mercoledì 24 ottobre 2012
Marco 14:7
Se assegniamo al termine "povertà" un significato relativo, ovvero se, per esempio, chiamiamo "povero" chi percepisce un reddito pari alla metà di quello medio, allora i poveri saranno sempre tra noi, garantito al limone. Se invece chiamiamo "povero" colui che percepisce un reddito al di sotto di un certo valore assoluto, allora, almeno nei paesi più avanzati, i poveri non esistono più da un pezzo. Prego notare che chi predilige le misure "relativiste" è anche più propenso a interpretare la vita come un "gioco a somma zero".
A cosa è più propenso il "relativista”?
A costui non interessa tanto la "povertà" quanto l' "invidia". Per un "relativista" così come l' ho definito, sono i ricchi che "creano" i poveri, se non ci fossero i primi non ci sarebbero neanche i secondi. In quest' ottica la vita è un "gioco a somma zero" in cui si vince solo sconfiggendo gli altri; quel che ho ce l' ho perché l' ho sottratto a te. Pensate solo agli scambi di mercato, così frequenti in una società liberà; il "relativista" non è certo affascinato da roba del genere: per quanto lo scambio migliori tutte le parti coinvolte, possiede una tara ineliminabile: funziona solo se in esso sono coinvolti degli egoisti, tuttavia non sprigiona i suoi miracolosi benefici se le parti sono semplicemente invidiose l' una dell' altra!
Ma come è possibile che sia di per sé la presenza dei "ricchi" a generare i "poveri"?
Ripeto, se consideriamo povero chi è esposto all' invidia, non avremo mai penuria di povertà. A meno che non vengano a mancare i ricchi, ovvero gli invidiati. Nel momento in cui l' invidioso supera l' invidiato e placa le sue ansie i ruoli si ribaltano e siamo punto a capo. Magari in una dinamica del genere la ricchezza di ciascuno di noi aumenta, eppure, nel mondo come lo vedono i "relativisti", con tale dinamica abbiamo generato solo nuova povertà. Per capire la forza delle parole di Gesù dobbiamo tradurre il termine "poveri" con il termine "invidiosi". Ecco, gli "invidiosi", loro sì che saranno sempre tra noi.
Ma è plausibile sostituire l' "invidia" all' "egoismo"?
Certo! Anzi, una logica evoluzionista lo richiede; nel gioco della riproduzione chi ha di più si accoppia e chi ha meno resta a bocca asciutta indipendentemente dalle sue dotazioni. E' un gioco crudele in cui chi vince piglia tutto. In un contesto del genere l' invidia domina l' egoismo.
Ma se l' invidia rappresenta un portato ineliminabile dell' evoluzione umana, cosa c' è che non va nella logica "relativista"?
Il fatto che l' invidia non implichi necessariamente "giochi a somma zero". Almeno in una società libera.
Eppure se cio' che conta è lo status, prima ancora che il patrimonio, è chiaro che siamo nel bel mezzo di un gioco a somma zero: per aumentare il mio status relativamente al tuo, il tuo deve decrescere relativamente al mio. E questo indipendentemente dal tipo di società. Come la mettiamo?
La mettiamo che, primo, ci sono società in cui è più semplice creare tanti giochi e, secondo, ci sono società che più di altre esaltano la preferenza soggettiva. Mi spiego meglio: quel che conta non è il nostro status ma lo status che percepiamo, è importante allora che non esista un' unica scala attraverso cui misurare lo status, ma che esistano molte scale. Molte scale, molta gente in cima. Ognuno, almeno in una società libera che esalta la preferenza, potrà scegliere o fabbricarsi la scala che più lo aggrada. Già, la società liberà non esalta solo lo scambio (ovvero il paradiso degli egoisti) ma anche la preferenza (ovvero il paradiso degli invidiosi).
Con molte scale avremo molta "gente in cima", dici, ma anche "molta gente in fondo". Verosimilmente parteciperò a una miriade di giochi, in alcuni mi piazzerò bene, ma in altri male. Il saldo resterà invariato. Come la mettiamo?
Basterà preferire i giochi in cui sono vincente, gli altri saranno irrilevanti per me. Sulle preferenze, dopotutto, abbiamo un certo controllo. E poi, diciamola tutta, è così facile prediligere e considerare più significative le materie in cui eccelliamo! In questo senso Madre Natura ci ha attrezzato con una psicologia che sembra fatta apposta.
In tutta questa storia c' è un "cattivo"?
Bé, se ci interessa mitigare le diseguaglianze socialmente più stressanti, il "cattivo" è colui che lavora per costruire la "scala unica" coltivando il mito della "misurazione oggettiva" dei meriti. Penso, per esempio, a chi si batte per la "scuola unica" o scuola di stato. Dopo quanto abbiamo detto ciascuno capisce perché non esiste una fabbrica di diseguaglianze stressanti tanto alacre. Insomma, il cattivo è sempre chi vuole una società autoritaria.
E l' eroe?
Non saprei, forse chi si dedica a moltiplicare la percezione di status prestigiosi. La pubblicità è senz' altro impegnata su questo versante, dal nulla fabbrica a getto continuo status da abbinare a ogni prodotto. Tanta pubblicità, tanta pace sociale. Insomma, l' eroe è sempre chi vuole una società libera.
Da leggere:
http://daviddfriedman.blogspot.it/2006/10/economics-of-status.html
http://willwilkinson.net/flybottle/2006/09/03/a-cold-compress-for-status-fever/
http://www.overcomingbias.com/2012/06/fragmented-status-doesnt-help.html
venerdì 19 ottobre 2012
Perché non andiamo d’ accordo?
Ci sono molte discussioni su cui non si riesce a raggiungere un accordo stabile, e questo per quanto si rispetti l’ interlocutore. A volte si finisce per accordarsi sul proprio disaccordo. Peccato che il disaccordo di due individui affini sia impossibile a prescindere dalla materia oggetto di discussione, e la cosa è rigorosamente dimostrabile.
Chiariamo cosa s’ intende per “affinità”? Giovanni e Giuseppe sono affini se Giovanni messo nei panni di Giuseppe agirebbe e penserebbe come quest’ ultimo. E viceversa.
Passa un’ auto, a Giovanni sembra rossa a Giuseppe viola.
Con il nostro bel teorema alla mano possiamo fare una previsione certa: nella discussione che segue tra i due si troverà un accordo sul colore dell’ auto. Magari sarà il colore sbagliato, ma di sicuro ci sarà accordo.
Come si procede? Semplice: basterà stilare una serie finita di ipotesi circa quanto è accaduto, dopodiché ciascuno dei due protagonisti stimerà ciascuna delle ipotesi in campo aggiornando poi la sua credenza in base a ai “fatti nuovi”, ovvero alle stime dell’ altro. Aggiornamento dopo aggiornamento si addiverrà necessariamente ad un accordo: si badi bene che non esiste necessariamente un sentiero di convergenza (Giuseppe non sa come cambierà la stima di Giovanni). Per dimostrare che l’ accordo è l’ unica posizione di equilibrio basta notare che solo quando le due stime coincidono non richiedono aggiornamento e quindi introduzione di fatti nuovi.
