ma la cosa sembra difficile e quindi l’ obiezione puo’ essere accantonata.
La seconda obiezione è più seria poiché l’ “argomento ristretto” della libertà non sembra in grado di giustificare i terremoti.
Per farlo occorre allora un “argomento esteso della libertà” (teoria del Peccato Originale) che PVI cerca di illustrare con la storia della creazione dell’ uomo riveduta e corretta secondo i dettami della scienza moderna:
… grazie ai processi di selezione naturale, un gruppo di primati nostri antenati formarono una ristretta comunità che arrivò a contare qualche centinaio o qualche migliaio di membri… nella pienezza dei tempi Dio intervenne miracolosamente su questa comunità donando la ragione ai suoi membri… la ragione implicò il linguaggio, il pensiero astratto e il libero arbitrio… questo dono si rivelò necessario poiché solo grazie alla libertà l’ uomo avrebbe potuto amare nel senso pieno del termine… Dio non solo donò la ragione, non solo fece di questi esseri cio’ che noi chiamiamo “uomo” ma li fece anche entrare in una sorta di unione mistica con lui… cio’ consentì ai nostri antenati di vivere insieme in armonia di perfetto amore reciproco: nessuno faceva del male all’ altro e grazie a poteri “preternaturali” erano in grado di proteggersi dalle bestie feroci, dalle malattie e da qualsiasi imprevedibile evento naturale… insomma, il loro mondo non conosceva il male… Eppure, in qualche modo che a noi resta misterioso, essi mostrarono un certo malcontento abusando della loro libertà e perdendo così questa breve condizione paradisiaca… le conseguenze furono orribili poiché la smarrita armonia li costrinse ad affrontare inermi i casuali eventi distruttivi della natura… come se non bastasse, pur mantenendo una sorta di razionalità, perdettero il pieno controllo sulle loro passioni (egoismo, invidia…), cominciando ad aggredirsi l’ uno con l’ altro con una certa frequenza… questa loro nuova natura si perpetuò attraverso i geni alle generazioni future giungendo fino a noi…
L’ “argomento esteso” formulato da PVI giustifica anche la presenza del “male naturale” in termini di abuso della libertà ma questa volta il protagonista è il nostro antenato, colpevole di aver rinunciato volontariamente a vivere in armonia con Dio.
Ma la platea di agnostici potrà mai accettare la storia raccontata da PVI?
Possiamo solo prevedere che non ci saranno obiezioni scientifiche, visto che la storia è coerente con il racconto della scienza.
Ma potrebbero esservi obiezioni filosofiche.
Esempio: di fronte alla “caduta” un Dio immensamente buono si sarebbe chinato verso l’ uomo ripristinandolo nella sua armonia.
Non mi convince: se la caduta deriva da un abuso della libertà, il ripristino puo’ avvenire solo con un esercizio genuino della libertà. Siamo proprio in uno di quei casi in cui l’ Onnipotenza divina è impotente.
PVI usa l’ analogia del malato: Giovanni è malato e puo’ guarire solo grazie a uno sforzo di volontà. Disponiamo di una medicina che allevia le pene ma, allo stesso tempo, disincentiva la volontà necessaria alla guarigione. Che fare? Somministriamo la medicina? E’ plausibile che un medico buono vi rinunci. E’ plausibile dunque che il Dio-buono esista e sia coerente con la realtà che viviamo.
Altra obiezione, altro esempio: è iniquo che il comportamento dei padri si ripercuota sulla sua progenie.
Non mi convince. Tutti i giorni noi accettiamo come equi inconvenienti del genere.
Se il padre perde in borsa, il figlio erediterà meno. Non trovo che cio’ sia particolarmente iniquo. Se il figlio eredita le predisposizioni genetiche del padre, nessuno trova niente di particolarmente iniquo in tutto cio’. Possiamo anche fare un caso estremo: se il padre commette un crimine andrà in carcere e cio’ avrà ripercussioni sui figli ma tutti noi riteniamo che la pena inflitta al padre (e quindi, indirettamente, al figlio) sia equa.
Altra obiezione, altro esempio: e la sofferenza delle bestie? Anche quello è un male e la “storiella” della creazione non sembra giustificarlo.
… scoppia casualmente un incendio nella foresta, Bambi si trova davanti un muro di fuoco e muore orribilmente. In questa morte il Male fa capolino, eppure la storiella non ci spiega perché visto che Bambi, la vittima, non ha ricevuto il dono della razionalità e quindi nemmeno ha potuto abusarne…
L’ obiezione deve essere accolta: né l’ argomento ristretto, né l’ argomento esteso hanno alcun potere giustificatorio in questo caso. La libertà dell’ uomo non spiega alcunché. PVI ripiega su altri argomenti che qui tralascio.
male
C’ è poi il caso del male specifico. Davanti al dolore di una mamma che perde suo figlio investito dall’ auto pirata, cosa dire?
Nulla, la “storiella” non ci dà argomenti, l’ obiezione deve essere accolta.
Possiamo anche speculare che quel male rientra in un ordine comprensibile ma non potremmo mai fornire una giustificazione specifica sul “perché è toccato proprio a te”. Abbiamo (liberamente) turbato l’ “armonia” e ora il male naturale colpisce a casaccio.
***
Il libro di PIV è scaricabile qui al costo di 15 euro.

