Ci sono alcuni libri che, per me, hanno un doppio valore.
Primo, perchè mi piacciono e godo nel leggerli.
Secondo, perchè mi hanno fatto riscoprire altri loro "fratellini" che dapprima mi avevano deluso.
**
Quello che a molti capita con i Promessi Sposi a me capitò con Mobydick.
Ripensando a quell' avventura direi che il "senso del dovere" è una qualità preziosa per il cittadino. Ma non per il lettore.
E' il "senso del dovere", prima ancora della scuola in sè, a rovinarci molte esperienze di lettura.
Per un malinteso senso del dovere, diversi anni fa, presi in mano Mobidick. Ma di mano mi scappò, tant' è che cadde in terra. Lo raccolsi ma cadde di nuovo.
Il Capolavoro non si lasciava impugnare. Come mai?
Sarà perchè quando i capolavori sono tali all' inizio della lettura anzichè alla fine, non si riescono mai a stanare e restano celati dietro spesse cortine.
A nulla valgono torrenziali prefazioni, scrupolose note a piè di pagina, efficaci sintesi, originali percorsi critici. Sempre sfuggenti restano.
Si direbbe persino che chi ci incoraggia verso di loro tema in segreto che anche noi si possa partecipare al godimento della bellezza.
Quasi che la bellezza del capolavoro sia una torta data da dividere tra tutti. Per ciascuno che si aggiunge al tavolo la fetta si assottiglia.
Nel frattempo Achab correva dietro la balena cumulando frustrazioni e io correvo dietro ad Achab ancora più deluso.
In quelle condizioni cosa potevo fare? Mi dibattevo goffamente...impigliato nelle gomeme, ancorato dalle ancore, arpionato come un San Sebastiano, bloccato sulle sartie preda delle vertigini.
Reso così il contesto, si puo' ben capire perchè arrivai in fondo alla mia impresa "doverosa" con spirito loffio e felicemente dimentico di tutte le pagine che mi lasciavo alle spalle.
Ascoltavo distratto le urla di Achab in attesa della mia liberazione e la mia liberazione arrivò con l' ultimo rigo dell' ultimo capitolo.
***
Quindici anni dopo, aggirandomi per librerie ormai lettore anarcoide privo di ogni "senso del dovere" e governato solo da istinti e curiosità transuenti, feci il mio incontro con la corrente pulsante del fantasmagorico "battezzatore" caraibico Derek Walcott.
E' stata questa specie di "Oh Capitano, mio Capitano" che mi ha istruito su come cavalcare la salsa onda oceanica. Che mi ha insegnato a domarne la veemenza e a gridare con la giusta impostazione di voce: "all' abbordaggio!!"
L' incessante filo di febbre che gli accende la pupilla, il suo verso informe, opulento e dilagante, mi ha convertito definitivamente alle sproporzioni della Parola Epica.
Una parola gremita di ambizioni e che deve uscire sbrodolante dalla conchiglia delle labbra...ormai quella lezione mi si è fissata in testa con la solidità di una paranoia.
Non pensavo che alla mia età potesse nascermi dentro questo ulteriore piccolo "io", un fratellino. Non te l' aspetti davvero di germogliare ancora in tempo di morte.
Grazie a lui ho toccato con mano la dismisura di una lingua inventata apposta per nominare esseri che oltrepassano le nostre facoltà.
...Le Balene Bianche, tanto per dirne una.
Tutto cio' ha avuto parecchie conseguenze.
Per esempio: con uno spintone selvaggio sono stato ributtato a bordo del Pequod. Si (ri)salpa e si guadagna all' istante il mare aperto. Ma questa volta sento l' odore pungente di ogni alga nel cervello.
La mia astenia di fronte alle pagine di Mobydick è un ricordo del passato.
Sotto la paterna scorta dell' Omero negroide che mi siede accanto, trovo il coraggio per riprendere in mano il Grande Classico. E il Grande Classico si ridesta dal torpore prendendomi saldamente tra le sue bibliche mani.
I libri di Walcott, tutti insieme, fanno ressa intorno spiegandomi per filo e per segno ogni paragrafo del Mobydick. L' egida della sua vasta mano negra si posa sul mio capino e io mi sento onniscente: capisco tutto. Lo capisco subito.
Ormai mi hanno talmente "introdotto" che Achab è per me come un Fratello della Costa con cui spartire il bottino; la portentosa schiena del Capodoglio, invece, mi è talmente familiare che l' accarezzo con lo sguardo come fosse il mio pesce rosso vinto al luna park...
Missione compiuta quindi: il Mobydick è letto con gusto, assimilato, metabolizzato e apprezzato.
Quindici anni e anch' io ho stanato l' abissale e maligna bellezza di questo grande libro/balena.
Valeva proprio la pena di aspettare per poter fare il viaggio più avventuroso con un compagno come il mitico Derek.
martedì 16 novembre 2010
Sull' asse Milano/Roma
Le "Luci della centrale elettrica" non sono un gruppo punk. E' un cantautore che con buona vena e due accordi cerca di dare un' idea degli anni '00 a nord di Milano.
Gli "Ardecore" non sono una band di rock duro ma un' accolita di improvvisatori in vacanza che hanno deciso di rinverdire la tradizione romanesca: voglia di frizzo alternata all' impudica esibizione di moncherini per raccattare elemosine. Il popolino strega l' élite.
Gli "Ardecore" non sono una band di rock duro ma un' accolita di improvvisatori in vacanza che hanno deciso di rinverdire la tradizione romanesca: voglia di frizzo alternata all' impudica esibizione di moncherini per raccattare elemosine. Il popolino strega l' élite.
Mance e altra beneficienza
La mancia, sebbene ci faccia sentire generosi, non è che uno spreco. Il mercato dei camerieri è competitivo e la maggior parte di loro vengono pagati per quanto valgono. Se i clienti danno loro di più, i datori di lavoro avranno la scusa per pagarli meno. I camerieri non percepiranno più soldi ma i titolari dei ristoranti sì, a spese dei clienti. E' questoil genere di altruismo che avevamo in mente?
Tyler Cowen - No-crac
Tratto del capitolo che analizza il modo migliore per fare beneficienza.
Secondo Tyler chi vuole fare beneficienza deve prima pensare a cosa manca realmente: certo, mancano i soldi. Ma per le grandi cause i nostri soldi sono una goccia nel mare. Cio' che manca veramente sono i donatori, e sul loro numero possiamo incidere più di quanto crediamo..
Nel campo della beneficienza c' è sempre la "causa del mese" che produce un "effetto valanga" straordinario. Una volta è lo tsunami, poi c' è Katrina... Ecco, dovremmo dedicarci alla "causa del mese" contribuendo all' "effetto valanga" che fa donare anche chi di solito non dona.
Evitiamo cause stantie che creano il "mendicante di professione"; evitiamo dunque di fare l' elemosina per le strade di Calcutta. Se proprio cerchiamo un meritevole per strada, beneficiamo il barbone avvolto nei cartoni, non se l' aspetterà.
Sarà bene anche una piccola donazione regolare. E' molto importante per gli enti filantropici avere un archivio dei "fedelissimi", ma attenzione: chiediamo al nostro ente di fiducia di non vendere mai in nessun caso il nostro nome ad altri enti, è una procedura comunissima che mina un bene primario nel nostro caso: la fedeltà.
Tyler Cowen - No-crac
Tratto del capitolo che analizza il modo migliore per fare beneficienza.
Secondo Tyler chi vuole fare beneficienza deve prima pensare a cosa manca realmente: certo, mancano i soldi. Ma per le grandi cause i nostri soldi sono una goccia nel mare. Cio' che manca veramente sono i donatori, e sul loro numero possiamo incidere più di quanto crediamo..
Nel campo della beneficienza c' è sempre la "causa del mese" che produce un "effetto valanga" straordinario. Una volta è lo tsunami, poi c' è Katrina... Ecco, dovremmo dedicarci alla "causa del mese" contribuendo all' "effetto valanga" che fa donare anche chi di solito non dona.
Evitiamo cause stantie che creano il "mendicante di professione"; evitiamo dunque di fare l' elemosina per le strade di Calcutta. Se proprio cerchiamo un meritevole per strada, beneficiamo il barbone avvolto nei cartoni, non se l' aspetterà.
Sarà bene anche una piccola donazione regolare. E' molto importante per gli enti filantropici avere un archivio dei "fedelissimi", ma attenzione: chiediamo al nostro ente di fiducia di non vendere mai in nessun caso il nostro nome ad altri enti, è una procedura comunissima che mina un bene primario nel nostro caso: la fedeltà.
lunedì 15 novembre 2010
Mulholland drive: lavori in corso.
I due più notevoli cineasti americani degli anni Novanta sono in tre: Quentin Tarantino e i fratellini Coen.
Tutti appartengono alla genealogia inaugurata da David Lyinch, autore spesso trascurato che invece, solo per questo, merita il culto che lo circonda.
Se volete toccare con mano la parentela osservate questo killer in azione e sappiatemi dire.
Certo, Mulholland drive è un film degli anni 00, ma l' accento della scena è tipico e questa è solo una riproposizione.
E poi Mulholland drive è il film che abbiamo visto ieri sera, e mi serviva una scusa. Abbiamo trattenuto il fiato a lungo, è una vetta lynchiana in grado di rinverdire i fasti di Twin Peaks.
Tuttavia è anche una storia decisamente criptica che ha scatenato gli ermeneutici.
Io ho avanzato un' ipotesi che mi soddisfa: si tratta in realtà di due storie divise dal sipario rosso che compare nello spettacolo dell' illusionista.
La prima storia è quella della smemorata, la seconda racconta un amore deluso con relativa vendetta.
Puo' ingannare il fatto che siano due storie giustapposte e che la prima occupi tre quarti del film.
Due storie sono coerenti al loro interno anche se tra loro non comunicano. Un po' come la fisica contemporanea, che spiega il mondo naturale con due teorie internamente coerenti ma tra loro incomunicabili.
Ma cio' che inganna ancor di più sta nel fatto che la seconda storia riutilizza personaggi e situazioni che già la prima storia ci aveva presentato, anche per questo procede molto più speditamente; l' artificio ci inganna facendoci credere che la storia sia unica, cosicchè cerchiamo dei collegamenti che in realtà, dobbiamo rassegnarci stremati, non esistono. A meno di digerire un numero inaccettabile di incoerenze.
Come se non bastasse le due storie sono entrambe monche in diversi punti. Fa niente, le amputazioni non generano assurdità. Ci sono parecchi thrillere che ci lasciano sospesi.
Ma perchè raccontare due storie con tanti vicendevoli rimandi ingannatori?
Penso che uno sceneggiatore di professione sarebbe meno sorpreso di noi.
E' pratica comune iniziare a buttar giù una storia promettente per constatare poi in seguito che non va da nessuna parte. Si ricomincia allora a raccontare una nuova storia cercando di non "sprecare" personaggi e pezzi di narrazione ideati in precedenza che riteniamo funzionare.
Basterebbe scrivere su un blog per rendersi conto di questa caratteristica andatura dello scrivere, mica c' è bisogno di inventare il plot di un film.
Sì, penso che il Mulholland drive ci racconti il mondo degli sceneggiatori e le intermittenze della loro scrittura. Siamo nel bel mezzo della scrittura di un film.
Tutti appartengono alla genealogia inaugurata da David Lyinch, autore spesso trascurato che invece, solo per questo, merita il culto che lo circonda.
Se volete toccare con mano la parentela osservate questo killer in azione e sappiatemi dire.
Certo, Mulholland drive è un film degli anni 00, ma l' accento della scena è tipico e questa è solo una riproposizione.
E poi Mulholland drive è il film che abbiamo visto ieri sera, e mi serviva una scusa. Abbiamo trattenuto il fiato a lungo, è una vetta lynchiana in grado di rinverdire i fasti di Twin Peaks.
Tuttavia è anche una storia decisamente criptica che ha scatenato gli ermeneutici.
Io ho avanzato un' ipotesi che mi soddisfa: si tratta in realtà di due storie divise dal sipario rosso che compare nello spettacolo dell' illusionista.
La prima storia è quella della smemorata, la seconda racconta un amore deluso con relativa vendetta.
Puo' ingannare il fatto che siano due storie giustapposte e che la prima occupi tre quarti del film.
Due storie sono coerenti al loro interno anche se tra loro non comunicano. Un po' come la fisica contemporanea, che spiega il mondo naturale con due teorie internamente coerenti ma tra loro incomunicabili.
Ma cio' che inganna ancor di più sta nel fatto che la seconda storia riutilizza personaggi e situazioni che già la prima storia ci aveva presentato, anche per questo procede molto più speditamente; l' artificio ci inganna facendoci credere che la storia sia unica, cosicchè cerchiamo dei collegamenti che in realtà, dobbiamo rassegnarci stremati, non esistono. A meno di digerire un numero inaccettabile di incoerenze.
Come se non bastasse le due storie sono entrambe monche in diversi punti. Fa niente, le amputazioni non generano assurdità. Ci sono parecchi thrillere che ci lasciano sospesi.
Ma perchè raccontare due storie con tanti vicendevoli rimandi ingannatori?
Penso che uno sceneggiatore di professione sarebbe meno sorpreso di noi.
E' pratica comune iniziare a buttar giù una storia promettente per constatare poi in seguito che non va da nessuna parte. Si ricomincia allora a raccontare una nuova storia cercando di non "sprecare" personaggi e pezzi di narrazione ideati in precedenza che riteniamo funzionare.
Basterebbe scrivere su un blog per rendersi conto di questa caratteristica andatura dello scrivere, mica c' è bisogno di inventare il plot di un film.
Sì, penso che il Mulholland drive ci racconti il mondo degli sceneggiatori e le intermittenze della loro scrittura. Siamo nel bel mezzo della scrittura di un film.
venerdì 12 novembre 2010
Economia dell' anima
L' economia non si occupa di soldi, si occupa di scarsità.
Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.
Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.
Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?
Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.
E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.
Cosa manca allora?
Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.
E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.
Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".
Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.
Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".
Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.
I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.
Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.
L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).
Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.
Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.
In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.
Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.
Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.
La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.
Ma ci sono anche altri trucchi.
Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.
A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.
About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.
Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.
Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.
*****
Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?
Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!
Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.
Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.
La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.
Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.
Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.
Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?
Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.
Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.
La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.
La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.
L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.
Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.
Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".
Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).
Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.
Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.
Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.
Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).
***
La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.
Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.
Come mai?
La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.
Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.
Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.
La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.
Per me le cose sono andate in modo dverso.
Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.
Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.
Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.
Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.
Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.
Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".
Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.
Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.
Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.
Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".
Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.
Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.
Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.
Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.
Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.
Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...
La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.
La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).
Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".
Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.
Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.
Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.
Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".
Altro che ordine alfabetico.
L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!
Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.
Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.
***
Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.
Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.
In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.
Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.
Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.
Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.
A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.
Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.
In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.
Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.
Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.
Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.
La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.
Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.
***
L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.
Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.
Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.
Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.
A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.
Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.
Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".
L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.
Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.
Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.
Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?
Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.
E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.
Cosa manca allora?
Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.
E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.
Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".
Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.
Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".
Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.
I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.
Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.
L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).
Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.
Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.
In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.
Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.
Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.
La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.
Ma ci sono anche altri trucchi.
Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.
A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.
About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.
Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.
Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.
*****
Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?
Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!
Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.
Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.
La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.
Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.
Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.
Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?
Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.
Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.
La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.
La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.
L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.
Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.
Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".
Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).
Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.
Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.
Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.
Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).
***
La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.
Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.
Come mai?
La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.
Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.
Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.
La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.
Per me le cose sono andate in modo dverso.
Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.
Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.
Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.
Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.
Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.
Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".
Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.
Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.
Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.
Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".
Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.
Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.
Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.
Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.
Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.
Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...
La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.
La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).
Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".
Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.
Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.
Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.
Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".
Altro che ordine alfabetico.