Non basta però l’ affinità e l’ onestà degli interlocutori, occorre anche la “conoscenza profonda” di queste caratteristiche; ovvero, Giuseppe e Giovanni devono essere onesti, in più Giuseppe deve credere all’ onestà di Giovanni e deve credere che Giovanni creda alla sua onestà e deve credere che Giovanni creda che lui crede all’ onestà di Giovanni, eccetera. Lo stesso deve valere a parti invertite. Se questa sequela non va all’ infinito, ciascuno dei due non prenderà come sincera e omogenea la stima data dall’ altro e quindi anche in caso di coincidenza casuale delle opinioni ci saranno sempre dei motivi per aggiornarle e farle divergere.
***
Nella vita di tutti i giorni, però, i disaccordi sono molti. Forse l’ accordo richiede tempi troppo lunghi per essere raggiunto. Oppure la persistenza dei disaccordi è spiegabile diversamente:
1. non siamo affini;
2. non siamo onesti di proposito;
3. non siamo onesti perché ci autoinganniamo;
4. pensiamo che almeno una motivazione tra 1, 2 e 3 sia plausibile e all'opera anche nell'altro.
5. pensiamo che che almeno una motivazione tra 1,2,3 e 4 sia plausibile e all'opera anche nell'altro;
.
.
.
n. pensiamo che almeno una motivazione tra 1,2,3,4… e (n-1) sia plausibile e all'opera anche nell'altro.
Tutte le “n” motivazioni date probabilmente giocano un ruolo ma il mio intuito punta su 1 oltreché su quelle comprese tra 4 e n: noi siamo molto più diversi di quel che crediamo comunemente, o perlomeno qualcuno lo crede, o perlomeno qualcuno crede che altri lo credono, o perlomeno qualcuno crede che altri credano che qualcuno lo crede…. Purtroppo 1 e 5-n implicano una conseguenza spiacevole: anche se esiste una realtà oggettiva e anche se qualcuno la afferra, difficilmente potrà mai comunicarla a chi intende “convertire” se non stabilisce un clima di “fiducia abissale” e la fiducia prescinde dall’ arsenale degli argomenti.
Letture:
http://mercatus.org/sites/default/files/publication/Are_Disagreements_Honest_-_WP.pdf
http://jasonfbrennan.com/RatioScepticism.doc
http://www.philosophyetc.net/2012/10/unreliable-philosophy.html
La rivincita delle scienze umane?
Oggi ci risiamo. Ecco che esce di nuovo un articolo completamente nonsense. Solo che questa volta materia e rivista prese di mira sono altre: parliamo di matematica!
Da leggere:
http://www.lrb.co.uk/blog/2012/10/17/paul-taylor/stochastically-orthogonal/
martedì 16 ottobre 2012
Prediche inutili
Il trombone moralista non fa altro che suonare su una sola nota, quella dell’ evasione fiscale. Non conosce altra musica. Nulla di male, ma è buona cosa notare un fatto: da quando il trombone intona la sua musica l’ evasione anziché scendere – confermando una tendenza pluriannuale - sale, proprio come la pressione fiscale, guarda caso. Non è che una tassazione più civile del contribuente contribuisca a combattere l’ evasione meglio di tanti ipocriti predicozzi?
Interessante questo articolo che parla di IVA:
lunedì 15 ottobre 2012
Rosetta
giovedì 11 ottobre 2012
Perché il voto di scambio migliora le democrazie
mercoledì 10 ottobre 2012
La felicità secondo Haidt
La felicità è qualcosa di sfuggente, il viaggio sembra contare più della meta, questo per almeno tre motivi:
1. ha una componente biologica che spesso sottovalutiamo
2. esiste un adattamento edonico che annulla presto il terreno guadagnato
3. è più legata all’ invidia che all’ egoismo.
Ma non tutto è perduto, purché si tenga conto di questi fattori. Ecco una ricettina:
1. non siamo dei buoni predittori effettivi, affidiamoci di più all’ imitazione imparando da chi oggi è felice dopo essere passato per la nostra stessa strada.
2. esistono alcune fonti di felicità permanente: un miglioramento estetico, per esempio; così come esistono fonti d’ infelicità permanente: stress (pendolarismo, rumore).
3. cerchiamoci un’ “impegno vitale” sfruttando la segmentazione. un campo in cui stabilire relazioni, gratificazione, riconoscimento; relazione, religiosità, spiritualità hanno il vantaggio di essere beni inesauribili, che privilegiano il viaggio sulla meta.
martedì 9 ottobre 2012
lunedì 8 ottobre 2012
Funny Games
Gli inserti di meta-cinema non giovano. Ma sul punto ci sono opinioni diversi.
sabato 6 ottobre 2012
Già in tasca
Il ministro dell’Istruzione, Profumo, ha inserito nell’ultima legge di stabilità l’aumento, a parità di stipendio, dell’orario di lavoro per professori di scuola. La legge prevede il passaggio da 18 ore settimanali a 24. In cambio i professori otterrebbero 15 giorni di vacanze in più all’anno.http://blog.ilgiornale.it/porro/2012/10/23/i-politici-e-le-18-ore-dei-prof/
Si tratta di una buona proposta. Ed è precisamente per questo motivo che essa non passerà. Il coro dei contrari è unanime: dai professori ai sindacati. Dal Pd al Pdl… Sindacati e professori dicono che lavorano anche al di fuori dell’aula. Sacrosanto. Ma per quale motivo non hanno mai voluto quantificarlo nei loro contratti collettivi? Per quale motivo la maggioranza dei nostri insegnanti gode di fatto di più ferie di quante essi avrebbero sulla carta? Motivo per il quale possono allegramente considerare l’aumento delle ferie proposto dal governo (da 35 giorni a 50) non come un miglioramento della loro vita lavorativa, ma come qualcosa che già hanno in tasca.
mercoledì 3 ottobre 2012
Teologie contro
Oggi la teologia razionale presenta almeno due scuole: i “personalisti” e i “classici”.
I secondi rispolverano San Tommaso riaggiornandolo: il loro razionalismo non cede a compromessi. I primi nutrono un grande rispetto per il buon senso.
I secondi descrivono dio partendo dall’ uomo: l’ uomo può fare alcune cose, dio puo’ fare tutto; l’ uomo puo’ conoscere alcune cose, dio conosce tutto; l’ uomo vive nel temo, dio vive nell’ eternità. Eccetera.
Questo approccio si scontra con alcuni principi cari ai razionalisti puri, principi che rendono Dio un’ entità astratta, il “principio della semplicità”, per esempio.