Riassumendo:

  • il credente afferma che il male esiste come conseguenza del dono della libertà (Dio rinuncia alla sua onnipotenza)
  • l'ateo obbietta: ma Dio non poteva rimanere padrone delle cose senza rinunciare al dono della libertà? Ci sono le teorie compatibiliste che consentono di farlo.
  • credente: le teorie compatibiliste sono insoddisfacenti. L'unica teoria soddisfacente è quella libertaria (in cui Dio rinuncia alla sua onniscienza)
  • obiezione atea: ma c'è troppo male nel mondo!
  • credente: come fai a dirlo? è possibile credere che non sia affatto così.
  • ateo: c'è molto male che non sembra affatto derivare dalla nostra volontà, per esempio i terremoti.
  • credente: il corso dei nostri atti ha conseguenze imprevedibili. IMHO: se Dio non interviene per deviare tale corso è anche per non interferire con le leggi di natura consentendo così che si realizzi appieno nell'uomo un altro dono: quello della ragione e della conoscenza. D'altronde in casi estremi Dio interviene, come nel caso dei miracoli.
  • credente: gli eventi malvagi che non dipendono in alcun modo dalla libertà umana sono da interpretare come banco di prova ad hoc per saggiare al meglio le nostre qualità
  • obiezione dell'ateo: ma un dio misericordioso salva.
  • risposta: la libertà è troppo importante
  • obiezione: che risposta dare alla mamma che perde un figlio e dice perché a me?
  • credente: nessuna. Possiamo avere una teoria generale del male non una teoria specifica.