L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!
Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.
Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.
***
Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.
Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.
In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.
Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.
Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.
Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.
A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.
Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.
In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.
Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.
Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.
Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.
La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.
Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.
***
L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.
Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.
Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.
Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.
A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.
Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.
Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".
L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.
Paternalismo
Se dico che gli uomini castani non sanno prendere le giuste decisioni, butto le premesse per un intervento paternalistico. Ma un intervento del genere ha almeno tre inconvenienti:
1. danneggia i "castani" che sanno decidere per conto loro.
2. chi decide al posto dei "castani"? I "biondi"?
3. slippery slope.
1. danneggia i "castani" che sanno decidere per conto loro.
2. chi decide al posto dei "castani"? I "biondi"?
3. slippery slope.
giovedì 11 novembre 2010
Il problema sono gli asili?
Siete sicuri che il problema della bassa fertilità delle italiane sia la carenza di asili?
La spiegazione più coerente con l' evidenza ribalta il nesso di causalità: ci sono pochi asili perchè ci sono pochi bambini.
La donna italiana lavora poco e, come se non bastasse, il gap sugli stipendi non le consente di finanziare la cura dei figli appaltandola a terzi. Il gap è dovuto al fatto che la donna italiana è molto più impegnata nei lavori di casa rispetto all' uomo.
Bisogna intervenire?
E perchè mai? Questa condizione sembrerebbe essere culturale, ovvero basata sulle preferenze di una popolazione.
Perchè dovremmo cambiare dall' alto delle preferenze?
La spiegazione più coerente con l' evidenza ribalta il nesso di causalità: ci sono pochi asili perchè ci sono pochi bambini.
La donna italiana lavora poco e, come se non bastasse, il gap sugli stipendi non le consente di finanziare la cura dei figli appaltandola a terzi. Il gap è dovuto al fatto che la donna italiana è molto più impegnata nei lavori di casa rispetto all' uomo.
Bisogna intervenire?
E perchè mai? Questa condizione sembrerebbe essere culturale, ovvero basata sulle preferenze di una popolazione.
Perchè dovremmo cambiare dall' alto delle preferenze?
Etichette:
alesina,
demografia,
famiglia asili,
femminismo lavoro
Il dramma dei tagli alla spesa
Mezzo secolo fa, la spesa pubblica in Italia, così come in altri Paesi, era circa la metà del livello attuale. Nel 2008 la spesa primaria, cioè la spesa pubblica al netto del pagamento di interessi sul debito pubblico, era il 43,6 per cento del PIL. In quell’anno in Australia era il 30,4 per cento; nella Svizzera era il 31,0 per cento; in Giappone era il 33,5 per cento;in Canada e negli Stati Uniti era il 36,1 per cento. Nella spendacciona Norvegia, la spesa primaria era il 38,5 per cento del PIL (dati del FMI).
Oltre agli ostacoli politici nella riduzione della spesa che sono ovvi, sarebbe davvero così dannoso portare la spesa pubblica primaria italiana (quella al netto degli interessi sul debito pubblico) al livello di quella norvegese? È vero che la riduzione della spesa ridurrebbe la qualità della vita in Italia? Forse la diminuirebbe fino a raggiungere quella dei Norvegesi o degli Svizzeri? Magari!
Vito Tanzi
Oltre agli ostacoli politici nella riduzione della spesa che sono ovvi, sarebbe davvero così dannoso portare la spesa pubblica primaria italiana (quella al netto degli interessi sul debito pubblico) al livello di quella norvegese? È vero che la riduzione della spesa ridurrebbe la qualità della vita in Italia? Forse la diminuirebbe fino a raggiungere quella dei Norvegesi o degli Svizzeri? Magari!
Vito Tanzi
Il tempo di E.
Relatività e tempo, alcuni punti da aver chiari per non cadere in
equivoci.
1) L’ esperimento di Michelson e Morley dimostrò che la velocità della luce è una costante, ovvero che non è soggetta alla composizione galileiana.
2) La composizione galileiana delle velocità (trasformazione galileiana) ci dice che se un’ auto che va a 100 km orari viene superata da un’ auto che va a 120 km orari, allora quest’ ultima apparirà alla prima con una velocità di 20 km orari. Ebbene, questo calcolo differenziale non è applicabile qualora l’ auto sia superata da una particella luminosa poiché la velocità della luce è una costante universale (sempre la stessa indipendentemente dallo spazio e dal moto). Le trasformazioni di lorentz si adattano invece a questo secondo caso.
2bis) Si noti che se vado a 100 km/h e vengo superato da un’ auto che va a 200 km/k posso sempre dire che quell’ auto va a 100 km/h ma nel suo sistema i km sono lunghi mezzo km e le ore durano mezz’ ora. Se dico che va a 200 km/h è perché decido di considerare lo spaziotempo come una costante universale, ovvero comune a tutti i sistemi inerziali.
2ter) Le trasformazioni sono degli algoritmi che traducono i fenomeni da un piano cartesiano ad un altro. Ogni sistema inerziale ha un suo proprio piano cartesiano.
2quater) si immagini un vagone che corre velocissimo e una fonte luminosa che si accende nel bel mezzo del vagone. Secondo il viaggiatore a bordo del vagone (per lui tutto è fermo) la luce colpisce simultaneamente la parete di testa e quella di coda ma secondo uno spettatore che guarda dalla pensilina (per lui il vagone è in movimento) la parete di testa (che si allontana dal punto di emissione della particella) viene colpita dopo mentre quella di coda (che si avvicina al punto di emissione) viene colpita prima. Come riconciliare le due osservazioni divergenti? Se la velocità del vagone si avvicina a quella della luce si adotteranno le trasformazioni di lorentz.
2quinquies) Ma analizziamo l’ esperimento mentale del vagone e della fonte luminosa che si accende nel mezzo per segnalare un’ asimmetria fondamentale per capire come rallenta il flusso del tempo in un sistema in movimento. Poniamo che il vagone viaggi ad una velocità vicina a quella della luce: vista dalla pensilina, la fonte luminosa impiegherà parecchio tempo a raggiungere la parete anteriore, ovvero, apparirà come se procedesse molto lentamente lentamente. D’ altra parte la stessa fonte raggiungerà quasi subito la parete posteriore ma non potrà mai apparire più veloce della sua equivalente simmetrica, questo perché non è concepibile un corpo che viaggi a velocità superiore rispetto alla luce. Per mantenere l’ asimmetria di tocco sarà necessaria quindi una contrazione dello spazio posteriore del vagone, in questo modo il fascio luminoso proiettato verso quella parete terminerà per primo il proprio percorso, come è normale che sia per chi osserva dalla pensilina, senza con questo apparire più veloce del suo gemello proiettato sulla parete opposta, come sarebbe assurdo che fosse. Tutto, nel vagone, procede quindi più lentamente se misuriamo gli eventi con l’ orologio del viaggiatore sulla pensilina.
3) Einstein fu il primo a prendere sul serio l’ esperimento MM e a costruire, grazie alle trasformazioni di lorentz, un modello in cui la costante fosse la velocità della luce. Fino ad allora la costante era rappresentata dal fluire del tempo (sempre il medesimo indipendentemente dallo spazio e dalla velocità di movimento dei corpi). Lo scostamento tra apparenza e realtà era imputato alla velocità dei corpi, una variabile da “normalizzare” mantenendo lo “spaziotempo” come costante.
4) Ora, se A’ si allontana da A a velocità elevatissime, i movimenti che si svolgono in A’ appaiono in A come rallentati. Secondo la fisica tradizionale questo effetto puo’ essere interpretato come un ritardo delle particelle luminose giunte in A dovuto al movimento di A’. Ma se la velocità della luce è posta come una costante, ovvero se è indipendente dal movimento, allora non tutto il rallentamento è imputabile allo spazio sempre maggiore che la luce emanata dal corpo in allontanamento deve compiere per colpire l’ osservatore in quiete. Una buona parte di questo effetto è reale e spiegate dalle opportune trasformazioni proprie della relatività ristretta. Negli esperimenti mentali che si fanno per comprendere la relatività c’ è un aspetto ingannevole poiché non si distingue tra rallentamenti relativistici e rallentamenti che possono essere spiegati in virtù della sola fisica classica.
5) L’ oggetto in movimento avrà sempre tempi rallentati se misurati da un sistema immobile, e questo non sarà solo un effetto ottico ma, almeno in parte, un effetto reale della relatività (se è vero che l’ unica costante di cui disponiamo è la velocità della luce).
6) Il paradosso dei gemelli potrebbe implicare delle difficoltà per l’ apparente simmetria tra allontanamento e avvicinamento (viaggio di andata e di ritorno). Perché mai il gemello viaggiatore dovrebbe ringiovanire se si sottopone a due trattamenti simmetrici?: un trattamento dovrebbe annullare l’ altro. Tuttavia cio’ che si elide per compensazione è solo l’ effetto ottico del ritardo o del compattamento con cui le particelle luminose emanate da chi viaggia giungono all’ osservatore sulla terra. L’ effetto relativistico (che non è un effetto ottico ma un effetto reale) si somma. In altri termini: cio’ che si vede da terra non va confuso con cio’ che si calcola restando a terra.
Problema: come si riconcilia una simile impostazione con la teoria tradizionale del tempo? Si puo' sempre sostenere che la "relatività ristretta" si limita a dire che la "simultaneità" non puo' mai essere osservata con certezza e non che non esiste.
http://plato.stanford.edu/entries/time/
1) L’ esperimento di Michelson e Morley dimostrò che la velocità della luce è una costante, ovvero che non è soggetta alla composizione galileiana.
2) La composizione galileiana delle velocità (trasformazione galileiana) ci dice che se un’ auto che va a 100 km orari viene superata da un’ auto che va a 120 km orari, allora quest’ ultima apparirà alla prima con una velocità di 20 km orari. Ebbene, questo calcolo differenziale non è applicabile qualora l’ auto sia superata da una particella luminosa poiché la velocità della luce è una costante universale (sempre la stessa indipendentemente dallo spazio e dal moto). Le trasformazioni di lorentz si adattano invece a questo secondo caso.
2bis) Si noti che se vado a 100 km/h e vengo superato da un’ auto che va a 200 km/k posso sempre dire che quell’ auto va a 100 km/h ma nel suo sistema i km sono lunghi mezzo km e le ore durano mezz’ ora. Se dico che va a 200 km/h è perché decido di considerare lo spaziotempo come una costante universale, ovvero comune a tutti i sistemi inerziali.
2ter) Le trasformazioni sono degli algoritmi che traducono i fenomeni da un piano cartesiano ad un altro. Ogni sistema inerziale ha un suo proprio piano cartesiano.
2quater) si immagini un vagone che corre velocissimo e una fonte luminosa che si accende nel bel mezzo del vagone. Secondo il viaggiatore a bordo del vagone (per lui tutto è fermo) la luce colpisce simultaneamente la parete di testa e quella di coda ma secondo uno spettatore che guarda dalla pensilina (per lui il vagone è in movimento) la parete di testa (che si allontana dal punto di emissione della particella) viene colpita dopo mentre quella di coda (che si avvicina al punto di emissione) viene colpita prima. Come riconciliare le due osservazioni divergenti? Se la velocità del vagone si avvicina a quella della luce si adotteranno le trasformazioni di lorentz.
2quinquies) Ma analizziamo l’ esperimento mentale del vagone e della fonte luminosa che si accende nel mezzo per segnalare un’ asimmetria fondamentale per capire come rallenta il flusso del tempo in un sistema in movimento. Poniamo che il vagone viaggi ad una velocità vicina a quella della luce: vista dalla pensilina, la fonte luminosa impiegherà parecchio tempo a raggiungere la parete anteriore, ovvero, apparirà come se procedesse molto lentamente lentamente. D’ altra parte la stessa fonte raggiungerà quasi subito la parete posteriore ma non potrà mai apparire più veloce della sua equivalente simmetrica, questo perché non è concepibile un corpo che viaggi a velocità superiore rispetto alla luce. Per mantenere l’ asimmetria di tocco sarà necessaria quindi una contrazione dello spazio posteriore del vagone, in questo modo il fascio luminoso proiettato verso quella parete terminerà per primo il proprio percorso, come è normale che sia per chi osserva dalla pensilina, senza con questo apparire più veloce del suo gemello proiettato sulla parete opposta, come sarebbe assurdo che fosse. Tutto, nel vagone, procede quindi più lentamente se misuriamo gli eventi con l’ orologio del viaggiatore sulla pensilina.
3) Einstein fu il primo a prendere sul serio l’ esperimento MM e a costruire, grazie alle trasformazioni di lorentz, un modello in cui la costante fosse la velocità della luce. Fino ad allora la costante era rappresentata dal fluire del tempo (sempre il medesimo indipendentemente dallo spazio e dalla velocità di movimento dei corpi). Lo scostamento tra apparenza e realtà era imputato alla velocità dei corpi, una variabile da “normalizzare” mantenendo lo “spaziotempo” come costante.
4) Ora, se A’ si allontana da A a velocità elevatissime, i movimenti che si svolgono in A’ appaiono in A come rallentati. Secondo la fisica tradizionale questo effetto puo’ essere interpretato come un ritardo delle particelle luminose giunte in A dovuto al movimento di A’. Ma se la velocità della luce è posta come una costante, ovvero se è indipendente dal movimento, allora non tutto il rallentamento è imputabile allo spazio sempre maggiore che la luce emanata dal corpo in allontanamento deve compiere per colpire l’ osservatore in quiete. Una buona parte di questo effetto è reale e spiegate dalle opportune trasformazioni proprie della relatività ristretta. Negli esperimenti mentali che si fanno per comprendere la relatività c’ è un aspetto ingannevole poiché non si distingue tra rallentamenti relativistici e rallentamenti che possono essere spiegati in virtù della sola fisica classica.
5) L’ oggetto in movimento avrà sempre tempi rallentati se misurati da un sistema immobile, e questo non sarà solo un effetto ottico ma, almeno in parte, un effetto reale della relatività (se è vero che l’ unica costante di cui disponiamo è la velocità della luce).
6) Il paradosso dei gemelli potrebbe implicare delle difficoltà per l’ apparente simmetria tra allontanamento e avvicinamento (viaggio di andata e di ritorno). Perché mai il gemello viaggiatore dovrebbe ringiovanire se si sottopone a due trattamenti simmetrici?: un trattamento dovrebbe annullare l’ altro. Tuttavia cio’ che si elide per compensazione è solo l’ effetto ottico del ritardo o del compattamento con cui le particelle luminose emanate da chi viaggia giungono all’ osservatore sulla terra. L’ effetto relativistico (che non è un effetto ottico ma un effetto reale) si somma. In altri termini: cio’ che si vede da terra non va confuso con cio’ che si calcola restando a terra.
Problema: come si riconcilia una simile impostazione con la teoria tradizionale del tempo? Si puo' sempre sostenere che la "relatività ristretta" si limita a dire che la "simultaneità" non puo' mai essere osservata con certezza e non che non esiste.
http://plato.stanford.edu/entries/time/
Two other arguments against The A Theory (besides McTaggart's argument, that is) have been especially influential. The first of these is an argument from the special theory of relativity in physics. According to that theory (the argument goes), there is no such thing as absolute simultaneity. But if there is no such thing as absolute simultaneity, then there cannot be objective facts of the form “t is present” or “t is 12 seconds past”. Thus, according to this line of argument, there cannot be objective facts about A properties, and so the passage of time cannot be an objective feature of the world.