Ma il vero ostacolo è come render conto della libertà umana. I “personalisti” ci tengono a dare risposte di senso comune e il “principio di conservazione” guasta loro la festa. In esso si stabilisce che il mondo è creato e sussiste in ogni istante. C’ è contemporaneità e necessità tra la causa prima e la conseguenza attuale. Come puo’ un mio atto essere contemporaneo e necessario, oltreché libero? Come possiamo respingere il determinismo naturale per abbracciare il determinismo soprannaturale?
Lettura consigliata:
http://edwardfeser.blogspot.it/2012/07/classical-theism-roundup.html
Fondi contro Premi
Non è il caso di sostituire i fondi alla ricerca con i premi alla ricerca?
Non sarebbe una grande novità, in passato le cose funzionavano grazie ai premi.
Ok, d’ accordo, i fondi assolvono a funzioni importanti: oggi il ricercatore deve investire in macchine costose e staff numerosi.
Ma i premi conservano un duplice vantaggio: 1. si pagano solo i risultati e 2. tutti possono concorrere.
La manna dei burocrati della ricerca sarebbe finita.
Ma perché storicamente si è passati dai premi alla ricerca?
Forse perché prima il finanziatore era un soggetto potente in grado d’ imporre alla lobby degli scienziati il metodo più efficiente.
Nelle nostre democrazie il finanziatore è un soggetto disperso e la lobby degli scienziati hanno gioco facile nell’ imporre la soluzione più comoda per loro.
Letture: http://www.overcomingbias.com/2007/01/prizes_versus_g.html
Europa 51
Se il film non decolla è perché manca una vera “invasata”. Nei panni della mistica Ingrid Bergman, con quel sottofondo di lucidità nordica che si porta sempre dietro, mi spiace dirlo ma non è credibile. A meno che Rossellini ritenga sul serio che la pratica concreta dell’ “amore universale” e del “porgere l’ altra guancia” non siano affatto segnali di follia.
martedì 2 ottobre 2012
Il problema del “chi ha cominciato”.
Secondo Vivarelli il fascismo non è nato, e neppure si è affermato, come un movimento reazionario di classe sollecitato dagli agrari o tanto meno dagli industriali, come vuole lo stereotipo ancora oggi corrente. L'idea centrale della sua ricostruzione, invece - condotta, così come nei volumi precedenti, su una vastissima documentazione anche di ambito locale -, è che in Italia, tra il 1919 e il 1922, si sia combattuta in realtà una vera e propria guerra civile «tra due opposte passioni politiche», incarnate dai socialisti da un lato e dai fascisti dall'altro: la passione della classe e quella della nazione. Tra la bandiera rossa e il tricolore.
In una simile prospettiva di guerra civile il punto chiave, come è evidente, è l'uscita del conflitto sociale dai binari della legalità; il problema del «chi ha cominciato». E qui una montagna schiacciante di prove vale a mettere sul banco degli accusati il Partito socialista. Per pagine e pagine il lettore s'inoltra in una sorta di interminabile rassegna di quello che è difficile non definire un vero e proprio attacco di demenza politica che in quel dopoguerra colpì i socialisti
Il ladro di bambini
Il Carabiniere Antonio illustra al meglio la psicologia near/far scoprendo che una coppia di bambini nominati sull’ ordine di servizio è ben diversa da una coppia di bambini che ti guarda standoti di fronte.
La conclusione ripugnante
Fu Derek Parfit ad imbarazzare gli utilitaristi con il cosiddetto argomento della “conclusione ripugnante”:
per quanto una comunità sia composta da individui felici, esisterà sempre una comunità che, pur composta da depressi o disperati, dovrà essere giudicata come migliore secondo meri criteri utilitaristici. Basterà infatti scegliere la seconda in modo che sia sufficientemente numerosa
Ragionare con gli “infiniti” crea moli paradossi, da Pascal a Hilbert, questo è solo uno dei tanti. Il miglior modo per smontarlo consiste nel “ragionare” in piccolo pensando a un problema ben specifico: “perché non faccio un altro figlio”? Ecco che allora ci si accorge che un altro figlio potrebbe diminuire la felicità degli altri e la sua venuta al mondo non è detto che incrementi la felicità totale della famiglia. E’ vero, un numero infinito di figli, dal punto di vista teorico, risolverebbe il problema dell’ utilitarista pur dando vita alla “conclusione ripugnante” ma questa è solo un’ ipotesi teorica, meglio limitarci agli insiemi finiti. Solo postulando insiemi infiniti si elude la conclusione ripugnante
La buona notizia per i natalisti: gli argomenti utilitaristi fanno comunque parte del loro arsenale anche secondo le scienze sociali accademiche.
Per approfondire:
http://www.gmu.edu/centers/publicchoice/faculty%20pages/Tyler/ZERO.pdf
Il libro della giungla
Mai visto un cartone tanto reazionario.
Che ognuno stia al suo posto! Che ognuno stia coi suoi e si ricordi che è quello che è.
Altro che… “politiche inclusive”, altro che accoglienza e integrazione.
Il rapporto con il diverso è possibile (Baloo e Mowgli, per esempio), piacevole ma condannato alla precarietà. E quando va a gambe all’ aria il saggio (Bagheera) pensa: “ecco, ci siamo, c’ è voluto un po’ di più di quanto pensassi ma ecco che ci siamo…”.
sabato 29 settembre 2012
Funziona il gun ban?
Queste ricerche hanno tre problemi: 1. come specificare la presenza di armi (non ci sono registri) 2. come depurare la variabile dei crimini e 2. come fare controlli omogenei.
Di solito funziona il metodo “difference in difference”: confrontare la città (contee, stato) prima e dopo la ban law con un gruppo di controllo prima e dopo la ban law.
Esito: le politiche di ban law hanno scarso effetto.
Sembra che la politica più efficace sia quella di punire in modo esemplare chi fa un cattivo uso delle armi.
http://www.freakonomics.com/2008/07/07/no-more-dc-gun-ban-no-big-deal/
In alternativa si potrebbe mettere una qualche forma di controllo (specie sul gruppo più a rischio: giovani adulti) premiare chi denuncia il porto abusivo di armi:
http://www.freakonomics.com/2008/08/22/whats-your-best-idea-to-cut-gun-deaths-a-freakonomics-quorum/
Poi ci sono i metodi più tradizionali di regressione. Qui, per misurare l’ intensità degli armamenti privati ci si sbizzarrisce: c’ è chi usa exit poll (Lott, elasticità +3.3), c’ è chi usa gli abbonamenti a riviste specializzate (Dungan elasticità –0.2) e c’ è chi usa il tasso di suicidi con arma da fuoco (Cook, elasticità tra -0.01 e +0.03).
http://home.uchicago.edu/~ludwigj/papers/JPubE_guns_2006FINAL.pdf (qui c’ è Cook con il riferimento anche agli altri studi citati).
lunedì 24 settembre 2012
venerdì 21 settembre 2012
Disonestà coerente o onestà incoerente?