martedì 5 febbraio 2013

Il liberismo yankee come patrimonio dell’ umanità

[attenzione: post con link!]
Il cuore tenero dei “sinceri democratici” di tutto il mondo avanzato è in tumulto, una preoccupazione non da poco lo tormenta: l’ asperrima diseguaglianza sociale che regna nella superpotenza americana.
Il fenomeno diventa di giorno in giorno più sgradevole e la risonanza internazionale di un movimento come Occupy Wall Street sta lì a testimoniarlo.
LIBERISMO
Certo che a ben vedere si tratta di un allarmismo non sempre facile da spiegare: la povertà negli USA è meno diffusa e meno severa rispetto a quella che riscontriamo in molti altri paesi del mondo. Le diseguaglianze sono certamente elevate per un paese ricco ma non possono essere definite “estreme” se si prende a riferimento lo standard internazionale.
Sfortunatamente, le  preoccupazioni “progressiste” promuovono poi politiche che, pur volte in buona fede (?) a ridurre la povertà in USA, rischiano di aumentarla nel resto del mondo.
Il fenomeno per cui ridurre il numero dei poveri incrementerebbe la povertà globale getta il neofita nello sconcerto pur essendo noto da tempo agli studiosi. Vediamo allora meglio il meccanismo sottostante che favorisce un effetto tanto perverso.
Gli USA sono sempre stati uno dei paesi più innovativi del pianeta, da sempre esportano tecnologia ovunque. Cio’ è dovuto, almeno in parte, alla cultura della competizione sfrenata e al sistema economico liberista che regna laggiù. Il welfare striminzito consente una bassa tassazione e la bassa tassazione assicura che i benefici per chi lavoro sodo, prende rischi e intraprende, siano maggiori che altrove. La deregolamentazione dell’ economia, inoltre, garantisce l’ assenza di rendite di posizione per chi si afferma. Insomma, non è consentito riposarsi sugli allori; qualsiasi persona di talento puo’, se è in grado di farlo, partire con la sua impresa e ribaltare lo status quo.
Ora, non voglio dare giudizi su quale sia la politica migliore, ognuno faccia come crede, voglio solo formulare ipotesi che trovo sensate, per esempio questa: puo’ darsi che addolcire le spigolosità di una società competitiva migliori il benessere di un certo numero di americani ma rende senz’ altro più costoso sperimentare in vari campi vari: dalla scienza al business, dalle arti alla robotica…
La sperimentazione e le innovazioni che ne conseguono generano enormi e durature “esternalità positive” poiché possono poi essere copiate ovunque a basso costo e arricchire così la vita di molti uomini sparsi sull’ intero pianeta. Ci sono e ci saranno sempre tentativi di contenere l’ effetto positivo delle innovazioni in modo da compensare più adeguatamente l’ innovatore, ma si tratta di tentativi falliti e destinati perlopiù a fallire anche in futuro: non esiste un diritto o una tecnologia per trattenere e rivendere la gran parte della ricchezza e delle opportunità prodotte. Cio’ significa che da sempre l’ innovatore è anche benefattore netto per l’ umanità.
LIBERISS
Tanto per tenere alta l’ attenzione, veniamo alla cronaca spicciola. In questo periodo si parla molto di crescita e in Italia non manca mai chi nei dibattiti alla TV si riempie la bocca con espressioni del tipo “bisogna far ripartire i consumi”, oppure “ci vuole una politica industriale adeguata”. Ma lo vogliamo capire o no che la “crescita” dipende solo dal grado di innovazione? O, in alternativa, dall’ imitazione parassitaria dell’ innovazione altrui. Proprio Domenica lo spiegavano bene sul Corriere due economisti:
… nel dopoguerra la politica industriale governativa fu un elemento sostanziale della nostra rinascita economica, tanto è vero che l’ IRI fu presa ad esempio da altri paesi come il Giappone che creò il MITI (ministero del commercio e dell’ industria)… ma si trattava di tempi molto diversi. Italia e Giappone erano all’ inizio della loro esperienza industriale, non era necessario inventare cose nuove, bastava importare tecnologia dagli Stati Uniti e riprodurla, possibilmente facendo meglio di chi l’ aveva inventata. Fu così per l’ acciaio: l’ impianto siderurgico di Taranto fu copiato dalle acciaierie texane di Houston e suscitò l’ ammirazione degli americani stessi… oggi crescere per imitazione non è più possibile perché siamo troppo vicini alla “frontiera tecnologica”… oggi si cresce innovando e non imitando, in questo contesto la mitica “politica industriale” serve a poco… come puo’ un funzionario di stato capire quali settori avranno successo? Vi immaginate quattro alti papaveri dell’ IRI che in un garage s’ inventano Apple? O un azzimato impiegato del Ministero che chiede udienza al suo capo per illustrargli il “progetto facebook”?…
La competizione all’ ultimo sangue e il liberismo selvaggio danneggeranno giusto qualche americano (200.000? 300.000?) ma le ricadute positive beneficiano più o meno direttamente milioni di persone in tutto il mondo, anche perché i benefici di un’ innovazione non si esauriscono alla produzione ma si accumulano riversandosi generosamente sulle generazioni future.
Purtroppo, una sempre maggiore fetta della spesa governativa americana viene oggi destinata alla redistribuzione verso i bisognosi, alla sanità, alla protezione sociale, alle pensioni, eccetera. L’ ingrigito Obama è  la classica figura impiegatizia che incarna bene il crescente trend verso la spesa parassitaria. Questa spesa non investe sul futuro e non genera benefici a cui possa poi accedere il mondo intero. Si limita a premiare una ristretta cerchia di americani, e poiché si tratta di benefici che devono essere finanziati dalle tasse di altri americani, tutto cio’ si traduce in disincentivi al lavoro, all’ investimento e all’ innovazione.
E quando saremo tutti “parassiti” che succederà? A chi succhieremo il sangue? Da chi ci faremo “trainare”? La decrescita felice sarà a quel punto una necessità più che una scelta.
Morale, chiunque fosse interessato a combattere le diseguaglianze globali senza pensare che un manipolo di americani debba essere posto su un piano superiore rispetto a milioni di persone che hanno il solo torto di vivere fuori da quei confini, dovrebbe riflettere prima di augurarsi che gli USA s’ incamminino sul serio verso un modello di stampo europeo. Un’ economia di tipo “estrattivo” porterebbe con sé quella sclerotizzazione in cui il vecchio continente è incagliato da anni. Se cio’ accadesse, forse non sarebbe lecito parlare di “catastrofe americana” - su questo punto, sia chiaro, sospendo il giudizio - di sicuro sarebbe una catastrofe di portata globale.
Qualche anno fa si parlava di “locomotiva americana”, mi chiedo dove possa mai arrivare un treno (un mondo) fatto solo di vagoni. In questo senso gli “spietati conservatori” del Tea Party sono molto più compassionevoli degli illuminati progressisti di Occupy Wall Street. E sempre guardando le cose da quest’ ottica, spero che l’ UNESCO si decida quanto prima a dichiarare il laissez-faire-cut-throat a stelle e strisce Patrimonio dell’ Umanità intera.
LIBERISSSS
P.S. Una trattazione scientifica di questi temi si trova qui.