It looks as if the A Theorist must choose between two possible responses to the argument from relativity: (1) deny the theory of relativity, or (2) deny that the theory of relativity actually entails that there can be no such thing as absolute simultaneity. Option (1) has had its proponents (including Arthur Prior), but in general has not proven to be widely popular. This may be on account of the enormous respect philosophers typically have for leading theories in the empirical sciences. Option (2) seems like a promising approach for A Theorists, but A Theorists who opt for this line are faced with the task of giving some account of just what the theory of relativity does entail with respect to absolute simultaneity. (Perhaps it can be plausibly argued that while relativity entails that it is physically impossible to observe whether two events are absolutely simultaneous, the theory nevertheless has no bearing on whether there is such a phenomenon as absolute simultaneity.)
mercoledì 10 novembre 2010
Meditazioni libertarie sul Vangelo del 14.11.2010
Vangelo secondo Matteo 24, 1-31
In quel tempo. Mentre il Signore Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta». Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non andateci; “Ecco, è in casa”, non credeteci. Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce, / le stelle cadranno dal cielo / e le potenze dei cieli saranno sconvolte”. Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».
Il Vangelo ci parla della fine del mondo. E rilevante sapere quando avverrà?
Non è rilevante, è decisivo per accordare la nostra etica su quell' orizzonte: mentre alcuni precetti sono inamovibili, altri, essenziali per specificare i comportamenti concreti, ricevono l' influsso della circostanza.
Conoscere il tempo che abbiamo di fronte è una circostanza decisiva per il Cattolico ragionevole.
Facciamo un esempio: Padre Tosato dice che la condanna della ricchezza nei Vangeli va interpretata avendo presente la rischiosità dell' impresa di coloro che venivano "chiamati" ad annunciare Cristo.
Per chi dovrà sacrificarsi domani, è irrazionale investire a lungo termine. Ma la cosa diventa invece auspicabile e raccomandabile per chi gode di una maggiore speranza di vita.
Gesù sembra metterci in guardia dai falsi profeti che annunciano l' imminente fine dei tempi: non diamo dunque loro retta e contribuiamo, da cristiani, a costruire una società in grado di produrre ricchezza e benessere nei tempi a venire; lo spiritualismo, il pauperismo e l' idolatria della miseria materiale sono insensatezze in cui cade chi ascolta la sirena di questi ingannattori.
Sulla costruzione di una società del genere il Libertario ha qualcosa da dire al Cattolico.
In quel tempo. Mentre il Signore Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta». Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non andateci; “Ecco, è in casa”, non credeteci. Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce, / le stelle cadranno dal cielo / e le potenze dei cieli saranno sconvolte”. Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».
Il Vangelo ci parla della fine del mondo. E rilevante sapere quando avverrà?
Non è rilevante, è decisivo per accordare la nostra etica su quell' orizzonte: mentre alcuni precetti sono inamovibili, altri, essenziali per specificare i comportamenti concreti, ricevono l' influsso della circostanza.
Conoscere il tempo che abbiamo di fronte è una circostanza decisiva per il Cattolico ragionevole.
Facciamo un esempio: Padre Tosato dice che la condanna della ricchezza nei Vangeli va interpretata avendo presente la rischiosità dell' impresa di coloro che venivano "chiamati" ad annunciare Cristo.
Per chi dovrà sacrificarsi domani, è irrazionale investire a lungo termine. Ma la cosa diventa invece auspicabile e raccomandabile per chi gode di una maggiore speranza di vita.
Gesù sembra metterci in guardia dai falsi profeti che annunciano l' imminente fine dei tempi: non diamo dunque loro retta e contribuiamo, da cristiani, a costruire una società in grado di produrre ricchezza e benessere nei tempi a venire; lo spiritualismo, il pauperismo e l' idolatria della miseria materiale sono insensatezze in cui cade chi ascolta la sirena di questi ingannattori.
Sulla costruzione di una società del genere il Libertario ha qualcosa da dire al Cattolico.
Capire il sessismo razionale
Sul mercato del lavoro molti denunciano pratiche di "sessismo" (razionale) che danneggerebbero le donne.
Queste denunce, per quanto plausibili, sono puntualmente reticenti.
Non si spiega, e magari non si comprende nemmeno, cosa sia il "sessismo razionale".
Facciamo un caso specifico: poichè il datore di lavoro sa che la candidata donna al posto potrebbe avere nel prossimo futuro dei bambini, è meno disposto all' assunzione. Come biasimarlo, mica possiamo chiedergli di essere Babbo Natale!
Senonchè la donna media, proprio perchè a conoscenza di queste difficoltà, rinuncia ad impegnarsi a fondo in ambito lavorativo creando un circolo vizioso: tanto più il datore discrimina senza pregiudizi, quanto meno le donne investono nel mondo del lavoro
E' un caso classico di "statistical discrimination" o "sessismo razionale": tutti si comportano in modo razionale ma "le donne" ci lasciano le penne.
Peccato che molti pensino al "sessismo razionale" come a qualcosa che contrappone i due generi sessuali: donne contro uomini. Sbagliato! Il "sessismo razionale" contrappone donne a donne. La battaglia da condurre è limitata all' interno del gruppo discriminato.
Per capirlo ancora meglio vediamo come si sbaragliano gli inconvenienti del "sessismo" nel caso appena profilato.
Semplice, basta prevedere contratti in cui la candidata si impegni a non avere figli (oggi vietati per legge!).
Una soluzione del genere avvantaggia le "donne" in generale? No, avvantaggia solo le donne orientate seriamente a lavorare duro e alla carriera, le altre donne invece non solo non migliorano la loro condizione ma addirittura la peggiorano.
E guardacaso è cio' che dicevamo: le pratiche di "sessismo razionale" fanno in modo che la battaglia reale sia all' interno del gruppo discriminato e non tra gruppo discriminato e gruppo discriminante.
Una battaglia del genere presenterebbe due fronti: nel primo le donne che investono sul lavoro, nel secondo le altre. Chissà perchè chi si interessa di "sessismo" è a dir poco terrorizzato da un simile schieramento. Costui sogna ancora una bella guerra tra "generi", anche laddove una contrapposizione simile avrebbe veramente poco senso.
La flessibilità contrattuale è un ottimo strumento contro ogni genere di "razzismo razionale" (che per me non puo' nemmeno definirsi "razzismo"). Una soluzione quasi sempre omessa nelle analisi che leggerete. In questo campo il vizietto della reticenza per "correttezza politica" imperversa.
Queste denunce, per quanto plausibili, sono puntualmente reticenti.
Non si spiega, e magari non si comprende nemmeno, cosa sia il "sessismo razionale".
Facciamo un caso specifico: poichè il datore di lavoro sa che la candidata donna al posto potrebbe avere nel prossimo futuro dei bambini, è meno disposto all' assunzione. Come biasimarlo, mica possiamo chiedergli di essere Babbo Natale!
Senonchè la donna media, proprio perchè a conoscenza di queste difficoltà, rinuncia ad impegnarsi a fondo in ambito lavorativo creando un circolo vizioso: tanto più il datore discrimina senza pregiudizi, quanto meno le donne investono nel mondo del lavoro
E' un caso classico di "statistical discrimination" o "sessismo razionale": tutti si comportano in modo razionale ma "le donne" ci lasciano le penne.
Peccato che molti pensino al "sessismo razionale" come a qualcosa che contrappone i due generi sessuali: donne contro uomini. Sbagliato! Il "sessismo razionale" contrappone donne a donne. La battaglia da condurre è limitata all' interno del gruppo discriminato.
Per capirlo ancora meglio vediamo come si sbaragliano gli inconvenienti del "sessismo" nel caso appena profilato.
Semplice, basta prevedere contratti in cui la candidata si impegni a non avere figli (oggi vietati per legge!).
Una soluzione del genere avvantaggia le "donne" in generale? No, avvantaggia solo le donne orientate seriamente a lavorare duro e alla carriera, le altre donne invece non solo non migliorano la loro condizione ma addirittura la peggiorano.
E guardacaso è cio' che dicevamo: le pratiche di "sessismo razionale" fanno in modo che la battaglia reale sia all' interno del gruppo discriminato e non tra gruppo discriminato e gruppo discriminante.
Una battaglia del genere presenterebbe due fronti: nel primo le donne che investono sul lavoro, nel secondo le altre. Chissà perchè chi si interessa di "sessismo" è a dir poco terrorizzato da un simile schieramento. Costui sogna ancora una bella guerra tra "generi", anche laddove una contrapposizione simile avrebbe veramente poco senso.
La flessibilità contrattuale è un ottimo strumento contro ogni genere di "razzismo razionale" (che per me non puo' nemmeno definirsi "razzismo"). Una soluzione quasi sempre omessa nelle analisi che leggerete. In questo campo il vizietto della reticenza per "correttezza politica" imperversa.
martedì 9 novembre 2010
Bimbi e TV
Che casino fare il genitore!
Ogni giorno ce n' è una; ci si imbarca in discorsi estenuanti con i "colleghi" e anzichè immagazzinare preziosi consigli, lievitano solo i dubbi.
Adesso è la volta della TV...
Anche se il problema è di là da venire, sento che mi occorrono al più presto dei buoni motivi per limitare il ricorso alla TV nella cura della bimba.
Il fatto è che...
1. la TV è piena di cose divertenti.
2. è un' ottima baby sitter.
3. la minaccia di limitarla è un castigo efficacissimo.
Come se non bastasse gli studi sui gemelli adottati danno praticamente per certo che la TV non destabilizza lo sviluppo cognitivo del bambino.
Certo, se stai guardando la TV non puoi leggere i Promessi Sposi. Ma non sembra proprio che i bambini si astengano dalla TV per leggere i Promessi Sposi, infatti questi soggetti non risultano mediamente più acculturati di chi la TV la guarda spesso e volentieri. Anzi!
Quali altre cartucce mi restano da sparare? Cio' che cerco sono fatti, non teorie.
Ogni giorno ce n' è una; ci si imbarca in discorsi estenuanti con i "colleghi" e anzichè immagazzinare preziosi consigli, lievitano solo i dubbi.
Adesso è la volta della TV...
Anche se il problema è di là da venire, sento che mi occorrono al più presto dei buoni motivi per limitare il ricorso alla TV nella cura della bimba.
Il fatto è che...
1. la TV è piena di cose divertenti.
2. è un' ottima baby sitter.
3. la minaccia di limitarla è un castigo efficacissimo.
Come se non bastasse gli studi sui gemelli adottati danno praticamente per certo che la TV non destabilizza lo sviluppo cognitivo del bambino.
Certo, se stai guardando la TV non puoi leggere i Promessi Sposi. Ma non sembra proprio che i bambini si astengano dalla TV per leggere i Promessi Sposi, infatti questi soggetti non risultano mediamente più acculturati di chi la TV la guarda spesso e volentieri. Anzi!
Quali altre cartucce mi restano da sparare? Cio' che cerco sono fatti, non teorie.
Lo scricchiolio
Non ci sono più i narratori dell' Ottocento, abbiamo perduto per sempre quella verbosa genia.
Nessuno sa più proprzionare con tanta dovizia la "lentezza" del reale, per farlo occorre troppa dedizione al mondo vero, una risorsa irreperibile per chi è assalito dalla distrazione continua procurata da mille mondi virtuali che ci seducono. Non esiste pazienza che una simile mole di tentazioni non sappia annientare.
Ho chiuso da pochi giorni un libro eccellente: "L' Assemoire", capolavoro di Emile Zola.
Dopo due pagine già capisci dove andrà a parare la trecentesima pagina, eppure la prevedibilità non nuoce affatto alla narrazione.
Nel romanzo si racconta la "caduta" di una donna, Gervasia. Povera Gervasia, per un attimo aveva sperato di farcela, poi l' abbiamo vista smarrita, poi l' abbiamo vista barcollare fino allo schianto finale.
Avete presente cosa significa tracciare una parabola prevedibile per trecento pagine senza cali di tensione, portandosi dietro una nutrita schiera di lettori vogliosi d' emozioni reperiti un po' ovunque in secoli differenti?
I tracolli si somigliano tutti, ma l' arte di registrare sapientemente ogni scricchiolio, l' arte di illustrare quei piccoli moti dell' animo che crediamo innocui e che invece occultano crepe strutturali, sono doti che pochi possiedono.
Un solo giorno puo' annoverarne centinaia di questi minuscoli eventi, vera passione del lettore pettegolo che dal suo angolo riparato pregusta la disfatta.
Per isolarli e farli assaporare con arte, bisogna procedere a rilento scarnificando il reale con pazienza infinita: questo sì, questo no. Bisogna distribuire armoniosamente gli eventi in modo da palleggiare l' attenzione del lettore senza mai farle toccare terra.
Ma il tutto va fatto mantendo una sicronia con il reale: la lentezza di cui parlo non ha nulla a che fare con il fermo immagine dei cartoni giapponesi, e neanche con il gesto infinito degli eroi epici di Omero. Nella grande narrazione ottocentesca il mondo procede, non si arresta mai, non ha intercapedini in cui è lecito inserire riflessioni anonime e perle di saggezza. La giostra gira con la circospezione regolare di un pianeta immenso. Solo un narratore puro puo' essere addetto all' ingranaggio.
L' arte del narrare è l' arte di attraversare il reale governando la velocità di crociera. Ha poco a che fare con la comprensione del reale medesimo. Se non pensassi in questi termini forse avrei evitato di accostarmi a Zola, quale autore se non lui guarda al mondo con occhi tanto diversi dai miei? E' un naturalista: per lui Gervasia è un essere "programmato" dal suo ambiente, la sua "caduta" un evento ineludibile.
Ci si sforza affinchè non ci sia dramma in queste vicende, bensì pura cronaca esemplare. Assurdo, quel che Zola chiama "pura coronaca" suona in realtà come un pudore verso le sorti disgraziate, qualcosa che finisce per amplificare i drammi che incontra anzichè prosciugarli riducendoli a resoconto.
Un romanzo talmente "vero" che ha superato brillantemente il "giggle test" piacendo ad un lettore animalesco come mia mamma. Un romanzo talmente toccante che Sara, dopo le prime pagine, lo ha abbandonato: troppo forte per tenerla al riparo da turbamenti molesti.
Nessuno sa più proprzionare con tanta dovizia la "lentezza" del reale, per farlo occorre troppa dedizione al mondo vero, una risorsa irreperibile per chi è assalito dalla distrazione continua procurata da mille mondi virtuali che ci seducono. Non esiste pazienza che una simile mole di tentazioni non sappia annientare.
Ho chiuso da pochi giorni un libro eccellente: "L' Assemoire", capolavoro di Emile Zola.
Dopo due pagine già capisci dove andrà a parare la trecentesima pagina, eppure la prevedibilità non nuoce affatto alla narrazione.
Nel romanzo si racconta la "caduta" di una donna, Gervasia. Povera Gervasia, per un attimo aveva sperato di farcela, poi l' abbiamo vista smarrita, poi l' abbiamo vista barcollare fino allo schianto finale.
Avete presente cosa significa tracciare una parabola prevedibile per trecento pagine senza cali di tensione, portandosi dietro una nutrita schiera di lettori vogliosi d' emozioni reperiti un po' ovunque in secoli differenti?
I tracolli si somigliano tutti, ma l' arte di registrare sapientemente ogni scricchiolio, l' arte di illustrare quei piccoli moti dell' animo che crediamo innocui e che invece occultano crepe strutturali, sono doti che pochi possiedono.
Un solo giorno puo' annoverarne centinaia di questi minuscoli eventi, vera passione del lettore pettegolo che dal suo angolo riparato pregusta la disfatta.
Per isolarli e farli assaporare con arte, bisogna procedere a rilento scarnificando il reale con pazienza infinita: questo sì, questo no. Bisogna distribuire armoniosamente gli eventi in modo da palleggiare l' attenzione del lettore senza mai farle toccare terra.