Nei giorni pari il legislatore italiano ritiene che "la formazione e l' aggiornamento regolare" dei commercialisti non sia solo inerente ma addirittura indispensabile per l' esercizio oculato della professione. Tant’ è che lo indica come obbligatorio.
Poi, nei giorni dispari, il legislatore indossa un’ altra maschera, quella da “legislatore fiscale” e decide che i costi (*) relativi ai “corsi di aggiornamento obbligatorio” sono inerenti all’ attività e quindi deducibili solo nella misura del 50%.
Per chi ritiene che l’ “incoerenza” combini più guai della “disonestà”, viene voglia di simpatizzare con quei politici che rubano direttamente dal vaso della marmellata.
(*) e i “costi” di cui sopra non sono pochi, basta pensare che sull’ aggiornamento ci campa un esercito di aggiornatori che quasi eguaglia quello degli aggiornati.
L’ imbucato
Chi oltre a pensare che il “capitale umano” sia la risorsa più preziosa che abbiamo pensa che questa risorsa si formi all’ Università, dovrebbe riflettere su un semplice fatto: le migliori lezioni universitarie sono aperte a tutti e gratuite, anche ai non iscritti. Nessuno vi fermera se accedete all’ aula. Perché mai il numero di “imbucati” è tanto basso se davvero si distribuisce un valore tanto prezioso?
Da leggere:
http://econlog.econlib.org/archives/2007/04/get_the_best_ed.html
mercoledì 19 settembre 2012
Fisco e Palestina
Da quando ho 6 anni in coda al TG sono costretto a sorbirmi il solito servizietto sulla “questione palestinese”. Mi affretto a cambiar canale anche se, lo confesso, è sempre tardi: un senso di noia incartapecorita si insinua puntualmente nel mio animo.
La domanda che vorrei fare a un palestinese: “Israele è più forte e organizzato, pensare di abbatterlo è pura utopia. Ma perché non vi sottomettete completamente ai suoi voleri vivendo in pace?
La risposta che mi attendo: “Ah sì? E come mai tu non ti sottometti a chi ti ricatta e ti vessa con pretese ingiuste?”
La risposta che non vedo l’ ora di dare: “Ma io già lo faccio: lo Stato in cui vivo mi estorce gran parte dei miei averi mediante una tassazione ingiusta e io, per puro quieto vivere, abbasso la testa, mi sottometto e pago fino all’ ultimo euro.
venerdì 7 settembre 2012
Bagnasco immaginario
Cardinal Bagnasco sull’ immoralità dell’ evasione fiscale:
L’uso della forza è immorale. Lo Stato detiene il monopolio della forza legalizzato. Ma legalità non vuol dire legittimità né moralità. Il prelievo fiscale sarebbe legittimo se fosse approvato all’unanimità. Nella realtà una maggioranza di individui attraverso i propri rappresentanti politici è in grado di espropriare una minoranza a tassi di imposta paragonabili a una vera e propria confisca e innegabilmente immorali. Possiamo allora ritenere che colui che resiste a questa oppressione attraverso l’evasione fiscale sia in una situazione di legittima difesa dei propri diritti? Ci sono diversi metodi di evadere il fisco. Chi esilia per sfuggire a un fisco vorace come quello europeo non fa che esercitare i propri diritti e la propria libertà. Tuttavia chi sfugge all’imposta sa che gli altri contribuenti rischiano di essere ancor più pesantemente vessati dal fisco a causa della sua defezione. Egli può scegliere se esiliare oppure intraprendere un’opera di persuasione verso i propri concittadini al fine di eleggere nuovi governanti o, per esempio, organizzare uno sciopero collettivo. Tutto ciò però rientra nella coscienza individuale, è difficile stabilire in proposito una regola generale incontestabile.
(fonte: il mio sogno di stanotte)
mercoledì 5 settembre 2012
Consigli all’ egoista perché faccia più figli
Il messaggio della scienza alle coppie: ci sono ottimi motivi per fare qualche bambino in più rispetto a quello che avete pianificato.
E’ vero, chi ha figli è più infelici di chi non li ha. Ma:
1. la differenza è minima;
2. la differenza è facilmente compensabile (molti sacrifici non sono in realtà necessari);
3. 2/3 di coloro che non hanno figli si pentono;
4. molti benefici vengono dopo (es.: diventare nonni).
Naturalmente il consiglio di “fare un figlio in più” deve tener conto che i figli sono indivisibili e che alcune persone hanno un’ avversione molto spiccata per i bambini.
Ci sono poi altre motivazioni per fare un figlio in più:
1. donare la vita a un bambino significa renderlo più felice;
2. donare la vita un bambino rende il mondo un posto migliore;
3. il miglior modo per aumentare la felicità di bambini consiste nell’ adottarne uno.
Certo, queste ultime motivazioni non toccano l’ egoista. Anzi, per dirla tutta sono particolarmente mirate sulle elites di un paese.
Ore buche
Molti trovano spiacevole pagare la retta universitaria.
Molti si disperano allorché scoprono di ignorare alcune nozioni prima dell’ esame mentre, una volta inserite stabilmente nel mondo del lavoro, non si mostrano preoccupati di averle ormai dimenticate.
Molti studenti in fondo non pensano affatto che “copiare” senza essere beccati sia poi così nocivo a se stessi.
Molti preferirebbero avere in tasca una laurea 110 e lode alla Bocconi avendo studiato spassandosela ad Urbino che avere una laurea risicata ad Urbino avendo studiato con grande impegno alla Bocconi.
Molti provano un senso di gioia all’ annuncio di un’ ora buca.
Molti in presenza di un prof. tollerante e di “manica larga” dedicano meno tempo allo studio della sua materia per concentrarsi sulle altre.
Se i “molti” sono davvero “molti” e se il loro atteggiamento è tutto sommato ragionevole, allora la funzione della scuola e dell’ università è sopravvalutata. Domanda: perché questi beni godono di così “buona stampa”? Quali potenti trucchi pubblicitari sono in campo per difenderne la reputazione?
domenica 2 settembre 2012
L’ ambientalista per come lo conosco
L’ “ambientalista” rispettabile propone in buona fede di combattere il “global warming” attraverso una rettifica dei nostri stili di vita.
Peccato che io “ambientalisti” del genere ne conosca ben pochi.
Quelli di mia conoscenza, invertendo mezzi e fini, propongono piuttosto di rettificare i nostri stili di vita (un “altro mondo” è possibile) agitando lo spauracchio del “global warming”. L’ “alt
ro mondo” è quello socialista riveduto e corretto nell’ ennesima utopia.
Del resto si tratta spesso di personaggi reduci da catastrofici fallimenti ideologici che cercano di riciclarsi ancora una volta dalla parte dei “buoni” e dei “salvatori dell’ universo”.