Film visto ieri: Gli aristogatti

In amore la “mobilità sociale” fa sempre effetto. Qui Romeo, gattaccio dei bassifondi, conquista Duchessa, micetta altolocata…
La cosa più riuscita del film: la lezione di musica in salotto.
La cosa meno riuscita: l’ impiego dei dialetti per segnalare l’ estrazione popolare.
E poi, dài, non si puo’ avere il protagonista maschile con una voce da basso/baritono. Stride ogni volta che apre bocca! La parte del “bello & coraggioso” si assegna al tenore, è risaputo. Nel paese dell’ Opera certe sviste saltano all’ occhio.
Non sono un particolare cultore di “inseguimenti” ma quelli che ingaggiano Edgard-Napoleone-Lafayette valgono quelli di Tom & Jerry, così come il parossismo e l’ inventiva delle loro risse non sfigura nemmeno di fronte a quelle di Braccio di Ferro.
A proposito di Edgard… che strano, di punto in bianco e senza alcuna premonizione diventa “il cattivo” della storia. Di sicuro è più simpatico lui della stucchevole vecchia. Forse – proprio come gli spettatori più tradizionalisti (penso a mia mamma) - ha ricevuto unO choc nell’ apprendere che, dopo un’ onorata esistenza “a servizio”, era stato diseredato… in favore dei gatti!
Aristogatti