Ma il tutto va fatto mantendo una sicronia con il reale: la lentezza di cui parlo non ha nulla a che fare con il fermo immagine dei cartoni giapponesi, e neanche con il gesto infinito degli eroi epici di Omero. Nella grande narrazione ottocentesca il mondo procede, non si arresta mai, non ha intercapedini in cui è lecito inserire riflessioni anonime e perle di saggezza. La giostra gira con la circospezione regolare di un pianeta immenso. Solo un narratore puro puo' essere addetto all' ingranaggio.
L' arte del narrare è l' arte di attraversare il reale governando la velocità di crociera. Ha poco a che fare con la comprensione del reale medesimo. Se non pensassi in questi termini forse avrei evitato di accostarmi a Zola, quale autore se non lui guarda al mondo con occhi tanto diversi dai miei? E' un naturalista: per lui Gervasia è un essere "programmato" dal suo ambiente, la sua "caduta" un evento ineludibile.
Ci si sforza affinchè non ci sia dramma in queste vicende, bensì pura cronaca esemplare. Assurdo, quel che Zola chiama "pura coronaca" suona in realtà come un pudore verso le sorti disgraziate, qualcosa che finisce per amplificare i drammi che incontra anzichè prosciugarli riducendoli a resoconto.
Un romanzo talmente "vero" che ha superato brillantemente il "giggle test" piacendo ad un lettore animalesco come mia mamma. Un romanzo talmente toccante che Sara, dopo le prime pagine, lo ha abbandonato: troppo forte per tenerla al riparo da turbamenti molesti.
Le Avventure di un Embrione
E' concesso in questa sede odiare un libro?
Allora, con tutti i crismi dell' ufficialità, vorrei mettere alla berlina il libro Cuore. Puah.
***
Finalmente l' ho fatto. Che liberazione
Eppure non sono del tutto soddisfatto, non mi sento vendicato, dovrei dirlo un po' meglio.
Siccome l' esecrazione si manifesta alla giusta magnitudo solo se accompagnata dal suo fratellino gemello, l' amore...
...farò in modo che l' insoddisfacente sprezzatura del libro Cuore, si esprima al meglio grazie all' omaggio deferente tributato all' anti-Cuore per eccellenza: Pinocchio.
***
Pinocchio è un Franti che si salva.
Ah ah, sono salvo. Tiè Garrone, tiè Bottini, tiè a tutti i piccoli patrioti-vedette-scrivani, e crepi anche De Amicis e crepi con lui tutta l' Italia Unita.
***
Me lo chiedo da sempre.
Che bisogno ci sarà mai di avere una trama, a cosa serve uno sceneggiatore, che me ne faccio del plot se tanto, ormai ne sono quasi certo, mi interessa solo una storia fatta di due soli snodi:
lui sembra che non ce la faccia, ha tutte le carte in regola per non farcela, non ha nessuna possibilità di farcela, lo dicono tutti, lo dice De Amicis, il Presidente, il Papa Cattolico, il Papa Laico, il TG1, il TG2 e il TG3, la TV a reti unificate, il Professore, il Direttore, il Sondaggista, lo Scienziato e lo Statista ...
...invece ce la fa.
Evvaaii.
***
Solo la corda di una lira ispirata sa accompagnare con tatto e discrezione il viaggio del predestinato al fallimento.
L' impresa non è facile. Che si sia di fronte ad uno "spacciato" deve essere sempre più evidente senza che niente trapeli in modo esplicito.
Raccontare i talenti per il naufragio non è semplice. E' tutta una questione di posture, di interiezioni, di gesticolazioni, di sospirazione, di occhiate, di istinti repressi, di riflessi abortiti, di minuzie comportamentali e sintattiche.
Ma solo il grande artista sa creare quel vuoto di stomaco che dà lo spiazzante e implausibile salvataggio del reietto, l' annichilimento imprevisto di quello che credavamo il solido pardagma del destino greco.
E, detto tra di noi, non c' è niente di meno promettente che un Ciocco di Legno.
Chiunque abbia sbagliato puo' rimettersi in carreggiata, d' accordo. Ma qui siamo di fronte ad una multiforme scapestraggine, ad una birba matricolata, a un monellaccio, a uno svogliato, a un vagabondo con tutta la sua sequela di fallimenti morali reiterata e disperante.
E oggi questa diperazione è ancor più validata di ieri. Visto il discredito in cui è caduta la pedagogia delle legnate umilianti, l' insuccesso di quel mariuolo che ne riceve parecchie, è telefonato.
***
In presenza di educatori lassisti, ricordo che con qualche frignatina ben allocata, era facile bigiare l' asilo.
Allora me ne stavo in cameretta tutta la mattina ad ascoltare i dischi delle fiabe.
Ma Pinocchio non lo mettevo su tanto volentieri. Era una fiaba inquietante per me. In una speciale classifica horror precedeva anche La Piccola Fiammiferaia, nonchè tutti gli Andersen.
Era una Fiaba con "tempi" anomali e sincopati, proprio laddove il bigiatore pivellino richiederebbe una regolarità cronometrica da orologio svizzero.
La catarsi, per quanto attesa come in ogni fiaba, tardava ad arrivare.
E dopo aver atteso ben oltre la scansione consueta, ancora non arrivava nulla. La cosa era intollerabile. Il tempo passato con il cuore in gola era decisamente eccessivo.
Una simile condizione poteva andare bene per Giamburrasca, ragazzino nato e costruito per abitare tutta la vita nel paese delle marachelle, un paese, il suo, senza orecchie d' asino e con Pappa col Pomodoro a go go.
Ma con Pinocchio no, su Pinocchio incombe qualcosa di terribile, si sente continuamente odore di Apocalisse, nel suo mondo è al lavoro una qualche escatologia, fin dall' inizio pulsa l' agnizione.
***
Se Pinocchio fosse un racconto "di formazione" (Bildungsroman), sarebbe stato facile e gradevole archiviarlo nello scaffale di competenza per poi disporsi rilassati ad ascoltare, per esempio, la deliziosa multivocalità di Paolo Poli.
Ma nei romanzi "di formazione" si descrive una serie di prove attraverso cui il soggetto immaturo si trasfigura per ripresentarsi alla comunità finalmente adulto.
Nel nostro caso invece l' esito finale è un bambino in carne ed ossa. Il contrario di un adulto.
Per quel che ne so io non esiste un apprendistato per diventare bambini. Non esiste un apprendistato per nascere.
***
La meta finale è un "bambino", un' "anima". Ci viene raccontata la conquista dell' anima. Ci viene racontato il sogno/incubo di un embrione.
E se in questa vicenda c' è una vera volontà proiettata verso la meta finale è la volontà di Geppetto...
Inoltre, nel bel mezzo di tutte queste tempeste uterine, latita la capacità di apprendere.
Pinocchio sembra in balia degli elementi, non impara, non progredisce. Ha fallito troppe volte e, oltretutto, sempre nell' affrontare la stessa prova. Non possiamo dire di essere al cospetto di un "discente".
Il burattino cade subito alla prima tentazione e non arriva alla scuola. Ma anche se ci fosse arrivato non avrei scommesso una lira su di lui. Mi dispiace ma è così.
Quando uno cade una volta, due volte, tre volte nella medesima trappola, allora diremo di lui che è proprio una testa di legno.
Zeno Cosini, uomo abbandonato ormai dalla provvidenza, non smetterà mai di fumare, lo capiamo dalla grande arte di Svevo.
Pinocchio, burattino scortato dalla provvidenza, non smetterà mai di fare marachelle, lo capiamo dalla grande arte di Collodi.
Poi invece smette: è la grandissima arte di Collodi.
E' l' arte di chi ha saputo far smettere di fumare Zeno Cosini, di chi ha redento Franti, di chi ha rinsavito Don Chishiotte...
Collodi, pessimista disperato e vate dell' assurdo, oltre che dalla propria arte, è aiutato dalla sua originale concezione. Scrive sempre avendo in testa il finale con Pinocchio impiccato. Sono i bambini, portatori di mistero e speranza, che subissano il "Giornale" di lettere ottenendo la Resurrezione.
Non si tratta di appendice estranea da sequel, sorprendentemente Collodi riparte rinvigorito nell' ispirazione e convertito nell' ideologia.
***
Tutte operazioni già tentate, ma con il trucco: ci si limitava a riabilitare il comportamento consueto del "disperato" cambiando l' ottica di osservazione.
Franti veniva giustificato nelle sue marachelle, eravamo noi a convertirci, non lui.
La follia di Don Chishotte diventava gioiosa e non meno grave della nostra, anzi, smascherava la nostra. Addirittura veniva ripresentata come una forma di lucidità superiore.
Eravamo noi però a dover abbandonare i quieti lidi della grigia normalità con tutti i parametri che la descrivono.
Ma con Pinocchio espedienti del genere vengono messi da parte.
Pinocchio è la storia di un miracolo a sorpresa: una Testa di Legno promossa nel Paradiso della normalità.
***
A fare i bravi s' impara, e alla fine ci si becca anche l' applauso.
Ma conquistarsi l' anima è un vero colpo di scena della Grazia. Lo spettatore spiazzato non riesce nemmeno ad applaudire.
E in questo silenzio attonito di noi spettatori Pinocchio sguscia fuori dal grembo e corre via a vivere la sua vita di uomo in carne ed ossa fatta di molti errori conditi con qualche sporadico successo.
Allora, con tutti i crismi dell' ufficialità, vorrei mettere alla berlina il libro Cuore. Puah.
***
Finalmente l' ho fatto. Che liberazione
Eppure non sono del tutto soddisfatto, non mi sento vendicato, dovrei dirlo un po' meglio.
Siccome l' esecrazione si manifesta alla giusta magnitudo solo se accompagnata dal suo fratellino gemello, l' amore...
...farò in modo che l' insoddisfacente sprezzatura del libro Cuore, si esprima al meglio grazie all' omaggio deferente tributato all' anti-Cuore per eccellenza: Pinocchio.
***
Pinocchio è un Franti che si salva.
Ah ah, sono salvo. Tiè Garrone, tiè Bottini, tiè a tutti i piccoli patrioti-vedette-scrivani, e crepi anche De Amicis e crepi con lui tutta l' Italia Unita.
***
Me lo chiedo da sempre.
Che bisogno ci sarà mai di avere una trama, a cosa serve uno sceneggiatore, che me ne faccio del plot se tanto, ormai ne sono quasi certo, mi interessa solo una storia fatta di due soli snodi:
lui sembra che non ce la faccia, ha tutte le carte in regola per non farcela, non ha nessuna possibilità di farcela, lo dicono tutti, lo dice De Amicis, il Presidente, il Papa Cattolico, il Papa Laico, il TG1, il TG2 e il TG3, la TV a reti unificate, il Professore, il Direttore, il Sondaggista, lo Scienziato e lo Statista ...
...invece ce la fa.
Evvaaii.
***
Solo la corda di una lira ispirata sa accompagnare con tatto e discrezione il viaggio del predestinato al fallimento.
L' impresa non è facile. Che si sia di fronte ad uno "spacciato" deve essere sempre più evidente senza che niente trapeli in modo esplicito.
Raccontare i talenti per il naufragio non è semplice. E' tutta una questione di posture, di interiezioni, di gesticolazioni, di sospirazione, di occhiate, di istinti repressi, di riflessi abortiti, di minuzie comportamentali e sintattiche.
Ma solo il grande artista sa creare quel vuoto di stomaco che dà lo spiazzante e implausibile salvataggio del reietto, l' annichilimento imprevisto di quello che credavamo il solido pardagma del destino greco.
E, detto tra di noi, non c' è niente di meno promettente che un Ciocco di Legno.
Chiunque abbia sbagliato puo' rimettersi in carreggiata, d' accordo. Ma qui siamo di fronte ad una multiforme scapestraggine, ad una birba matricolata, a un monellaccio, a uno svogliato, a un vagabondo con tutta la sua sequela di fallimenti morali reiterata e disperante.
E oggi questa diperazione è ancor più validata di ieri. Visto il discredito in cui è caduta la pedagogia delle legnate umilianti, l' insuccesso di quel mariuolo che ne riceve parecchie, è telefonato.
***
In presenza di educatori lassisti, ricordo che con qualche frignatina ben allocata, era facile bigiare l' asilo.
Allora me ne stavo in cameretta tutta la mattina ad ascoltare i dischi delle fiabe.
Ma Pinocchio non lo mettevo su tanto volentieri. Era una fiaba inquietante per me. In una speciale classifica horror precedeva anche La Piccola Fiammiferaia, nonchè tutti gli Andersen.
Era una Fiaba con "tempi" anomali e sincopati, proprio laddove il bigiatore pivellino richiederebbe una regolarità cronometrica da orologio svizzero.
La catarsi, per quanto attesa come in ogni fiaba, tardava ad arrivare.
E dopo aver atteso ben oltre la scansione consueta, ancora non arrivava nulla. La cosa era intollerabile. Il tempo passato con il cuore in gola era decisamente eccessivo.
Una simile condizione poteva andare bene per Giamburrasca, ragazzino nato e costruito per abitare tutta la vita nel paese delle marachelle, un paese, il suo, senza orecchie d' asino e con Pappa col Pomodoro a go go.
Ma con Pinocchio no, su Pinocchio incombe qualcosa di terribile, si sente continuamente odore di Apocalisse, nel suo mondo è al lavoro una qualche escatologia, fin dall' inizio pulsa l' agnizione.
***
Se Pinocchio fosse un racconto "di formazione" (Bildungsroman), sarebbe stato facile e gradevole archiviarlo nello scaffale di competenza per poi disporsi rilassati ad ascoltare, per esempio, la deliziosa multivocalità di Paolo Poli.
Ma nei romanzi "di formazione" si descrive una serie di prove attraverso cui il soggetto immaturo si trasfigura per ripresentarsi alla comunità finalmente adulto.
Nel nostro caso invece l' esito finale è un bambino in carne ed ossa. Il contrario di un adulto.
Per quel che ne so io non esiste un apprendistato per diventare bambini. Non esiste un apprendistato per nascere.
***
La meta finale è un "bambino", un' "anima". Ci viene raccontata la conquista dell' anima. Ci viene racontato il sogno/incubo di un embrione.
E se in questa vicenda c' è una vera volontà proiettata verso la meta finale è la volontà di Geppetto...
Inoltre, nel bel mezzo di tutte queste tempeste uterine, latita la capacità di apprendere.
Pinocchio sembra in balia degli elementi, non impara, non progredisce. Ha fallito troppe volte e, oltretutto, sempre nell' affrontare la stessa prova. Non possiamo dire di essere al cospetto di un "discente".
Il burattino cade subito alla prima tentazione e non arriva alla scuola. Ma anche se ci fosse arrivato non avrei scommesso una lira su di lui. Mi dispiace ma è così.
Quando uno cade una volta, due volte, tre volte nella medesima trappola, allora diremo di lui che è proprio una testa di legno.
Zeno Cosini, uomo abbandonato ormai dalla provvidenza, non smetterà mai di fumare, lo capiamo dalla grande arte di Svevo.
Pinocchio, burattino scortato dalla provvidenza, non smetterà mai di fare marachelle, lo capiamo dalla grande arte di Collodi.
Poi invece smette: è la grandissima arte di Collodi.
E' l' arte di chi ha saputo far smettere di fumare Zeno Cosini, di chi ha redento Franti, di chi ha rinsavito Don Chishiotte...