La prova del nove? Non appena accenni a strategie contro il global warming che non implichino un mutamento radicale negli stili di vita (es: nucleare, gas naturale, geoegineering…) vanno su tutte le furie adducendo pretesti ben poco credibili.
domenica 19 agosto 2012
Perché non andiamo d’ accordo?
Esiste Dio? Chi vincerà il campionato? L’ assassino era capace d’ intendere e volere? L’ omosessualità è un comportamento deviante?
Ci sono molte discussioni su cui non si riesce a raggiungere un accordo stabile, e questo per quanto si rispetti l’ interlocutore. A volte si finisce per accordarsi sul proprio disaccordo. Peccato che il disaccordo di due individui affini sia impossibile a prescindere dalla materia oggetto di discussione, e la cosa è rigorosamente dimostrabile.
Chiariamo cosa s’ intende per “affinità”? Giovanni e Giuseppe sono affini se Giovanni messo nei panni di Giuseppe agirebbe e penserebbe come quest’ ultimo. E viceversa.
Passa un’ auto, a Giovanni sembra rossa a Giuseppe viola.
Con il nostro bel teorema alla mano possiamo fare una previsione certa: nella discussione che segue tra i due si troverà un accordo sul colore dell’ auto. Magari sarà il colore sbagliato, ma di sicuro ci sarà accordo.
Come si procede? Semplice: basterà stilare una serie finita di ipotesi circa quanto è accaduto, dopodiché ciascuno dei due protagonisti stimerà ciascuna delle ipotesi in campo aggiornando poi la sua credenza in base a ai “fatti nuovi”, ovvero alle stime dell’ altro. Aggiornamento dopo aggiornamento si addiverrà necessariamente ad un accordo: si badi bene che non esiste necessariamente un sentiero di convergenza (Giuseppe non sa come cambierà la stima di Giovanni), Per dimostrare che l’ accordo è l’ unica posizione di equilibrio basta notare che solo quando le due stime coincidono non richiedono aggiornamento e quindi introduzione di fatti nuovi.
Non basta però l’ affinità e l’ onestà degli interlocutori, occorre anche la “conoscenza profonda” di queste caratteristiche; ovvero, Giuseppe e Giovanni devono essere onesti, in più Giuseppe deve credere all’ onestà di Giovanni e deve credere che Giovanni creda alla sua onestà e deve credere che Giovanni creda che lui crede all’ onestà di Giovanni, eccetera. Lo stesso deve valere viceversa. Se questa sequela non va all’ infinito, ciascuno dei due non prenderà come sincera e omogenea la stima data dall’ altro e quindi anche in caso di coincidenza casuale delle opinioni ci saranno sempre dei motivi per aggiornarle e farle divergere.
***
Nella vita di tutti i giorni, però, i disaccordi sono molti. Forse l’ accordo richiede tempi troppo lunghi per essere raggiunto. Oppure la persistenza dei disaccordi è spiegabile diversamente:
1. non siamo affini;
2. non siamo onesti di proposito;
3. non siamo onesti perché ci autoinganniamo;
5. pensiamo che almeno una motivazione tra 1, 2 e 3 sia plausibile.
6. pensiamo che che almeno una motivazione tra 1,2,3 e ,4 sia plausibile;
.
.
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n. pensiamo che almeno una motivazione tra 1,2,3,4… e (n-1) sia plausibile.
Tutte le “n” motivazioni date probabilmente giocano un ruolo ma il mio intuito punta su 1 oltreché su quelle comprese tra 5 e n: noi siamo molto più diversi di quel che crediamo comunemente, o perlomeno qualcuno lo crede, o perlomeno qualcuno crede che altri lo credono, o perlomeno qualcuno crede che altri credano che qualcuno lo crede…. Purtroppo 1 e 5-n implicano una conseguenza spiacevole: anche se esiste una realtà oggettiva e anche se qualcuno la afferra, difficilmente potrà mai comunicarla a chi intende “convertire” se non stabilisce un clima di “fiducia abissale” e la fiducia prescinde dall’ arsenale degli argomenti.
Letture:
http://mercatus.org/sites/default/files/publication/Are_Disagreements_Honest_-_WP.pdf
http://jasonfbrennan.com/RatioScepticism.doc
http://www.philosophyetc.net/2012/10/unreliable-philosophy.html
martedì 7 agosto 2012
Legge di natura e diritti naturali
Sul tema regna grande confusione, inutile negarlo.
Quando propugni un diritto scondo natura spunta spesso lo stolto: “allora, se davvero vuoi seguire la tua natura, non dovresti nemmeno mettere gli occhiali”.
Oppure: “se la mia natura è quella di uccidere, comportarmi di conseguenza non dovrebbe essere riprovevole”.
E che dire poi dei problemi circa la naturalezza del comportamento omosessuale?
La natura ha a che fare con il “fine” della cosa in questione. Per chi crede in un universo senza scopo il concetto di “natura” nel senso aristotelico/platonico/scolastico è semplicemente assurdo.
La natura di un cane comprende anche la sua corsa, se un cucciolo nasce senza zampe è del tutto naturale aiutarlo con una protesi artificiale.
Nessun giusnaturalista dirà mai che “agire secondo i diritti naturali” chiuda la questione giuridica. Al contrario, la apre indirizzandola secondo una certa prospettiva.
Poiché l’ uomo è dotato di intelletto, la sua natura comprende anche degli obblighi morali.
Qui lo si dice meglio:
http://edwardfeser.blogspot.it/2012/10/whose-nature-which-law.html
venerdì 27 luglio 2012
giovedì 26 luglio 2012
Incubo
INCUBO N. 1: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara Umanità, tra poco lancerò questa moneta, se uscirà testa ti estinguo all’ istante, se uscirà croce me ne vado così come sono arrivato.
INCUBO N. 2: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara umanità, per ognuno dei tuoi membri lancerò una moneta: se esce testa macellerò il prescelto, se esce croce lo lascerò vivere. Dopo il settemiliardesimo lancio me ne andrò lasciandovi a piangere i vostri morti.
INCUBO N. 3: Godzilla scende sulla terra e in un incontro a quattr’ occhi ti descrive gli scenari dell’ INCUBO N. 1 e dell’ INCUBO N. 2. Poi annuncia: tra i due ti concedo graziosamente la libertà di scegliere quello che più ti aggrada, dopodiché procederò a realizzarlo.
Probabilmente il “moralista verde” (*) Michele Serra sceglierebbe l’ INCUBO N. 1, ricordo ancora come giustificò la recensione positiva del film “Galline in fuga”: “è un film edificante poiché ci insegna che o ci salviamo tutti o non si salva nessuno”.
Io, invece, propendo per l’ INCUBO N. 2, non so neanche bene il motivo.
Certo che in questi casi le risposte “immotivate” sono le migliori poiché, probabilmente, sottendono una professione morale sincera: i valori dichiarati “a nostra insaputa” sono i più autentici, diffidate dei “valori” che la gente sbandiera o si appunta al petto come medaglie.