Collodi, pessimista disperato e vate dell' assurdo, oltre che dalla propria arte, è aiutato dalla sua originale concezione. Scrive sempre avendo in testa il finale con Pinocchio impiccato. Sono i bambini, portatori di mistero e speranza, che subissano il "Giornale" di lettere ottenendo la Resurrezione.
Non si tratta di appendice estranea da sequel, sorprendentemente Collodi riparte rinvigorito nell' ispirazione e convertito nell' ideologia.
***
Tutte operazioni già tentate, ma con il trucco: ci si limitava a riabilitare il comportamento consueto del "disperato" cambiando l' ottica di osservazione.
Franti veniva giustificato nelle sue marachelle, eravamo noi a convertirci, non lui.
La follia di Don Chishotte diventava gioiosa e non meno grave della nostra, anzi, smascherava la nostra. Addirittura veniva ripresentata come una forma di lucidità superiore.
Eravamo noi però a dover abbandonare i quieti lidi della grigia normalità con tutti i parametri che la descrivono.
Ma con Pinocchio espedienti del genere vengono messi da parte.
Pinocchio è la storia di un miracolo a sorpresa: una Testa di Legno promossa nel Paradiso della normalità.
***
A fare i bravi s' impara, e alla fine ci si becca anche l' applauso.
Ma conquistarsi l' anima è un vero colpo di scena della Grazia. Lo spettatore spiazzato non riesce nemmeno ad applaudire.
E in questo silenzio attonito di noi spettatori Pinocchio sguscia fuori dal grembo e corre via a vivere la sua vita di uomo in carne ed ossa fatta di molti errori conditi con qualche sporadico successo.
Perchè è razionale che il boss prenda uno stipendio smodatamente più alto del vostro?
1. Sembrerà strano ma quanto più l' esito di una missione dipende dalla fortuna, tanto più gli incentivi devono essere elevati. Nessuno si "impegna" per vincere la lotteria.
2. L' incentivo dato al boss funge da incentivo anche per i pretendenti al trono, e giù a cascata; l' incentivo dato all' ultima ruota del carro funge da incentivo solo per l' ultima ruota del carro.
3. Non ha senso pagare il boss come fosse un burocrate: una buona decisione strategica in un' azienda capitalizzata con 10 milioni di euro vale 10 volte la stessa decisione strategica presa in un' azienda capitalizzata con un milione di euro.
2. L' incentivo dato al boss funge da incentivo anche per i pretendenti al trono, e giù a cascata; l' incentivo dato all' ultima ruota del carro funge da incentivo solo per l' ultima ruota del carro.
3. Non ha senso pagare il boss come fosse un burocrate: una buona decisione strategica in un' azienda capitalizzata con 10 milioni di euro vale 10 volte la stessa decisione strategica presa in un' azienda capitalizzata con un milione di euro.
lunedì 8 novembre 2010
Dogville, ovvero della Santa in poltrona
Grazie a Davide che me l' ha prestato, ho potuto rivedere Dogville.
Nella schiera di Sante raccontate da Von Trier, Grace è la più cerebrale.
Cerca di guadagnarsi il Paradiso con le tecniche di Sherlock Holmes: si siede in poltrona e riflette sul da farsi. Potremmo definirla una Santa in Poltrona
Il suo primo istinto è, come per tutte le sante, verso il martirio, verso il perdono ad oltranza e la mortificazione di sè.
Ma poi, comprende quanta arroganza nasconderebbe questa retrocessione dei propri più elementari interessi, comprende come tutto cio' la metterebbe in evidenza differenziandola dagli altri. Salire su un piedistallo del genere è estremamente insidioso per chi aspira ad una vita pudica e passiva.
Finalmente capisce che l' autentica umiltà consiste nel realizzare la propria umanità e la propria umanità parla in modo chiaro suggerendo al cuore di dar corso alla sanguinolenta vendetta.
Solo la vendetta riequilibria i piatti della bilancia pacificando la Giustizia. E allora ecco che cominciano a saltare le cervella e i figli sono uccisi davanti alle madri.
"Santo" significa "separato", ma la cogitabonda Grace coglie in questa "separatezza" a cui era destinata una trappola insidiosa per la sua anima.
Nelle due sequenze qui sotto Grace matura, grazie ad una riflessione involuta, la sua spiazzante decisione finale.
Nella prima il padre mafioso le rimproverà l' arroganza della sua santità e lei incassa male il colpo; nella seconda Grace, anzichè abbandonarsi alla carità, all' amore e al "dio mio perdona loro perchè non sanno quel che fanno", esegue dei freddi calcoli utilitaristici concludendo che Dogville "no... non ha fatto abbastanza" per meritare il suo perdono.
Nella schiera di Sante raccontate da Von Trier, Grace è la più cerebrale.
Cerca di guadagnarsi il Paradiso con le tecniche di Sherlock Holmes: si siede in poltrona e riflette sul da farsi. Potremmo definirla una Santa in Poltrona
Il suo primo istinto è, come per tutte le sante, verso il martirio, verso il perdono ad oltranza e la mortificazione di sè.
Ma poi, comprende quanta arroganza nasconderebbe questa retrocessione dei propri più elementari interessi, comprende come tutto cio' la metterebbe in evidenza differenziandola dagli altri. Salire su un piedistallo del genere è estremamente insidioso per chi aspira ad una vita pudica e passiva.
Finalmente capisce che l' autentica umiltà consiste nel realizzare la propria umanità e la propria umanità parla in modo chiaro suggerendo al cuore di dar corso alla sanguinolenta vendetta.
Solo la vendetta riequilibria i piatti della bilancia pacificando la Giustizia. E allora ecco che cominciano a saltare le cervella e i figli sono uccisi davanti alle madri.
"Santo" significa "separato", ma la cogitabonda Grace coglie in questa "separatezza" a cui era destinata una trappola insidiosa per la sua anima.
Nelle due sequenze qui sotto Grace matura, grazie ad una riflessione involuta, la sua spiazzante decisione finale.
Nella prima il padre mafioso le rimproverà l' arroganza della sua santità e lei incassa male il colpo; nella seconda Grace, anzichè abbandonarsi alla carità, all' amore e al "dio mio perdona loro perchè non sanno quel che fanno", esegue dei freddi calcoli utilitaristici concludendo che Dogville "no... non ha fatto abbastanza" per meritare il suo perdono.
L' asciugatrice di Altman
Prendete due musiche cariche di phatos e fatele suonare insieme sovrapponendole.
Se siete dei bravi contrappuntisti saprete sistemarle in modo da eludere fastidiose dissonanze. Quel che non saprete mai evitare è la perdita del loro originario carattere espressivo.
Una elide l' altra.
In questi casi uno più uno non fa due ma zero.
Lungi dal rappresentare una perdita, per molti questo fenomeno è una benedizione. A volte l' eccesso di espressività diventa macilento e satura l' atmosfera: meglio un' agilità virtuosa. Non a tutti piacciono le pesantezze del melodramma.
Se questo vale per la musica, vale ancora di più nel cinema.
Il regista "polifonico" per eccellenza è Robert Altman, le storie che racconta sono sempre inestricabili tra loro e questa tecnica contrappuntistica gli impedisce di pigiare troppo il pedale drammatico.
L' altro giorno abbiamo visto California Poker, un film incentrato sul gioco d' azzardo e altre dipendenze, c' era materia in abbondanza per imbastire veri e propri drammi ma, per una questione tecnica, abbiamo capito subito che la cosa non avrebbe mai potuto realizzarsi.
Peccato, a noi sentimentaloni italiani, se la lacrimuccia e la tensione emotiva non fa per lo meno capolino, sembra sempre che manchi all' appello qualcosa.
Siamo o non siamo noi che abbiamo fatto accantonare al mondo il contrappunto soppiantandolo con l' Opera?
Se siete dei bravi contrappuntisti saprete sistemarle in modo da eludere fastidiose dissonanze. Quel che non saprete mai evitare è la perdita del loro originario carattere espressivo.
Una elide l' altra.
In questi casi uno più uno non fa due ma zero.
Lungi dal rappresentare una perdita, per molti questo fenomeno è una benedizione. A volte l' eccesso di espressività diventa macilento e satura l' atmosfera: meglio un' agilità virtuosa. Non a tutti piacciono le pesantezze del melodramma.
Se questo vale per la musica, vale ancora di più nel cinema.
Il regista "polifonico" per eccellenza è Robert Altman, le storie che racconta sono sempre inestricabili tra loro e questa tecnica contrappuntistica gli impedisce di pigiare troppo il pedale drammatico.
L' altro giorno abbiamo visto California Poker, un film incentrato sul gioco d' azzardo e altre dipendenze, c' era materia in abbondanza per imbastire veri e propri drammi ma, per una questione tecnica, abbiamo capito subito che la cosa non avrebbe mai potuto realizzarsi.
Peccato, a noi sentimentaloni italiani, se la lacrimuccia e la tensione emotiva non fa per lo meno capolino, sembra sempre che manchi all' appello qualcosa.
Siamo o non siamo noi che abbiamo fatto accantonare al mondo il contrappunto soppiantandolo con l' Opera?
Il nostro povero individualismo
Il Nostro Povero Individualismo
C' è stato un tempo in cui ci avevano creduto in molti.
Schiere di puntigliosi letterati spalleggiavano il lavoro di accaniti filosofi.
Con il coraggio e la precisione dei dinamitardi si erano messi tutti quanti in testa di smontare quella maledetta costruzione psichica che è l' "io", causa prima di tanti mali.
Specie del mal di testa.
Una fosca ombra, 'sto monosillabo, che non ci molla un attimo, neanche quando andiamo al gabinetto.
Un fardello che ingrassa inutilmente pesando su ogni nostro movimento con tutto lo zainetto di responsabilità che ci infila a tradimento sulle nostre innocenti spalle.
***
Era una strategia geniale, non c' è che dire: se soffro, perchè eliminare la sofferenza quando posso eliminare l' "io"? Perchè non tentare l' incruento colpo di stato grammaticale?
Per carità, non mancarono i soliti paludati ammonimenti moralistici dei ben noti grilli parlanti, i quali, insensibili alle feroci emicranie che la valle di lacrime ci riserva, osarono obiettare contro la cura proposta del taglio della testa.
Ma perchè preoccuparsi per simili mugolii? Bastarono quattro martellate sul muro ben distribuite per liberarsi dei loro predicozzi stantii.
Tanto poi si dà una mano di bianco e chi s' è visto s' è visto.
***
L' artista serio era invece tutto concentrato a strapazzare il pronome in questione. A stiracchiarlo come il pongo per vedere l' effetto che fa.
C' era chi voleva decostruirlo, chi voleva scioglierlo nell' acido (lisergico), chi studiava come farlo sparire dormendo tutta la vita, chi procedeva a collettivizzarlo in modo che fosse possibile riunirsi tutti sotto un unico grande "io". C' era anche chi, adottando sorprendenti strategie inflazionistiche, cercava, con generosa distribuzione, di assegnarne un centinaio a cranio.
Ad un certo punto il mortale nemico sembrava proprio dovesse cedere, il nostro povero "io" atterrito appariva spacciato, appariva come roba vecchia, roba d' altri tempi, la moltitudine dei suoi nemici tendeva le avide mandibole verso quella povera carcassa.
Fragile legno su mare torvo, non sapeva bene che dio pregare.
L' attacco concentrico delle avanguardie letterarie era portato da più fronti e senza tentennamenti. La resa era prossima.
Solo per dovere di cronaca aggiungerò che, mentre la discettazione teoretica su questi temi s' impennava per qualità, la parallela letteratura sperimentale subiva dinamiche ben diverse.
***
"Il Fu Mattia Pascal" (appena letto su Radio Tre) fu una delle cannonate più poderose sparate nell' assedio descritto più sopra.
Pirandello, con la gran parte della sua opera, prese parte attiva al sacco dell' Identità, e lo fece con le mostrine del Generale.
Il mio parere è che prese parte anche al fallimento di quell' impresa sciagurata.
Per capire come tutto quell' ambaradan sia andato a ramengo, la lettura del "Fu Mattia Pascal" è caldamente raccomandata.
***
Da giovane Lettore desideroso d' intrupparmi e costantemente in cerca di Partito, pensai bene di iscrivermi nel movimento "anti-realista".
Era però necessario adottare "Il Fu" come bandiera.
E perchè no? dicevo. La cosa mi risultava semplice, lo si poteva fare a testa alta senza addivenire a nessun compromesso infamante.
Senonchè, per quanto sia più che onorevole alzare un simile vessillo, è la bandiera stessa a presentarsi taroccata una volta che, garrendo al vento, la puoi osservare meglio dispiegata.
Così distesa ha l' aria di non servire a dovere la causa anti-realista. E non sai come ci rimani male se mentre suoni la carica ti accorgi di alzare uno stendardo che assomiglia in modo imbarazzante a quello del nemico.
***
Cerco di spiegare meglio quell' imbarazzo.
Ogni volta che il "Fu" gira alla larga dal progettato nucleo del racconto, allora dà il meglio di sè.
Noi lì abbiamo agio di ammiriare finalmente il passo felpato con cui avanza senza scopo ogni Grande Libro.
Finchè il Pascal è in saldo possesso del documento anagrafico, l' Alta Letteratura ci bacia facendoci mille promesse e raccontandoci cose rare a proposito di eventi quotidiani
Mamma mia, quante fragranze. Che sapori pregnanti schizzano fuori da ogni capoverso. Un rigo, una spezia. E noi assaggiamo tutto con le fiammelle negli occhi e le bollicine nel sangue.
Al lettore arriva a fiotti la clorofilla che lo rinverdisce, giungono in massa quei segnali che lui attende avido da sempre, l' unica cosa che lo ripaga per il tormentoso passatempo che si è scelto.
Sì perchè, quando fa breccia la risatina proprio mentre il muscolo cardiaco si contrae in una stretta, allora lo sai. Sai di respirare l' aria ipossigenata che spira sempre dalle vette del Capolavoro.
E tutto succede mentre, e solo mentre, eventi realissimi, naturalissimi, si abbattono contro l' inettissimo, ma monumentale, "io" del Pascal.
E anche il mio "io" è lì, ben nascosto dietro lo specchio della pagina, tutto preso a fare serrati e spassosi confronti con il suo patetico dirimpettaio di carta.
Meste identificazioni, orgogliose dissociazioni. Le basi da cui giungere di volta in volta a esiti differenti non mancano: i nostri due individualismi spiccano ben definiti e si paragonano come in una naturalissima e costruttiva sinossi.
***
Ma poi sulla storia cominciano a fioccare eventi anti-naturali (ce n' è sempre almeno uno ad imbrattare le carte di Pirandello).
Uno in particolare: il Pascal, creduto morto, puo' vivere finalmente come uno Zombie e vagare dentro una vuota sorte.
Bella Idea, non c' è che dire. Ma quando le Idee defenestrano i Fatti non c' è mai da stare allegri.
E non c' è dubbio che quanto più un' Idea è geniale, tanto più "defenestra".
La Moglie, la Suocera, l' Amico Scemo, il Tipo da Bar, il Tipo da Spiaggia, i Tipi in generale e tutta questa cornucopia di lussureggiante biodiversità che mi aveva rallegrato emozionandomi, non puo' più vivere nel Nuovo Mondo Ideale del "rinato".
Perchè il Nuovo Mondo del Rinato è un Laboratorio già stipato dalle speculazioni mentali del Nostro tutto preso ad indagare le sfumature di questa sua nuova artificiosa condizione di liberto.
In una simile dimensione "pensata" cessa ogni possibile abboccamento sorprendente a cui valga la pena di presentarsi per scambiare quattro chiacchere, così, da Lettore a Personaggio.
Il Fantasma di Pascal procede leggero finalmente sgravato dalla mordacchia del suo individualismo.
Non so se provi un qualche sollievo. Certamente la mia intesa con lui ne risente.
Un po', un po' tanto, mi dispiace di aver perso un così edificante termine di paragone.
Quanto alle modeste e fluviali speculazioni da bibliotecario iperaccomandato, con tutto il permesso, se proprio voglio sgranchirmi le sinapsi, a quel punto deposito sul comodino il "Pirandello finito fuori strada" per virare sereno verso Summa Teologica o Settimana Enigmistica.
C' è stato un tempo in cui ci avevano creduto in molti.
Schiere di puntigliosi letterati spalleggiavano il lavoro di accaniti filosofi.
Con il coraggio e la precisione dei dinamitardi si erano messi tutti quanti in testa di smontare quella maledetta costruzione psichica che è l' "io", causa prima di tanti mali.
Specie del mal di testa.
Una fosca ombra, 'sto monosillabo, che non ci molla un attimo, neanche quando andiamo al gabinetto.
Un fardello che ingrassa inutilmente pesando su ogni nostro movimento con tutto lo zainetto di responsabilità che ci infila a tradimento sulle nostre innocenti spalle.
***
Era una strategia geniale, non c' è che dire: se soffro, perchè eliminare la sofferenza quando posso eliminare l' "io"? Perchè non tentare l' incruento colpo di stato grammaticale?
Per carità, non mancarono i soliti paludati ammonimenti moralistici dei ben noti grilli parlanti, i quali, insensibili alle feroci emicranie che la valle di lacrime ci riserva, osarono obiettare contro la cura proposta del taglio della testa.
Ma perchè preoccuparsi per simili mugolii? Bastarono quattro martellate sul muro ben distribuite per liberarsi dei loro predicozzi stantii.
Tanto poi si dà una mano di bianco e chi s' è visto s' è visto.
***
L' artista serio era invece tutto concentrato a strapazzare il pronome in questione. A stiracchiarlo come il pongo per vedere l' effetto che fa.
C' era chi voleva decostruirlo, chi voleva scioglierlo nell' acido (lisergico), chi studiava come farlo sparire dormendo tutta la vita, chi procedeva a collettivizzarlo in modo che fosse possibile riunirsi tutti sotto un unico grande "io". C' era anche chi, adottando sorprendenti strategie inflazionistiche, cercava, con generosa distribuzione, di assegnarne un centinaio a cranio.
Ad un certo punto il mortale nemico sembrava proprio dovesse cedere, il nostro povero "io" atterrito appariva spacciato, appariva come roba vecchia, roba d' altri tempi, la moltitudine dei suoi nemici tendeva le avide mandibole verso quella povera carcassa.
Fragile legno su mare torvo, non sapeva bene che dio pregare.
L' attacco concentrico delle avanguardie letterarie era portato da più fronti e senza tentennamenti. La resa era prossima.
Solo per dovere di cronaca aggiungerò che, mentre la discettazione teoretica su questi temi s' impennava per qualità, la parallela letteratura sperimentale subiva dinamiche ben diverse.
***
"Il Fu Mattia Pascal" (appena letto su Radio Tre) fu una delle cannonate più poderose sparate nell' assedio descritto più sopra.
Pirandello, con la gran parte della sua opera, prese parte attiva al sacco dell' Identità, e lo fece con le mostrine del Generale.
Il mio parere è che prese parte anche al fallimento di quell' impresa sciagurata.
Per capire come tutto quell' ambaradan sia andato a ramengo, la lettura del "Fu Mattia Pascal" è caldamente raccomandata.
***
Da giovane Lettore desideroso d' intrupparmi e costantemente in cerca di Partito, pensai bene di iscrivermi nel movimento "anti-realista".
Era però necessario adottare "Il Fu" come bandiera.
E perchè no? dicevo. La cosa mi risultava semplice, lo si poteva fare a testa alta senza addivenire a nessun compromesso infamante.
Senonchè, per quanto sia più che onorevole alzare un simile vessillo, è la bandiera stessa a presentarsi taroccata una volta che, garrendo al vento, la puoi osservare meglio dispiegata.
Così distesa ha l' aria di non servire a dovere la causa anti-realista. E non sai come ci rimani male se mentre suoni la carica ti accorgi di alzare uno stendardo che assomiglia in modo imbarazzante a quello del nemico.
***
Cerco di spiegare meglio quell' imbarazzo.
Ogni volta che il "Fu" gira alla larga dal progettato nucleo del racconto, allora dà il meglio di sè.
Noi lì abbiamo agio di ammiriare finalmente il passo felpato con cui avanza senza scopo ogni Grande Libro.
Finchè il Pascal è in saldo possesso del documento anagrafico, l' Alta Letteratura ci bacia facendoci mille promesse e raccontandoci cose rare a proposito di eventi quotidiani
Mamma mia, quante fragranze. Che sapori pregnanti schizzano fuori da ogni capoverso. Un rigo, una spezia. E noi assaggiamo tutto con le fiammelle negli occhi e le bollicine nel sangue.
Al lettore arriva a fiotti la clorofilla che lo rinverdisce, giungono in massa quei segnali che lui attende avido da sempre, l' unica cosa che lo ripaga per il tormentoso passatempo che si è scelto.
Sì perchè, quando fa breccia la risatina proprio mentre il muscolo cardiaco si contrae in una stretta, allora lo sai. Sai di respirare l' aria ipossigenata che spira sempre dalle vette del Capolavoro.
E tutto succede mentre, e solo mentre, eventi realissimi, naturalissimi, si abbattono contro l' inettissimo, ma monumentale, "io" del Pascal.
E anche il mio "io" è lì, ben nascosto dietro lo specchio della pagina, tutto preso a fare serrati e spassosi confronti con il suo patetico dirimpettaio di carta.
Meste identificazioni, orgogliose dissociazioni. Le basi da cui giungere di volta in volta a esiti differenti non mancano: i nostri due individualismi spiccano ben definiti e si paragonano come in una naturalissima e costruttiva sinossi.
***
Ma poi sulla storia cominciano a fioccare eventi anti-naturali (ce n' è sempre almeno uno ad imbrattare le carte di Pirandello).
Uno in particolare: il Pascal, creduto morto, puo' vivere finalmente come uno Zombie e vagare dentro una vuota sorte.
Bella Idea, non c' è che dire. Ma quando le Idee defenestrano i Fatti non c' è mai da stare allegri.
E non c' è dubbio che quanto più un' Idea è geniale, tanto più "defenestra".
La Moglie, la Suocera, l' Amico Scemo, il Tipo da Bar, il Tipo da Spiaggia, i Tipi in generale e tutta questa cornucopia di lussureggiante biodiversità che mi aveva rallegrato emozionandomi, non puo' più vivere nel Nuovo Mondo Ideale del "rinato".
Perchè il Nuovo Mondo del Rinato è un Laboratorio già stipato dalle speculazioni mentali del Nostro tutto preso ad indagare le sfumature di questa sua nuova artificiosa condizione di liberto.
In una simile dimensione "pensata" cessa ogni possibile abboccamento sorprendente a cui valga la pena di presentarsi per scambiare quattro chiacchere, così, da Lettore a Personaggio.
Il Fantasma di Pascal procede leggero finalmente sgravato dalla mordacchia del suo individualismo.
Non so se provi un qualche sollievo. Certamente la mia intesa con lui ne risente.
Un po', un po' tanto, mi dispiace di aver perso un così edificante termine di paragone.
Quanto alle modeste e fluviali speculazioni da bibliotecario iperaccomandato, con tutto il permesso, se proprio voglio sgranchirmi le sinapsi, a quel punto deposito sul comodino il "Pirandello finito fuori strada" per virare sereno verso Summa Teologica o Settimana Enigmistica.
Se il colonialismo fa bene
In passato i popoli europei hanno occupato altre terre soggiogandone i popoli e dettando loro nuovi stili di vita e una nuova organizzazione sociale.
Chiamiamo tutto cio' "colonialismo", una pratica che oggi ci ripugna e per cui abbiamo imparato a nutrire sensi di colpa.
In teoria il colonialismo è un fenomeno quanto meno nefasto, ma i fatti, per chi vuole ascoltarli, raccontano un' altra storia: il colonialismo fa bene.
A tutta prima le cose sembrano evidenti: i paesi che hanno "subito" pratiche coloniali sono oggi più ricchi e benestanti rispetto a quelli che ne sono stati - ahi loro - "risparmiati".
L' obiezione classica è prontamente avanzata: "ma gli occupanti hanno scelto a priori i territori più promettenti per insediarsi evitando quelli infestati da malattie ed altri accidenti".
Non sempre è stato così; fortunatamente su questa questione specifica la Storia offre veri e propri "esperimenti" da laboratorio.
Ne propongo qui solo uno a titolo d' esempio.
Le terre della Polinesia, per esempio, rappresentano un caso da manuale; parliamo di un nugolo di isolette minuscole sparse nell' Oceano.
Le navi occidentali navigavano a quel tempo con strumentazione ridotta, prevalentemente riferendosi al sole e ai venti. E' per questo che sono state colonizzate solo le isolette allineate su una certa latitudine fissa; delle altre, quasi tutte abitate, i navigatori non conoscevano nemmeno l' esistenza, era troppo rischioso avventurarsi fuori rotta.
Potremmo dire, immaginando di fare un esperimento con la Storia, che su 1.000 isole per lo più nelle medesime condizioni, ne scegliamo casualmente 100 e le sottoponiamo al "trattamento" della colonizzazione. E' proprio il "laboratorio" che cercavamo!
Ebbene, le 100 isole colonizzate perchè più facilmente raggiungibili nel Sedicesimo e Diciasettesimo secolo grazie ai venti favorevoli, sono oggi le più ricche. Un secolo di governo coloniale contribuisce a stipendi pro-capite superiori del 40% e riduce la mortalità infantile del 2.6%. Questo studio specifico sulla storia coloniale della polinesia è di James Feyrer e Bruce Sacerdote.
E così anche la storia del colonialismo diventa una gatta da pelare per l' utilitarista: i calcoli che esegue lo spingono a vedere con favore il fenomeno e magari anche ad incoraggiare nuove forme affinchè il benessere si estenda, ma scommetto che la sua morale istintiva si oppone ad una simile conclusione. Rinnegherà la sua ideologia o il suo istinto?
Chiamiamo tutto cio' "colonialismo", una pratica che oggi ci ripugna e per cui abbiamo imparato a nutrire sensi di colpa.
In teoria il colonialismo è un fenomeno quanto meno nefasto, ma i fatti, per chi vuole ascoltarli, raccontano un' altra storia: il colonialismo fa bene.
A tutta prima le cose sembrano evidenti: i paesi che hanno "subito" pratiche coloniali sono oggi più ricchi e benestanti rispetto a quelli che ne sono stati - ahi loro - "risparmiati".
L' obiezione classica è prontamente avanzata: "ma gli occupanti hanno scelto a priori i territori più promettenti per insediarsi evitando quelli infestati da malattie ed altri accidenti".
Non sempre è stato così; fortunatamente su questa questione specifica la Storia offre veri e propri "esperimenti" da laboratorio.
Ne propongo qui solo uno a titolo d' esempio.
Le terre della Polinesia, per esempio, rappresentano un caso da manuale; parliamo di un nugolo di isolette minuscole sparse nell' Oceano.
Le navi occidentali navigavano a quel tempo con strumentazione ridotta, prevalentemente riferendosi al sole e ai venti. E' per questo che sono state colonizzate solo le isolette allineate su una certa latitudine fissa; delle altre, quasi tutte abitate, i navigatori non conoscevano nemmeno l' esistenza, era troppo rischioso avventurarsi fuori rotta.
Potremmo dire, immaginando di fare un esperimento con la Storia, che su 1.000 isole per lo più nelle medesime condizioni, ne scegliamo casualmente 100 e le sottoponiamo al "trattamento" della colonizzazione. E' proprio il "laboratorio" che cercavamo!
Ebbene, le 100 isole colonizzate perchè più facilmente raggiungibili nel Sedicesimo e Diciasettesimo secolo grazie ai venti favorevoli, sono oggi le più ricche. Un secolo di governo coloniale contribuisce a stipendi pro-capite superiori del 40% e riduce la mortalità infantile del 2.6%. Questo studio specifico sulla storia coloniale della polinesia è di James Feyrer e Bruce Sacerdote.
E così anche la storia del colonialismo diventa una gatta da pelare per l' utilitarista: i calcoli che esegue lo spingono a vedere con favore il fenomeno e magari anche ad incoraggiare nuove forme affinchè il benessere si estenda, ma scommetto che la sua morale istintiva si oppone ad una simile conclusione. Rinnegherà la sua ideologia o il suo istinto?
domenica 7 novembre 2010
Meditazione sul Vangelo del 7.11.2010
Vangelo secondo Matteo 25, 31-46
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Il Vangelo di oggi esprime con parole tonitruanti concetti in realtà pacifici per l' Uomo Moderno. Ovvero, è possibile e doveroso compiere una selezione tra i comportamenti umani, e, in ultima analisi, tra gli uomini stessi.
Chi crede ed ascolta la parola, è avvisato: questo compito spetta a Dio. Il moralismo non è altro che la petulanza di chi trascura questo insegnamento.
Ma la Parola di oggi aggiunge qualcosa, ci parla del "fratello più piccolo".
Dice il Figlio di Dio: "cio' che avete fatto al "fratello più piccolo" lo avete fatto a me".
Il "fratello più piccolo" è l' uomo più umile: anch' egli possiede una dignità regale ed offenderla è come offendere Dio.
Tutti gli uomini sono accumunati da pari dignità, e i più umili non sono esclusi.
Ecco allora dispiegarsi la dimensione evangelica dell' Uomo: diverso nei meriti (arrivo), uguale in dignità (partenza).
Quale pensiero riesce a coniugare in modo altrettanto armonioso diseguaglianza sostanziale (esito) ed eguaglianza formale (diritti)? Io propongo come candidato il pensiero libertario.
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Il Vangelo di oggi esprime con parole tonitruanti concetti in realtà pacifici per l' Uomo Moderno. Ovvero, è possibile e doveroso compiere una selezione tra i comportamenti umani, e, in ultima analisi, tra gli uomini stessi.
Chi crede ed ascolta la parola, è avvisato: questo compito spetta a Dio. Il moralismo non è altro che la petulanza di chi trascura questo insegnamento.
Ma la Parola di oggi aggiunge qualcosa, ci parla del "fratello più piccolo".
Dice il Figlio di Dio: "cio' che avete fatto al "fratello più piccolo" lo avete fatto a me".
Il "fratello più piccolo" è l' uomo più umile: anch' egli possiede una dignità regale ed offenderla è come offendere Dio.
Tutti gli uomini sono accumunati da pari dignità, e i più umili non sono esclusi.
Ecco allora dispiegarsi la dimensione evangelica dell' Uomo: diverso nei meriti (arrivo), uguale in dignità (partenza).
Quale pensiero riesce a coniugare in modo altrettanto armonioso diseguaglianza sostanziale (esito) ed eguaglianza formale (diritti)? Io propongo come candidato il pensiero libertario.
Elitiari e populisti
Siete elitari o populisti?
Prima di rispondere facciamo un minimo di chiarezza sui termini.
I libertari devono per forza di cose orientarsi su una posizione elitaria: rappresentano meno del 5% della popolazione e pretendono di avere ragione. Ad ogni piè sospinto devono prendere atto che "la maggioranza ha torto marcio".