Se poi penso più razionalmente alla faccenda mi vengono in mente solo due motivazioni degne di nota.
Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 1: le vite perse in “1” sono qualitativamente pari alle vite perse in “2” ma le vite salvate in “2” sono “mezze vite” visto che ciascuno dei sopravvissuti vedrà, in media, perire in modo orribile la metà dei suoi cari. Ricordo che una motivazione del genere fu alla base di una controversa (figuriamoci!) “apologia del genocidio”.
Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 2: in “2”, oltre a garantire una quota di sopravvissuti si salvano anche le generazioni future. Qui bisogna aggiungere che per molti le generazioni future non vantano alcun diritto nei nostri confronti (non esistono!). Ma se fosse davvero così che senso avrebbero tanti buoni e sensati propositi volti a “salvare il pianeta”? Un quadrato “moralista verde” (**) non mancherebbe di optare per “2”.
(*) “verde” nel senso di “specializzato in questioni di invidia”.
(**) “verde” nel senso di “specializzato in questioni ambientali”.
martedì 24 luglio 2012
Brutture presentabili
Colours (Donovan/Van Dyke Parks)
… quando perfino Donovan puo’ essere “coverizzato” meravigliosamente…
… tra il bullismo dei fiati e il vittimismo delle tastiere…
Les collines d'Anacapri (claude debussy)
… quando l’ esotismo siamo noi…
Warholian Wigs (Dirty Projectors )
… ci sono quadri che migliorano se guardati con gli occhiali sporchi…
… il femminicidio più famoso della storia del rock trasformato in mascolinicidio…
… a qualcuno piace fritto…
Award The Squadett (Henry Threadgill )
… e pensare che una volta sti jazzisti erano debolucci sulla parte scritta…
Penelope Home (Sarah Kirkland Sniider)
… canzoni avvolgenti come plaid…
Let X = X It Tango (Laurie Anderson )
… aperitivo con l' androide…
… con tanto di uccellini (che fa molto “idillio”)…
Momentary Expanse (Tristan Perich )
… voglio un mondo senza swing…
Le Banquet Celeste+ Poland (Olivier Messiaen/M...)
… saliamo insieme la scala di Elia…
… dichiarazione d’ amore (di un robot)…
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http://www.goear.com/playlist/ac9d472/bulli/
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Dentro:
… pietre che rotolano sul posto…
… brutture presentabili…
… fotografie mediterranee…
… mondi in miniatura…
… gioie domestiche…
… minacce fino a ieri impensabili…
… la giusta leva per sollevare il mondo…
… dichiarazioni d’ amore truculente…
… dichiarazioni d’ amore elettrizzanti…
… memorie di una palla domestica fatta dalla mamma e presa a calci per una vita…
… giochi pericolosi con l’ azoto liquido…
… ambientalismo insostenibile…
… arte in saldo…
venerdì 20 luglio 2012
Oggi parliamo d’ arte
Partiamo con tre domandine da nulla:
A. Cos’ è l’ arte?
B. Cosa distingue un oggetto artistico da un oggetto non artistico?
C. Cosa distingue l’ opera di valore?
Nel 1746 Charles Batteux rispondeva diligentemente:
… l’ arte è una presenza piacevole che imita la natura…
Di acqua ne è passata sotto i ponti e simili affermazioni suonano superate, cosicché le questioni tornano impellenti.
A questo genere di interrogativi, il profano reagisce sempre allo stesso modo: lo so, ma se ci penso non lo so più.
Brutto segnale: le difficoltà più aspre si presentano sempre in questa forma! Al punto che non manca mai chi rinuncia a dipanare la matassa, e magari accompagna il suo disimpegno citando il protettore (suo malgrado) dei “pigroni intellettuali”, San Wittgenstein: cio’ di cui non si puo’ parlare, si deve tacere.
Per costoro le “domande di senso” dovrebbero essere accantonate. In effetti c’ è da chiedersi se siano importanti e se in merito non ci sia un modo soddisfacente per barcamenarsi tra “bolle parolaie” e “pigrizia intellettuale”.
Di sicuro tacere e girarsi dall’ altra parte non produce l’ inconveniente temuto da molti: il mondo non soffrirà certo di penuria d’ opere d’ arte per il semplice fatto che non sappiamo cosa sia l’ arte; così come lo scienziato si puo’ disinteressare al senso ultimo del suo lavoro (e spesso è auspicabile che lo faccia), lo stesso dicasi per l’ artista; Barnett Newman lo aveva capito:
… L’ estetica sta agli artisti come l’ornitologia sta agli uccelli…
Ma perché questo pessimismo quando c’ è un motivo potente per non gettare la spugna? Oltretutto un motivo semplice: il lavoro è già stato fatto, esiste sul punto un solido consenso tra gli esperti.
Vediamolo:
A. L’ arte non “esprime”, non “imita” ma “rappresenta”.
B. L’ oggetto d’ arte non ha peculiarità “formali” o “percettive” ma solo “contestuali”: è il contesto che conferisce statuto d’ arte a un prodotto.
C. Il valore di un’ opera si calcola soppesando le influenze effettive e potenziali sprigionate dall’ opera in relazione alle intenzioni dell’ artista e degli esperti che agiscono in quel contesto.
E vediamo anche il “precipitato” di queste risposte:
1. risolto brillantemente il problema: “ma questo lo sa fare anche mia figlia”;
2. risolto il problema dello “sgradevole” nell’ arte;
3. risolto il problema della comparazione tra generi;
4. risolto il problema di definire l’ arte evitando di mettere da parte interi secoli di storia dell’ arte;
5. cio’ che costituisce “opera d’ arte” puo’ essere formalmente e percettivamente indiscernibile da cio’ che non è tale;
6. giudicare opere nate con prospettive ideologiche e sfondi culturali differenti applicando il medesimo criterio di giudizio conduce a gravi travisamenti;
7. approntato solido baluardo per sbarrare la strada a formalismo, strutturalismo, decostruzionismo e ogni altra “deriva relativista” dell’ analisi estetica;
8. se il contesto è decisivo, concentrarsi su pochi artisti ottunde il giudizio poiché il giudizio è essenzialmente un confronto ampio tra opere e artisti in rete tra loro (predecessori, coevi, epigoni);
9. nella costruzione di una sapienza critica il “tempo dedicato” all’ opera vince sulla mera “analisi formale”: poiché l’ analisi formale dell’ opera non è in grado di produrre un giudizio estetico attendibile, diventa centrale l’ alternativa a questo approccio: frequentare intensamente e a lungo l’ opera immergersi in essa per entrare in contatto con le molte variabili ambientali che la influenzano e che lei influenza.
10. l’ arte di valore assume e ricrea un ethos nella popolazione e nelle élites ad essa contestuali.