Se poi un libertario investe sulla "ragione", e qui penso sempre al liberale cattolico, crede anche nel fatto che approfondire lo studio di una materia ne accresca la conoscenza. Il che significa pensare che, alla lunga, in ogni campo l' "esperto" vinca sul dilettante.
[... il che non è affatto scontato: in politica, per esempio, Tetlock ha mostrato quanto sia sottile la distanza che separa il sapere dell' esperto da quello del dilettante...].
Detto questo, ciascuno capisce in un attimo la diffidenza con cui i liberali accolgono i precetti democratici, e la storia dei liberali italiani conferma questa conclusione; il termine "elitismo" fu introdotto nell' ambito delle dottrine politiche proprio per contassegnare la loro posizione.
Ma, attenzione, l' elitario non è un "paternalista autoritario"; per capire meglio la distinzione dobbiamo svolgere tre riflessioni sul concetto di democrazia.
1. In democrazia la PROPAGANDA conta molto. Poichè il singolo voto pesa poco o nulla, l' elettore razionale è fondamentalmente disinteressato a svolgere con cura il proprio compito politico e cio' lo rende vulnerabile alla propaganda dei media. Insomma, l' elettore razionale dice: "voto in base alle poche informazioni che non fatico a raccogliere [ e di solito, così fascendo, si finisce per ascoltare solo la gran cassa che picchia più forte] tanto, in questo campo, è inutile approfondire visto che condividerò il costo dei miei errori senza sopportarlo per intero da solo".
2. In democrazia l' IDEOLOGIA conta molto. Poichè il singolo voto "non conta", l' elettore razionale vede in questo ambito la possibilità di professare la propria ideologia: se mi sbaglio sopporterò le conseguenze solo in minima parte, quindi ne approfitto per distrarmi e "fare altro". Professare un' ideologia ci realizza, ci sfoga, ci rende felici, non appena c' è la possibilità di farlo è una gioia dedicarcivisi.
3. La SELEZIONE a priori dell' esperto, purtroppo, non puo' essere "oggettiva"; è la scienza che ce lo dice: tutti hanno diritto di partecipare, tutti hanno il diritto di sperimentare secondo le proprie intuizioni. Popper ha parlato chiaro e il suo messaggio è stato accolto.
Sulla base di 1. e 2., l' elitario si oppone al populista, ovvero al democratico di tendenze giacobine: con simili premesse le dcisioni del "popolo" saranno giocoforza quasi sempre sballate.
Sulla base di 3. l' elitario si oppone al "paternalista autoritario". Quest' ultimo non è un populista, sa che il popolo in democrazia sceglie in modo inaccurato, ma dà per scontato che è "lui" e nessun altro a rappresentare l' autorità in materia a cui sarebbe bene uniformarsi.
Il "Paternalista autoritario" non prende in considerazione il problema della SELEZIONE e pretende di affermare l' esistenza di un doppio regime fissato oggettivamente per tutti: élite e popolo. Doppio regime, doppio diritto, doppia morale eccetera. A lui spetta dunque un regime di privilegio che gli consenta di decidere anche per i "fratellini minori" (o minorati). Queste sono bestemmie per l' elitario, che è pur sempre un liberale doc.
Per guarire dai mali descritti in 1. 2. e 3. l' elitiario propone un' unica medicina: la responsabilità individuale.
Le scelte della politica devono contare meno, le scelte del singolo devono contare di più. In questo modo il singolo sopporterà le conseguenze di cio' che decide.
Se devo "rispondere" sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, probabilmente non mi farò bastare le informazioni della PROPAGANDA.
Se devo rispondere sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, mi trustellerò meno con l' IDEOLOGIA abbandonandomi con maggiore ritrosia a quei piaceri.
Se "rispondo" delle mie scelte io, individuo razionale, starò ad ascoltare ed accorderò prestigio crescente a colui che reputo esperto in materia. [In politica noi ascoltiamo volentieri anche i vaneggiamenti dell' artistoide o del comico di turno ma difficilmente faremmo altrettanto se dovessimo scegliere dove investire i risparmi di una vita].
L' esperto, quello vero, raccoglierà così prestigio e privilegi, ma li raccoglierà dalla preferenza accordata dai soggetti e non da una fantomatica oggettività a priori.
E' il mercato il meccanismo che esalta la responsabilità dell' individuo razionale: la democrazia popolare (populismo) e la dittatura degli illuminati (paternalismo autoritario), devono cedere in favore di quest' ultimo.
Prima di rispondere facciamo un minimo di chiarezza sui termini.
I libertari devono per forza di cose orientarsi su una posizione elitaria: rappresentano meno del 5% della popolazione e pretendono di avere ragione. Ad ogni piè sospinto devono prendere atto che "la maggioranza ha torto marcio".
Se poi un libertario investe sulla "ragione", e qui penso sempre al liberale cattolico, crede anche nel fatto che approfondire lo studio di una materia ne accresca la conoscenza. Il che significa pensare che, alla lunga, in ogni campo l' "esperto" vinca sul dilettante.
[... il che non è affatto scontato: in politica, per esempio, Tetlock ha mostrato quanto sia sottile la distanza che separa il sapere dell' esperto da quello del dilettante...].
Detto questo, ciascuno capisce in un attimo la diffidenza con cui i liberali accolgono i precetti democratici, e la storia dei liberali italiani conferma questa conclusione; il termine "elitismo" fu introdotto nell' ambito delle dottrine politiche proprio per contassegnare la loro posizione.
Ma, attenzione, l' elitario non è un "paternalista autoritario"; per capire meglio la distinzione dobbiamo svolgere tre riflessioni sul concetto di democrazia.
1. In democrazia la PROPAGANDA conta molto. Poichè il singolo voto pesa poco o nulla, l' elettore razionale è fondamentalmente disinteressato a svolgere con cura il proprio compito politico e cio' lo rende vulnerabile alla propaganda dei media. Insomma, l' elettore razionale dice: "voto in base alle poche informazioni che non fatico a raccogliere [ e di solito, così fascendo, si finisce per ascoltare solo la gran cassa che picchia più forte] tanto, in questo campo, è inutile approfondire visto che condividerò il costo dei miei errori senza sopportarlo per intero da solo".
2. In democrazia l' IDEOLOGIA conta molto. Poichè il singolo voto "non conta", l' elettore razionale vede in questo ambito la possibilità di professare la propria ideologia: se mi sbaglio sopporterò le conseguenze solo in minima parte, quindi ne approfitto per distrarmi e "fare altro". Professare un' ideologia ci realizza, ci sfoga, ci rende felici, non appena c' è la possibilità di farlo è una gioia dedicarcivisi.
3. La SELEZIONE a priori dell' esperto, purtroppo, non puo' essere "oggettiva"; è la scienza che ce lo dice: tutti hanno diritto di partecipare, tutti hanno il diritto di sperimentare secondo le proprie intuizioni. Popper ha parlato chiaro e il suo messaggio è stato accolto.
Sulla base di 1. e 2., l' elitario si oppone al populista, ovvero al democratico di tendenze giacobine: con simili premesse le dcisioni del "popolo" saranno giocoforza quasi sempre sballate.
Sulla base di 3. l' elitario si oppone al "paternalista autoritario". Quest' ultimo non è un populista, sa che il popolo in democrazia sceglie in modo inaccurato, ma dà per scontato che è "lui" e nessun altro a rappresentare l' autorità in materia a cui sarebbe bene uniformarsi.
Il "Paternalista autoritario" non prende in considerazione il problema della SELEZIONE e pretende di affermare l' esistenza di un doppio regime fissato oggettivamente per tutti: élite e popolo. Doppio regime, doppio diritto, doppia morale eccetera. A lui spetta dunque un regime di privilegio che gli consenta di decidere anche per i "fratellini minori" (o minorati). Queste sono bestemmie per l' elitario, che è pur sempre un liberale doc.
Per guarire dai mali descritti in 1. 2. e 3. l' elitiario propone un' unica medicina: la responsabilità individuale.
Le scelte della politica devono contare meno, le scelte del singolo devono contare di più. In questo modo il singolo sopporterà le conseguenze di cio' che decide.
Se devo "rispondere" sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, probabilmente non mi farò bastare le informazioni della PROPAGANDA.
Se devo rispondere sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, mi trustellerò meno con l' IDEOLOGIA abbandonandomi con maggiore ritrosia a quei piaceri.
Se "rispondo" delle mie scelte io, individuo razionale, starò ad ascoltare ed accorderò prestigio crescente a colui che reputo esperto in materia. [In politica noi ascoltiamo volentieri anche i vaneggiamenti dell' artistoide o del comico di turno ma difficilmente faremmo altrettanto se dovessimo scegliere dove investire i risparmi di una vita].
L' esperto, quello vero, raccoglierà così prestigio e privilegi, ma li raccoglierà dalla preferenza accordata dai soggetti e non da una fantomatica oggettività a priori.
E' il mercato il meccanismo che esalta la responsabilità dell' individuo razionale: la democrazia popolare (populismo) e la dittatura degli illuminati (paternalismo autoritario), devono cedere in favore di quest' ultimo.
venerdì 5 novembre 2010
Pillola e Lavatrice
Pensavate che le battaglie femministe fossero all' origine della condizione sociale delle donne di oggi?
Ripensateci, è il consiglio di Tim Harford.
Lui ritiene infatti di attribuire questo merito (o demerito) alla pillola.
Pensavate che il referendum sul divorzio avesse dato la stura alle moltissime separazioni famigliari degli anni successivi?
Tim Harford dissente. Lui guarda piuttosto all' invenzione della Lavatrice.
Pillola e lavatrice valgono più di femminismo e legislazioni "avanzate" messi insieme.
Hanno la "logica" dalla loro parte, e non è poco.
Partiamo dalla pillola.
Con la pillola il maschio medio trova facilmente "cio' che cerca" senza bisogno d' imbarcarsi in un matrimonio. Le donne, a cui il matrimonio garantisce invece cure costanti da parte del marito, entrano tra loro in concorrenza spietata per farsi sposare. Prima bastava assicurare al potenziale marito "quella cosa lì", ora non basta, bisogna offrire di pù: c' è chi punta sulla bellezza e chi sull' istruzione. Più concorrenza... più università.
Il fenomeno è noto da tempo: quando le donne sopravanzano gli uomini per numero, la loro istruzione cresce. Figuratevi che negli stati degli USA dove ci sono molti carcerati uomini (a volte il 10% della popolazione maschile nera in età da matrimonio), le donne (nere) sono parecchio più istruite della media.
E non pensiate che occorrano chissà quali differenziali.
Per capire quanto basti poco per scatenere effetti di notevole magnitudo, ripassiamo la logica che sta sotto alla concorrenza rifacendo mentalmente un esperimento che è stato fatto realmente.
Prendete 99 uomini, 100 donne e date loro 50 euro ciascuno; adesso chiedete loro di accoppiarsi trovando un accordo su come dividersi i 100 euro che hanno insieme. Chi resta solo perde tutto il malloppo. Si formeranno le 99 coppie e alla donna di ciascuna coppia spetterà giusto un centesimo. Non male!
E' logico dunque che, nella vita reale, per evitare una simile sorte le donne cerchino di differenziarsi e spesso lo fanno andando all' università e trovandosi un lavoro di alto livello.
La pillola ha un po' le stesse conseguenze: mette le donne in concorrenza tra loro.
Ma veniamo alla LAVATRICE.
Il Mondo di oggi è molto molto molto più ricco di quello dei secoli scorsi: abbiamo scoperto la "divisione del lavoro".
Il successo di un' istituzione come quella matrimoniale è dovuto in gran parte al fatto di facilitare la divisione del lavoro tra coniugi: donne a casa, mariti fuori.
La divisione del lavoro conviene se ci sono "economie di scala" (tutti capiscono cosa siano) e "vantaggi comparati" (nessuno capisce mai cosa siano veramente tranne gli economisti).
Per la teoria dei vantaggi comparati, se si decide che l' uomo vada a lavorare piuttosto che allevare i figli e badare alla casa, non è per il fatto che l' uomo lavora meglio della donna!
La donna forse fa meglio entrambe le cose ma il divario è più netto nel settore "allevamento figli".
Quindi, in presenza di economie di scala, è naturale che la donna si occupi esclusivamente dei figli e della casa.
Specializzarsi però crea dipendenza reciproca: io non saprei nemmeno costruirmi una matita decente se lasciato a me stesso.
La lavatrice (e gli altri elettrodomestici) hanno abbattuto le economie di scala che esistevano nei lavori domestici. Cio' significa che la donna avanza del tempo e che quindi puo' lavorare.
Se la donna lavora conquista una sua autonomia materiale e psicologica: lo scudo del matrimonio indissolubile (regalatole dalla Chiesa) le serve molto meno. Ecco allora che in molti casi vi rinuncia, per esempio quando la convivenza è insopportabile (prima era più razionale tenere duro).
Il processo si autoalimenta: poichè esiste un rischio divorzio allora diventa sempre più conveniente lavorare (le donne con matrimoni a rischio sono più istruite e lavorano con più lena). Come se non bastasse, il fatto che ci siano in giro tanti divorziati accresce la possibilità di risposarsi.
Attenzione: la lavatrice abbatte le economie di scala nei lavori domestici ma non quelle dei lavori fuori dalla famiglia e nemmeno intacca la legge dei "vantaggi comparati".
Cio' significa che se il differenziale di abilità in favore della donna nella cura dei figli permane (e un certo differenziale è naturale), a parità di tutto il resto, per la coppia conviene ancora che la donna si dedichi a lavori meno professionali persino, a volte, quando è più brava del marito nei lavori più qualificati.
Dimenticavo un particolare: dal 1960/70 la felicità delle donne è diminuita sia in termini assoluti che in termini relativi (rispetto agli uomini).
Dobbiamo assolvere il femminismo? Io non sarei dell' avviso: se un killer spara prima dell' altro e fa in modo che il suo proiettile si conficchi per primo nel corpo della vittima uccidendola, non per questo si prende tutte le colpe.
Tim Harford - la logica nascosta della vita
[P.S. il buon Tim divulga il leggendario "Trattato sulla famiglia" scritto da Gary Becker]
Ripensateci, è il consiglio di Tim Harford.
Lui ritiene infatti di attribuire questo merito (o demerito) alla pillola.
Pensavate che il referendum sul divorzio avesse dato la stura alle moltissime separazioni famigliari degli anni successivi?
Tim Harford dissente. Lui guarda piuttosto all' invenzione della Lavatrice.
Pillola e lavatrice valgono più di femminismo e legislazioni "avanzate" messi insieme.
Hanno la "logica" dalla loro parte, e non è poco.
Partiamo dalla pillola.
Con la pillola il maschio medio trova facilmente "cio' che cerca" senza bisogno d' imbarcarsi in un matrimonio. Le donne, a cui il matrimonio garantisce invece cure costanti da parte del marito, entrano tra loro in concorrenza spietata per farsi sposare. Prima bastava assicurare al potenziale marito "quella cosa lì", ora non basta, bisogna offrire di pù: c' è chi punta sulla bellezza e chi sull' istruzione. Più concorrenza... più università.
Il fenomeno è noto da tempo: quando le donne sopravanzano gli uomini per numero, la loro istruzione cresce. Figuratevi che negli stati degli USA dove ci sono molti carcerati uomini (a volte il 10% della popolazione maschile nera in età da matrimonio), le donne (nere) sono parecchio più istruite della media.
E non pensiate che occorrano chissà quali differenziali.
Per capire quanto basti poco per scatenere effetti di notevole magnitudo, ripassiamo la logica che sta sotto alla concorrenza rifacendo mentalmente un esperimento che è stato fatto realmente.