11. un ruolo decisivo è giocato dall’ esperto, ovvero da colui che 1. dedica tempo e attenzione nel tentativo di collocare l’ oggetto artistico nel suo contesto e 2. costituisce a sua volta il contesto privilegiato in cui si colloca l’ opera;
12. un giudizio improntato al gusto (bello! brutto!) non è mai un giudizio estetico fondato;
13. perfino l’ ossessione biografica di diana è riabilitata; sul punto sono dunque chiamato a rivedere le mie posizioni, lo faccio con piacere;
…
Si potrebbe proseguire con l’ elenco, oppure si potrebbe passare alla pratica con qualche “provocazione” specifica: che peso dare al fatto che Bach sia stato dimenticato per secoli, o al fatto che Brahms abbia tanto insistito su una forma rivelatasi storicamente perdente come la sonata, o al fatto che… Ma non mettiamo troppa carne al fuoco.
Non facciamolo anche perché resta un’ altra imbarazzante questione a cui rispondere.
D. A cosa serve l’ arte?
Qui tendiamo a scantonare, abbiamo l’ impressione di “perdere” qualcosa di prezioso guardandola troppo da vicino. Il modo più goffo di scantonare consiste nel sostenere che l’ arte non è mai servita a nulla (l’ art pour l’ art).
La musica, per esempio, a cosa serviva?
Le funzioni originarie ipotizzate sono tante: sottofondo, evasione, autodisciplina, memoria, riflessione, creazione di legame sociale…
Il guaio è che qualsiasi funzione si ipotizzi ci si chiede se non esistesse un modo più “economico” per assolverla.
Esempio: la funzione che raccoglie più consensi tra gli studiosi è quella relativa al “social bonding”: ma non bastava un “giuramento” o qualcosa del genere per legarsi al gruppo? Dovevamo proprio imbarcarci in un simile dispendio di energie? Dovevamo proprio mettere in piedi “rituali” tanto complicati?
Possibile risposta: tutti sappiamo mentire con le parole, pochi lo sanno fare con le emozioni.
Insomma, la musica nascerebbe – non esistevano ancora le intercettazioni e altri metodi sofisticati d’ indagine - come assicurazione sociale contro simulatori, opportunisti e infiltrati. La musica come primitiva “macchina della verità”, la musica come regno della sincerità. Certo che se a contare è la sincerità, capiamo meglio perché un linguaggio del genere sia disposto a sacrificare la precisione.
lunedì 16 luglio 2012
Oggi parliamo di sesso
C’ è chi sostiene che la diffusione di pornografia calmieri la violenza sessuale, francamente non saprei fino a che punto simili correlazioni siano fondate. Di sicuro, quand’ anche la fruizione di pornografia mitigasse la pratica dello stupro, sarebbe comunque una soluzione “ripugnante”, almeno per molti.
La pornografia ci imbarazza, perché? Vediamo se puo’ aiutarci a capirne i motivi il contributo di una femminista eretica come Wendy McElroy:
… la pornografia è sesso più mercato, quale delle due cose non vi va bene?…
Vediamo allora separatamentente le due “cose”.
MERCATO: dietro uno scambio ci sono sempre motivazioni egoistiche e il sesso mal si coniuga con l’ egoismo.
C’ è chi ci crede ma io, francamente, non ne sono convinto.
E’ difficile pensare che un uomo non “coniughi” le due cose ma anche per le donne probabilmente vale la stessa cosa, soprattutto quando le ricerche più attendibili in tema ordinano così le motivazioni per cui una donna si concede:
1. voglia di concretizzare un’ attrazione;
2. voglia di sperimentare un piacere fisico;
3. voglia di sentirsi bene;
4. voglia di dimostrare il proprio affetto a una persona;
5. voglia di esprimere il proprio amore a una persona;
6. voglia di dare sfogo a una fascinazione;
7. voglia di dare sfogo a un’ eccitazione;
8. voglia di divertirsi;
9. voglia di concretizzare un amore;
10. impossibilità di trattenersi;
11. voglia di compiacere il proprio compagno;
12. voglia di intimità;
13. voglia di un piacere puro;
14. voglia di avere un orgasmo;
15. voglia di avventura;
…
E mi fermo qui. Sono motivazioni vere? Di sicuro sono esibite, e quindi di esse non ci si vergogna. Ebbene, a essere generosi solo la motivazione all’ undicesimo posto (e forse quella al nono) lascia trapelare una qualche forma di altruismo.
SESSO: il sesso disgiunto dall’ amore per noi è tabù.
Chi è disposto a crederlo nel 2012? Scommetto che molti, almeno a parole, lo negherebbero con forza.
Oltretutto, è una tesi ben strana vista la “tradizione” che ci ha partorito: bonobo e scimpanzé vivono in promiscuità dedicando gran parte della loro giornata al sesso; probabilmente, lo stesso dicasi per il nostro antenato, l’ uomo cacciatore/raccoglitore. In un certo senso i capelloni della comune anni sessanta erano molto più fedeli alle tradizioni rispetto al gentleman vittoriano tutto impegnato a rispettare e onorare quella “moda recente” (meno di 10000 anni) che sono i vincoli di fedeltà.
Tale “moda neolitica” nei millenni più vicini a noi ha ricevuto l’ avallo e l’ impulso della Chiesa Cristiana, sempre protesa a salvare l’ anima dei fedeli e a tutelare la condizione femminile.
Il binomio “matrimonio d’ amore” e “sesso amoroso” è infatti il grande dono elargito dalla Chiesa Cristiana alla donna: vincolare il sesso maritale all’ amore significava rendere tabù ogni forma di contrattualizzazione dei rapporti intimi, cio’ ha per conseguenza che la donna possa negarsi anche all’ ultimo istante. Naturalmente dò per scontato cio’ che viene confermato al bar come nelle Ivory Tower, e cioè che nel 90% dei casi è l’ uomo a cercare sesso o a lamentare poco sesso nel matrimonio. Questa possibilità di recedere arbitrariamente è una formidabile arma contrattuale all’ interno di un matrimonio poiché consente di far fronte via via a esigenze impreviste e imprevedibili: oggi la moglie vuole che il marito stia più in casa con i figli? Ecco che segnala la sua esigenza a letto standosene nel suo angolino mugugnando. Domani lei si sente soffocata dalla presenza continua del marito e auspica che lui le conceda più spazi? Ecco spuntare dispettosi mal di testa proprio sul più bello. Insomma, se la frequenza dei rapporti fosse fissata a priori (contrattualizzazione) questi trucchetti non sarebbero disponibili con grave nocumento per la sposa. Ma una simile ipotesi è inconcepibile una volta che la connessione sesso/amore viene consacrato dal tabù.
Conclusione: poiché un sentimento di tutela della donna nel matrimonio è ancora molto avvertito, non c’ è motivo di ritenere che un tabù inteso proprio a realizzare quell’ obiettivo si sia realmente indebolito nelle coscienze.
Per quanto si voglia apparire spregiudicati, penso che una simile sacralità sia avvertita ancora da molti, da qui la risposta a Wendy: è la parola “sesso” che imbarazza da morire chi non riesce a stare indifferente rispetto alla pornografia e ad accettarla come la normale rappresentazione di un’ attività umana.
martedì 10 luglio 2012
Storie lasche & Storie tese
A Cogne muore un bambino in circostanze tragiche? Ecco rispuntare nell’ inconscio collettivo i drammi euripidei con tanto di faretti scenografici orientati su Medea.
A Perugia si compie un assassinio tra giovani studenti? Ecco evocata la piccola strega venuta da un paese lontano a portare scompiglio nella sonnecchiante città.
Ad Arcore si danno feste pepate? Ecco saettare la lingua bifida del Drago divoratore di Vergini.
Al Sofitel di NY il capo del FMI disturba la cameriera di colore? Ecco che il rapace Capitale si avventa sull’ inerme Terzo Mondo.
Era tutta una balla? Ecco partire la sguaiata rivendicazione di diritti in favore del “socialmente subordinato”. [… ma quale diritto, in questo caso? Mah, in fondo è di secondaria importanza, un diritto lo si inventa sempre in questi casi… direi che il “diritto alla definizione retrospettiva di stupro indipendentemente dal consenso preventivo” puo’ andar bene, è previsto anche nei gender sudies…]
Qualsiasi cosa succeda, l’ importante è rappresentarla facendola entrare a forza in quelle “storie” che seducono l’ immaginario. I paradigmi non sono poi molti, giusto una decina. Scarsità, uguale semplicità, uguale attenzione delle masse assicurata.
Ma cosa c’ è che non va in quelle “narrazioni”? Nulla, c’ è piuttosto qualcosa che non va nel credere di decifrare il mondo mediante una “narrazione”.
Ogni giorno ciascuno di noi prende un sacco di granchi e la sterminata letteratura sulle lacune cognitive si incarica di spiegarci il perché e il per come: ormai c’ è un bias per tutti i gusti, ma forse, stranamente, manca il bias di tutti i bias: pensiamo che raccontare una “storia” aiuti a decriptare la realtà.
Non che manchino i caveat in merito a questo modo di procedere: c’ è chi s’ impegna a tempo pieno nel mettere il malvezzo alla berlina (vedi qui, quo e qua) ma si tratta di denunce “rimbalzate” sempre con la medesima contro obiezione: solo una “narrazione corretta” puo’ rimpiazzare una “narrazione scorretta”; in fondo la “narrazione” resta l’ unico strumento conoscitivo a nostra disposizione.
Argomento non peregrino, il discorso sulle alternative alla narrazione è cruciale e non sempre chiaro. Ecco allora i due cardini del resoconto anti-narrativo:
1. resoconto fondato sui costi opportunità – Il Mondo è pieno di realtà invisibili – chiamiamoli controfattuali - che, se raccontate, distruggerebbero il phatos della narrazione più avvincente. Eppure si tratta di realtà cruciali per capire come gira il fumo nel mondo in cui viviamo. Ogni nostra ammirevole decisione libera una miriade di silenziose contro-storie che riguardano i costi occulti, così come ogni comportamento abominevole è salvifico per molti che non vedranno mai narrata la loro vicenda. Immaginatevi se Dickens avesse raccontato le sue splendide fiabe “moderne” facendo i conti con la realtà invisibile (storia tesa n. 1):
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NxBzKkWo0mo]
2. resoconto fondato sulla serendipity – Una buona storia ha bisogno di mettere in primo piano l’ “intenzione” di protagonisti, deuteragonisti e antagonisti. Eppure, un racconto attendibile della realtà è quasi sempre un racconto in cui l’ intenzione della gente ha poco spazio. Ora, la figura dell’ “eroe per caso” puo’ anche presentarsi saltuariamente, ma v’ immaginate che noia se fosse la norma? La regola è talmente ferrea che fatico a trovare eccezioni. Mi viene in mente giusto il Manzoni dell’ assalto ai forni: il suo resoconto letterario sembra coniugare l’ arte con le leggi del reale come le apprende un pensiero rigoroso (storia tesa n .2):
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=h9QEkw6_O6w]
venerdì 6 luglio 2012
Apocalisse
giovedì 5 luglio 2012
martedì 3 luglio 2012
Genesi
Robin Hanson ha deciso e i contratti sottoscritti giacciono ora al sicuro nella cassaforte del notaio: una volta morto si farà spiccare chirurgicamente la testa dal fresco cadavere in modo da preservarla surgelata in azoto liquido.
Per quanto tempo? Un secolo? Due, tre? Finché non sarà possibile “uploadare” i dati e le funzioni neuronali del suo cervello su una macchina adeguata. Quella macchina non sarà altro che il nuovo corpo di RH redivivo visto che “penserà”, “gioirà”, “soffrirà”… esattamente come avrebbe fatto lui.
Qualche mese fa il NYT si è occupato della vicenda puntando i fari sul lato pettegolo, ovvero il matrimonio mandato in crisi dalla decisione di cui sopra. Altri (pochi) sono entrati nel merito della complicata questione tecnica contestando la probabilità che qualcosa del genere possa mai avvenire. C’ è poi dietro una questione filosofica interessante quanto impervia. Gli spunti, a essere onesti, non mancano, ma in genere la reazione tipo dell’ uomo della strada è di segno ben diverso, qualcosa tra lo sdegnato e l’ ironico: non riusciamo proprio ad associare un uomo a un corpo tanto strano e questa difficoltà si tramuta spesso in rabbia e condanna. Una specie di paura dell’ ignoto, una xenofobia dovuta al tempo più che allo spazio.
Purtroppo ho verificato che anche in ambienti cattolici si oppone una certa idiosincrasia: non si riesce a discutere pacatamente la faccenda; eppure, lo confesso, nutrivo speranze in qualcosa di diverso: se la difficoltà risiede nell’ “immaginazione” intorno ai corpi, mi chiedo a questo punto come un cattolico pensi ai corpi stra-passati di Adamo ed Eva. Probabilmente, ammettiamolo, erano molto più stravaganti e “impensabili” del corpo stra-futuro di RH. Ecco su cosa si fondava la mia speranza: se c’ è qualcuno che in materia non difetta di “immaginazione”, costui dovrebbe essere il cattolico.
mercoledì 27 giugno 2012
Sono aperte le iscrizioni a giurisprudenza, affrettatevi!
http://www.thebigquestions.com/2010/11/09/law-school-admissions-test/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/10/reasonable-doubts/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/11/reasoning-about-whats-reasonable/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/12/blinded-justice/
http://daviddfriedman.blogspot.it/2012/11/solving-patent-problemand-much-else.html
http://www.guardian.co.uk/law/2011/oct/02/formula-justice-bayes-theorem-miscarriage
venerdì 22 giugno 2012
giovedì 21 giugno 2012
Esercizi spirituali per giovani lavoratori – Rimini, maggio 2012
… la realtà è sempre positiva…