Prendete 99 uomini, 100 donne e date loro 50 euro ciascuno; adesso chiedete loro di accoppiarsi trovando un accordo su come dividersi i 100 euro che hanno insieme. Chi resta solo perde tutto il malloppo. Si formeranno le 99 coppie e alla donna di ciascuna coppia spetterà giusto un centesimo. Non male!
E' logico dunque che, nella vita reale, per evitare una simile sorte le donne cerchino di differenziarsi e spesso lo fanno andando all' università e trovandosi un lavoro di alto livello.
La pillola ha un po' le stesse conseguenze: mette le donne in concorrenza tra loro.
Ma veniamo alla LAVATRICE.
Il Mondo di oggi è molto molto molto più ricco di quello dei secoli scorsi: abbiamo scoperto la "divisione del lavoro".
Il successo di un' istituzione come quella matrimoniale è dovuto in gran parte al fatto di facilitare la divisione del lavoro tra coniugi: donne a casa, mariti fuori.
La divisione del lavoro conviene se ci sono "economie di scala" (tutti capiscono cosa siano) e "vantaggi comparati" (nessuno capisce mai cosa siano veramente tranne gli economisti).
Per la teoria dei vantaggi comparati, se si decide che l' uomo vada a lavorare piuttosto che allevare i figli e badare alla casa, non è per il fatto che l' uomo lavora meglio della donna!
La donna forse fa meglio entrambe le cose ma il divario è più netto nel settore "allevamento figli".
Quindi, in presenza di economie di scala, è naturale che la donna si occupi esclusivamente dei figli e della casa.
Specializzarsi però crea dipendenza reciproca: io non saprei nemmeno costruirmi una matita decente se lasciato a me stesso.
La lavatrice (e gli altri elettrodomestici) hanno abbattuto le economie di scala che esistevano nei lavori domestici. Cio' significa che la donna avanza del tempo e che quindi puo' lavorare.
Se la donna lavora conquista una sua autonomia materiale e psicologica: lo scudo del matrimonio indissolubile (regalatole dalla Chiesa) le serve molto meno. Ecco allora che in molti casi vi rinuncia, per esempio quando la convivenza è insopportabile (prima era più razionale tenere duro).
Il processo si autoalimenta: poichè esiste un rischio divorzio allora diventa sempre più conveniente lavorare (le donne con matrimoni a rischio sono più istruite e lavorano con più lena). Come se non bastasse, il fatto che ci siano in giro tanti divorziati accresce la possibilità di risposarsi.
Attenzione: la lavatrice abbatte le economie di scala nei lavori domestici ma non quelle dei lavori fuori dalla famiglia e nemmeno intacca la legge dei "vantaggi comparati".
Cio' significa che se il differenziale di abilità in favore della donna nella cura dei figli permane (e un certo differenziale è naturale), a parità di tutto il resto, per la coppia conviene ancora che la donna si dedichi a lavori meno professionali persino, a volte, quando è più brava del marito nei lavori più qualificati.
Dimenticavo un particolare: dal 1960/70 la felicità delle donne è diminuita sia in termini assoluti che in termini relativi (rispetto agli uomini).
Dobbiamo assolvere il femminismo? Io non sarei dell' avviso: se un killer spara prima dell' altro e fa in modo che il suo proiettile si conficchi per primo nel corpo della vittima uccidendola, non per questo si prende tutte le colpe.
Tim Harford - la logica nascosta della vita
[P.S. il buon Tim divulga il leggendario "Trattato sulla famiglia" scritto da Gary Becker]
mercoledì 3 novembre 2010
Rosy Bindi, ovvero l' apogeo della democrazia
Rosy Bindi compra una casa dietro Piazza del Popolo.
Valore di mercato: circa 700.000 euro.
Costo pagato: 400.000.
Un grazie ai funzionari dell' Inail.
Si attendono indagini di Report con le musiche di Hermann.
Scandalizzarsi?
No, la democrazia funziona così.
E allora buttiamo via la "democrazia"?
No, purchè chi va a votare lo faccia sapendo che la democrazia funziona così.
Coscienti di cosa sia la "democrazia" non si possono che votare candidati libertari, ovvero candidati desiderosi di limitare i poteri di politica e burocrazia.
dettagli:
http://fbechis.blogspot.com/2010/11/la-vera-storia-della-casa-di-rosy-bindi.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+BechisBlog+%28Bechis%27+Blog%29&utm_content=Google+Reader
Valore di mercato: circa 700.000 euro.
Costo pagato: 400.000.
Un grazie ai funzionari dell' Inail.
Si attendono indagini di Report con le musiche di Hermann.
Scandalizzarsi?
No, la democrazia funziona così.
E allora buttiamo via la "democrazia"?
No, purchè chi va a votare lo faccia sapendo che la democrazia funziona così.
Coscienti di cosa sia la "democrazia" non si possono che votare candidati libertari, ovvero candidati desiderosi di limitare i poteri di politica e burocrazia.
dettagli:
http://fbechis.blogspot.com/2010/11/la-vera-storia-della-casa-di-rosy-bindi.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+BechisBlog+%28Bechis%27+Blog%29&utm_content=Google+Reader
Watt
Suonano ognuno per conto proprio senza neanche guardarsi in faccia, se l' altro si fa sentire alzano il volume come si alza un muro. Soffrono ma perseverano. Pedalano vorticosamente senza avanzare. Un vero talento per la bancarotta.
Autismo e impasse.
E' l' oggetto d' indagine che prevale in molti musicisti.
La musica nuova è nuova perchè ci sono cose nuove da dire: nel seicento nessuno sentiva il bisogno di parlare dell' autismo, ma oggi bisogna farlo.
Come possiamo raccontare la fatica di chi sta fermo. Di chi non prende mai il volo. La noia ansante che segue ad una rabbia impotente. Da dove viene la voglia d' infastidire il prossimo nella speranza segreta che ci sopprima.
Leggere il Watt di Becker fa capire una volta per tutte che la cosa puo' essere detta. Ma puo' anche essere suonata?
Innanzitutto, via ogni allegoria, via ogni similitudine, via anche le metafore.
Che resta?
Resta il conato di un' espressione abortita. E forse anche una pietà.
Per il gioco della genealogia farei i nomi di Steve Lacy, Derek Bailey e Captain Beefhart.
Pupillo/Farina/Zerang - Still Life with Commercial - basso/chitarra/batteria -
Autismo e impasse.
E' l' oggetto d' indagine che prevale in molti musicisti.
La musica nuova è nuova perchè ci sono cose nuove da dire: nel seicento nessuno sentiva il bisogno di parlare dell' autismo, ma oggi bisogna farlo.
Come possiamo raccontare la fatica di chi sta fermo. Di chi non prende mai il volo. La noia ansante che segue ad una rabbia impotente. Da dove viene la voglia d' infastidire il prossimo nella speranza segreta che ci sopprima.
Leggere il Watt di Becker fa capire una volta per tutte che la cosa puo' essere detta. Ma puo' anche essere suonata?
Innanzitutto, via ogni allegoria, via ogni similitudine, via anche le metafore.
Che resta?
Resta il conato di un' espressione abortita. E forse anche una pietà.
Per il gioco della genealogia farei i nomi di Steve Lacy, Derek Bailey e Captain Beefhart.
Pupillo/Farina/Zerang - Still Life with Commercial - basso/chitarra/batteria -
Berlusconi: meglio amare le belle donne che essere gay
Berlusconi racconta le sue preferenze sessuali e fa il pieno di critiche.
In prima fila coloro che, in altre occasioni, amano esordire annunciando al mondo la loro avversione al politically correct. Seee.
Ma in fondo Berlusconi esprime solo una cultura, magari arcaica (come dice l' autorevole attrice Julianne Moor) ma pur sempre una cultura.
Criticarlo è legittimo, basta che a farlo non siano i sostenitori del multiculturalismo: per questo genere di relativisti le culture hanno tutte pari dignità. Una vale l' altra.
Roger Scruton ha recentemente espresso in modo vivido questo concetto nel tentativo di mettere in croce il relativismo "multiculti". Mi permetto di riproporre quei concetti riprendendo il resoconto di Richard Fulmer:
In his short but thought provoking book, Culture Counts: Faith and Feeling in a World Besieged, British philosopher Roger Scruton offers a critique of multiculturalism. He begins his analysis by asserting that a culture is largely a bundle of judgments – subjective beliefs about what is beautiful, what is art, what is appropriate or inappropriate, and what is or is not funny. Scruton goes on to explore the value of such cultural judgments by examining laughter.
To illustrate his arguments, I offer a thought experiment. First, imagine someone attempting to amuse his friends with the old “Why did the chicken cross the road?” riddle. Very likely the attempt will fall flat, and the stale punch line will not elicit even a groan.
Now suppose that we give the riddle a twist, answering it as a person from history might. For example, Adam Smith: “It was moved as if by an invisible hand.” Thomas Jefferson: “It was in the course of chicken events.” Sigmund Freud: “The chicken witnessed the sex act as an egg.” Likely, the revised versions will receive more positive responses.
Finally, let’s change the riddle again, this time replacing the word “chicken” with a derogatory epithet for a member of an ethnic, religious, or racial minority, and basing the punch line on a negative stereotype of the targeted group. What response could the joke teller expect? Well, if he were a participant in a Ku Klux Klan rally, the reaction might be quite positive. On the other hand, if he were a Harvard professor regaling his peers in the faculty lounge, the response might very well be shocked silence, frozen faces, and demands for his resignation. (I base the latter prediction on the response Larry Summers received for uttering - not a politically incorrect joke - but a politically incorrect fact, namely that that men tend to do better on standardized math tests than do women.)
Why should these three sets of jokes fare so differently? If we believe, as multiculturalism demands, that all cultures are equally valid, the response to each joke should be precisely the same. Each should be greeted with appreciative laughter based on the sympathetic understanding that the teller is trying to entertain us with a joke that is, according to his culture, amusing. One cannot react negatively without insinuating that he judges his own culture superior to that of the teller.
Yet the Harvard professors’ predicted response, if accurate, would seem to suggest that they do consider the Harvard culture to be superior to the Klan’s. This, despite the fact that a majority of the Harvard faculty almost certainly believes in multiculturalism’s fundamental tenet that all cultures are created equal. Their belief, however, would not stop them from attempting to ruin a fellow faculty member’s career for offending their own subjective cultural judgments (as it did not stop them in Larry Summers’ case).
In defense of Harvard professors, might we believe it possible that there may actually be objective standards by which jokes can be judged? Might we muster the courage to assert that a joke that demeans others is objectively inferior to one that merely amuses? Having conceded so much, might we even go so far as to venture that a culture based on love of knowledge and wisdom is superior to one based on hatred and coercive repression of minorities?
I only pose these as questions, of course, lest I be thought judgmental....
All' affiancamento delle "culture" anteponiamo la concorrenza tra "culture". Per lo meno costruiamo avendo sotto delle fondamenta.
Ma chi sono questi incoerenti che sembrano incapaci di pensare e che costruiscono case d' argilla? Fuori i nomi!
Sono molti, inutile fare nomi.
Potrei ricorrere giusto ad uno stratagemma: poichè in fondo si ama criticare una certa schiera umana identificandola per comodità con Berlusconi, in nome della stessa comodità mi limiterò a fare un unico nome: Fahrenheit. Tanto ormai conosciamo bene il tipo umano che sfila in continuazione sul tappeto rosso offerto dal monopolio.
Inutile aggiungere altro.
Annalena Benini sull' omofollia di Berlusconi, autentico sdoganatore della cultura gay.
In prima fila coloro che, in altre occasioni, amano esordire annunciando al mondo la loro avversione al politically correct. Seee.
Ma in fondo Berlusconi esprime solo una cultura, magari arcaica (come dice l' autorevole attrice Julianne Moor) ma pur sempre una cultura.
Criticarlo è legittimo, basta che a farlo non siano i sostenitori del multiculturalismo: per questo genere di relativisti le culture hanno tutte pari dignità. Una vale l' altra.
Roger Scruton ha recentemente espresso in modo vivido questo concetto nel tentativo di mettere in croce il relativismo "multiculti". Mi permetto di riproporre quei concetti riprendendo il resoconto di Richard Fulmer:
In his short but thought provoking book, Culture Counts: Faith and Feeling in a World Besieged, British philosopher Roger Scruton offers a critique of multiculturalism. He begins his analysis by asserting that a culture is largely a bundle of judgments – subjective beliefs about what is beautiful, what is art, what is appropriate or inappropriate, and what is or is not funny. Scruton goes on to explore the value of such cultural judgments by examining laughter.
To illustrate his arguments, I offer a thought experiment. First, imagine someone attempting to amuse his friends with the old “Why did the chicken cross the road?” riddle. Very likely the attempt will fall flat, and the stale punch line will not elicit even a groan.
Now suppose that we give the riddle a twist, answering it as a person from history might. For example, Adam Smith: “It was moved as if by an invisible hand.” Thomas Jefferson: “It was in the course of chicken events.” Sigmund Freud: “The chicken witnessed the sex act as an egg.” Likely, the revised versions will receive more positive responses.
Finally, let’s change the riddle again, this time replacing the word “chicken” with a derogatory epithet for a member of an ethnic, religious, or racial minority, and basing the punch line on a negative stereotype of the targeted group. What response could the joke teller expect? Well, if he were a participant in a Ku Klux Klan rally, the reaction might be quite positive. On the other hand, if he were a Harvard professor regaling his peers in the faculty lounge, the response might very well be shocked silence, frozen faces, and demands for his resignation. (I base the latter prediction on the response Larry Summers received for uttering - not a politically incorrect joke - but a politically incorrect fact, namely that that men tend to do better on standardized math tests than do women.)
Why should these three sets of jokes fare so differently? If we believe, as multiculturalism demands, that all cultures are equally valid, the response to each joke should be precisely the same. Each should be greeted with appreciative laughter based on the sympathetic understanding that the teller is trying to entertain us with a joke that is, according to his culture, amusing. One cannot react negatively without insinuating that he judges his own culture superior to that of the teller.
Yet the Harvard professors’ predicted response, if accurate, would seem to suggest that they do consider the Harvard culture to be superior to the Klan’s. This, despite the fact that a majority of the Harvard faculty almost certainly believes in multiculturalism’s fundamental tenet that all cultures are created equal. Their belief, however, would not stop them from attempting to ruin a fellow faculty member’s career for offending their own subjective cultural judgments (as it did not stop them in Larry Summers’ case).
In defense of Harvard professors, might we believe it possible that there may actually be objective standards by which jokes can be judged? Might we muster the courage to assert that a joke that demeans others is objectively inferior to one that merely amuses? Having conceded so much, might we even go so far as to venture that a culture based on love of knowledge and wisdom is superior to one based on hatred and coercive repression of minorities?
I only pose these as questions, of course, lest I be thought judgmental....
All' affiancamento delle "culture" anteponiamo la concorrenza tra "culture". Per lo meno costruiamo avendo sotto delle fondamenta.
Ma chi sono questi incoerenti che sembrano incapaci di pensare e che costruiscono case d' argilla? Fuori i nomi!
Sono molti, inutile fare nomi.
Potrei ricorrere giusto ad uno stratagemma: poichè in fondo si ama criticare una certa schiera umana identificandola per comodità con Berlusconi, in nome della stessa comodità mi limiterò a fare un unico nome: Fahrenheit. Tanto ormai conosciamo bene il tipo umano che sfila in continuazione sul tappeto rosso offerto dal monopolio.
Inutile aggiungere altro.
Annalena Benini sull' omofollia di Berlusconi, autentico sdoganatore della cultura gay.
Iscriviti a:
Post (Atom)